Pur
essendo esponenti di dottrine diverse fra di loro, anzi opposte su molti punti,
Marx, Nietzsche e Freud sono accomunabili nell’opposizione ad una fenomenologia
del sacro come propedeutica alla rivelazione del senso. La loro critica è
occasione per “liberare l’orizzonte per una parola piú autentica”.
P. Ricoeur, De
l’interprétation. Essai
sur Freud, Paris, 1965, trad.
it. Dell’interpretazione. Saggio su Freud, di E. Renzi, Il Saggiatore,
Milano, 1967, pagg. 46-48
Piú che per la scuola della reminiscenza, questo fatto è indubbiamente vero per la scuola del sospetto. La dominano tre maestri che in apparenza si escludono a vicenda, Marx, Nietzsche e Freud. È piú facile mettere in mostra la loro comune opposizione a una fenomenologia del sacro, intesa come propedeutica alla “rivelazione” del senso, che non il loro articolarsi all’interno di un unico metodo di demistificazione. Relativamente facile è constatare che queste tre imprese hanno in comune la contestazione del primato dell’“oggetto” nella nostra rappresentazione del sacro, nonché del “riempimento” della mira intenzionale del sacro tramite una sorta di analogia entis che ci inserirebbe nell’essere in virtú di una intenzione assimilatrice. Facile è anche riconoscere che si tratta di un esercizio del sospetto che per ogni singolo caso è differente. Sotto la formula negativa, “la verità come menzogna”, si potrebbero porre questi tre esercizi del sospetto. Ma il senso positivo di queste imprese siamo ancora lontani dall’averlo assimilato, siamo ancora troppo attenti alle loro differenze e alle limitazioni che i pregiudizi del loro tempo fanno subire ai loro epigoni ancor piú che alle imprese stesse. Si relega ancora Marx nell’economicismo e nell’assurda teoria della coscienza-riflesso; si riporta Nietzsche a un biologismo e a un prospettivismo incapace di enunciare se stesso senza contraddirsi; e Freud è accantonato nella psichiatria e gli si affibbia un pansessualismo semplicistico.
Se risaliamo alla loro intenzione comune, troviamo in essa la decisione di considerare innanzitutto la coscienza nel suo insieme come coscienza “falsa”. Con ciò essi riprendono, ognuno in un diverso registro, il problema del dubbio cartesiano, ma lo portano nel cuore stesso della fortezza cartesiana. Il filosofo educato alla scuola di Cartesio sa che le cose sono dubbie, che non sono come appaiono; ma non dubita che la coscienza non sia cosí come appare a se stessa; in essa, senso e coscienza del senso coincidono; di questo, dopo Marx, Nietzsche e Freud, noi dubitiamo. Dopo il dubbio sulla cosa, è la volta per noi del dubbio sulla coscienza.
Ma questi tre maestri del sospetto non sono altrettanti maestri di scetticismo; indubbiamente sono tre grandi “distruttori”; e tuttavia anche questo fatto non deve ingannarci; la distruzione, afferma Heidegger in Essere e tempo, è un momento di ogni nuova fondazione, compresa la distruzione della religione, nella misura in cui essa è, secondo Nietzsche, un “platonismo per il popolo”. È oltre la “distruzione” che si pone il problema di sapere ciò che ancora significano pensiero, ragione e persino fede.
Ora tutti e
tre liberano l’orizzonte per una parola piú autentica, per un nuovo regno della
Verità, non solo per il tramite di una critica “distruggitrice”, ma mediante
l’invenzione di un’arte di interpretare. Cartesio trionfa del dubbio sulla cosa
con l’evidenza della coscienza; del dubbio sulla coscienza essi trionfano per
mezzo di una esegesi del senso. A partire da loro, la comprensione è una
ermeneutica; cercare il senso non consiste piú d’ora in poi nel compitare la
coscienza del senso, ma nella decifrazione delle espressioni.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. II, pagg. 458-459