Per Julien Offroy de La Mettrie
(1709-1751), al quale la professione di medico militare offrí l’occasione di
analizzare le conseguenze psichiche delle malattie organiche, l’uomo è una
macchina: è il suo corpo determina gli stati d’animo e l’intera dimensione
spirituale. L’anima non è che una parola vuota. Contro la concretezza della
fisica le armi della metafisica e della teologia non hanno speranza di
vittoria.
J. O. de La Mettrie, L’uomo
macchina
Ritengo che i sistemi filosofici
sull’anima e sull’uomo si possano ridurre a due. Il primo, e il piú antico, è
il sistema del materialismo; il secondo è quello dello spiritualismo [...].
L’uomo è una macchina cosí
complessa, che è impossibile farsene di primo acchito un’idea chiara, e
conseguentemente poterla definire. Perciò tutte le ricerche condotte dai piú
grandi filosofi a priori, cioè cercando di servirsi per cosí dire delle
ali dell’ingegno, sono state vane. Cosí, soltanto a posteriori, cioè
cercando di districare e scoprire l’anima attraverso gli organi del corpo, è
possibile, non dico già scoprire all’evidenza la natura stessa dell’uomo, ma
raggiungere il maggior grado di probabilità possibile sull’argomento.
Armiamoci dunque del bastone
dell’esperienza, e lasciamo cadere tutte le vane chiacchiere dei filosofi.
Esser cieco, e credere di poter fare a meno di appoggiarsi a un tal bastone, è
il colmo dell’accecamento. [...] Certo si può, anzi si deve, ammirare le
ricerche perfettamente inutili, di tanti grandi genî: i Cartesio, i
Malebranche, i Leibniz, i Wolff, ecc.; ma qual frutto, ditemi, si è ricavato
dalle loro profonde meditazioni e da tutto il complesso delle loro opere?
Cominciamo dunque e vediamo, non già che cosa è stato pensato, ma che cosa
bisogna pensare, per raggiungere l’equilibrio nella nostra vita.
Tanti temperamenti, altrettanti
ingegni, caratteri e costumi diversi. Galeno stesso ha conosciuto questa
verità, che Cartesio [...] ha portato al limite, fino a dire che la medicina da
sola poteva mutare gli ingegni e i costumi insieme ai corpi. é vero che la
melanconia, la bile, il flegma, il sangue, ecc., a seconda della natura,
dell’abbondanza e della diversa combinazione di tali umori, fanno di ciascun
uomo un uomo diverso.
Nelle malattie, l’anima è
talvolta come eclissata e non si rivela piú per alcun segno; talaltra si
direbbe che è come sdoppiata, tanto è trasumata dal furore, talaltra ancora la
sua debolezza sparisce: e dalla convalescenza di uno sciocco nasce un uomo
d’ingegno. Viceversa può accadere che il piú grande genio, istupidito, diventi
irriconoscibile. [...]
Ma non intendo soffermarmi su
cose che tutti conoscono. Né mi diffonderò in particolari per quanto concerne
gli effetti del sonno. Prendete un soldato esausto: egli russa nella sua
trincea, insensibile al rumore di cento cannonate! La sua anima non sente
nulla, il suo sonno è una perfetta apoplessia. Una bomba sta per farlo a pezzi;
sentirà forse meno di un insetto che si trovi ad essere schiacciato. Viceversa,
un uomo in preda alla gelosia, all’odio, all’avarizia o all’ambizione, non
trova in alcun modo riposo. Il luogo piú tranquillo, le bevande piú fresche e
piú rilassanti, tutto è inutile per chi non riesce a liberare il suo cuore dal
tormento delle passioni.
L’anima e il corpo si
addormentano insieme. A mano a mano che il movimento del sangue si calma, un
dolce sentimento di pace e di tranquillità si diffonde in tutta la macchina;
l’anima si sente mollemente appesantita insieme alle palpebre e si rilassa
insieme alle fibre del cervello; essa diviene cosí a poco a poco come
paralitica, insieme a tutti i muscoli del corpo. Questi non riescono piú a
sostenere il peso del capo; questo a sua volta non può piú sostenere il peso
del pensiero; nel sonno l’anima è come inesistente.
Se al contrario la circolazione
diventa troppo veloce, l’anima non riesce a dormire. Essa è troppo agitata e il
sangue non riesce a calmarsi; galoppa nelle vene con un rumore che riusciamo a
percepire: sono queste le due cause reciproche dell’insonnia. [...]
Il corpo umano è una macchina che
ricarica da sé le molle che la muovono: immagine vivente del moto perpetuo. I
cibi ricostruiscono ciò che la febbre consuma. Senza di essi l’anima languisce,
infuria e cade morta. È come una candela la cui fiamma si fa piú viva poco
prima di spegnersi. Nutrite invece il corpo, versate nei suoi canali succhi e
liquori vigorosi: allora l’anima, divenuta generosa come quelli, si arma di
fiero coraggio: il soldato, che l’acqua avrebbe fatto fuggire, divenuto ardito,
ora corre fieramente incontro alla morte al suono dei tamburi. Cosí l’acqua
calda rende agitato quello stesso sangue che l’acqua fredda avrebbe reso calmo.
Quale potenza in un buon pasto!
La gioia rinasce in un cuore triste; si diffonde nell’animo dei convitati, che
la esprimono con gioiose canzoni, arte in cui i Francesi eccellono. Solo chi è
di temperamento malinconico è affranto da tutto ciò, e l’uomo di studio non vi
è gran che piú incline. [...]
Pensiamo e persino agiamo
moralmente, cosí come siamo lieti o coraggiosi; tutto dipende dal modo in cui
la nostra macchina si trova disposta. In certi momenti, si direbbe che l’anima
abbia la sua sede nello stomaco, e che Van Helmont, collocandola nel piloro,
non si sia di molto sbagliato e che al piú abbia scambiato la parte per il
tutto [...].
I diversi stati dell’anima sono
dunque sempre correlativi a quelli del corpo. [...] Ma, dal momento che tutte
le facoltà dell’anima dipendono talmente dalla peculiare organizzazione del
cervello e di tutto il corpo, da identificarsi evidentemente con questa stessa
organizzazione, ecco una macchina molto intelligente! Infatti, quand’anche
l’uomo solo avesse avuto in retaggio la legge naturale, non cesserebbe perciò
di essere una macchina. Qualche ingranaggio, qualche molla in piú che negli
animali piú perfetti, il cervello proporzionalmente piú vicino al cuore e
ricevente quindi maggior quantità di sangue [...] e altre cause ignote, sono
sufficienti a produrre quella coscienza delicata, cosí esposta alle ferite,
quei rimorsi che non sono, rispetto alla materia, piú eterogenei di quanto non
lo sia il pensiero, in una parola, tutta la differenza che supponiamo esistere
fra i due esseri. L’organizzazione basta dunque a spiegare tutto ciò? Ancora
una volta, sí: dal momento che il pensiero si sviluppa evidentemente insieme
agli organi, perché la materia della quale essi sono costituiti, non dovrebbe
essere suscettibile anche di rimorsi, una volta che abbia acquisito con il
tempo la facoltà di sentire?
L’anima non è dunque che una
parola vuota alla quale non corrisponde alcuna idea, e di cui un uomo
ragionevole non deve servirsi se non per designare la parte pensante in noi.
Una volta ammesso il minimo principio di movimento, i corpi animati hanno tutto
quanto loro occorre per muoversi, sentire, pensare, pentirsi, e in una parola
comportarsi, sia nella vita fisica, che in quella morale che ne dipende. [...]
Osiamo dunque concludere che
l’uomo è una macchina, e che in tutto l’Universo non esiste che un’unica
sostanza diversamente modificata. Non è questa un’ipotesi formulata a forza di
elucubrazioni e di supposizioni: non è per nulla il frutto di pregiudizi e
nemmeno opera della mia sola ragione; avrei disprezzato una guida che ritengo
cosí poco sicura, se i miei sensi portando per cosí dire la fiaccola, non mi
avessero indotto a seguirla, illuminandola. La esperienza mi ha dunque parlato
per mezzo della ragione; cosí ho tenuto conto di ambedue.
Ma credo sia risultato evidente
che non mi sono permesso il ragionamento anche piú solido e piú immediatamente
dedotto, se non dopo tutta una serie di osservazioni fisiche che nessuno
studioso potrà contestarmi; del resto riconosco essi soli come i giudici delle
conseguenze che ne ho dedotto, rifiutando l’ingerenza di tutti coloro che sono
schiavi dei pregiudizi, o che non sono anatomisti, o al corrente della sola
filosofia qui ammissibile, quella del corpo umano. Che potranno contro una
quercia cosí robusta e solida, quelle deboli canne della teologia, della
metafisica e delle scuole? Armi puerili, simili ai fioretti delle nostre sale
di scherma, che possono sí divertirci, ma non possono colpire l’avversario. È
appena il caso di dire ch’io parlo di quelle idee vuote e triviali, di quei
ragionamenti tanto ripetuti quanto penosi, che si continueranno a fare, intorno
alla pretesa incompatibilità di due sostanze che si toccano e si influenzano
incessantemente a vicenda, sino a quando rimarrà sulla Terra ombra di
pregiudizio e di superstizione! Ecco il mio sistema, o piuttosto la verità, se
non m’inganno a partito. Essa è breve e semplice. Discuta ora chi vuole!
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pagg. 799-802)