Per il
borghese la nostra essenza e la nostra dignità derivano dal fatto che noi siamo
tutti figli dello Stato. Per i comunisti esse si realizzano attraverso
l’abolizione della proprietà privata e con l’attività lavorativa a favore gli
uni degli altri. Ma questa è solo l’aspetto domenicale del comunismo. In realtà
rimane il rapporto di dipendenza, in questo caso dalla collettività, che anzi
viene accentuato.
M. Stirner, L’unico e la sua proprietà
Aboliamo quindi la proprietà personale. Nessuno deve possedere piú nulla, tutti devono essere – straccioni. La proprietà sarà – impersonale, apparterrà alla – società.
[...] Con la rivoluzione la borghesia diventò onnipotente ed abolí ogni disuguaglianza, innalzando o abbassando ognuno alla dignità di semplice cittadino (ossia di borghese): innalzando l’uomo comune, abbassando il nobile; il terzo stato diventò l’unico stato, l’unica condizione sociale: quella di cittadini dello Stato. Ora, l’obiezione del comunismo è questa: la nostra dignità e la nostra essenza non consistono nel fatto che noi tutti siamo ugualmente figli dello Stato, nostra madre, al cui amore e alla cui protezione tutti noi abbiamo diritto a partire dal momento della nostra nascita, ma piuttosto nel fatto che noi esistiamo gli uni per gli altri. Questa è la nostra eguaglianza, ossia noi siamo uguali per il fatto che ognuno di noi (io come te e voi tutti) è attivo o “lavora” per gli altri, cioè per il fatto che ognuno di noi è un lavoratore. Non c’interessa quello che siamo per lo Stato, cioè cittadini, non c’interessa insomma la nostra cittadinanza borghese, ma invece quello che siamo gli uni per gli altri, il fatto, insomma, che ognuno di noi esiste solo grazie all’altro, il quale, mentre ha cura delle mie esigenze, vede al tempo stesso soddisfatte le sue, grazie a me. Lui lavora, per esempio, per vestirmi (sarto), io per le sue esigenze di svago (commediografo, funambolo, ecc.), lui per il mio vitto (oste, ecc.), io per la sua istruzione (dotto, ecc.). La nostra dignità e la nostra – eguaglianza consistono dunque nell’essere lavoratori.
[...] Il fatto che il comunista veda in te l’uomo, il fratello, è solo l’aspetto domenicale del comunismo. Secondo l’aspetto feriale del comunismo, invece, egli non ti considera affatto soltanto come uomo, ma come lavoratore umano o come uomo lavoratore. La prima concezione esprime il principio liberale, nella seconda si nasconde una reazione antiliberale. Se tu fossi un “fannullone”, il comunismo non disconoscerebbe certo l’uomo in te, ma tenterebbe di purificare l’“uomo pigro” che è in te, di levargli la pigrizia e di convertirti alla fede secondo cui il lavoro è la “vocazione” e la “missione” dell’uomo.
[...] La società dalla quale riceviamo ogni cosa è una nuova padrona, un nuovo fantasma, un nuovo “essere supremo” che ci “prende completamente a suo servizio”!
[...] Tutti i tentativi di legiferare in modo razionale sulla proprietà partono dal golfo dell’amore e arrivano in un mare tempestoso di determinazioni diverse. Anche il socialismo e il comunismo non fanno eccezione. Ognuno deve venir provvisto di mezzi sufficienti e fa poca differenza che trovi questi mezzi ancora in una proprietà personale, come avviene nel socialismo, oppure che li attinga dalla comunità dei beni, come avviene nel comunismo. Il senso dei singoli rimane lo stesso, cioè senso di dipendenza. L’autorità che distribuisce equamente mi fa pervenire soltanto ciò che il suo senso dell’equità, la sua cura amorosa per tutti le prescrive. Nel patrimonio comune non c’è per me, il singolo, un’onta minore che nel patrimonio dei singoli altri; né l’una né l’altra sono cose mie: che i beni appartengano alla comunità, la quale me ne devolve una parte, oppure a singoli proprietari, si tratta per me della stessa costrizione violenta, giacché io non posso decidere né per la prima né per i secondi. Anzi, il comunismo, abolendo ogni proprietà personale, non fa che opprimermi ancora di piú, rendendomi dipendente da un altro, cioè dalla generalità o collettività, e per quanto violentemente attacchi lo Stato, ciò che esso persegue è pur sempre uno Stato, uno status, uno stato che ostacola i miei liberi movimenti, un’autorità superiore che mi domina. Il comunismo si ribella a ragione contro l’oppressione che io subisco dai singoli proprietari, ma il potere di cui esso investe la collettività e ancora piú tremendo.
M. Stirner, L’unico e la sua proprietà,
Adelphi, Milano, 1979 , pagg. 126-132 e 269