Il passo del Parmenide che riportiamo è posto nella parte iniziale: conclude l’esame delle difficoltà della teoria platonica delle idee e avvia la lunga indagine che costituisce il tema del dialogo. La dialettica (che rischia di vedere svanire la sua virtù, la sua forza di persuasione per l’intelligenza umana e di guida per la vita, se la teoria delle idee dovesse andare in crisi per l’impossibilità di superare le difficoltà) è qui presentata come un esercizio dello spirito che renda l’uomo capace di intraprendere il cammino verso la scienza e imparare le tecniche per percorrerlo: non quindi un esercizio preliminare, ma un esercizio che ha innanzitutto di mira l’acquisizione di un metodo. Socrate, giovane, deve "divenire più agile", altrimenti la verità si sottrarrà alla sua presa. Questo cammino dovrà essere svolto attraverso la pratica della dialettica e quindi di questa pratica il Parmenide è in qualche modo una definizione del modello.
Vanno sottolineati tre aspetti:
1) intanto la necessità dell’esercizio, che costituisce un carattere costante dell’attività del filosofo: questi, deve continuamente esercitarsi, perché la verità non è un saldo possesso per l’uomo, ma una sfida costante; né essa, come si vede dai passi (del Simposio, della Repubblica, e così via) è concepita per l’uomo come realtà staccata dalla vita, ma oggetto di contemplazione; questo tema potremo ritrovarlo nella concezione aristotelica della dialettica, e in generale nella concezione della filosofia come pratica di vita dell’ellenismo;
2) in secondo luogo, va sottolineato che questa ricerca dialettica non è concepita in termini settoriali, ma come ricerca a tutto campo: vanno esplorate "tutte le vie in ogni direzione", altrimenti è impossibile che "si sappia riconoscere la verità in modo da soddisfare l’intelligenza";
3)in terzo luogo va sottolineato un aspetto tecnico: in quanto metodo, qui la dialettica, nel contesto delle procedure di tipo socratico, è ricerca delle conseguenze che derivano dalla posizione di ipotesi, ed è questo esame che va condotto percorrendo tutte le vie in tutte le direzioni.
Ecco dunque, Socrate", riprese Parmenide, "queste difficoltà e tante altre ancora si legano inevitabilmente alle forme (8) se le forme specifiche degli enti hanno un’esistenza loro propria e se si pone ciascuna forma come una realtà in sé distinta. Chi parla così non genera altro in chi ascolta che dubbi e contraddizioni: chi ascolta si rifiuta di credere in una tale esistenza e, ammesso che queste forme esistano, le dichiara in tutta necessità inconoscibili per la natura umana. Ora queste obiezioni sono valide e, lo ripeto, modificare la convinzione di coloro che le fanno proprie è straordinariamente difficile. Sarà uno spirito molto ben dotato la persona cui si potrà far comprendere che vi è di ciascuna realtà determinata un genere, un’esistenza in sé e per sé. E quali doni meravigliosi bisognerebbe che avesse per scoprirlo da sé, per essere capace di insegnarlo agli altri, per averne, prima, sottoposto tutti i dettagli ad una analisi rigorosa!"
"Sono completamente d’accordo con te Parmenide" osservò Socrate "quel che hai detto fin qui risponde molto bene a ciò che io penso".
"Per contro, Socrate", proseguì Parmenide, "immagino che se si persiste nel negare l’esistenza di queste forme degli enti a causa di tutte le difficoltà che abbiamo esposto o di altre simili e se ci si rifiuta di porre per ciascun ente una forma definita, allora non si saprà più dove dirigere il proprio pensiero, perché non si potrà ammettere che la forma specifica di ciascun ente abbia una identità permanente; e questo porterà ad annientare la virtù stessa della dialettica e di questo mi sembra che tu abbia già avuto sentore".
"Dici bene", ammise Socrate.
"Che cosa farai dunque della filosofia? Dove ti rivolgerai se non hai risposta a queste domande?"
"Non ho niente in vista, almeno in questo momento"
"Il fatto è, Socrate, che tu hai cercato di definire il bello, il giusto, il bene e tutte le forme una ad una prima del tempo e senza adeguata preparazione. L’ho capito l’altro ieri ascoltandoti dialogare proprio qui con Aristotele. Il tuo slancio verso questi argomenti è bello e divino. Ma devi esercitarti, devi impegnarti a fondo in quegli esercizi che apparentemente non servono a nulla e che chi non comprende chiama giochi di parole. Devi diventare più agile, tu che sei ancora giovane: altrimenti la verità si sottrarrà alla tua presa."
"Ma questi esercizi Parmenide in che cosa consistono?"
"Quel che ti ha letto Zenone, rispose Parmenide, te ne dà il modello. Mancava però ciò che mi è piaciuto di sentir dire a te: la tua volontà di non lasciare che l’indagine si limiti alle cose visibili come propri oggetti di studio, ma si estenda anche alle cose che sono innanzitutto oggetto del ragionamento e che a più giusto titolo chiameremmo forme."
"In effetti io penso, disse Socrate, che seguendo la prima via non è affatto difficile dimostrare che nelle stesse realtà coesistono il simile e il diverso e altre opposizioni."
"Molto bene, replicò Parmenide, ma dobbiamo fare ancora un tratto di strada; non è sufficiente supporre in ciascun caso l’esistenza dell’oggetto e considerare ciò che deriva da questa ipotesi. Dobbiamo considerare anche l’inesistenza dello stesso oggetto, se vuoi portare veramente a fondo i tuoi esercizi".
"Che vuoi dire, chiese Socrate?"
"Partiamo, se vuoi, spiegò Parmenide, dall’ipotesi stessa che ha posto Zenone: se c’è la pluralità, dobbiamo cercare ciò che ne deve derivare, sia per i molti in rapporto a se stessi e all’Uno, sia per l’Uno in rapporto a se stesso e ai molti; se non c’è pluralità, dobbiamo esaminare ancora ciò che ne deriva sia per l’Uno che per i molti in rapporto a se stessi e in rapporto gli uni agli altri; ed ancora la somiglianza che si suppone esistente o non esistente, e quali saranno le conseguenza dell’una o dell’altra ipotesi, per i loro oggetti diretti e per tutti gli altri, sia in se stessi che nei loro reciproci rapporti. Faremo la stessa cosa per la diversità, per il movimento e la quiete, per la nascita e la distruzione, per l’essere e il non essere stessi. In una parola, per tutto ciò di cui porrai o l’esistenza o la non esistenza o qualsiasi altra determinazione, esamineremo quali conseguenze ne derivano prima relativamente all’oggetto posto, poi relativamente agli altri: uno qualsiasi all’inizio, a tua scelta, poi molti, poi tutti. Tu porrai inoltre gli altri in relazione sia con se stessi sia con l’oggetto di volta in volta posto, che tu l’abbia supposto esistente o non esistente. Così se vuoi potrai esercitarti con cura, ed essere capace di discernere a colpo sicuro la verità."
"Certo, Parmenide, che il metodo che proponi non è per niente facile, e io non lo padroneggio bene. Perché non fai tu una dimostrazione su una ipotesi a tua scelta? Così capirò meglio."
"Chiedi una bella fatica Socrate, rispose Parmenide, e ad un uomo della mia età!"
"E allora Zenone, disse Socrate, perché non ci fai tu questa dimostrazione?"
E Zenone, così sembra, gli rispose ridendo:" E’ proprio Parmenide che bisogna pregare, Socrate, perché il metodo di cui parla non è affatto facile. Non vedi quanto è difficile il lavoro che ci chiede? Se qui fossimo in molti non sarebbe giusto chiederglielo. Non è bene discutere di questi argomenti davanti ad un pubblico soprattutto alla sua età. Il pubblico infatti ignora totalmente che senza avere in questo modo esplorato tutte le vie in ogni direzione è impossibile che si sappia riconoscere la verità in modo da soddisfare l’intelligenza. Parmenide, io unisco quindi la mia preghiera a quella di Socrate così che dopo tanto tempo io possa ancora una volta ascoltare una tua lezione".
Così parlò Zenone e Potidoro raccontava, a dire di Antifone, di avere egli stesso con Aristotele e gli altri supplicato Parmenide di dare una dimostrazione del metodo di cui aveva parlato e di non rifiutare loro questo favore.
"Sembra proprio che mi tocchi obbedirvi, disse Parmenide, ma ho proprio paura che mi capiti la stessa cosa che al cavallo di Ibico. Bravo corridore, ma ormai avanti negli anni, impegnato in una corsa di carri tremava prima della prova troppo spesso affrontata. Il poeta si paragonava a lui: "Anch’io mi avvio contro voglia, alla mia età, sul cammino dell’amore, forzato ad affrontarlo". Ripensando a questo a mia volta, sento in me come una grande paura al pensiero di come potrò, così vecchio attraversare a nuoto un così duro e vasto oceano di discorsi. Devo accontentarmi tuttavia: bisogna bene che vi faccia questo favore anche perché, come dice Zenone, in effetti siamo tra noi. Da dove cominciamo quindi? E cosa sceglieremo come prima ipotesi? Non vi sembra che sia bene, una volta deciso di giocare questo gioco laborioso cominciare da me stesso e dalla mia propria ipotesi e, a proposito dell’Uno in sé, porre che esso è Uno o non è Uno, ed esaminare quindi ciò che ne deriva?"
"Siamo completamente d’accordo", disse Zenone.
"E chi dialogherà con me", disse Parmenide? "Sarà il più giovane? Forse sarà meno portato a introdurre vane complicazioni e risponderà con l’immediatezza con cui pensa. Le sue risposte allo stesso tempo saranno per me delle pause".
"Eccomi pronto a questo ruolo, Parmenide, disse Aristotele, visto che è di me che parli parlando del più giovane. Domanda dunque: io risponderò".
(Platone, Parmenide, 135 a - 137 c)