LE NUVOLE
di Aristofane
traduzione di Ettore
Romagnoli
PERSONAGGI DELLA COMMEDIA:
LESINA, vecchio
ateniese
TIRCHIPPIDE, suo figlio, giovanotto alla moda
ROSSO, servo di
Lesina
SCOLARI di Socrate
SOCRATE
CORO di Nuvole
IL DISCORSO
GIUSTO
IL DISCORSO INGIUSTO
BENMIGUARDO, giovane, creditore di
Lesina
PASCIONE, vecchio, creditore di Lesina
UN TESTIMONIO che non
parla
CHEREFONTE, scolaro di Socrate
PROLOGO
Piazza. In fondo due
case, a sinistra quella di Socrate,
a destra quella di Lesina. Nell'interno
di questa si scorge
Tirchippide, che dorme avvoltolato in molte
coperte.
Lesina adagiato anche lui su un letticciuolo, si agita
insonne.
LESINA:
Ahimè, ahimè, che affare lungo queste
notti,
signore Giove! Non finiscono
piú. Quando mai si farà giorno? Eppure
ho
inteso il gallo da un bel pezzo! E i servi
sotto a russare. Eh, un tempo non
russavano!
Ti si pigliasse un accidente, oh guerra!
Per tante cause, e
poi, perché non posso
piú castigare i servi! (Guarda il figlio) E questo
bravo
ragazzo, lui, la notte non si sveglia,
ma tira peti, imbubbonito in
cinque
coltri! Ma imbacuchiamoci, e russiamo:
cosa vuoi fare!
(Tenta
d'addormentarsi: poi si scuote improvvisamente)
Ah, poveretto me,
non ci
riesco! Mi mordono i debiti,
la mangiatoia e le spese di questo
figliuolo!
E lui va con tanto di zazzera,
marcia a cavallo, guida cocchi,
sogna
corsieri! E io crepo, nel veder la luna
che s'avvicina al venti: e i
frutti corrono!
(Ad un servo)
Ragazzo, accendi il lume, e porta il
libro,
che veda a quanti debbo, e faccia il computo
degl'interessi. A
quanto ascende il debito,
vediamo? - Dodici mine a Pascione!
Dodici mine a
Pascione? Di che?
Perché le ho prese in prestito? - Ah, fu quando
comprai
quel puro sangue! Poveretto
me! Ti fosse marcito avanti, il
sangue!
TIRCHIPPIDE (S'agita nel sonno, e grida):
Questa è soverchieria,
Filone! Tieni
dalla tua mano!
LESINA:
Ecco, eccolo il malanno
che
m'ha dato il tracollo! Anche sognando
vede corse e
cavalli!
TIRCHIPPIDE:
Quanti giri
a quei carri da guerra, gli fai
fare?
LESINA:
Tu ne fai fare giri, a questo babbo!
Oh via, quale su me
debito incombe
dopo Pascione? - Tre mine per due
ruote e un biroccio a
Benmiguardo!
TIRCHIPPIDE:
Asciuga
sulla sabbia il cavallo, e
riconducilo
a casa!
LESINA:
Tu m'hai rasciugato, bimbo!
Condanne,
già n'ho avute; e c'è chi vuole
sequestrarmi la roba!
TIRCHIPPIDE
(Destandosi):
Oh insomma, babbo,
perché t'angustii e ti rigiri tutta
la
notte?
LESINA:
Fra le coltri c'è un... usciere,
e mi
pizzica!
TIRCHIPPIDE:
E lasciami dormire
un po', benedett'uomo!
(Si
riavvoltola)
LESINA:
Dormi pure!
(Solenne)
Ma tutti questi chiodi
ricadranno,
sappilo, sul tuo capo! - Accidentacci!
Fosse pigliato un male
alla mezzana
che mi spinse a sposar la mamma tua!
Io facevo la piú gustosa
vita
da contadino, sporco, sciamannato,
alla carlona, sempre in mezzo a
pecore,
api, vinacce; e non vado a sposare,
cosí zotico, una di
città?
(Con enfasi comica)
La nipote di Mègacle, figliuolo
di Mègacle!
- Ragazza tutta fumo,
sdilinquimenti, fronzoli. La prima
notte, ci
coricammo, io, che sapevo
di mosti, fichi secchi, lane, grasce:
lei, di
mirra, di croco, leccorníe,
giuochi di lingua, sperperi,
Coscíadi,
Genetíllidi. In ozio, non ci stava:
macinar le piaceva; e col
pretesto
di mostrarle la madia, io le dicevo:
«Tu, mogliettina mia, macini
troppo!»
ROSSO:
Nella lucerna non c'è olio!
LESINA:
Ahimè!
Perché
m'hai quella accesa, di lucerna?
Quella è una spugna! Vieni, che ti
picchio!
ROSSO:
Mi vuoi picchiare? Ma perché?
LESINA:
Perché
hai
presi quelli grossi, di stoppini!
(Ripigliando)
Quando poi nacque, a me e
a quella brava
donna questo figliuolo, incominciammo,
per via del nome a
leticare. Lei
ci appiccicava tanto d'ippo, al nome:
e Santippo, e
Callíppide, e Carippo;
io, poi, tiravo a quello di suo nonno:
Tirchino. La
quistione andava in lungo;
alla fine, d'accordo, lo chiamammo
Tirchíppide.
- Ora, lei pigliava il bimbo
in collo, e gli faceva le moine:
«Quando tu
sarai grande, e al par di Mègacle,
vestito da signore, guiderai
verso la
rocca il cocchio!» E io dicevo:
«Quando tu guiderai come tuo padre
le
capre per le balze, con un vello
sopra le spalle!» - Ma i discorsi
miei
non li sentiva: ed attaccò la sua
cavallite ai miei beni. Adesso,
dunque,
a furia di pensar tutta la notte,
ho trovato una via
miracolosa,
che se questo s'induce ad infilarla,
mi salvo. - Prima,
fammelo svegliare.
Come svegliarlo con le buone?... Come?...
Tirchíppide!
- Tirchippiduccio!
TIRCHIPPIDE (Si desta. Durante la scena seguente, padre e
figlio
a mano mano escono dalla casa, e si trovano in
piazza):
Babbo!
Che c'è?
LESINA:
Baciami, e porgimi la
destra!
TIRCHIPPIDE:
Teh! - Che c'è?
LESINA:
Dimmi un po': me ne
vuoi, bene?
TIRCHIPPIDE (Tende solennemente la destra verso una statuetta di
Posidone):
Su Posídone equestre io te lo giuro!
LESINA:
No, proprio no,
su quello equestre! È lui
il Dio cagione delle mie sciagure!
Se m'ami,
figlio mio, di vero cuore,
dammi un po' retta.
TIRCHIPPIDE:
Darti
retta? E in che?
LESINA:
Alla piú svelta cambia vita, e vattene
ad
imparare ciò ch'io ti consiglio.
TIRCHIPPIDE:
Che mi consigli,
udiamo!
LESINA:
Obbedirai?
TIRCHIPPIDE:
Sí, giurabbacco,
obbedirò.
LESINA:
Be', guarda
qui. Vedi questa porticina e
questa
casettina?
(Indica la casa di Socrate)
TIRCHIPPIDE:
La vedo.
E che rob'è,
babbo, davvero?
LESINA:
È un pensatoio
d'anime
sapienti. Qui dimorano certi uomini
che, ragionando, provano che
il cielo
è un forno, e questo forno è intorno a noi,
e noi siamo i
carboni! E t'ammaestrano,
pagando, a vincer coi ragionamenti
le cause
buone e le spallate.
TIRCHIPPIDE:
E chi sono?
LESINA:
Il nome
preciso non lo so;
ma gente a modo, pensatori fini!
TIRCHIPPIDE:
Ho
capito! Puah! Furfanti sono!
Dici quei ciarlatani allampanati
e scalzi,
che fa i loro contan Socrate
e Cherefonte...
LESINA:
Ehi, ehi, zitto!
Non dire
corbellerie! Se a cuor ti sta la pappa
paterna, lascia perdere i
cavalli,
e sii del loro numero!
TIRCHIPPIDE:
Neppure
se mi doni i
fagiani, giurabbacco,
che mantiene Leògora!
LESINA:
Ti supplico,
oh
il piú diletto fra i mortali! Va',
va' ed apprendi!
TIRCHIPPIDE:
E che
cosa devo apprendere?
LESINA:
Presso costoro, dicono, c'è
due
ragionamenti: il buono, e quale sia
vattelapesca, ed il cattivo. Ed
uno
d'essi, il cattivo, dicono, dà vinte
le cause piú spallate. Se
m'impari
questo ragionamento, lo spallato,
delle somme che debbo per via
tua,
non ne restituisco un sol quattrino!
TIRCHIPPIDE:
Non posso
compiacerti. Con la cera
smunta, non oserei neppur levare
gli occhi sui
cavalieri!
LESINA:
Ah, per Demètra,
quand'è cosí, non lo mangiate
piú
il pane mio, né tu, né la pariglia,
né il puro sangue! Ma ti metto
fuori
di casa. - A quel paese!
TIRCHIPPIDE:
Lo zio Mègacle
non mi ci
lascerà, senza cavalli:
io di te me n'infischio, e ti saluto!
(Rientra e
si rimette a dormire)
LESINA:
Io caddi, sí, ma non ci resto, a
terra!
Chiedo ai Numi assistenza, e me ne vado
al Pensatoio, ad imparare
io stesso!
(Esita)
Ma vecchio come sono, e smemorato
e tardo, come
apprenderò quei trucioli
di discorsi sottili? - Andar bisogna! -
Ché sto
qui a tentennare? Ché non picchio
a quest'uscio? - Ehi di casa! Brava
gente!
(Picchia all'uscio a piú riprese. Viene fuori uno Scolaro di
Socrate)
SCOLARO Dl SOCRATE:
Chi è che picchia all'uscio? Alla
malora!
LESINA (Con molta dignità):
Lesina. Figlio di Tirchino,
del
comune di Cicinna!
SCOLARO:
Oh zoticone,
ché scalci all'uscio in
modo cosí poco
filosofico? M'hai fatta abortire
una bella
trovata!
LESINA:
Compatiscimi,
vivo laggiú in campagna! Ma
raccontami
l'affare dell'aborto!
SCOLARO:
Non è lecito
comunicarlo,
meno che ai discepoli!
LESINA:
E allora, va' pur franco! Io vengo,
quale
mi vedi, al Pensatoio, per discepolo!
SCOLARO:
Te lo dirò: ma
bada, son misteri!
Testé Socrate chiese a Cherefonte
quanti piedi, dei
suoi, saltati avesse
una pulce, che, morso il sopracciglio
a Cherefonte,
era zompata in capo
a Socrate.
LESINA:
Davvero? E come ha
fatto
questa misura?
SCOLARO:
In modo ingegnosissimo.
Ha fatto
liquefare un po' di cera,
e v'ha tuffati i piedi della pulce.
Quando la
cera congelò, la pulce
si trovò due scarpine alla persiana
ai piedi. E
lui, sfilategliele, prese
la misura del salto.
LESINA:
Oh che po'
po'
di sottigliezza, affedidio!
SCOLARO:
Lo vedi? -
E se ne udissi
un'altra, una di Socrate,
delle trovate?
LESINA:
Quale? Te ne
supplico,
dimmela!
SCOLARO:
Cherefonte il calabrone,
gli aveva
chiesto come la pensasse,
se le zanzare cantan con la bocca
oppur col
culo!
LESINA:
Senti! E che rispose
sulle zanzare,
quello?
SCOLARO:
Che il budello
delle zanzare è angusto; e cosí
l'aria
vi s'ingolfa e comprime, e va diritta
al coderizzo. E il culo poi,
che termina
il budello ad imbuto, per la forza
del soffio,
echeggia!
LESINA:
Ah! Il cul delle zanzare
è una tromba! Com'entra
nelle viscere,
beato lui, delle quistioni! Poco
ci mette, a farla franca,
un imputato
che scrutína il budello alle zanzare!
SCOLARO:
Ier l'altro,
poi, per via d'una tarantola,
gli è andata a male una pensata
grande!
LESINA:
E in che maniera, me lo
dici?
SCOLARO:
Mentre
investigava le rivoluzioni
e il corso della
luna, a bocca aperta
verso il cielo, di notte, una tarantola
dal
cornicione, glie la fece in bocca.
LESINA:
Mi piace! Una tarantola che
smerda
Socrate!
SCOLARO:
E poi, iersera non s'aveva
da
cena.
LESINA:
Be', che cosa macchinò
per la
pagnotta?
SCOLARO:
Sparse della cenere
fine, in palestra, sopra un
desco, rese
curvo uno spiede, cominciò a girarlo
come un compasso, e portò
via la vittima!
LESINA (Al colmo dell'entusiasmo):
E ci andiamo a stupire
di Talete!
Apri, sbrígati, apri il Pensatoio,
e senza metter tempo in
mezzo, fammi
veder Socrate. Muoio dalla fregola
di diventar discepolo! Su,
apri!
(Lo Scolaro apre l'uscio, e si vede l'interno della casa
di Socrate.
Socrate è dentro un corbello sospeso in aria;
molti discepoli sono in atto di
meditazione buffonescamente
esagerata, e alcuni contemplano il suolo a capo
chino)
LESINA:
Ercole mio! Che bestie sono quelle?
SCOLARO:
Ti
meravigli? A chi ti rassomigliano?
LESINA:
Agli Spartani catturati a
Pilo!
(Durante tutta la scena alcuni scolari escono via via
incuriositi a
guardar Lesina)
Ma perché dunque guardano giú in terra,
codesti
cosí?
SCOLARO:
Cercano, codesti,
cosí, le cose di
sotterra!
LESINA:
Ho inteso,
cercano porri. - Non vi confondete
piú:
lo so io dove ce n'è di grossi
e di belli! - E quegli altri a capo
sotto,
che cosa fanno?
SCOLARO:
Scrutano i misteri
d'Erebo, giú nel
Tartaro!
LESINA:
E che cosa
contempla il culo, volto verso il
cielo?
SCOLARO:
Impara per suo conto astronomia!
(Si rivolge agli
scolari che si sono oramai addensati
intorno a Lesina)
Entrate, voi, che
lui non vi ci colga!
LESINA:
No, ancora, ancora no! Restino:
voglio
comunicargli un affaruccio mio!
SCOLARO:
Non è permesso, a
questi, rimanere
troppo tempo qui fuori, all'aria aperta!
(Gli scolari
entrano, seguiti da Lesina e dal suo introduttore)
LESINA (Ammira via via i
vari strumenti astronomici,
geografici, geometrici, che si trovano nel
Pensatoio):
Oh santi Numi! E di', che roba è questa?
SCOLARO:
Questa è
l'astronomia!
LESINA:
E questa, che?
SCOLARO:
È la
geometria!
LESINA:
Senti! E a che serve?
SCOLARO:
A misurar la
terra.
LESINA:
Quale? Quella
da spartire?
SCOLARO:
No no! Tutta
la terra!
LESINA:
Utile e popolare, è la pensata!
Mi garba assai,
quello che dici!
SCOLARO:
Questa
vedi, è la pianta dell'intera
terra:
questa è Atene...
LESINA:
Che dici? Non ci credo!
I giudici
in seduta non li vedo!
SCOLARO:
E questo è proprio il territorio
attico.
LESINA:
E i Cicinnesi, borghigiani miei,
dove
sono?
SCOLARO:
Son qui. Vedi l'Eubèa
che si distende per sí lungo
tratto?
LESINA:
Eh, il brutto tratto glie l'ha fatto Pericle
insieme
con noialtri! E dov'è Sparta?
SCOLARO (Cercando un po'):
Dov'è?... Eccola
qui!
LESINA:
Quanto è vicina
a noialtri! Bisogna allontanarla
d'un
buon pezzo! Pensateci sul serio!
SCOLARO:
Perdio, mica è
possibile!
LESINA:
E voialtri
ve ne dovrete accorgere!
(Leva gli
occhi e vede Socrate sospeso in aria)
Ma dimmi,
chi è quell'uomo dentro a
quel corbello
sospeso?
SCOLARO:
È lui!
LESINA:
Chi
lui?
SCOLARO:
Socrate!
LESINA:
Ehi, Socrate!
(Socrate non
risponde: Lesina si volge allo Scolaro)
Da bravo, amico, chiamamelo
tu!
SCOLARO:
Chiàmatelo da te: io non ho tempo!
(Se ne
va)
LESINA:
Ehi, Socrate!
Ehi, Socratuccio!
SOCRATE (Riscuotendosi
dalla profonda meditazione):
A che, mortal, m'appelli?
LESINA:
Dimmi
prima che fai, fammi il piacere!
SOCRATE:
Per l'ètra movo, e il sol
dall'alto io guardo!
LESINA:
E stando in terra, i Numi non li
puoi
guardar dall'alto? Ci vuole il corbello?
SOCRATE:
I celesti
fenomeni scrutare
giammai potrei dirittamente, senza
tener sospesa la mie
mente, e mescere
il sottil pensier nell'omogeneo
ètra. Se dalla terra
investigassi,
di giú le cose di lassú, non mai
le scoprirei; poiché la
terra a forza
attira a sé l'umore dell'idea.
Anche il crescione ha la
virtú medesima!
LESINA (Sbalordito):
Che dici?
L'idea tira l'umore nel
crescione?
Andiamo, Socratino, vieni giú
qui da me, senti perché son
venuto.
SOCRATE (Discende):
A che venisti?
LESINA:
Ad imparare
l'arte
di discorrere. Frutti e creditori
assassini mi tirano, mi
straziano,
e la mia roba va sotto sequestro.
SOCRATE:
Come?
T'indebitasti senza addartene?
LESINA:
La cavallite, è stata a
rovinarmi:
un male che ti rode infino all'osso!
Ma insegnami, suvvia,
quello dei due
ragionamenti che non paga i debiti;
ed io ti sborserò la
ricompensa
che vorrai. Chiamo a testimoni i Numi.
SOCRATE:
Che Numi
testimoni? Cominciamo
che non corre, fra noi, questa moneta!
LESINA:
E
quale corre? Forse le monete
di ferro, come quelle di
Bisanzio?
SOCRATE:
Vuoi sapere davvero come stanno
le faccende
celesti?
LESINA:
E sí, se è lecito!
SOCRATE:
E metterti a parlare
con le Nuvole,
nostri Numi?
LESINA:
Lo credo!
SOCRATE:
E allora,
siedi
sul letto sacro!
(Gl'indica un letticciuolo)
LESINA:
Eccomi
qua seduto!
(Accorrono alcuni discepoli, portando tutto l'occorrente
per
un sacrificio: corona, fior di farina, fuoco)
SOCRATE:
Prendi questa
corona.
LESINA:
E la corona
per far che cosa?... Ahimè, Socrate,
mica
mi vorrete sgozzar come Atamante!
SOCRATE:
No! Noi facciamo tutte
queste cose
agl'iniziati!
LESINA:
E che ci
caverò?
SOCRATE:
Diventerai nel favellare un fiore
di farina, una lima,
un campanello!
Via, sta fermo!
(Sparge su lui fior di
farina)
LESINA:
Perdio, dici sul serio!
Fior di farina, già sono, a
momenti!
SOCRATE:
Or taci, e porgi orecchio - alla mia prece, o
vecchio!
(Solenne si volge al cielo)
Aer, Signore immenso che in te
sospesa tieni
la terra: lucido Etra: dei tuoni e dei baleni
Dee venerande,
Nubi, levatevi, oh Signore,
mostratevi, librate nel cielo, al
pensatore!
LESINA:
Un momento, un momento! Dove trovar
ricovero
dall'acqua? Adesso addoppio questo cappotto. Ah povero
me, vado a
uscir di casa senza manco il berretto!
SOCRATE:
Venite, o venerande
Nuvole, al suo cospetto!
O che vostro soggiorno siano le nevicate
sacre
vette d'Olimpo, o che sacre intrecciate
danze, del padre Oceano nei verzier',
con le Ninfe,
o con anfore d'oro attingiate le linfe
alle foci del Nilo, o
sovressa la cima
scintillante di neve vi libriate del Mima,
o nel gorgo
Meòtide: date alle preci ascolto,
gradite i sacrifizi con benevolo
volto!
(Scoppia da lungi un tuono sordo e prolungato)
CORO DI NUVOLE (Se
n'ode la voce lontana, solenne e misteriosa):
Strofa
Sorgiam, perenni
Nuvole,
la parvenza svelando agile e rorida,
dall'echeggiante
Ocèano
padre, ai sublimi vertici dei monti
incoronati d'alberi;
e
contempliamo gli ultimi orizzonti,
la sacra terra che nutrica i frutti,
il
fragorío dei santissimi fiumi,
il fremer cupo dei marini flutti.
Ché il
sole, infaticato occhio dell'ètere,
sfavilla, cinto d'abbaglianti lumi.
Or
via, si scuota il pluvio
vel dalle forme eterne,
ed alla terra
volgasi
l'occhio che lungi scerne!
SOCRATE:
Dunque m'udiste, o Nuvole
venerande! - Hai sentito
suon di voci, e d'un tuono il celeste
muggito?
LESINA:
Certo! Ed a voi, Signore venerande, mi prostro,
e
rispondere voglio corrégge al tuonar vostro.
A verga a verga, tremo! Che
paura m'han messo!
Ora sí, che la faccio, permesso o non
permesso!
SOCRATE:
Non dire buffonate, non seguire l'usanza
di questi
scrittoracci di commedie! S'avanza
di Dee folta una schiera, che al suon
degl'inni danza.
CORO: Antistrofa
Moviam, piovose vergini,
le pingui
zolle a contemplar di Pàllade,
la popolosa amabile
cecropia terra. Qui dei
riti arcani
il pregio, allor che il mistico
tempio si schiude a pure orge:
agli Urani
qui le votive offerte; e i simulacri,
e i santuari eccelsi, ed
i cortei
solenni, in gloria dei Beati, e i sacri
festini: in ogni tempo
qui si cingono
di bei serti le vittime agli Dei.
E a Primavera, i
bacchici
agoni, e l'allegria
d'ebbre danze, e dei flauti
la cupa
melodia!
LESINA:
Oh me lo dici, in nome di Dio, chi son
costoro,
Socrate mio, che intonano cosí nobile
coro?
Eroine?
SOCRATE:
Chè! Nuvole celesti, sono, Dee
solenni degli
sbucciafatiche. Esse le idee
ci dànno, la dialettica, la ciurmeria,
l'ingegno,
la chiacchiera, il ghermire concetti, il dar nel
segno!
LESINA:
Per questo, al solo udirle, sembra che metta piume
il
mio spirito, e cerca di parlar con acume,
di dir fumose ciance, di bucare
concetti
con piú fini concetti, di opporre detti a detti.
Sicché, vorrei,
se posso, veder come son fatte!
(Dalle due párodoi cominciano ad entrare
lentamente alcune Nuvole,
in forma di donne nasute, avvolte in veli bianchi e
cinerei)
SOCRATE:
Guarda verso il Parnète! Scender già quatte quatte
le
vedo.
LESINA (Guarda verso dove gli ha detto Socrate, e perciò
fuori del
teatro):
E dove? Mostrami!
SOCRATE:
Lí di fianco: son
molte:
sgusciano tra i valloni, tra le macchie piú folte!
LESINA (Sempre
guardando verso il Parnete):
Come succede? Mica le vedo!
SOCRATE
(Accennandogli con un gesto l'ingresso delle párodoi):
Lí,
all'ingresso!
LESINA:
Adesso, appena appena!
SOCRATE:
Scorger le
devi, adesso
se non hai le traveggole!
LESINA:
E come! Oh
venerande
Dive! Si son sparse già da tutte le bande!
(Con lente e composte
danze, le ventiquattro Nuvole
si aggruppano intorno all'altare di
Diòniso)
SOCRATE:
Lo sapevi che queste d'essenza eran divina?
Lo
supponevi?
LESINA:
Io? Punto! Io le credevo brina,
rugiada,
fumo!
SOCRATE:
Affatto, perdio! Non ti figuri
quanti sofisti nutrono!
Indovini di Turi,
ungulanellizazzeraperdiltempodottori
-
straziacoricicliciastronomimpostori
mantengono a poltrire nell'ozio,
perché questi
le celebran nei canti.
LESINA:
Perciò
scrivono:
(Declama con enfasi)
«O infesti
guizzi d'umide nuvole
tortofolgoreggianti!
Ricci del centocípite Tifon! Nembi fischianti!
O
eteree, o molli! O in aere natanti aduncartigli
augelli! Delle roride nuvole,
o nembi figli!»
E dopo, bravi muggini, in cambio di tai ciance,
bravi
tordi arrostiti si calan nelle pance!
SOCRATE:
Non è giusto
compenso?
LESINA:
Mi dici, oh come avviene
che somigliano in tutto alle
donne terrene,
se son davvero nubi? Le nubi, non son mica
fatte a quel
modo!
SOCRATE:
E a quale?
LESINA:
Cosa vuoi che ti
dica...
Somigliano piuttosto a bioccoli di lana,
per Giove, e non a
femmine, nemmeno alla lontana!
E queste si rimpastano certi
nasi!
SOCRATE:
Risposta
dà ora a quel ch'io
chiedo.
LESINA:
Parla, svelto, a tua posta!
SOCRATE:
Hai mai vista
una nuvola che avesse l'apparenza
d'un centauro, un pardo, un lupo, un
toro?
LESINA:
Senza
dubbio! E con questo?
SOCRATE:
Mutano di
forma a lor piacere.
Se vedono un di questi dalle gran
capelliere,
ricoperti di peli tutti quanti, un selvatico
sul fare di
Gerònimo, per beffar quel fanatico,
si cangiano in centauri.
LESINA:
E
che fanno, se passa
Simone, che sui beni pubblici fe' man
bassa?
SOCRATE:
Divengon lupi; e mettono le sue magagne a
nudo!
LESINA:
Perciò quando Cleònimo, quei che gittò lo scudo,
ieri
passò, scorgendo quell'anima codarda,
divenner cervi.
SOCRATE:
Adesso,
Clístene han visto; e, guarda,
son divenute femmine!
LESINA:
Benvenute,
o Signore!
Per me, se altr'uomo ottenne mai da voi tal favore,
le voci
alzate al cielo, o possenti regine!
CORO:
Salute, annoso veglio, cacciator
di dottrine
filosofiche! (A Socrate) E tu, della piú fine
ciarla
sacerdote, che cosa vuoi da noialtre? Parla!
Niuno ubbidir, fra
quanti sofisti imbottan vento,
vorremmo, tranne Pròdico, pel sapere e il
talento;
e te, perché fai sempre la ruota andando a spasso,
triboli
scalzo, guardi tutti dall'alto al basso,
e ti gonfi, securo del nostro
propugnacolo!
LESINA:
Oh sacra, oh eccelsa voce! E qui c'è del
miracolo!
SOCRATE:
Egli è che sono Dive soltanto queste qui:
tutto il
resto è una baia!
LESINA:
Oh per la terra! E di':
non è Dio, Giove
Olimpio?
SOCRATE:
Chi Giove? Ma se Giove
non c'è! Non dir
sciocchezze!
LESINA:
Che mai sento! E chi piove
dunque? Per cominciare,
spiegami questa cosa.
SOCRATE:
Queste, diamine! E prove posso addurtene a
iosa!
Senza nuvole, hai visto mai, dimmi, che piovesse?
Se fosse Giove,
piover dovrebbe anche quand'esse
son lungi, a ciel
sereno!
LESINA:
Questo me l'hai provato
bene assai, per Apollo! E io
che pel passato
mi credevo che Giove pisciasse in un buratto!
Ma chi fa i
tuoni, dimmelo? Quelli m'han sempre fatto
venir la
tremarella!
SOCRATE:
Tuonano rotolando
queste!
LESINA:
E in che
modo, spirito demolitore?
SOCRATE:
Quando
si sono rimpinzate di molta
acqua, e conviene
si spostino per forza, di pioggia essendo piene,
e
traendole il peso naturalmente al basso,
piombando una sull'altra, scoppian
con gran fracasso.
LESINA:
E chi le sforza a muoversi? No
Giove?
SOCRATE:
No davvero!
È l'etereo vortice!
LESINA:
Vortice?
Non me n'ero
accorto! Non c'è Giove, c'è Vortice, sul trono!
Ma nulla
ancor m'hai detto della romba e del tuono.
SOCRATE:
Non ci senti? Le
nuvole, pese per la gran piova,
cadendo una sull'altra,
rimbombano!
LESINA:
E la prova?
SOCRATE:
La trarrò da te stesso.
Nelle feste d'Atena,
t'avvenne mai d'avere la pancia troppo piena
di
brodetto, e sentirtela sconvolta, e un brontolio
rimescolarla tutto d'un
tratto?
LESINA:
Lo credo io!
E tutta si scombussola con terribile
effetto,
e leva orrendo strepito e rimbomba il brodetto,
come un tuono.
Pria lento: Mbúuuh! Mbúuuh! Poi piú veloce:
Mbumbúuh! Mbumbumbúh! Quando poi
la faccio, è la voce
del tuono, come quello:
Mbumbumbumbúmbumbúuuuh!
SOCRATE:
Ve', da un pancino tanto, che peti scagli
tu!
E l'aria ch'è infinita, non vuoi che rumoreggi
sí
forte?
LESINA:
Ah! Perciò dicono che tuoni, se scorreggi!
Ma donde
viene il fulmine scintillante di fuoco?
Spiegamelo un po', questo! Ti
arrostisce, per poco
che ti tocchi; e ti rosola, se pur ti lascia in
vita!
Lo scaglia Giove sopra gli spergiuri, è capita!
SOCRATE:
Uomo
antidiluviano, anticaglia, babbione,
come, se gli spergiuri colpisce, di
Simone,
di Cleònimo e Tèoro non ha fatto ancor scempio?
Piú spergiuri di
quelli? Su lo stesso suo tempio,
sul promontorio Sunio, sopra le querce,
tira!
Non spergiurano mica le querce! Oh che gli gira?
LESINA:
Che ne
so? Ma tu parli bene! E che sono i fulmini?
SOCRATE:
Allor che un vento
secco, dell'ètra ascesi i culmini,
s'ingolfa entro una nuvola, al par d'una
vescica
la gonfia, indi per legge natural se n'esplica,
lacerandola,
rapido per quanto fu compresso,
e per lo slancio e l'impeto s'accende da se
stesso!
LESINA:
Proprio cosí, per Giove! Alla Diasíe potei
farne prova
a mie spese. Me ne stavo coi miei
arrostendo un ventricolo; ma non l'avevo
inciso.
E quello, gonfia, gonfia, scoppiando all'improvviso,
mi schizzò
dentro gli occhi, e mi bruciò la faccia!
CORO:
Uom che d'alta saggezza fra
noi venisti in traccia,
in Atene e ne l'Ellade tu avrai prospera sorte,
se
pure hai comprendonio, memoria, animo forte
negli stenti, né stanco ti fa lo
stare in piedi
né il camminare, e il gelo non t'abbatte, e non cedi
alla
gola, e t'astieni dai ginnasi, dal vino,
da buaggini simili; e, da cervello
fino,
pensi che giunto al culmine sia l'uom che si distingua
nell'intrigo
e l'acume, nello schermir di lingua!
LESINA:
Se ci vuol chi non dorme pei
gran pensieri, e lesina
sul cibo, ha cocciutaggine, stomaco saldo, e
desina
con due foglie di salvia, lascia ogni inquietudine:
picchia su me
sicuro come sopra l'incudine!
SOCRATE:
Non crederai davvero piú ad altri
Numi, se
non ai nostri? Càos, Lingua, Nuvole: sono tre!
LESINA:
Neppur
d'una parola degnerei gli altri Numi,
quand'anche mi venissero fra i piedi!
Né profumi
né libagioni o vittime mi scroccheranno piú!
CORO:
Fa' cuor,
di' che desideri da noi: l'avrai, se tu
ci ammiri e pregi, e l'animo tuo
d'affinarsi specola.
LESINA:
Signore mie, vi chiedo solo questa
bazzecola:
superar tutti a chiacchiere di cento stadi e
cento.
CORO:
Concesso! D'ora innanzi, nessuno in Parlamento
te
nell'esprimer grandi concetti uguaglierà!
LESINA:
Ma che grandi concetti
da esprimer! Non è già
quel ch'io cerco! Ma il modo di trovare rampini
per
mio conto, ed all'unghie sfuggir degli strozzini!
CORO:
Otterrai ciò che
brami: gran pretese non mostri:
or, di buon grado affidati agli accoliti
nostri.
LESINA:
Dovrò farlo e obbedirvi, poiché m'incalza il fato,
pei
cavalli e le nozze che il tracollo m'han dato!
E dunque, via, si servan come
crodono!
Questo mio corpo io lascio a loro arbitrio,
perché mi si bastoni,
mi si faccia
patire gelo, fame, sete, lercio
mi si riduca, mi si metta in
concia:
solo ch'io giunga ad evitare i debiti,
e la gente mi stimi
temerario,
pronto di lingua, fegataccio, faccia
franca, lezzone, montator
di trappole,
rotto alle brighe, professor di chiacchiera,
volpone,
azzeccagarbugli, pendaglio
da forca, anguilla, ciarlatano, nacchera,
osso
duro, sornione, birba, pittima,
leccapiatti, girella. Purché m'abbia
chi
m'incontra, a chiamar con questi titoli,
mi riducano pur com'essi
vogliono.
E, per Demètra, se gli salta il ticchio,
di questa mia
ciccia
pei pensatori ne faccian salsiccia!
CORO:
Di costui l'alma non
è
vil, ma pronta! Ammaestrato quando poi sarai da me,
sappi che fra i
mortali la tua celebrità
sino al ciel salirà!
LESINA:
Che mi
capiterà?
CORO:
Che la piú lusinghiera
vita del mondo meco farai, da
mane a sera.
LESINA:
E tanto io vedrò mai?
SOCRATE:
Altro! E seder
vedrai
sempre gran folla presso
all'uscio tuo, per chiederti
pareri e
abboccamenti,
per consigliarsi teco in un processo
d'assai talenti,
degno
del tuo sottile ingegno!
CORIFEO:
Su', al vecchio esponi i primi
punti della dottrina,
eccita la sua mente, l'acume suo
scrutina.
SOCRATE:
Andiamo, dunque, dimmi le attitudini
tue, sicché io,
saputele, ti possa
rimandare ferrato e catafratto!
LESINA:
Santo Dio!
Devo farmi una frattura?
SOCRATE:
Macché! Mi devi dire in due
parole:
hai la memoria pronta?
LESINA:
Sí, e no:
se avanzo l'ho di
ferro; se poi devo,
scordo le cose dal naso alla
bocca!
SOCRATE:
Possiedi facoltà di parlatore?
LESINA:
Di parlatore
no: di truffatore!
SOCRATE:
E allora, come
imparerai?
LESINA:
D'incanto,
non ci pensare!
SOCRATE:
Attento
dunque! E quando
butto là qualche idea sopra i fenomeni
celesti, abbocca a
volo, tu!
LESINA:
La scienza
devo abboccarla a volo, come un
cane?
SOCRATE:
Quest'uomo è proprio un ignorante, un tanghero! -
Oh
vecchio, temo che per te ci vogliano
le busse! - Dimmi un po', come ti
regoli
se qualcuno ti picchia?
LESINA:
Me le piglio,
aspetto un po',
mi cerco i testimoni,
aspetto un altro po', gli dò
querela.
SOCRATE:
Giú quel mantello, via!
LESINA:
Che male ho
fatto?
SOCRATE:
Nessuno! È usanza entrare qui
senz'abito!
LESINA:
Ché, entro a fare una
perquisizione?
SOCRATE:
Spògliati, e meno chiacchiere!
LESINA:
Di'
un po':
se sarò diligente e imparerò
di buona voglia, a chi dei tuoi
discepoli
potrò rassomigliare?
SOCRATE:
A Cherefonte,
come due gocce
d'acqua!
LESINA:
Ah, poveretto
me! Sarò mezzo vivo e mezzo
morto!
SOCRATE:
Vuoi stare zitto o no? Vuoi seguitarmi
alla spiccia qui
dentro? Allunghi il passo?
LESINA (Pieno di paura):
Una pizza di miele,
dammi prima:
la terrò in mano! Ho piú paura a scendere
costaggiú, che
nell'antro di Trofonio!
SOCRATE:
Entra! Ché perdi tempo innanzi
all'uscio?
(Lesina esita sempre)
CORO:
Oh via, spícciati! E allegrati
d'avere alma sí ardita!
(Lesina e Socrate entrano)
Rida la sorte all'uom,
che poi che il bàratro
degli anni ultimi scese,
di giovanili
imprese
tingendo la sua vita,
con la filosofia viene alle prese!
(Detti
questi ultimi versi, i coreuti si rivolgono verso gli spettatori
per dire la
parabasi)
PARABASI
CORIFEO:
Vi dirò, spettatori, liberamente il
vero,
lo giuro per Diòniso che crebbe il mio pensiero.
Cosí vincere io
possa, m'abbia cosí nomea
di sapiente vate, come io, che ritenea
voi
spettatori acuti, e questa la migliore
mia commedia - sovr'essa versai tanto
sudore! -
stimai che voi goderne doveste la primizia!
Pur me la dovei
battere, in onta alla giustizia,
vinto da dei buffoni. Ond'è ch'or vi
rampogni,
oh accorti, per cui spesi le mie fatiche. Ad ogni
modo, a chi
piú capisce, fra voi, non verrò meno.
Da che fra gente a cui dolce è parlar,
sí pieno
successo ebbero il Casto e il Dissoluto, ch'io
esposi - non
potevo darli per frutto mio,
ch'ero zitella: un'altra li prese e adottò;
poi
li nutriste e allevaste da generosi voi -
da quel dí pegno ho certo
della saggezza vostra.
Or, come Elettra, questa commedia a voi si
mostra,
se a caso trovi un pubblico di gusto al par di quello:
ben
conoscere il ricciolo saprà di suo fratello!
Che garbo è il suo, vedete!
Prima di tutto, è giunta
senza quel cuoio pendulo, marchiano e rosso in
punta,
che fa ridere i bimbi; poi non balla il trescone,
non dà la berta
ai calvi; né il vecchio col bastone
canta ariette, e picchia chi gli càpita
sotto,
perché le busse scusino ogni piú insulso motto;
né squassa in corsa
fiaccole, né strilla: evviva, evviva!
In sé solo fidando, sol nei suoi versi,
arriva!
Tal poeta io mi sono: e non mi gonfio; né
cerco d'infinocchiarvi,
con l'ammannir due, tre
volte la stessa roba: mi stillo il
comprendonio
per trovare idee nuove, non del solito conio,
tutte quante
ingegnose. Io son quei che, percosso
Cleone in piena pancia, quand'era un
pezzo grosso,
quando lo vidi a terra, piú non gli feci offesa.
Gli altri,
da poi che Iperbolo die' una volta a lor presa,
quel misero e sua madre
pestan sotto le piante,
senza tregua. Schiuse Eupoli la via col
Maricante,
dove i miei Cavalieri travestí alla carlona,
fior di birba,
ficcandoci quella vecchia sborniona
che ballava il trescone - quella che in
una scena
di Frinico, finiva in bocca a una balena.
E dopo, Ermippo
anch'egli ha scritto contro Iperbolo,
e tutti, un dopo l'altro, s'attaccano
ad Iperbolo,
rubando a me l'immagine delle anguille. Non piaccia
mai ciò
ch'io scrivo, a quanti ridono a tal robaccia:
ma se le mie trovate vi
procaccian diletto,
voi stimeranno i posteri persone d'intelletto.
CORO:
Strofe
Giove che in cielo domina,
dei Beati il possente
Signore, prima
a questa danza invito;
e lui che il formidabile tridente
vibra, e le amare
squassa acque del pelago
selvaggiamente e il lito;
e il nostro
genitore
che tutto nutre, il venerando e celebre
Ètere; e il
reggitore
dei corsieri fiammei, che domina
coi folgoranti lumi
la
terra, eccelso Dèmone
fra gli uomini ed i Numi!
CORIFEO:
Epirrema
Rivolgete a noi la mente, spettatori benaccorti:
ci lagnam con
voi, d'avere ricevuti gravi torti.
Mentre piú d'ogni altro Nume vi largiam
noi benefizi,
solo a noi non offerite libagioni e sacrifizi.
Pur, noi
sempre vi assistiamo! Quando certe spedizioni
preparate senza testa, noi siam
lí, con pioggia e tuoni.
Cosí, quando generale proclamaste il
conciapelle
Paflagone, odio dei Numi, ne facemmo delle belle!
Aggrottammo
il sopracciglio, cupo il tuono rimbombò
tra le folgori, Selene la sua rotta
abbandonò,
ed il sole, in sé torcendo lo stoppin, disse: «Mi nego
di piú
stare a farvi lume, se Cleone andrà stratego!»
Nondimeno, l'eleggeste: già,
si sa che quei d'Atene
sempre male si consigliano, ma gli Dei volgono a
bene
ogni loro strafalcione. Quanto a trarre giovamento
da quest'ultimo
sproposito, ve l'insegno in un momento.
Quel gabbiano di Cleone pria
convincere bisogna
di rapina e corruzione, poi la strozza entro la
gogna
incastrargli. E allora, pure se incappate in qualche errore
come
avvenne pel passato, tutto andrà per la migliore.
CORO: Antistrofe
Anche
tu scendi, o delio
Signor, fra il nostro coro,
tu che tieni le cinzie
eccelse vette;
e tu Dea, che in Efèso il tempio d'oro
abiti, ove con gran
pompa t'onorano
le lidie giovinette;
e Palla, che sostiene
l'ègida, Dea
di nostra terra indigena,
protettrice d'Atene;
e quei che schiara del
Parnaso i vertici
con faci rutilanti,
dell'orge re, Diòniso,
fra
delfiche Baccanti!
CORIFEO: Antepirrema
Mentre s'era sulle mosse per
venire, con Selene
c'incontrammo: e che facessimo tanti augúri a quei
d'Atene
pria ci disse, e agli alleati. Quindi aggiunse come
fosse
corrucciata con voialtri: glie ne fate delle grosse,
mentre a fatti,
e non a chiacchiere lei servigio ognor vi rese.
Già una dramma almen di
fiaccola risparmiar vi fa ogni mese.
Come dice questo o quello, nell'uscire,
mentre imbruna?
«Non comprar, bimbo, la fiaccola: ve', che bel chiaro di
luna!»
E vi fa, dice, tant'altro bene. E voi, che imbroglio fate,
che su e
giú, senz'alcun ordine, confondete le giornate?
E poi, quando a denti
asciutti se ne tornano gli Dei
dai festini a casa loro, se la pigliano con
lei,
che le feste non trovarono computate nel lunario.
Cosí voi, quando si
devono offrir vittime, al contrario
giudicate, torturate. Quando in cielo si
s'abbruna
per Sarpèdone, per Mènnone, noi Celesti, e si digiuna,
voi
trincate e sghignazzate. E noialtri, per protesta,
quando membro alle
Amfiziònie andò Iperbol, dalla testa
gli strappammo la corona. E cosí l'avrà
capita,
che conviene sulla luna regolar la propria vita!
PARTE
SECONDA
SOCRATE (Esce dal Pensatoio):
No, pel Fiato, per l'Ètere, pel
Càos,
mai non l'ho visto, un uomo cosí zotico,
cosí goffo, impacciato,
smemorato!
A mala pena impara una bazzecola,
e l'ha scordata prima
d'impararla.
Proviamolo un po' fuori, all'aria aperta. -
Lesina! Piglia lo
stramazzo, ed esci!
LESINA (Dal di dentro):
Eh, se me lo permettono le
cimici!
(Esce, trascinando con grandi sforzi lo
stramazzo)
SOCRATE:
Svelto, lascialo a terra, e dammi
retta!
LESINA:
Ecco fatto!
SOCRATE:
Sentiamo, quale
brami
apprendere per prima, delle cose
che non hai mai studiate? Animo,
parla!
I vocaboli, i ritmi, o le misure?
LESINA:
Io? Le misure! Ché il
fornaio, l'altro
ieri, me ne rubò due di farina!
SOCRATE:
Non ti
domando ciò; ma qual misura
stimi piú bella: quella in tre o in
quattro?
LESINA:
Nulla mi va piú dello
staio!
SOCRATE:
Amico,
balordaggini, dici!
LESINA:
Vuoi
scommettere
se lo staio non tien quattro misure?
SOCRATE:
Eh, come sei
bifolco e duro! Al diavolo!
Ma forse i ritmi t'entreranno
prima.
LESINA:
Che mi giovano i ritmi, alla panàtica?
SOCRATE:
A far
la tua figura in società,
prima di tutto, con l'intender quale
è un membro
enoplio, e quale uno dattilico!
LESINA:
I membri?
SOCRATE:
Sí,
perdio!
LESINA:
Ma li so!
SOCRATE:
Dilli!
LESINA:
Che devono
essere! Un braccio o una gamba!
Anche questo, se no, si dice
membro.
SOCRATE:
Che gaglioffo e tarpano!
LESINA:
Anima mia,
se
io di questa roba non ne voglio
imparar nulla!
SOCRATE:
E che vuoi
dunque?
LESINA:
Quello,
quello! Il discorso ingiusto fra
gl'ingiusti!
SOCRATE:
Altro devi imparar, prima di questo:
quali sono i
quadrupedi di genere
mascolino!
LESINA:
Eh, lo so, che sono
scemo?
Il capro, il becco, il toro, il cane, il pollo...
SOCRATE:
Vedi
che ti succede? Chiami pollo
la femmina ed il maschio, al modo
stesso!
LESINA:
E come?
SOCRATE:
Come? Dici pollo e
pollo!
LESINA:
Pel Dio del mare! e adesso, come
devo
chiamarli?
SOCRATE:
L'uno pollo, e l'altra
polla!
LESINA:
Corpo dell'aria, bene! Polla! Voglio
riempirti la madia
di farina
sol per questo problema!
SOCRATE:
Siam daccapo!
Il
problema, ch'è maschio, me lo fai
diventar donna!
LESINA:
E come te lo
faccio
diventar donna?
SOCRATE:
Vedi, è il caso stesso
di
Cleònimo!
LESINA:
E no, non è un problema
saper ch'è pure femmina,
Cleònimo.
E d'ora innanzi come devo dire?
SOCRATE:
Dirai problemo, come
dice Sòstrata.
LESINA:
Il problemo: maschile!
SOCRATE:
Ora va
bene.
LESINA:
Dunque, ho capito: problemo, e
Cleònima.
SOCRATE:
Adesso poi, devi imparare i nomi
di persona, e
distinguere i maschili
dai femminili.
LESINA:
Eh, li conosco bene,
i
femminili!
SOCRATE:
E sentiamo!
LESINA:
Lisilla,
Demetria,
Clitagora, Filinna!
SOCRATE:
E ne sai, dei maschili?
LESINA:
A
centinaia!
Filòsseno, Melesia, Aminia...
SOCRATE:
Pover'òmo,
codesti
non son già maschili!
LESINA:
Ah! Non sono maschili, a casa
vostra?
SOCRATE:
Per niente affatto! Finché dici Aminia
e non Aminio,
tu lo rendi femmina!
LESINA:
Non gli sta bene? In guerra non ci va!
Ma
perché imparo ciò che sanno tutti?
SOCRATE (Gli indica lo
stramazzo):
Tutti? Ma cosa! Sdraiati costí!
LESINA:
A fare
che?
SOCRATE:
Rifletti ai casi tuoi.
LESINA:
Qui sopra no, ti prego!
Se la cosa
è proprio necessaria, almeno lascia
che rifletta per
terra!
SOCRATE:
Non si può
fare altrimenti!
LESINA:
Ah, poveretto
me!
Me ne faran passare, oggi, le cimici!
(Si sdraia sullo stramazzo, e
durante il canto del coro si rivolta
in fiera lotta con le cimici. Intanto
Socrate s'immerge in profonda
meditazione)
CORO:
Osserva e pensa. Ti
concentra, e l'animo
tuo d'ogni parte volgi. E se ti sovraggiunge
un
qualche inciampo,
lànciati del pensiero in altro campo;
e il sonno resti
da tue ciglia lunge!
LESINA:
Ahimè, ahimè!
CORO:
Qual è il tuo
duolo? Quale il tuo cruccio?
LESINA (Con enfasi tragica):
Tapino me, ch'io
mòro! Dal lettuccio
strisciano fuori a mordermi le cimici;
e i fianchi mi
dilacerano,
e l'anima mi succhiano,
mi strappano i testicoli,
il culo
mi perforano,
e mi fanno la festa!
CORO:
Troppo angosciosa lamentela è
questa!
LESINA:
Come? Se non mi resta
il becco d'un quattrino,
né ho
piú spirito in corpo, né sangue entro le vene,
né scarpe ai piedi! Ed oltre a
tante pene,
per stare all'erta e fare il canterino,
son quasi al
lumicino!
SOCRATE (Si scuote dalla sua meditazione e si rivolge a
Lesina):
Coso, che fai? Non pensi?
LESINA:
Altro, se
penso!
SOCRATE:
E che cosa pensavi?
LESINA:
Se le cimici
di me ne
lasceranno un solo briciolo!
SOCRATE:
Schianta!
LESINA:
Schiantato
sono già, mio caro!
SOCRATE:
Non farmi il delicato, e
rimbacúccati:
trova un imbroglio fino, qualche mezzo
per non
pagare!
(Socrate si ritira nel Pensatoio)
LESINA:
E già, l'imbroglio
fino
lo trovo in una pelle di castrone!
(Torna ad imbacuccarsi, e rimane
qualche istante meditabondo:
intanto, dal Pensatoio esce di nuovo
Socrate)
SOCRATE:
Fammi vedere un po' che fa l'amico.
Oh coso,
dormi?
LESINA:
Io? Punto, per Apollo!
SOCRATE:
Hai
nulla?
LESINA:
Io no, per Ciove!
SOCRATE:
Nulla
nulla?
LESINA:
Nulla, no, tranne che l'uccello in
mano.
SOCRATE:
Imbacúccati e pensa, animo!
LESINA:
A che,
me lo
sai dire, Socrate?
SOCRATE:
Scandaglia
da te pria quel che brami, e
poscia dimmelo!
LESINA:
Se te l'ho detto diecimila volte!
L'arte di non
pagare gl'interessi
a nessuno.
SOCRATE:
Imbacúccati, via, lascia
al
sottile pensier libero corso,
investiga le cose a poco a poco,
distingui,
osserva bene...
LESINA (Dibattendosi sotto i morsi delle cimici):
Ahimè
tapino!
SOCRATE:
Fermo lí! Se un'idea ti si confonde,
lasciala, e passa
oltre; poi riprendila
a mente fresca, scuotila,
bilanciala...
LESINA:
Amoruccio d'un Socrate!
SOCRATE:
Che
brami,
o vecchio?
LESINA:
L'ho trovata, una maniera
per non pagare i
frutti!
SOCRATE:
E dunque, dimmela!
LESINA:
Dimmi un
po'!
SOCRATE:
Che?
LESINA:
Se comprassi una maga
tessala, e poi
di notte mi pigliassi
la luna, la chiudessi in un astuccio
tondo, come uno
specchio, e la guardassi
a vista?
SOCRATE:
E a che ti
gioverebbe?
LESINA:
A che?
Se non spuntasse piú la luna, io
non
pagherei piú frutti!
SOCRATE:
E come mai?
LESINA:
Perché si paga a
luna nuova, il frutto!
SOCRATE:
Bravo davvero! Ti propongo un
altro
elegante quesito. Se t'intentano,
poni, un processo di cinque
talenti,
come faresti per mandarlo in fumo?
LESINA:
Come?... Come?...
Non so, fammi cercare!
SOCRATE:
Sempre a te stretta non tener
l'idea,
ma lascia il tuo pensier che in aria vagoli
come uno scarabeo
legato a un piede!
LESINA:
L'ho, per mandarlo in fumo, una trovata!
È
fina fina, e tu l'ammetterai!
SOCRATE:
Sentiamo un po'!
LESINA:
Dai
cerretani, hai visto
mai quella pietra bella e trasparente
che ci si
accende il fuoco?
SOCRATE:
Vuoi parlare
del
cristallo?
LESINA:
Sicuro! Se lo prendo,
e da lontano, mentre il
cancelliere
scrive il processo, lo mantengo contro
il sole, faccio
liquefar la cera
sopra le tavolette.
SOCRATE:
Per le
Grazie,
ingegnosa davvero!
LESINA:
Ah, gusto mio!
Cinque talenti
d'un processo in fumo!
SOCRATE:
Andiamo, svelto, acchiappa
questa!
LESINA (Facendo la mossa d'un cane che
abbocca):
Cosa?
SOCRATE:
Come faresti a volgere le sorti
in un
processo, quando per mancanza
di testi, fossi già lí lí per
perdere?
LESINA:
Io? Nel modo piú semplice e piú
spiccio.
SOCRATE:
Sentiamo!
LESINA:
Ecco! Prima che si chiami
il
mio processo, mentre si discute
il precedente, corro ad
impiccarmi!
SOCRATE:
Ciance!
LESINA:
Ma certo, santi Numi!
Morto
che fossi, di' che m'intentino cause!
SOCRATE:
Sbalestri! Via,
non ti dò piú lezione!
LESINA:
Santi Numi! E perché, Socrate,
dimmelo!...
SOCRATE:
Se ciò che apprendi te lo scordi súbito!
Di', che
cosa imparata hai tu per prima?
LESINA:
Vediamo, quale fu la prima?...
Quale
fu la prima?... Che era quella cosa
che diventava donna... Ahimè,
che era!
SOCRATE:
Te ne vuoi dunque andare alla malora,
vecchio
smemoratissimo e goffissimo?
(Lo respinge, si fa da parte e si risprofonda
nella meditazione
senza piú badare a quello che avviene)
LESINA:
Ahi,
me tapino, che sarà di me?
Se non imparo a rigirar la lingua,
sono
spacciato! - Mi sapreste, oh Nuvole,
dare voialtre qualche buon
consiglio?
CORO:
È nostro avviso che se tu, vegliardo,
hai qualche
figlio bello grande, in tua
vece, a prender lezione mandi
lui!
LESINA:
Un figliuolo l'avrei, come si deve:
ma non vuole imparare!
Ah, come faccio!
CORO:
E tu glie la dài vinta?
LESINA:
È un
bellimbusto
pieno di fumo! Da parte di madre
vien da quei falopponi di
Cesira! -
Ora, però, ci vado! Se non cede,
non c'è pietà, lo caccio via di
casa!
(A Socrate)
Entra un po' dentro, aspettami un momento.
CORO (A
Socrate):
Lo vedi tu, che frutto
ricavi già dal credere
noi sole Dee?
L'amico è pronto a tutto
ciò che gl'imponi tu. Mentre è
colpito
palesemente ed esaltato, succhialo
quanto sai piú:
certi
entusiasmi dànno presto giú!
(Lesina esce di casa, spingendo avanti a sé con
mal garbo
e maltrattando Tirchippide)
LESINA:
No, per la Nebbia, qui
non ci rimani!
Vatti a cavar la fame coi pilastri
di
Mègacle!
TIRCHIPPIDE:
Che fai?.. Benedett'uomo!
Babbo!... Che mai ti
piglia? Uscissi pazzo,
per Giove Olimpio!
LESINA:
Senti, senti!
Giove
Olimpio! E credi a Giove, all'età
tua?
(Sghignazza)
TIRCHIPPIDE:
E c'è tanto da ridere?
LESINA:
Vo'
in bestia,
che sei ragazzo, ed hai pel capo certe
anticaglie! - A ogni
modo, vieni qui,
se vuoi saperne di piú. Sentirai
certa roba, che tu,
quando l'impari,
diventi uomo. Basta poi che tu
non l'insegni a
nessuno!
TIRCHIPPIDE:
Eccomi qua:
di che si tratta?
LESINA:
Hai
giurato per Giove,
tu, or ora?
TIRCHIPPIDE:
Si!
LESINA:
Vedi che
bella cosa
è l'imparare? Tirchíppide mio,
Giove non c'è: c'è invece un
certo Vortice,
che regna adesso, e ha spodestato
Giove.
TIRCHIPPIDE:
Ahimè, che cianci?
LESINA:
E come te la
dico!
TIRCHIPPIDE:
E chi lo dice?
LESINA:
Socrate di Melo,
e
Cherefonte, che misura i salti
delle pulci.
TIRCHIPPIDE:
E tu sei pazzo
a tal segno,
che credi a quegli squilibrati?
LESINA:
Parla
come si
deve, e non alla leggera,
di persone d'ingegno e di cervello,
parsimoniose
tanto, che nessuna
si tosa mai, né s'unge, né si ficca
dentro l'acqua del
bagno! E invece tu,
in che acque lo metti, il babbo tuo!
Su', va' lí,
presto, impara in vece mia!
TIRCHIPPIDE:
Da quelli? E cosa vuoi che ci
s'impari?
LESINA:
Davvero? - Tutta la saggezza umana!
E poi conoscerai
te stesso, quanto
sei grosso e bestia! Aspettami un
momento.
(Entra)
TIRCHIPPIDE:
Il babbo s'è impazzito! Che fo,
povero
me! Lo faccio interdire per follia,
o gli faccio ammannire il
cataletto?
LESINA (Esce tenendo un pollo in ciascuna mano;
e mostra l'un
d'essi a Tirchippide):
Vediamo! Tu come lo chiami,
questo?
TIRCHIPPIDE:
Pollo!
LESINA:
Benone. E
questa?
TIRCHIPPIDE:
Pollo!
LESINA:
Un nome
per tutti e due? Vuoi
farti canzonare!
Non ci cacscare piú, d'ora in avanti:
questo chiamalo
pollo, e questa, polla!
TIRCHIPPIDE:
Polla! E codesta bella roba,
sei
stato ad imparare da quei trogloditi?
LESINA:
Questa, e tant'altra!
Ma imparata appena,
me la scordavo! Eh, gli anni miei son
troppi!
TIRCHIPPIDE:
E per questo è sparito il tuo
mantello?
LESINA:
Certo! Anche lui per troppo
assottigliarsi.
TIRCHIPPIDE:
E delle scarpe, che n'hai fatto,
grullo?
LESINA:
Le spesi in ciò che bisognava - come
Pericle! - Ma su',
via, muoviti, andiamo.
Prima dà retta al babbo, e poi
scapricciati.
Anch'io ti diedi retta, quando avevi
sei anni, e
ciangottavi! Ti comprai
un carrettino, alle Diasíe, coi primi
tre soldi
che buscai facendo il giudice!
TIRCHIPPIDE:
Bada, che poi te ne dovrai
pentire!
LESINA:
Bene, ti sei convinto! - Qui, qui, Socrate!
Ho
persuaso il mio figliuolo che
non voleva saperne, e te lo
reco!
SOCRATE:
Piccino è ancora! E il saper nostro eccelso
non gli si
appiccherà cosí di schianto.
TIRCHIPPIDE:
Tu, se t'appicchi, schianti di
sicuro!
LESINA:
Alla malora! Imprechi al tuo maestro!
SOCRATE (Imitando
la cattiva pronuncia di Tirchippide):
Appicchi! Come ha pronunciato
goffo
e con le labbra sgangherate! - (A Lesina) E credi
che questo
imparerà le scappatoie
legali, l'arte di citare, quella
di trionfare a
paroloni? Iperbolo
l'apprese; ma un talento, gli
costò!
LESINA:
Imparerà, non ci pensare! È nato
filosofo! Era un
bimbettino tanto,
e fabbricava casette, incavava
barchette, costruiva
carrettini
di corame, e ranocchi con la scorza
dei melograni, ch'erano un
amore!
Trova modo che impari i due discorsi,
il da piú, qual che siasi, e
il da meno,
che vince l'altro a imbrogli; e se non può
due, quel che
imbroglia, impari, in ogni caso!
SOCRATE:
Dai due discorsi stessi,
imparerà!
Io vo!
(Socrate parte)
LESINA (Correndogli
appresso):
Basta ch'ei possa contraddire
quanto sa di giustizia: non
scordartelo!
(S'avanzano i due Discorsi, vestiti l'uno con l'antica
semplicità,
l'altro con raffinatissima eleganza. Lesina ritorna per
ascoltarli)
CONTRASTO
DISCORSO GIUSTO:
Sebbene audace sei
tanto, fuori,
vieni al cospetto degli uditori!
DISCORSO INGIUSTO:
Tu
scegli il luogo! Piú facilmente
ti schiaccio, dove c'è molta
gente!
DISCORSO GIUSTO:
Tu vuoi schiacciarmi? Chi sei?
DISCORSO
INGIUSTO:
Chi sono?
Sono il Discorso!
DISCORSO GIUSTO:
Da
meno!
DISCORSO INGIUSTO:
Buono
per sopraffare te, che ti vanti
da
piú!
DISCORSO GIUSTO:
Sí, come?
DISCORSO INGIUSTO:
Trovando
tanti
concetti nuovi!
DISCORSO GIUSTO:
Roba di moda
per questa gente
frivola!
DISCORSO INGIUSTO:
Soda!
DISCORSO GIUSTO:
Ti concio
male!
DISCORSO INGIUSTO:
Come?
DISCORSO GIUSTO:
Parlando
il
giusto!
DISCORSO INGIUSTO:
E all'aria non te lo mando,
dicendo proprio
l'opposto a te?
Già, la giustizia, dico, non c'è!
DISCORSO GIUSTO:
Che
non c'è, dici?
DISCORSO INGIUSTO:
Tu, che c'è? Dove?
DISCORSO
GIUSTO:
Fra i Numi!
DISCORSO INGIUSTO:
Bella giustizia! Giove
che
lega il padre, non va in rovina!
DISCORSO GIUSTO:
Ah! questo guaio come
cammina!
Fatemi recere!
DISCORSO INGIUSTO:
Babbione,
ammassa-
sciocchezze!
DISCORSO GIUSTO:
Faccia franca,
bardassa!
DISCORSO INGIUSTO:
Rose, mi dici!
DISCORSO GIUSTO:
Sei
leccapiatti.
DISCORSO INGIUSTO:
M'ingigli il crine!
DISCORSO
GIUSTO:
Tuo padre batti!
DISCORSO INGIUSTO:
Non te n'avvedi? M'aspergi
d'oro!
DISCORSO GIUSTO:
Piombo, era, un tempo!
DISCORSO
INGIUSTO:
M'è or decoro.
DISCORSO GIUSTO:
Gran temerario!
DISCORSO
INGIUSTO:
Vecchio citrullo!
DISCORSO GIUSTO:
Andare a scuola nessun
fanciullo
vuol, per tua colpa! Ma un giorno, Atene
lo vedrà, come li
avvezzi bene
questi sventati!
DISCORSO INGIUSTO:
Sei turpe e
sozzo!
DISCORSO GIUSTO:
Tu sciali, adesso! Cercavi il tozzo,
pure, una
volta; dicevi ch'eri
Telefo Misio! Ma c'era macca
sol di pareri
di
Pandelèto, nella tua sacca!
DISCORSO INGIUSTO:
Ah! Dotti
simili...
DISCORSO GIUSTO:
Simili pazzi!
DISCORSO INGIUSTO:
Di chi
favelli?
DISCORSO GIUSTO:
L'ho con Atene,
che ti mantiene
pel
vituperio dei suoi ragazzi!
DISCORSO INGIUSTO (Afferrando per un braccio
Tirchippide):
Tanto non l'educhi, questo, calía!
DISCORSO GIUSTO
(Afferrandolo per l'altro braccio):
Sí, se volete che salvo ei sia,
né sol
di chiacchiere prenda lezioni!
DISCORSO INGIUSTO (A Tirchippide):
Vieni
qui, lascialo coi suoi farnetichi!
CORO:
Bando alle ingiurie, non piú si
letichi!
(Al Discorso giusto)
Tu prima esponi
come istruivi la gente un
dí,
e tu le nuove dottrine tue;
sí che ambedue
v'oda, e poi libero
scelga la scuola!
DISCORSO INGIUSTO:
Sono qui pronto!
DISCORSO
GIUSTO:
Son pronto qui!
CORO:
Chi primo prendere vuol la
parola?
DISCORSO INGIUSTO:
Gli cedo il passo!
Quando avrà detto, poi,
lo tartasso
io, saettandolo con paroline
nuove, concetti nuovi; e alla
fine,
se il labbro chiuso
non tien, pungendogli le ciglia e il
muso,
come uno sciame di calabroni,
lo finiranno le mie ragioni!
CORO:
Strofe
Fidenti or questi due nella scaltrissima
parola, nel pensier, nel
raziocinio
plasmator di sentenze, s'apparecchiano
a mostrar chi dei due
piú valga a chiacchiere.
Qui si vien di saggezza al paragone,
qui
s'appresta agli amici il sommo agone!
CORIFEO (Rivolgendosi al Discorso
giusto):
Oh tu che ghirlandasti di tua virtude i miei
maggiori, la tua
causa difendi, e di' qual sei!
DISCORSO GIUSTO:
L'educazione dunque
sporrò, com'era in prima,
quando io, parlando il giusto, fiorivo, e godea
stima
la verecondia. E intanto, neppur mezza parola
fiatava alcun ragazzo.
Dal citarista, a scuola,
poi marciavano in fila, composti, per
tribú,
ignudi, pure quando la neve cadea giú
come farina dallo staccio.
Apprendeano poscia,
senza poggiar, sedendo, l'una su l'altra
coscia,
qualche canzone: o «Palla, terribil di città
distruggitrice» o «Un
grido che lunge in aer va».
Sacre dell'arte armonica eran le avite
leggi;
e chi buffoneggiasse, chi uscisse in quei gorgheggi
che piaccion
tanto a quelli d'oggidí, della scuola
di Frini, fatti apposta per torturar la
gola,
buscava busse, quale corruttor delle Muse.
E in palestra dovevano
sedere a gambe chiuse,
per non mostrar sconcezze a chi passava; e
appena
sorti in piedi, badare a stropicciar la rena,
che non ci rimanesse
per qualche buon amico
del sesso lor l'impronta. Né sotto
l'ombelico
s'ungevano i ragazzi: sicché le lor vergogne
di morbida pelurie
fiorian, come cotogne.
Né con voce melliflua si facevano
innanzi,
occhieggiando, ruffiani di se stessi, ai lor ganzi!
L'usanza
d'arraffare, a una mensa ove siedano
uomini fatti, i cimoli del rafano, del
sedano,
del finocchio, non c'era: né d'ingozzare tordi,
pesci, e
incrociare i piedi!
DISCORSO INGIUSTO:
Anticaglie! Ricordi
di quando
ancora usavano Dipòlidi, cicale,
Cecèdo e le Bufonie!
DISCORSO GIUSTO
(Scattando con fuoco):
Pure, allevai con tale
disciplina la gente che
vinse a Maratona!
Tu insegni a quelli d'ora a serrar la persona
nei
mantelli: e ci scoppio, alla Panatenèa,
quando, senza pur darsi pensiero
della Dea,
tengono, nella danza, lo scudo ciondoloni!
(A
Tirchippide)
Quindi, fa' cuore, eleggi, bimbo, le mie lezioni,
e apprendi
ad evitare la piazza, a girar poco
per le terme, a sfuggire brutture, a
pigliar fuoco
se ti beffano, a cedere ai piú vecchi il tuo seggio,
a non
dar noie al babbo, né fare altro di peggio
che del Pudor l'immagine possa
insozzare in te.
E non correre dietro ballerine, sicché,
mentre cosí
t'imbamboli dietro a una gonnella,
con lo scagliarti un pomo, la brava
puttanella
macchi il tuo nome. E quando parla il babbo, sta cheto,
l'età
non rinfacciargli, non chiamarlo Giapeto:
pensa ch'ei t'ha tirato su come un
uccellino!
DISCORSO INGIUSTO:
Se tu dài retta a questo, somiglierai,
bambino,
ai figliuoli d'Ippòcrate, e ti dirà la gente
bietolone di
mamma!
DISCORSO GIUSTO:
Ma vegeto e fiorente
andrai per le palestre,
non cicalando in piazza
cavilli scemi, come fa questa nuova razza,
non
invischiato in qualche barbina discussione!
Ma lungi da ogni briga, nella
nuova stagione,
sottessi i sacri ulivi dell'Accademia, a fianco
andrai
d'un savio amico, cinto di giunco bianco,
mentre bisbiglia il platano con
l'olmo, e olezzi effonde
lo smilace, ed il pioppo dalle tremule
fronde.
Stretta
Se vuoi condurti a codesta maniera,
ed i principi
seguir che t'ho detto,
avrai largo il petto,
corta la lingua, polputa la
natica,
minuto il pípi. Se invece la pratica
di quelli d'ora seguire ti
piace,
per prima cosa le gote avrai gialle,
strette le spalle - sottile il
torace,
lunga la lingua, marchiano lo scroto,
scarna la chiappa,
lunghissimo... il voto!
Ei ti convincerà che bello è il laido,
laido il
bello;
e la sozza d'Antímaco
manía t'appiccherà di soprassello!
CORO
(Con slancio di ammirazione): Antistrofe
Che dolce fior di senno, oh tu che a
vertici
sommi saggezza ergevi, dal labbro aliti!
Beati quei che ai tempi
andati vissero!
(Al Discorso ingiusto)
E tu, signor d'ogni piú fino
eloquio,
ora novelle idee convien ch'esprima:
ché tutta ha il tuo rival la
nostra stima!
CORIFEO:
Sia ben grande l'acume tuo, se quest'uom tu
vuoi
sconfiggere, e non fare rider dei fatti tuoi.
DISCORSO
INGIUSTO:
Soffoco già da un pezzo, per la smania
di sbaragliar con opposti
argomenti
le ciance di costui: ché appunto dissero
me discorso da meno i
sapienti,
perché primo io di dir tutto il contrario
al diritto e alle
leggi ebbi la gloria:
né c'è somma che valga il saper scegliere
cause
spallate, e riportar vittoria!
(A Tirchippide)
Il suo sistema, ve' come lo
pizzico.
Ei vuol che tu non faccia il bagno caldo!
(Al Discorso
giusto)
Per che ragione il bagno caldo biasimi?
DISCORSO GIUSTO:
Perché
stempera, e l'uom rende men saldo!
DISCORSO INGIUSTO:
Sta: t'ho ghermito a
mezzo, e non mi scivoli!
Qual tra i figli di Zeus giudichi primo
per
gloriose gesta e virtú d'animo?
DISCORSO GIUSTO:
Che altro uomo superi
Ercole, non stimo!
DISCORSO INGIUSTO:
E dove hai visti Bagni freddi
d'Ercole?
E sí, quello era sodo!
DISCORSO GIUSTO:
Ecco, ecco lí
che
cosa vuota le palestre, e i giovani
spinge a cianciar nei bagni tutto il
dí!
DISCORSO INGIUSTO:
Lo stare in piazza poi biasmi; io l'elogio.
Se
fosse trista cosa, oh come poi
ci avrebbe Omero figurato Nestore
in piazza
insiem con tutti gli altri eroi?
Ora vengo alla lingua. Ei vieta ai
giovani
d'esercitarsi in essa: io ve li sprono.
Poi li vuol continenti:
altro gran canchero!
Dimmi, a chi fruttò mai nulla di buono
la continenza?
Lo conosci? Dimmelo,
e pigliami in castagna!
DISCORSO GIUSTO:
Eh, te ne
posso
dir molti! Ci buscò la spada, Pèleo!
DISCORSO
INGIUSTO:
Pover'òmo! Ci fece un fianco grosso!
Buscò una spada! Il
lucernaio Iperbolo
fior di quattrini fe' con l'arti sozze,
altro che
spada!
DISCORSO GIUSTO:
E poi, la verecondia
valse a Pelèo di Tètide le
nozze!
DISCORSO INGIUSTO:
Che poi scappò, lo piantò, perché
pratico
d'amor non era, né fra i lini prode
a vegliar tutta notte; eppur
la femmina,
quando piú tu la sbatti, e piú ci gode!
Ma già, tu se' una
rozza! - Or vedi, giovane,
continenza che frutta, e che piaceri
ti
contende: ragazzi, risa, femmine,
manicaretti, còttabo, bicchieri.
Ma
senza questi svaghi, a che pro' vivere?
Basta: veniamo a ciò cui ti fa
invito
natura istessa. Hai fatto uno sproposito,
presa una cotta, e messo
ad un marito
un briciolo di corna. Se ti colgono,
sei fritto! Non sai dir
mezza parola!
Ma se pratichi me, tutto t'è lecito
ciò che vuoi: salta,
ridi a piena gola,
e fa' d'ogni erba fascio. Ti ci acchiappano?
Dirai che
nulla hai tu fatto di male.
Giove anche lui, per l'amore e le
femmine
perde' la testa - dici -; ed io mortale,
come ho da stare in gamba
piú dei Superi?
DISCORSO GIUSTO:
Ma se gli ficcan, per dar retta a
te,
quel rafano, e lo pelan con la cenere,
proverà poi che rottincul non
è?
DISCORSO INGIUSTO:
Ebben, se rotto ha il culo, in che ci
scàpita?
DISCORSO GIUSTO:
E che malanno c'è, peggior di
questo?
DISCORSO INGIUSTO:
Be' che dirai, se pure in ciò ti
confuto?
DISCORSO GIUSTO:
Tacerò: che direi?
DISCORSO
INGIUSTO:
Rispondi presto.
Chi sono i tragediografi?
DISCORSO
GIUSTO:
Culirotti! L'ammetto.
DISCORSO INGIUSTO:
E gli oratori
pubblici?
DISCORSO GIUSTO:
Culirotti!
DISCORSO INGIUSTO:
L'hai
detto. -
Chi sono i capipopolo?
DISCORSO GIUSTO:
Culirotti!
DISCORSO
INGIUSTO:
Concedi
che tu parlavi a vanvera!
Volgiti adesso al
pubblico.
Di chi c'è piú abbondanza?
Guarda!
DISCORSO
GIUSTO:
Guardo!
DISCORSO INGIUSTO:
E che vedi?
DISCORSO
GIUSTO:
Santi Numi! Cinedi...
Cinedi a maggioranza!
Questo conosco... e
quello...
e lí, quel zazzeruto...
DISCORSO INGIUSTO:
Che ti
par?
DISCORSO GIUSTO:
Son battuto!
(Gitta il suo mantello fra gli
spettatori)
Prendete il mio mantello,
gente di culo aperto,
che io tra
voi diserto!
(Si lancia e si perde fra gli spettatori. In questa esce
Socrate)
SOCRATE (A Lesina):
E cosí? Prendi e meni via tuo figlio,
o
vuoi che nel parlare io l'ammaestri?
LESINA:
Ammaestralo, picchialo,
ricòrdati
di temprarmelo in modo che una guancia
sia capace a trattare i
processetti,
e quell'altra gli affari d'importanza.
SOCRATE:
Va'
franco! Un fiore di sofista, avrai!
TIRCHIPPIDE:
E allampanato, certo, e
disgraziato!
CORIFEO:
Ma entrate dentro, omai!
(Socrate, Lesina e
Tirchippide si avviano; il corifeo guarda Lesina)
Diman te ne avvedrai!
Vi
direm che bazza ai giudici toccherà, se al nostro Coro
si compiaccion, com'è
giusto, accordar l'appoggio loro.
Punto primo, se vorrete dissodare i campi,
a voi
pria che a ogni altro noi la pioggia manderemo; e agli altri,
poi.
Delle viti, d'ogni vostra piantagione avrem poi cura,
affinché non le
distruggano troppa piova, troppa arsura.
Se all'opposto alcun mortale noi,
divine, non rispetta,
vuol sapere che servizio gli faremo? Dia qui
retta!
Già né uva piú raccogliere mai potrà, né altri frutti
dal podere:
ché ogni vite, ogni ulivo, come butti,
stroncheremo: certe frombole
possediamo bene acconce!
Quando impasta dei mattoni, manderemo acqua a
bigonce;
sotto scariche di grandine le sue tegole andran rotte;
e se
sposa, egli, un parente, un amico, tutta notte
pioverem: sí che piuttosto ei
vorrebbe in pieno Egitto
ritrovarsi, anziché avere calpestato il buon
diritto!
PARTE TERZA
LESINA (Esce di casa portando un sacco di
farina):
Quintultimo, quartultimo, terzultimo,
poi penultimo, poi súbito
quello
che m'empie di terrore, mi fa recere,
mi fa rizzare i peli... la
scadenza!
Tutti i miei creditori mi minacciano
di chiamarmi in giudizio, e
ognuno giura
di rovinarmi e assassinarmi. Eppure,
io pretendevo il giusto,
il ragionevole!
«Amico, questa parte non riscuoterla,
rinnovami
quest'altra, e questa abbonala!»
Dicono che in tal modo finirebbero
per
non pigliare nulla, e mi vituperano,
che sono un imbroglione, e che mi
vogliono
far causa. E me la facciano, la causa,
adesso! Se Tirchíppide ha
imparato
a ragionare, me n'importa poco.
Vo' al Pensatoio, e me n'informo
súbito.
(Picchia)
Ehi là di casa! - Ehi di casa! - Ehi di casa!
SOCRATE
(Esce):
Lesina, riverito!
LESINA:
Riverito!
E intanto, prendi
questo!
(Gli dà il sacco di farina)
L'onorario
pel maestro, ci vuole! -
E di' se il mio
figliuolo, quello ammesso al corso or ora,
quel tal
discorso l'ha imparato!
SOCRATE:
L'ha
imparato!
LESINA:
Ma bene,
onnipotente
nostra Signora dell'Imbroglio!
SOCRATE:
E adesso
puoi
farla franca in qualsivoglia causa!
LESINA:
Anche se c'era testimoni,
quando
feci il prestito?
SOCRATE:
Meglio, se ce n'erano
un migliaio
presenti, meglio assai!
LESINA:
Un altissimo grido all'etra io
scaglio!
Viva, viva! In malora gli usurai,
e il capitale, ed il frutto dei
frutti!
Farmi quei tiri brutti
non potrete piú mai!
Nella mia casa evvi
un figliuol che sfolgora
per lingua a doppio taglio,
salvezza alla magion,
mio baluardo,
dei nemici sbaraglio,
alleviatore dei paterni guai!
Su',
entra, e fallo uscir senza ritardo!
(Socrate entra)
Figlio, figlio, esci
fuore!
Ascolta il genitore!
(Torna Socrate, e conduce Tirchippide,
emaciato, sordido,
senza scarpe ai piedi)
SOCRATE:
Questi è quel
desso!
LESINA:
Amore, anima mia!
SOCRATE:
Pigliati il tuo figliuolo,
e fila via!
(Rientra nel Pensatoio)
LESINA (Guardando amorosamente il
figliuolo):
Evviva, evviva, figlio! Evviva, evviva!
Che gusto, al sol
veder la cera tua!
Or ti si legge in viso il contraddire,
il contestare,
il romper le parole
all'avversario con un: dille grosse!,
l'arte di fare
il male e soverchiare,
e fare il soverchiato! Ora hai la grinta
d'Attico
vero! - Or vedi di salvarmi,
giacché m'hai rovinato!
TIRCHIPPIDE:
E di
che temi?
LESINA:
Del giorno della luna vecchia e
nuova!
TIRCHIPPIDE:
Ah! C'è un giorno di luna vecchia e
nuova?
LESINA:
Già! Quello in cui mi vogliono
citare!
TIRCHIPPIDE:
Vedrai che ci rimettono le spese!
Ci può essere un
giorno con due lune,
una vecchia e una nuova?
LESINA:
Non può
essere?
TIRCHIPPIDE:
E come? A meno che la stessa donna
non possa
essere a un tempo vecchia e giovane!
LESINA:
Pure, è cosí la
legge!
TIRCHIPPIDE:
Se non entrano
nello spirito vero della
legge!
LESINA:
E qual è questo
spirito?
TIRCHIPPIDE:
L'antico
Solone, amico vero fu del
popolo.
LESINA:
Oh cosa c'entra con la luna vecchia
e
nuova?
TIRCHIPPIDE:
Egli fissò, con le due lune,
due dí per le
chiamate; ed i depositi
li volle consegnati a luna nuova.
LESINA:
E
perché aggiunse la vecchia?
TIRCHIPPIDE:
Perché
i citati potessero
accordarsi
coi creditori a luna vecchia; e in caso
contrario, si potesse
rinnovare
la citazione a luna nuova.
LESINA:
E allora,
come avviene
che accettano i depositi
a luna vecchia, e non a luna
nuova?
TIRCHIPPIDE:
Fanno, dico io, come gli assaggiatori;
per la
fretta di prendere i depositi,
fanno tutto lo scialo in un sol
giorno.
LESINA:
Bene!
(Si rivolge agli spettatori)
E voialtri,
poveracci, scemi,
che ci state a far numero? Zimbelli
di noi saggi,
macigni, pecoroni,
mucchi di cocci? Un inno alzo or di giubilo
per la
ventura di mio figlio e mia!
(Canta)
- Oh te beato, Lesina,
come saggio
tu sei,
e qual possiedi figlio! -
diran gli amici miei
e quei della
tribú, non senza invidia
allor che tu saprai con l'eloquenza
vincer le
liti! Pria mangia un boccone!
Entra nella magione!
(Entra con
Tirchippide)
PASCIONE (Entra, accompagnato da un testimonio):
E dunque, un
uomo ha da buttare il suo?
Mai e poi mai! Però, quant'era meglio
far muso
duro allora, e non pigliarmi
gatte a pelare! Per avere il mio,
ora t'ho da
far fare il testimonio,
e per giunta mi devo inimicare
un paesano. Ma non
vo' far torto
al mio paese, finché tiro il fiato,
e fo citare
Lesina...
LESINA (Uscendo improvvisamente):
Chi è?
PASCIONE:
A luna
vecchia e nuova...
LESINA (Volto al testimonio):
Testimonio
tu, che
ficca due lune in un sol giorno.
Che cosa vai
cercando?
PASCIONE:
Quelle poche
centinaia che avesti per
comprarci
un cavallo pezzato...
LESINA:
Che cavallo?
(Agli
uditori)
Non lo sentite? Lo sapete voi
se li ho in uggia, i
cavalli!
PASCIONE:
E mi giurasti
per tutti i Numi di
restituirmeli!
LESINA:
Vero, perdio! Ma allora il mio figliuolo
non
sapeva il discorso insuperabile!
PASCIONE:
E per questo, ora pensi di
negarmeli?
LESINA:
E che frutto, se no, ne caverei
da tanto
studio?
PASCIONE:
E per questo, sei pronto
a spergiurare i
Numi?
LESINA:
I Numi? Quali?
PASCIONE:
Giove, Ermète,
Posídone...
LESINA:
Perdio,
ci metterei la giunta di tre soldi,
per
cavarmene il gusto!
PASCIONE:
E crepa! Sei
pure cosí
sfrontato?
LESINA (Dipingendo coi gesti la pinguedine di Pascione):
A
scorticarlo
e conciarlo, l'amico può servire!
PASCIONE:
Ah! Mi
canzoni?
LESINA:
N'uscirebbe un otre
da sei boccali!
PASCIONE:
Ah
pel gran Giove e i Numi,
non mi darai la berta impunemente!
LESINA:
Ma
che gusto, quei Numi! E per chi sa
come stanno le cose, è poco ameno,
quel
giurare per Giove?
PASCIONE:
Tu da' tempo
al tempo, e poi me la dovrai
scontare!
Ma fammi andare! - Dammi una risposta:
vuoi pagarmi, sí o
no?
LESINA:
Sta lí un momento:
ti rispondo all'istante in modo
esplicito.
(Entra in casa)
PASCIONE (Al testimonio):
Che credi che
farà? Che pagherà?
LESINA (Torna con un pollo in mano):
Dov'è quello che
vuole i miei quattrini?
(Mostra a Pascione il pollo)
Dimmi, questo che
è?
PASCIONE:
Che è? È un pollo!
LESINA:
E mi chiede quattrini, un
uomo fatto
a questo modo? Una polla la chiami
pollo? Tu non li vedi i miei
quattrini!
PASCIONE:
Dunque, non paghi?
LESINA:
No, secondo
me!
Ti vuoi sbrigare a metterti le gambe
in collo? Via da questa casa,
lesto!
PASCIONE:
Vado, vado; ma sappi che ti chiamo
in giudizio; e se
no, muoia sul colpo!
LESINA:
Farai la giunta a quelle centinaia.
Avrei
proprio voluto risparmiartela!
(Pascione esce)
Che babbione però! Pollo
una polla!
(Entra piagnucolando Benmiguardo)
BENMIGUARDO:
Ahi lasso,
ahi lasso!
Ahimè, ahimè!
LESINA:
Chi è questo che piange? Niente
niente
sarebbe uno dei Numi di Grancino?
BENMIGUARDO (Tragico):
Chi io
mi sia saper bramate? Un uomo
dai mali oppresso!
LESINA:
Scialaci in
famiglia!
BENMIGUARDO (Tragico):
Dèmone infesto, e dei miei cocchi
sorte
distruggitrice e dei cavalli miei!
Come in rovina mi mandasti, o
Pallade!
LESINA (Più tragico):
Qual Tlepòlemo a te male
facea?
BENMIGUARDO:
Non mi burlare, amico! E digli che
mi renda quei
quattrini avuti in prestito,
al tuo figliuolo: che fra l'altre cose,
sono
in male acque.
LESINA:
Quei quattrini? Quali?
BENMIGUARDO:
Quelli
che prese in prestito!
LESINA:
Davvero,
se non mi sbaglio, hai fatto un
brutto affare!
BENMIGUARDO:
I miei cavalli nel guidar mi
caddero!
LESINA:
Ora ti casca l'asino! Che
cianci?
BENMIGUARDO:
Ciancio perché rivoglio la mia roba?
LESINA:
È
pazzo, non c'è dubbio!
BENMIGUARDO:
E perché pazzo?
LESINA:
Perché
mi sembri uscito di cervello.
BENMIGUARDO:
E tu mi sembri, per Ermète,
entrato
in tribunale, se non mi ridai
quel che mi devi.
LESINA:
Un
momento. Rispondimi.
Credi che il cielo piova sempre acqua
nuova, o che il
sole attiri dalla terra
sempre, via via, la stessa
acqua?
BENMIGUARDO:
Non ne
so nulla, e non mi preme.
LESINA:
E
come meriti
di riavere i tuoi quattrini, quando
nulla tu sai delle celesti
cose?
BENMIGUARDO:
Se vi trovate al verde, almeno datemi
il
frutto.
LESINA:
Che animale è, questo frutto?
BENMIGUARDO:
Che
dev'essere? A mese a mese, a giorno
a giorno, il capitale si fa
piú
grosso, piú grosso, con l'andar del tempo!
LESINA:
Molto bene! - E
di' un po'. Credi che il mare
sia piú grosso di prima,
ora?
BENMIGUARDO:
Perdio,
no certo! È uguale! Non è già
possibile
che cresca!
LESINA:
E allora, povero infelice,
se il mar
non cresce per il confluirvi
di tanti fiumi, come vuoi che crescano
i tuoi
quattrini? - Mi ti vuoi levare
dai piedi? - Qua un bastone!
BENMIGUARDO
(Agli spettatori):
Testimoni
voialtri...
LESINA
(Picchiandolo):
Trotta, puro sangue! Che
aspetti?
BENMIGUARDO:
È
questa prepotenza o no?
LESINA:
Cammini? Ti fo andare io,
bilancino,
punzecchiandoti il culo! Te la batti!
(Benmiguardo
scappa)
Un altro po', sai dove ti schizzavo,
te, con le ruote e i cocchi
ed ogni cosa!
(Entra in casa)
CORO: Strofe
Che è, prender
passione
per l'arte del briccone!
Il vecchio or n'è fanatico,
né piú
restituir vuole i quattrini
che presi aveva in prestito.
Ma qualche briga
gli farà d'un tratto
pur oggi, ad onta di quei suoi rampini,
tutte scontar
le birberie ch'à fatto.
Antistrofe
Presto otterrà, cred'io,
quello
ond'ebbe desio:
che il figlio suo spertissimo
nel dir tutto il contrario
alla giustizia
fosse, e potesse vincere
chi a contrasto con lui fosse
venuto,
anche dicendo ogni piú gran nequizia.
Ma pure, pur, dovrà bramarlo
muto!
(Dalla casa esce correndo Lesina: Tirchippide lo insegue
bastonandolo)
LESINA:
Ahimè, ahimè!
Oh vicini, oh parenti, oh
borghigiani,
al soccorso! Mi picchiano, mi rompono
l'ossa! - Ahi la mia
testa! Ahi la mia guancia!
Empio! Picchi tuo padre?
TIRCHIPPIDE
(Calmissimo):
Ma sí, babbo!
LESINA:
Vedete? Mi bastona e lo
confessa!
TIRCHIPPIDE:
E come!
LESINA:
Scellerato,
parricida,
scassinamuri...
TIRCHIPPIDE:
Ripeti, ripeti,
e mettici la
giunta! Lo sai bene
che a sentir certa roba, io vo in
solluchero!
LESINA:
Culo sfondato!
TIRCHIPPIDE:
Sono rose;
cuoprimici!
LESINA:
Picchi tuo padre?
TIRCHIPPIDE:
E ti
dimostrerò
che ti picchio per Giove, a buon diritto.
LESINA:
Pezzo di
scellerato! E come mai
si può picchiare a buon diritto un
padre?
TIRCHIPPIDE:
Te lo dimostrerò, te ne farò
convinto
ragionando.
LESINA:
Tu convincermi
di tanto!
TIRCHIPPIDE:
E molto
facilmente! Scegli
quale devo adoprar dei due discorsi.
LESINA:
Quali
discorsi?
TIRCHIPPIDE:
Il da meno e il da piú.
LESINA:
Bell'affare,
per Giove, ammaestrarti
a confraddire il giusto, se tu adesso
mi devi
dimostrar ch'è bello ed equo
che tocchi busse dal figliuolo, un
padre!
TIRCHIPPIDE:
Pure, spero di farti persuaso
in modo tal, che,
udito che tu m'abbia,
non possa replicarmi una parola.
LESINA:
Voglio
proprio sentir ciò che dirà!
CORO: Strofe
Vecchio, provvedi al mezzo che
quest'uomo
ora da te sia domo!
Se non avesse in cui fidare,
intrepido
sarebbe egli a tal segno?
Ch'abbia motivo a tanto osare,
leggilo
nel protervo contegno.
CORIFEO: Invito
Or donde primamente la
zuffa incominciò
tu devi esporre al Coro: non tardare a far ciò.
LESINA:
Arringo
Donde mosser le ingiurie? Adesso ve lo spiego.
Mentre, come
sapete, s'era a pranzo, lo prego
che dia mano alla lira, e canti la
canzone
di Simonide sopra la tosa del montone.
E lui, che fare musica a
desco, è un'anticaglia,
è roba da donnaccole che mondano
granaglia.
TIRCHIPPIDE:
Per ciò sol busse e calci meritavi
d'avanzo!
Che sono una cicala, per cantare anche a
pranzo?
LESINA:
Giusto cosí s'espresse allor come or s'esprime;
e poi
diede a Simonide del cane. Sulle prime,
sebbene a gran fatica, pure mi tenni
a freno.
Poi gli chiesi che, il ramo preso di mirto, almeno
declamasse un
po' d'Eschilo. E lui rispose tosto:
«Sí, giusto fra i poeti gli assegno il
primo posto!
Quel fanfarone senza capo né coda, duro
piú d'un macigno,
tutto frastuono!». V'assicuro
che mi scoppiava il cuore; ma ingozzando la
bile:
«E tu cantami qualche pezzo di nuovo stile, -
dissi - di questa roba
tutta finezza!» E quello
attaccca una tirata d'Euripide: un fratello
che
una sorella, Dio guardi, uterina fotte!
Qui non mi tengo; e súbito glie ne
dico di cotte
e di crude; e poi, come succede, una parola
tira l'altra; e
lui salta su, m'afferra alla gola,
mi pesta, e squassa e
stritola...
TIRCHIPPIDE:
Fu degna penitenza!
Se lesini la lode a
quell'arca di scienza
d'Euripide!
LESINA:
Che arca di scienza! Non mi
fate
parlare, ché ne busco dell'altre!
TIRCHIPPIDE:
E
meritate!
LESINA:
Meritate! Ma come? Se t'ho allevato io,
studiandomi
d'intendere ogni tuo balbettio!
Dicevi bumba? Io súbito ti davo l'acqua.
«Pappa!»
E io stavo lí pronto col panino. «Mi scappa!»
Non finivi di
dirlo, che ti pigliavo su,
ti conducevo fuori, ti reggevo. Ma tu,
birbo,
mentr'io testé
strillavo, urlavo, che
me la facevo addosso,
non ti sei
mica mosso
per trarmi fuor dell'uscio!
Strizza strizza, ho finito
per
farla sul piantito!
CORO: Antistrofe
Credo che il cuor sobbalzi ai
giovinetti
che aspettano i suoi detti.
Ché se l'amico a chiacchiere
giustifica
tutto quello ch'ei fece,
d'ora in avanti la pelle d'un
vecchio
io non la pago un cece!
CORIFEO (A Tirchippide):
Controinvito
Trova ora, oh tu che nuovi discorsi agiti e svelli,
il modo
di convincerne che il giusto tu favelli!
TIRCHIPPIDE:
Oh che gusto,
trascorrere fra novità la vita,
tra finezze, e infischiarsene della legge
sancita!
Quando volto ai cavalli era ogni mio pensiero,
non potevo
infilare tre parole, che m'ero
già imbrogliato. Ma ora, che distolto
l'amico
m'ha da quelli, e coi fini concetti me la dico,
coi discorsi e i
pensieri, posso addurre le prove
che castigare il babbo cosa è
giusta!
LESINA:
Per Giove,
torna prima ai cavalli! Sarà miglior
partito
pagare il tiro a quattro, che a bòtte esser
finito!
TIRCHIPPIDE:
Donde m'hai rotto il filo, ripiglio. E ti
domando
questa cosa per prima. Tu mi picchiavi, quando
ero
bimbo?
LESINA:
Sí, avevo per te tutte le cure,
e cercavo il tuo
bene!
TIRCHIPPIDE:
Non è giusto ch'io pure
di te mi prenda cura nel
medesimo modo,
se cercar l'altrui bene vale picchiarlo sodo?
Perché
dev'esser macero di bòtte il corpo mio,
e il tuo no? Forse libero nato non
sono anch'io?
(Tragico)
Piangono i figli: e il padre non dee
piangere?
(Ripigliando il tono dimostrativo)
Tu che la legge vale pei
bimbi, mi rimbecchi;
oppongo io che bambini sono due volte i vecchi:
e i
vecchi piú che i giovani dovrian patir le pene,
tanto, quanto il fallire a
lor piú si sconviene!
LESINA:
Ma di trattare il padre cosí, mica si
legge
in nessun codice!
TIRCHIPPIDE:
Era o no, chi questa
legge
stabilí primo, e a chiacchiere far convinti poté
quelli d'un tempo,
un uomo come me, come te?
E un'altra non ne posso far io, che d'ora in
poi
i figli a loro volta picchino i padri? E noi
dimentichiam le antiche
busse: le bastonate
date pria della legge, vadan pure abbonate.
Del resto,
guarda i galli e bestie altre siffatte,
come gli tengon fronte, al padre, se
le batte!
E pure, in che le bestie differiscon da noi,
eccetto che non
scrivono decreti?
LESINA:
E se tu vuoi
pigliare in tutto i galli per
modello, perché
non mangi merda e dormi sul piòlo?
TIRCHIPPIDE:
Non
è
lo stesso, grullo! E Socrate non direbbe cosí!
LESINA:
A te le mani;
oppure dovrai scontarla, un dí!
TIRCHIPPIDE:
E
perché?
LESINA:
Perché giusto è che tu te le pigli
da me, per darle,
quando ti nascono, ai tuoi figli.
TIRCHIPPIDE:
E se poi non mi nascono, io
resto col sopruso
a mio conto, e tu muori ridendomi sul muso.
LESINA (Al
pubblico):
Mi par che il giusto ei dica. E a giustizia direi
che piegar ci
dovessimo, vecchi compagni miei.
Anche a noi, se manchiamo, bòtte! La legge è
onesta.
TIRCHIPPIDE:
Senti quest'altra, adesso!
LESINA:
Oggi mi fa
la festa!
TIRCHIPPIDE:
Non ti lagnerai, forse, di quel che ti
toccò!
LESINA:
Delle busse? Vuoi pure che mi facciano
pro'?
TIRCHIPPIDE:
Come ho te già picchiato, la mamma adesso
batto!
LESINA:
Che dici mai, che dici? Piú empio è un tal
misfatto!
TIRCHIPPIDE:
E che dirai, se ti saprò convincere,
il discorso
da meno adoperando,
che se picchio mia madre, opero ben?
LESINA:
Che?
Che se compi un atto sí nefando,
scaraventar nel baratro
tu ti dovrai con
Socrate
e il discorso da men!
(Si rivolge alle Nuvole)
In questi guai,
per voi, mi trovo o Nuvole!
Ché tutte io v'affidai le mie
faccende!
CORO:
Te li sei procacciati da te stesso,
i guai, dandoti
all'arte del briccone!
LESINA:
Perché, quand'è cosí, non me
l'avete
detto quand'era tempo, e avete messo
su questo pover'òmo vecchio e
zotico?
CORO:
Sempre cosí facciamo, a chi vediamo
che piglia gusto a
fare birbonate,
finché poi lo cacciamo in qualche guaio,
sí ch'egli impari
a rispettare i Numi!
LESINA:
Nuvole mie, salata fu ma giusta,
la
lezione! I quattrini avuti in prestito
non dovevo negarli! - Andiamo,
adesso
vieni con me figlio mio bello, e pianta
Socrate e quel dannato
Cherefonte,
che ci hanno messi tutti e due nel sacco!
TIRCHIPPIDE:
Mai
farò torto ai precettori miei!
LESINA:
Sí, sí, rispetta Giove
patrio!
TIRCHIPPIDE:
Eccoci
col Giove patrio! Oh che barbogio sei!
E
che, c'è, Giove?
LESINA:
Altro!
TIRCHIPPIDE:
Non c'è, non c'è!
Ha
spodestato Giove, e regna Vortice!
LESINA:
Che spodestato! Io me la
credetti
per via di questo vortice! Ah, tapino
me! Non ho preso vortici
per Numi?
TIRCHIPPIDE:
Parla, parla da te, sfógati a
chiacchiere!
(Via)
LESINA:
Oh che pazzia! Pazzo davvero fui,
che
buttai via gli Dei per via di Socrate!
(Si volge a una statuetta d'Ermete
collocata dinanzi alla sua casa)
Ma non tenermi il broncio, Ermète caro,
e
non mi rovinare: compatiscimi,
se la testa perdei per quattro
chiacchiere.
Dammi un consiglio tu: devo chiamarli
in tribunale, o cosa
devo fare?
(Ascolta un istante)
Sí, mi consigli bene! Niente cause!
Ma
presto e lesto dò fuoco alla casa
di queste lingue infami. Rosso,
Rosso!
Portami qui di fuori scala e zappa,
sali sul Pensatoio, se vuoi
bene
al tuo padrone, e lí scàssina i tegoli,
sinché la casa gli rovini
addosso!
(Il servo obbedisce)
E a me, portate una fiaccola accesa:
ché
io, per quanto sono fanfaroni,
glie la farò scontare, a qualcheduno!
(Sale
sul tetto, e appicca il fuoco in vari punti)
UNO SCOLARO (Affacciandosi alla
finestra):
Oh, oh!
LESINA:
Fiaccola, fatti onore! Brucia a
modo!
SCOLARO:
Coso, che fai?
LESINA:
Che cosa devo
fare?
Sottilizzo coi travi della casa!
ALTRO SCOLARO:
Poveri noi! Chi
dà fuoco alla casa?
LESINA:
Quello a cui sgraffignaste il
palandrano!
CHEREFONTE:
Ci ammazzi, tu, ci ammazzi!
LESINA:
E questo
voglio!
A meno che la zappa non deluda
le mie speranze! E se no, voglio
prima
cascare a terra e fracassarmi il collo!
SOCRATE:
Ehi, coso! Che
ci fai, lí, sopra il tetto?
LESINA:
Per l'ètra mòvo, e il sol dall'alto io
guardo!
SOCRATE:
Ahimè! Povero me! Triste me!...
Soffoco...
CHEREFONTE:
Misero me! Sarò ridotto in cenere!
LESINA:
E
con che ardire insultavate i Numi,
e andavate a cercar sino nel culo
della
luna? Giú botte, giú sassate!
Sotto! Per tante cause se le meritano,
ma
innanzi tutto per le offese ai Numi!
CORIFEO:
Guidateci fuori: abbastanza
- durata è quest'oggi la danza!