Montesquieu, L'Europa vista da un Persiano, il re di Francia e il papa

I mondi lontani e diversi dall'Europa, spesso immaginari, forniscono una fonte inesauribile di spunti per espedienti letterari che mirano a criticare la cultura e le istituzioni del vecchio continente. La tradizione è antica (si pensi alla Storia vera di Luciano di Samosata, II sec. d.C.), ripresa, nel XVIII secolo, in opere come I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, o I gioielli indiscreti di Denis Diderot. Montesquieu rovescia la situazione tradizionale: non porta l'Europeo lontano dall'Europa, a contatto con mondi straordinari, ma fa venire in Europa il diverso: è cosí che il re di Francia e il papa possono diventare due grandi “maghi”; capaci di manipolare e dominare lo spirito degli uomini.

 

Ch.-L. de Montesquieu, Lettere persiane, lett. XXIV e XXIX

 

Il re di Francia è il piú potente principe d'Europa. Pur non possedendo miniere d'oro, come il re di Spagna suo vicino, è piú ricco di lui perché sa trarre oro dalla vanità dei suoi sudditi, piú inesauribile di qualsiasi miniera. Lo si è visto intraprendere e sostenere lunghe guerre senz'altre risorse che la vendita di titoli nobiliari e, per un miracolo dell'orgoglio umano, le sue truppe erano regolarmente pagate, le fortezze munite e le flotte equipaggiate.

Del resto questo re è un gran mago: esercita il suo potere sullo spirito stesso dei suoi sudditi; li fa pensare com'egli vuole. Se si trova ad avere un solo milione di scudi nel suo erario, e ne ha bisogno di due, non ha che da persuaderli che uno scudo ne vale due ed essi lo credono. Se deve finanziarie una guerra difficile e non ha denaro, non ha che da far creder loro che un pezzo di carta è denaro sonante ed essi sono subito persuasi. Giunge persino a far creder loro d'essere capace di guarirli da ogni sorta di male toccandoli, tanto è grande la forza e il potere ch'egli ha sugli spiriti.

Ciò che ti vengo narrando di questo principe non deve stupirti: c'è infatti un altro mago, anche piú forte di lui, che esercita sul suo stesso spirito il potere ch'egli ha sui sudditi. Questo mago si chiama il Papa. Egli riesce a far credere che tre e uno sono la stessa cosa, che il pane che si mangia nono è pane o che il vino che si beve non è affatto vino, e mille altre cose di questo genere [...].

Il Papa è il capo dei cristiani. Si tratta di un vecchio idolo, incensato per abitudine. Una volta i principi stessi lo temevano [...] ma ora non fa piú paura a nessuno. Pretende d'essere il successore d'uno dei primi cristiani che si chiamava san Pietro; certo si tratta d'una ricca successione: egli possiede infatti tesori immensi ed è padrone d'un grande paese.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pag. 481)