Prima lettura
Secondo il filosofo tedesco,
dopo Auschwitz la trascendenza non offre piú all’immanenza alcun significato.
Auschwitz ha lo stesso effetto nel campo del sociale che il terremoto di
Lisbona ha avuto nel campo dei fenomeni naturali. La
malvagità umana ha realizzato “l’inferno reale”.
Th. W. Adorno, Dialettica negativa
Non è
piú possibile affermare che l’immutabile sia verità e il mosso apparenza
caduca, l’indifferenza reciproca del temporale e delle idee eterne, neppure con
il pretesto hegeliano che l’esistenza temporale serva – grazie
all’annientamento implicito nel suo concetto – all’eterno, che si presenta
nell’eternità dell’annientamento. Uno degli impulsi mistici, secolarizzato
nella dialettica, fu la dottrina della rilevanza dell’intramondano, storico per
ciò che la metafisica tradizionale privilegiava come trascendenza, o almeno,
detto meno gnosticamente e radicalmente, per la posizione della coscienza
rispetto ai problemi che il canone filosofico assegnava alla metafisica.
L’impressione che, dopo Auschwitz, si ribella ad ogni affermazione di
positività dell’esistenza come una consolazione a poco prezzo, ingiustizia nei
confronti delle vittime, la resistenza contro la possibilità di spremere dal
loro destino un qualche senso per quanto esiguo, ha un suo momento oggettivo
dopo eventi che ridicolizzano la costruzione di un senso dell’immanenza,
irraggiato dalla trascendenza posta affermativamente. Una tale costruzione
affermò la negatività assoluta e collaborò ideologicamente alla sua
persistenza, che comunque è realmente implicita nel principio della società
esistente fino alla sua autodistruzione. Il terremoto di Lisbona, fu
sufficiente per guarire Voltaire dalla teodicea leibniziana, e la catastrofe
ancora comprensibile della prima natura fu minima confrontata con la seconda,
sociale, che si sottrae all’immaginazione umana, preparando l’inferno reale
sulla base della malvagità umana. La capacità alla metafisica è paralizzata
perché ciò che è successo ha mandato a pezzi la base dell’unificabilità del
pensiero speculativo metafisico con l’esperienza. Ancora una volta trionfa,
indicibilmente, il motivo dialettico del rovesciarsi della quantità in qualità.
La morte, con l’assassinio burocratico di milioni di persone, è diventata
qualcosa che non era mai stata tanto da temere. Non c’è piú alcuna possibilità
che essa entri nella vita vissuta dei singoli come un qualcosa che concordi con
il suo corso. L’individuo viene spossessato dell’ultima e piú misera cosa che
gli era rimasta. Poiché nei campi di concentramento non moriva piú l’individuo,
ma l’esemplare, il morire deve attaccarsi anche a quelli sfuggiti a tale
misura. Il genocidio è l’integrazione assoluta che si prepara ovunque, dove
uomini vengono omogeneizzati, “scafati” – come si dice in gergo militare –
finché li si estirpa letteralmente, deviazioni dal concetto della loro completa
nullità. Auschwitz conferma la norma filosofica della pura identità come morte.
Th. W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi, Torino,
1975, pagg. 326-327
Seconda lettura
Dopo
Auschwitz, Hitler ci costringe ad impegnarci con tutte le nostre forze per fare
in modo che ciò che è avvenuto non possa ripetersi. Questo è diventato
l’“imperativo categorico” della nostra epoca. Auschwitz dimostra inconfutabilmente
il fallimento della cultura e dell’interpretazione illuminista della storia. Ma
la negazione della cultura non è una soluzione. Neppure il silenzio.
Th. W. Adorno, Dialettica negativa
Hitler
ha imposto agli uomini nello stato della loro illibertà un nuovo imperativo
categorico: organizzare il loro agire e pensare in modo che Auschwitz non si
ripeta, non succeda niente di simile. Questo imperativo è tanto resistente alla
sua fondazione quanto una volta la datità di quello kantiano.
[...].
Auschwitz
ha dimostrato inconfutabilmente il fallimento della cultura. Il fatto che
potesse succedere in mezzo a tutta la tradizione della filosofia, dell’arte e
delle scienze illuministiche, dice molto di piú che essa, lo spirito, non sia
riuscito a raggiungere e modificare gli uomini. In quelle regioni stesse con la
loro pretesa enfatica di autarchia, sta di casa la non verità. Tutta la cultura
dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura. Poiché essa
si è restaurata dopo quel che è successo nel suo paesaggio senza resistenza, è
diventata completamente ideologia, quale potenzialmente era dopo che, in
opposizione all’esistenza materiale, presunse di soffiarle la luce, offertale
dalla divisione tra lavoro corporale e spirito. Chi parla per la conservazione
della cultura radicalmente colpevole e miserevole diventa collaborazionista,
mentre chi si nega alla cultura, favorisce immediatamente la barbarie, quale si
è rivelata essere la cultura. Neppure il silenzio fa uscire dal circolo vizioso:
esso razionalizza soltanto la propria incapacità soggettiva con lo stato di
verità oggettiva e cosí la degrada ancora una volta a menzogna.
Th. W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi, Torino,
1975, pagg. 330-331