344. In che senso anche noi siamo ancora devoti. Nella scienza le convinzioni non hanno alcun diritto di cittadinanza, così si dice a giusta ragione: soltanto quando esse si risolvono ad abbassarsi alla modestia di una ipotesi, a un provvisorio punto di vista sperimentale, a una finzione regolativa, può essere loro accordato l'accesso e perfino un certo valore entro il regno della conoscenza; sempre con la limitazione di restar sottoposte a controllo di polizia, alla polizia della diffidenza. Ma, a guardare più attentamente, non significa forse questo che soltanto quando la convinzione cessa di essere convinzione, può ottenere accesso nella scienza? La disciplina dello spirito scientifico non comincerebbe forse qui, nel non concedersi più convinzione alcuna? . . . Probabilmente è così: resta soltanto da domandare se, affinché questa disciplina possa avere inizio, non debba esistere già una convinzione, e invero così imperiosa e incondizionata da sacrificare a se stessa tutte le altre. Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza "scevra di presupposti". La domanda se sia necessaria la verità, non soltanto deve avere avuto già in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che «niente è più necessario della verità e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano». Questa incondizionata volontà di verità, che cos'è dunque? È la volontà di non lasciarsi ingannare? È la volontà di non ingannare? Potrebbe, infatti, la volontà di verità essere interpretata anche in quest'ultimo modo: supposto che, sotto la generalizzazione «io non voglio ingannare», si ricomprenda anche il caso singolo "io non voglio ingannare me". Ma perché non ingannare? Ma perché non lasciarsi ingannare? Si noti che le ragioni della prima domanda si collocano in un ambito del tutto diverso da quello in cui si trovano le ragioni della seconda: non ci si vuole lasciare ingannare perché si ammette che è nocivo, pericoloso, nefasto essere ingannati - in questo senso la scienza sarebbe una lunga accortezza, una cautela, un'utilità; a ciò tuttavia si potrebbe giustamente obiettare: come? realmente il non voler farsi ingannare è meno nocivo, meno pericoloso, meno nefasto? Che sapete voi a priori sul carattere dell'esistenza, per poter decidere se il vantaggio più grande sta dalla parte dell'assoluta diffidenza o dell'assoluta fiducia? Nel caso invece che queste due cose debbano essere necessarie, molta fiducia e molta diffidenza: da dove, allora, la scienza potrebbe derivare la sua fede incondizionata, la sua convinzione, per essa basilare, che la verità sia più importante di qualsiasi altra cosa, nonché di ogni altra convinzione? Questa convinzione appunto non potrebbe essere nata se verità e non verità si rivelassero continuamente utili l'una come l'altra: come accade in realtà. Dunque: la fede nella scienza, che esiste ormai incontestabilmente, non può aver avuto la sua origine da un tale calcolo utilitario, ma è sorta piuttosto, nonostante il fatto che continuamente si siano dimostrati a essa lo svantaggio e la pericolosità della «volontà del vero», della verità a tutti i costi. «A tutti i costi»: oh, dobbiamo comprendere ciò abbastanza bene, se su questo altare abbiamo prima sacrificato e scannato una fede dopo l'altra! Di conseguenza «volontà di verità» non significa « io non voglio farmi ingannare » ma - non resta altra scelta - « io non voglio ingannare neppure me stesso »: e con ciò siamo sul terreno della morale. Ci si rivolga, infatti, soltanto questa domanda di fondo: «Perché non vuoi ingannare?» (32). Specialmente quando dovrebbe esservi l'apparenza - e c'è questa apparenza! - che la vita fosse contesta d'apparenza, voglio dire d'errore, d'inganno, d'ipocrisia, d'accecamento, di autoaccecamento (…). Potrebbe forse essere, una siffatta intenzione, se interpretata benevolmente, un donchisciottismo, una piccola stravagante bizzarria; ma potrebbe essere anche qualcosa di peggio, vale a dire un principio distruttivo, ostile alla vita . . . «Volontà di verità»: potrebbe essere un'occulta volontà di morte. In tal modo, la domanda: perché scienza? riconduce al problema morale: a qual fine esiste in genere una morale, se vita, natura, storia sono «immorali»? Non c'è dubbio, l'uomo verace, in quel temerario e ultimo significato con cui la fede nella scienza lo presuppone, afferma con ciò un mondo diverso da quello della vita, della natura e della storia; e in quanto afferma questo «altro mondo», come? non deve per ciò stesso negare il suo opposto, questo mondo, il nostro mondo? … Ebbene, si sarà compreso dove voglio arrivare, vale a dire che è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall'incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina . . . Ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente più si rivela divino salvo l'errore, la cecità, la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna?
(F. Nietzsche, La gaia scienza)