LE DONNE ALLA FESTA DI DEMETRA
di Aristofane
traduzione di Ettore Romagnoli


PERSONAGGI DELLA COMMEDIA:
MNESILOCO
EURIPIDE
SERVO di Agatone
AGATONE
CORO di Agatone
CORO di Donne
SACERDOTESSA
BANDITRICE ed ORATRICI
CLISTENE
Un PRITANO
Un ARCIERE SCITA


PROLOGO

Strada avanti alla casa d'Agatone. Entra Euripide, camminando con fretta
esagerata: Mnesiloco lo segue con lazzi di stanchezza e malumore.

MNESILOCO:
   Quando ti si rivede, o rondinella!
   Perdio, l'amico, qui, tira alla pelle:
   mi porta a zonzo da stamani all'alba.
   Prima ch'io sputi un'ala di polmone,
   si può sapere dove andiamo, Euripide?
EURIPIDE (Con enfasi):
   Udir non devi ciò che or or vedrai
   con gli occhi tuoi.
MNESILOCO:
   Come hai detto? Ripetilo.
   Non ci devo sentir?
EURIPIDE:
   No, quando sia
   presso a vedere.
MNESILOCO:
   Dunque, non ci devo
   neppur vedere?
EURIPIDE:
   No, qualor sia cosa
   che udir si dée.
MNESILOCO:
   Che consigli mi dài?
   Eppure, parli bene: non ci devo
   né sentir, né vedere, dici tu.
EURIPIDE:
   Già: distinta natura han le due cose.
MNESILOCO:
   Il non vederci e il non sentirci?
EURIPIDE:
   Sappi
   che ben t'apponi.
MNESILOCO:
   Distinta? E in che modo?
EURIPIDE:
   Cosí tai cose fûr disposte un giorno.
   Quando l'ètere pria si scisse, e in grembo
   si generò le semoventi fiere,
   pria la pupilla, onde convien si vegga,
   alla sfera del sol simile estrusse,
   e, imbuto ai suoni, traforò le orecchie.
MNESILOCO:
   Ah! Per via dell'imbuto, non ci vedo
   e non ci sento. Che gusto, saperlo! -
   Gran bella cosa, farsela coi dotti!
EURIPIDE:
   Molte di queste cose io posso apprenderti.
MNESILOCO:
   Perché non trovi modo, oltre a codesta
   bazza, di farmi rompere una gamba?
EURIPIDE:
   Vieni qui, dammi retta.
MNESILOCO:
   Eccomi qua.
EURIPIDE:
   La vedi, questa porticina?
MNESILOCO:
   Eh, mica
   son orbo!
EURIPIDE:
   Zitto!
MNESILOCO:
   Ho da zittir la porta?
EURIPIDE:
   Odi!
MNESILOCO:
   Ho da udire e da zittir la porta?
EURIPIDE:
   Ha qui dimora il celebre Agatone,
   lo scrittor di tragedie.
MNESILOCO:
   Chi Agatone?
EURIPIDE:
   È un certo Agatone...
MNESILOCO:
   Uno robusto,
   moro?
EURIPIDE:
   No, un altro: non l'hai visto mai?
MNESILOCO:
   Che, niente quel barbone?
EURIPIDE:
   Non l'hai visto
   mai?
MNESILOCO:
   No, perdio, che almeno io sappia.
EURIPIDE:
   Certo
   fottuto l'hai, ma non lo sai neppure.
   Ma stiamo un po' in disparte, ché s'avanza
   uno dei servi suoi, recando rami
   di mirto e fuoco: prima di comporre,
   sembra che offrire un sacrifizio intenda.
SERVO D'AGATONE (S'avanza grave, con l'occorrente per un sacrifizio,
brucia incenso, e canta):
   Taccian le turbe, restino
   tutte le labbra chiuse,
   però che il sacro tíaso
   venuto è delle Muse
   a far del mio padrone
   canora la magione.
   Freni i suoi spiri placida
   l'aura, taccia nel pelago
   l'azzurro cavallone.
MNESILOCO (Con la stessa enfasi):
   Pezzo di fanfarone...
EURIPIDE:
   Zitto!
MNESILOCO:
   Ma che farnetica?
SERVO D'AGATONE:
   I pie' frenin le belve
   use a correr le selve,
   del sonno su li aligeri
   scenda l'oblivïone...
MNESILOCO:
   Buffone, arcibuffone!
SERVO D'AGATONE:
   Ché s'appresta il mellifluo
   signor nostro Agatone...
MNESILOCO:
   A che fare? Il mignone?
SERVO D'AGATONE:
   Chi parla?
MNESILOCO:
   L'aura placida!
SERVO D'AGATONE:
   D'un dramma i fondamenti
   a gittar: nuovi investiga
   di versi adattamenti,
   qua lavora di tornio,
   piú là di colla, conia
   sentenze e antonomasie,
   incurva, gitta in forma,
   a mo' di cera impasta...
MNESILOCO:
   e fa da pederasta!
SERVO D'AGATONE:
   Qual selvaggio al recinto
   s'appressa?
MNESILOCO:
   Io, che in procinto
   son di dar forma e fondere
   entro il recinto
   a te del culo, e teco
   al signor tuo mellifluo,
   questo irto pascipeco.
SERVO D'AGATONE:
   Da giovanotto, assai protervo, oh vecchio,
   esser dovevi tu.
EURIPIDE:
   Lascialo perdere,
   e senza indugio chiamami Agatone!
SERVO D'AGATONE:
   Pregar non devi: uscirà fuori súbito.
   Incomincia a comporre: e, sendo inverno,
   non gli saria curvar le strofe agevole,
   se non venisse, fuor dell'uscio, al sole.
MNESILOCO (Con lazzi d'impazienza):
   Io che sto a fare?
EURIPIDE:
   Aspetta, adesso viene!
   (Volge gli occhi al cielo, e prorompe tragicamente)
   Che vuoi, Giove, di me fare quest'oggi?
MNESILOCO:
   Voglio proprio sentir di che si tratta. -
   Perché ti lagni? Perché ti disperi?
   Non devi aver segreti per tuo suocero!
EURIPIDE:
   Grave sul capo mio sciagura incombe.
MNESILOCO:
   Quale?
EURIPIDE:
   Sarà deciso entro quest'oggi
   se ancor fra i vivi o è già fra i morti Euripide.
MNESILOCO:
   Deciso! Se son chiusi i tribunali,
   oggi, e non c'è seduta nel consiglio,
   perché sono le mezze Tesmofòrie!
EURIPIDE:
   Proprio da questo il mio tracollo aspetto.
   Han congiurato contro me le donne,
   e dentro il Tesmofòrio oggi terranno
   un'adunanza per la mia rovina.
MNESILOCO:
   Perché?
EURIPIDE:
   Perché scrivo tragedie, e dico
   male di loro.
MNESILOCO:
   Eh, sai, ti calzerebbe
   come un guanto. E l'hai, qualche scappatoia,
   per cavartela?
EURIPIDE:
   Indur penso Agatone,
   lo scrittor di tragedie, ad introdursi
   nel Tesmofòrio.
MNESILOCO:
   E a far che, me lo sai
   dire?
EURIPIDE:
   A parlare, e far la mia difesa,
   se occorre.
MNESILOCO:
   A viso aperto, o di nascosto?
EURIPIDE:
   Di nascosto, vestendosi da donna.
MNESILOCO:
   Pensata fina, e proprio di tuo stile.
   Già, per pasticci, noi portiam la palma.
EURIPIDE:
   Zitto!
MNESILOCO:
   Che sarà mai?
EURIPIDE:
   Viene Agatone.
MNESILOCO:
   Dov'è?
EURIPIDE:
   Quello che portan su la macchina.
(Vien rotolato su la scena l'enciclema: sopra vi è Agatone, vestito
con ricercatezza muliebre, e accompagnato da parecchi coreuti
camuffati da fanciulle)
MNESILOCO:
   Ma che son proprio cieco? Non ci vedo
   nessun uomo, lassú: vedo Cirene!
EURIPIDE:
   Zitto, che anch'egli s'apparecchia al canto.
(Agatone preludia su una lira asiatica dalle numerose corde, con una
melodia a minuti intervalli, di tonalità irrequietissima)
MNESILOCO:
   Ma che suona? Una marcia di formicole?
AGATONE:
   Stretta la face, o vergini,
   sacra a le Inferne Dive,
   levate ne la libera
   patria voci giulive.
CORO:
   Di qual Nume è la festa?
   Dimmi; che sempre i Superi
   a venerar son presta.
AGATONE:
   Musa, del Dio dagli aurei
   strali di' tu la lode,
   per cui le mura sursero
   del Simoi su le prode!
CORO:
   Ne le belle canzoni,
   o Febo, salve! È il premio
   tuo, nei musici agoni.
AGATONE:
   Anche s'inneggi a la fanciulla Artèmide,
   che sui monti, fra selve
   di querce, gode saettar le belve.
CORO:
   Di Latona la chiara
   prole si esalti, Artèmide,
   ch'è del talamo ignara.
AGATONE:
   E Latona ricorda,
   e de la lira asiatica l'armonïosa corda,
   che in ben vibrati accenti
   de le Càriti frigie compon gli avvolgimenti.
CORO:
   E a Latona regina,
   e la cetra, degl'inni madre, si presti omaggio,
   col clamore gagliardo
   per cui sprizza dal guardo - divin del Nume un raggio,
   e per la nostra voce repentina.
AGATONE:
   Ora, in gloria di Febo, un grido intona.
CORO:
   Salve, beato figlio di Latona!
   (Levano tutti un altissimo grido di giubilo)
MNESILOCO (Durante la cantata ha finto con lazzi buffoneschi di
sdilinquire dal piacere: e infine accompagna con urla sconce il
grido di giubilo dei coreuti):
   Quanta, deh, venerande Genetíllidi,
   ha femminil soavità quel canto!
   Che magistero di lingua! Che forma
   leccata! Tanto, che, in udirlo, dolce
   prurito il codïon tutto m'invase!
   (Con enfasi ridicola)
   O giovincello, chi tu sia, come Eschilo
   fa nella Licurgía, chiederti voglio.
   Donde tal femminuccia? La sua patria
   quale? e il vestire? E quanto mai sono ibridi
   i suoi costumi! E che dirà la cetera
   alla zafferanina? e che la lira
   alla cuffia? e la fascia all'alberello
   da palestrita? Oh, quanto mal s'accordano!
   E come e specchio e brando insiem convennero?
   E tu stesso, o fanciul, maschio sei forse?
   Ma dov'è il pípi? e il farsetto? e le scarpe
   spartane? O forse femmina? Ma dove
   son le mammelle, allora? Che favelli?
   Che taci? Poiché tu dirmel non vuoi,
   da ciò che canti argomentar dovrò!
AGATONE:
   O vecchio, vecchio, udito ho il vituperio
   dell'invidia, né in sen duolo ne accolsi!
   Io, secondo i pensier', le vesti indosso;
   poi che i costumi suoi, secondo i drammi
   che scrive, trasformar deve un poeta;
   e se una donna è la protagonista,
   volgere il corpo a femminil costume.
MNESILOCO:
   Ah! ti fai cavalcar, se fai la Fedra!
AGATONE:
   Se invece un uomo, egli in se stesso trova
   quanto gli basta; e quel che poi gli manca,
   l'imitazion glie lo procaccia.
MNESILOCO:
   Chiamami,
   quando scrivi dei satiri, e collaboro
   con te, standoti dietro a pinco ritto.
AGATONE:
   Ed è sconcio spettacolo, vedere
   un vate ispido e rustico. Tu guarda
   Ibico, e il teio Anacreonte, e Alceo,
   che reser l'armonia piú delicata:
   portavan mitre, e stavan su la bella
   vita, a mo' degli Ioni. Guarda Frinico -
   questo l'avrai di certo inteso dire: -
   era lui bello, e andava ben vestito;
   e per questo eran belli anche i suoi drammi:
   ché, secondo natura oprare, è forza!
MNESILOCO:
   Ecco perché quel sudicio di Fílocle
   scrive sudicerie, gran birbonate
   quel birbone di Sénocle, e freddure
   quella minestra fredda di Teognide!
AGATONE:
   È giocoforza! Ed io, che non lo ignoro,
   ho ridotto il mio corpo...
MNESILOCO:
   Ah, bene assai!
EURIPIDE (A Mnesiloco):
   Finisci d'abbaiar! Tale ero anch'io
   all'età tua, quando a comporre impresi.
MNESILOCO:
   Non te l'invidio, no, l'educazione
   che avesti da ragazzo!
EURIPIDE (Ad Agatone):
   Ascolta or dunque
   per qual motivo a te qui venni.
AGATONE:
   Parla.
EURIPIDE:
   Saggio, Agatone, è quei che con bel garbo
   in pochi detti assai pensieri stringe.
   Da novella sciagura io bersagliato,
   supplice vengo a te.
AGATONE:
   Per qual bisogna?
EURIPIDE:
   Oggi le donne trameran, durante
   la festa, la mia morte, perché dico
   male di loro.
AGATONE:
   E noi che far possiamo
   in tuo favore?
EURIPIDE:
   Tutto! Ove t'intruda
   tu di soppiatto fra le donne, in modo
   da sembrar donna, e in mia difesa parli,
   salvo per te sarò: che degnamente
   di me parlare, solo tu sapresti.
AGATONE:
   E perché dunque a far la tua difesa
   non vai tu stesso?
EURIPIDE:
   Perché? Senti. Prima,
   son conosciuto. Poi, sono canuto
   ed ho tanto di barba. Invece, bello
   tu sei di tratti, candido, sbarbato,
   di voce femminil, vago, piacente.
AGATONE:
   Euripide!
EURIPIDE:
   Eh?
AGATONE:
   Non sono tuoi quei detti:
   «Grata è la luce a te: pensi che grata
   al genitor non sia?»
EURIPIDE:
   Sono miei.
AGATONE:
   Dunque
   non lusingarti che il malanno tuo
   ce l'accolliamo noi: stolti saremmo!
   Con la tua roba, scialaci in famiglia.
   Già, cercar gherminelle, è cosa indegna:
   convien chinarsi alla sventura innanzi.
MNESILOCO:
   Già, tu pur, col chinarti, in quello stato
   ti sei ridotto, e mica con le chiacchiere!
EURIPIDE (Ad Agatone):
   Ma perché mai d'andar colà paventi?
AGATONE:
   Peggio di te sarei spacciato!
EURIPIDE:
   E come?
AGATONE:
   Come? Parrebbe ch'io furar volessi
   le femminili opre notturne, e il gaudio
   delle donnesche voluttà carpire!
MNESILOCO:
   Carpire? Di' pigliartela nel culo!
   Ma la scusa, perdio, la trova bene.
EURIPIDE (Ad Agatone, supplicando):
   Dunque il farai?
AGATONE:
   Non lo sperare!
(Agatone sèguita ad occuparsi del suo Coro, e non bada piú ai due)
EURIPIDE (Con somma disperazione):
   Misero
   me, son finito!
MNESILOCO:
   Euripide carissimo,
   genero bello, non perderti d'animo!
EURIPIDE:
   E che mi resta?
MNESILOCO:
   Manda questo coso
   a quel paese, e a tuo piacere sèrviti
   di me!
EURIPIDE:
   Su via, poi che spontaneo t'offri,
   lèvati quel mantello!
MNESILOCO:
   Eccolo a terra...
   Ma che vuoi farmi?
EURIPIDE:
   Raderti la barba
   di sopra, rosolar quella di sotto.
MNESILOCO:
   Fa' un po'! - Che sbaglio ho fatto a sbilanciarmi!
EURIPIDE:
   Caro Agatone, prestaci il rasoio,
   tu che l'hai sempre indosso!
AGATONE:
   Entro l'astuccio
   prendilo da te stesso.
EURIPIDE:
   Oh nobil cuore!
   (A Mnesiloco)
   Siedi qui! Gonfia la mascella destra!
   (Comincia a raderlo con un mostruoso rasoio)
MNESILOCO:
   Ahimè!
EURIPIDE:
   Che strilli! Ti ficco un piòlo
   in gola, se non taci!
MNESILOCO:
   Ahimè, ahimè...
   (S'alza, e scappa)
EURIPIDE:
   Ehi, dove corri?
MNESILOCO:
   Al tempio delle Furie.
   Qui non ci resto, a farmi fare a pezzi,
   per Demètra!
EURIPIDE:
   Farai ridere i polli,
   con una gota rasa e una no.
MNESILOCO:
   Che me n'importa?
EURIPIDE:
   Non abbandonarmi!
   Vieni, in nome di Dio!
MNESILOCO:
   Povero me!
   (Si rimette a sedere)
EURIPIDE:
   Sta fermo, ed alza il mento. Ove ti volgi?
MNESILOCO:
   Uhhh...!
EURIPIDE:
   Che mugoli? Tutto è andato in regola.
MNESILOCO:
   Oh me infelice! Presterò servizio
   come castrato.
EURIPIDE:
   Non pensarci: fai
   davvero un figurone. Vuoi specchiarti?
MNESILOCO:
   Qua lo specchio!
EURIPIDE:
   Ti vedi?
MNESILOCO:
   No, perdio!
   Vedo Clístene!
EURIPIDE:
   Àlzati ed inchìnati
   ché ti rosoli!
MNESILOCO:
   Disgraziato me,
   ora son diventato un porcellino!
EURIPIDE:
   Chi mi reca una torcia od una lampada?
   (Un servo gli porta una torcia)
   Curvo, e bada alla punta della coda.
MNESILOCO:
   Ci baderò!... Ma, perdio, vado a fuoco!
EURIPIDE:
   Fa' cuor!
MNESILOCO:
   Che cuore, se m'hai cotto arrosto!
EURIPIDE:
   Ora è cosa da nulla: il peggio l'hai
   superato.
MNESILOCO (Soffiandosi su le parti bruciacchiate):
   Pfuhh! Vedi che fuliggine?
   Son tutto un bruciaticcio, fra le cosce.
EURIPIDE:
   Ti ci si passerà la spugna, càlmati.
MNESILOCO:
   Spugnarmi il culo? Guai chi ci si arrisica!
EURIPIDE:
   Agatone, poiché far di te copia
   non ci volesti, la fascetta almeno
   e il mantel danne per costui. Codesta
   roba, non potrai dir che tu non l'hai.
AGATONE:
   Prendetevela pur, non ve la nego!
MNESILOCO:
   Ho da pigliare? Che?
EURIPIDE:
   Questo guarnello
   color di zafferano indossa prima.
MNESILOCO:
   Per Afrodite, sí, dolce di bischero
   fragranza effonde. Su, sbrígati, infilamelo!
EURIPIDE (Ad Agatone):
   Dà la fascetta!
AGATONE:
   Eccola.
MNESILOCO:
   Questa roba
   qui, d'intorno alle gambe, me l'accomodi?
EURIPIDE:
   Servono rete e cuffia.
AGATONE:
   Io dar vi posso
   questa berretta che la notte cingo.
EURIPIDE:
   È proprio, affé di Dio, quel che ci vuole!
MNESILOCO (Infilandosi la berretta):
   Che, mi sta bene?
EURIPIDE:
   Proprio una pittura.
   (Ad Agatone)
   Dammi una sopravvesta.
AGATONE:
   Dal lettuccio
   prendi codesta.
EURIPIDE:
   E le scarpette?
AGATONE:
   Prendi
   qui queste mie.
MNESILOCO:
   Ma mi staranno bene?
   A te piace calzar di molto comodo!
AGATONE:
   Pensaci tu. Quel che t'abbisognava
   ora l'hai. (Ai macchinisti) Dentro in fretta trascinatemi.
   (L'enciclema è trascinato nell'interno)
EURIPIDE (Guardando Mnesiloco):
   Uomo è costui, ma nell'aspetto femmina! -
   Se parlerai, la voce àltera in modo
   Che ti prendan per donna!
MNESILOCO:
   Proverò!
EURIPIDE:
   Or dunque, vanne!
MNESILOCO:
   Per Apollo, no,
   se non mi giuri...
EURIPIDE:
   Che?
MNESILOCO:
   Di farmi salvo,
   se mi càpita un guaio, ad ogni costo!
EURIPIDE:
   Per l'ètra il giuro, magïon di Giove!
MNESILOCO:
   Che vuoi di piú? La dimora d'Ippòcrate!
EURIPIDE:
   Giuro altamente per i Numi tutti.
MNESILOCO:
   Ma non te lo scordar: giurò la mente,
   mica la lingua, sai! Quella non conta!
EURIPIDE:
   Sbrigati, presto: ché il segnale appare
   dell'assemblea sul Tesmofòrio: io parto!
   (Via)

PARODOS
(Dalle due párodoi cominciano ad entrare le donne che devono
celebrare i Misteri, portando delle ceste per i sacrifici e delle
fiaccole. Un attore camuffato da ancella si è unito a Mnesiloco)

MNESILOCO (Con falsetto donnesco):
   Qui, Tracia, dietro a me! - Lo vedi, Tracia,
   quante lampade accese, e quanta folla
   s'avanza sotto il fumo? - Oh voi, Tesmòfore
   belle belle, deh, fatemi buon viso,
   e nel ritorno a me siate compagne!
   Tracia, posa la cesta, e metti fuori
   la pizza, ché sacrifico alle Dive!
   (Offrendo il piccolo sacrifizio)
   Dèmetra, cara e veneranda Diva,
   e Persefone, deh!, mezzi aver possa
   per offrirvi sovente un sacrifizio!
   (A parte)
   - E se non altro, adesso non mi scoprano! -
   E quella porcellina di mia figlia
   peschi un marito ricco, e sia pur grullo
   e tondo: e ingegno e senno abbia il mio bimbo. -
   Dove, dove trovare un posto comodo
   per udir gli oratori? O Tracia, vattene,
   tu, ché alle schiave udire non è lecito! -
(L'ancella se ne va: le donne si sono intanto raccolte
intorno all'altare di Diònisio)
SACERDOTESSA:
   Silenzio, silenzio! Imploriamo le Tesmòfore, Dèmetra, e
   Core, e Pluto, e Calligèneia, ed Ermète, e le Grazie,
   perché quest'assemblea e questo congresso facciano la
   migliore e la piú bella riuscita, e sortano l'esito piú pro-
   ficuo per la città degli Ateniesi, e piú utile per noi, e
   perché prevalga il parere di colei che abbia le migliori
   vedute intorno agli Ateniesi e al sesso femminile. Questo
   imploriamo: e a noi ogni felicità.
   Io Peàn, io Peàn, allegria!
CORO:
   Sia questo il voto! Appaiano
   lieti nel santo Coro
   gli Dei: tu, Giove, o altissimo,
   tu, dalla cetra d'oro
   signor, che imperi sulla
   sacra Delo; e, fanciulla
   possente, tu dall'aurea
   lancia e le glauche ciglia,
   che siedi nella fulgida
   città nostra; e tu, figlia
   di Latona la bella,
   cacciatrice donzella.
   Sacro signor del pelago,
   Poseïdon, tu esci
   dall'antro dove i turbini
   volvonsi, asil dei pesci.
   Qui, di Nerèo marine
   figlie, qui, montanine
   Ninfe! E tu segui, o cetera
   d'oro, coi tuoi tinníti,
   le preci nostre! E possano,
   tutti compiendo i riti,
   d'Atene le matrone
   tener questa concione!
SACERDOTESSA:
   Gli Olimpi Dei si preghino, e le olimpie
   Dive, e i pizi e le pizie, e i deli e le
   delie, e gli altri Celesti, che se alcuno
   macchina qualche cosa contro il sesso
   femminile, o patteggia con Euripide
   oppur coi Persi, a danno delle femmine,
   o vuol farsi tiranno, o ricondurre
   i tiranni, o denunzia se qualcuna
   s'è procurato di nascosto un bambolo:
   se fa una serva la mezzana, e poi
   tutto all'orecchio del padron rifischia,
   oppure porta un'ambasciata falsa:
   se un seduttore una ragazza abbindola
   e manca alle promesse: se una vecchia
   mantiene un drudo: se una riceve
   l'amante d'un'amica, a tradimento:
   se un oste od un'ostessa la misura
   àltera del boccale o del quartuccio:
   pregate che in malora essi ne vadano
   con tutta la famiglia: e beni a iosa
   vogliano a tutte noi largire i Numi!
CORO:
   Perché sortan buon èsito
   tali preci in Atene
   e nei sobborghi, unanimi
   voti formar conviene:
   e vinca chi propose
   piú giovevoli cose!
   Quelle poi che pe 'l proprio
   vantaggio, a comun danno,
   i dati giuri infrangono,
   e traman qualche inganno,
   e cercan che abrogate
   sian le leggi fissate,
   e agl'inimici svelano
   nostri i gelosi arcani,
   e sovra il suolo patrio
   guidano i Persïani,
   a la città disdoro
   recan con l'empie loro
   opere, e danno. Oh massimo
   Giove, che tutto puoi,
   dèi tu far che benevolo
   il suo soccorso a noi,
   sebben femmine, presti
   il Coro dei Celesti!
BANDITRICE:
   Attente tutte a quel che fu deciso
   nell'assemblea delle donne! Timòtea
   presiedea, segretaria era Lisilla,
   parlò Sòstrata. All'alba delle mezze
   Tesmofòrie, che abbiam piú agio, tengasi
   una seduta, e prima si discuta
   quale castigo infliggere ad Euripide
   conviene: ch'egli ha gravi torti verso
   noi tutte. Chi domanda la parola?
DONNA A:
   Io!
BANDITRICE:
   Prima di parlare, cingiti questo serto!
CORO:
   Silenzio, attente! A guisa già d'oratore esperto,
   si spurga: ad un discorso lungo s'appresta certo!
DONNA A:
   Per le Dee, da nessuna ambizïone
   spinta, sursi a parlar, donne; ma già
   da bel pezzetto la mando giú male,
   imbrattate vedendovi di fango
   da Euripide, il figliuol dell'erbivendola,
   e i vituperî d'ogni specie udendo
   ond'ei vi copre. Di qual vizio mai
   non ci fa sozze? Qual calunnia mai
   ci risparmiò, come trovasse quattro
   ascoltatori e uno straccio di coro?
   Adultere ci disse, ubbriacone,
   pazze pei maschi, traditrici, lingue
   lunghe, tracollo dei mariti, buone
   da nulla. Cosicché, tornàti appena
   a casa dal teatro, adesso gli uomini
   ci sbirciano sottecchi, e cercan súbito
   se c'è nascosto qualche amante in casa.
   Né ci è lecito piú nulla di quanto
   si solea prima far, tanto costui
   ha scoperto ai nostri uomini le nostre
   marachelle. - Una intreccia una corona?
   - È fatta, è innamorata. Rompe un coccio,
   sfaccendando per casa? - Ecco il marito:
   «Per chi s'e rotta la pignatta? C'è da
   dirlo! Pel forestiero di Corinto!»
   Una ragazza non si sente bene?
   - Ecco il fratello: «Il colore di quella
   ragazza, non mi piace!» Può succedere
   che qualche sposa, non avendo figli,
   voglia comprarsi di nascosto un bambolo.
   Sí, nascondilo! Gli uomini ti stanno
   sempre fra i piedi. E ai vecchi, che solevano,
   per l'addietro, sposar le ragazzette,
   ci calunniò cosí, che nessun vecchio
   vuole ammogliarsi piú, per quel suo verso:
   «All'uom vecchio tiranna è la consorte!»
   E, grazie a lui, nei nostri appartamenti
   ci chiudon coi sigilli e a catenaccio,
   e ci guardano a vista, e a spauracchio
   dei nostri adoratori, in casa tengono
   dei can mastini. Eppure, a tutto questo
   ci si potrebbe passar sopra. Quello
   però che prima si poteva, essendo
   tesorïere ed amministratrici,
   pigliarci di nascosto olio, farina,
   vino, piú non possiam: perché i mariti
   portan con sé certe maledettissime
   chiavettine a tre denti, col segreto,
   di fabbrica spartana. Insino ad ora,
   tanto, aprivamo gli usci come prima,
   comprando un grimaldello da tre oboli;
   ma adesso questo Euripide, flagello
   delle famiglie, insegna a far le impronte
   con sigilli tarlati! - Or dunque sembrami
   che si debba tramar la sua rovina,
   o in un modo o nell'altro, o con veleno,
   o qualche altr'arte, e toglierlo di mezzo.
   Questo lo dico innanzi a tutte: il resto
   lo scrivo dopo, con la segretaria.
CORO:
   Piú sottil donna mai
   né oratrice piú abile
   sino ad oggi ascoltai!
   Quanto ella dice è vero;
   tutti gli aspetti investiga,
   pondera col pensiero.
   Acute cose ha dette,
   e parole molteplici
   rinvenne, e bene elette.
   Sí che, se ora Sènocle,
   di Càrcino gran prole,
   parlasse, a tutte, io penso,
   parrebbero di senso
   vuote le sue parole.
DONNA B:
   Venni per dire anch'io quattro parole.
   Le accuse di costei van tutte al segno:
   ora io vo' dirvi che servizio ha fatto
   proprio a me. Mio marito è morto in Cipro,
   e m'ha lasciati cinque bimbi, ch'io
   alla meglio, finora, ho mantenuti,
   intrecciando corone nel mercato
   dei mirti. Fino ad ora, o bene o male,
   l'ho strappata: ma questo, con le sue
   tragedie, adesso ha persuasi gli uomini
   che Numi non ce n'è: cosí, non vendo
   neppure la metà di prima! Adesso
   vi esorto dunque e vi consiglio a fargliele
   scontare tutte quante, e non son poche:
   ché i danni che ci fa, san di selvatico,
   perché cresciuto anch'egli fu tra i cavoli
   selvatici. Ma io torno al mercato:
   perché devo intrecciar venti corone
   per commissione di certi signori.
CORO:
   Di costei la baldanza
   quella dell'altra avanza.
   Con la sua parlantina
   idee ben giudiziose
   ed opportune espose,
   e intrecciate per bene, né di chiarezza prive,
   ma ben persuasive.
   Convien che delle offese
   fatte, quel galantuomo renda conto palese.
MNESILOCO:
   Che siate furibonde contro Euripide,
   udendo certe bricconate, o femmine,
   non può stupir, né che vi bolla il fegato.
   Anch'io, per quanto è ver ch'amo i miei pargoli,
   aborrisco quell'uomo! Eh, dovrei essere
   pazza, se no! Ma pure, discorriamola
   fra noi: sole siam qui, ne c'è pericolo
   che trapelino fuor le nostre dispute.
   Noi, proprio noi, gridiam la croce addosso
   e la mandiam giú male, se quell'uomo,
   sapute due o tre delle magagne
   nostre, le ha messe in piazza? Se ne abbiamo
   centomila! Io per prima, per non dire
   d'altre, ho di molte bricconate sulla
   mia coscienza: e la piú grossa e questa.
   Ero sposina da tre giorni appena,
   e mio marito mi dormiva a fianco.
   Ed avevo un amante, che a sett'anni
   mi sverginò. Costui, per la gran fregola
   di me, venne a raspar la porta. Súbito
   lo riconosco, e scendo di soppiatto.
   «Dove vai?» mi domanda mio marito.
   «Dove? Il dolore mi contorce i visceri:
   vo alla latrina!» - «Va' pure!» - E si mise
   a pestare ginepro, anaci, salvia.
   Io versai sopra i cardini un po' d'acqua,
   e corsi al ganzo mio. Lí, puntellandomi
   contro l'alloro, me ne stetti prona
   su l'altare d'Apollo. Questa, Euripide
   non l'ha mai detta. L'ha mai detto, come,
   se di meglio non c'è, dai mulattieri
   sbattere ci facciamo, e dai domestici?
   Ha detto come, quando insino a bruzzolo
   da qualche amante ci siam fatte fottere,
   sul far del giorno mastichiam dell'aglio,
   perché, tornando dalle mura, il povero
   marito ignori il guaio che gli càpita?
   Che ce n'importa, a noi, se Fedra ingiuria?
   L'ha detto mai, di quella, che, spiegò
   la mantellina avanti a suo marito,
   che la vedesse in piena luce, e fece,
   nascosto dietro quella, uscir l'amante?
   Mai non l'ha detto! Io ne conosco un'altra,
   che per ben dieci dí, finse d'avere
   le doglie: e il bimbo, infine; lo comprò.
   Il marito, frattanto, andava in giro
   a comprar medicine; e una vecchiaccia
   portò chiuso il marmocchio in una pentola,
   con un tappo di cera su la bocca,
   per non farlo strillar. Come la vecchia
   fece un segno, la femmina gridò:
   «Marito mio, va' via, va' via, mi sgravo,
   lo sento!» E infatti, il bambolo scalciava
   nel ventre della pentola. Il marito
   tutto contento uscí, l'altra sturò
   la bocca del piccino, ed i vagiti
   empieron casa. E la ribalda vecchia
   che avea portato il pargolo, volò
   tutta ilare al marito, e gli gridò:
   «Un leone, un leone oggi t'è nato!
   È proprio il tuo ritratto: è tutto tutto
   compagno a te, perfino il pipi, torto
   come una fava!» - Son le nostre o no,
   queste ribalderie? Proprio le nostre.
   E poi, ci riscaldiamo contro Euripide?
   Ma che ci ha dato piú del conto nostro?
CORO (Prorompendo con somma indignazione):
   Come dunque un fatto simile
   poté darsi? O meraviglia!
   Questa donna temeraria,
   di qual terra sarà figlia?
   Che tai cose osasse dire
   non l'avrei proprio pensata,
   né che avesse tanto ardire,
   questa donna spudorata!
   Dove andrem di questo passo?
   Dice ben l'antico motto:
   sotto ad ogni sasso spia,
   ché un orator di morso non ti dia!
   Se n'eccettui le femmine, niuna cosa maggior danno
   può recare delle femmine che pudore in sé non hanno.
DONNA A:
   Ah, no davvero, o donne, in voi non siete; ma
   o un filtro, o qualche male la mente offesa v'ha,
   se patite che oltraggi simili una tal peste
   ne scagli. Ma se donne siam davvero, su, preste
   sfraschiamo, con l'aiuto delle nostre fantesche,
   a costei, con la cenere, il macchion delle tresche,
   affinché lei, ch'è femmina, a non dir male apprenda,
   d'ora in poi, delle femmine.
MNESILOCO:
   Quel macchion non s'offenda!
   C'è libera assemblea, concessa è la parola
   a quante cittadine siam qui presenti; e sola-
   mente perché in favore d'Euripide diss'io
   quel ch'è giusto, coi peli dovrò pagarne il fio?
DONNA A:
   Pagare il fio non devi tu? tu che la difesa
   d'un uom che tanto male fece a noi tutte hai presa,
   d'un uom che ogni suo dramma, per dispetto, imbastiva
   su argomenti ove fosse qualche donna cattiva,
   Melaníppide o Fedra? Su Penelope, invece,
   che gli pareva saggia, mai dramma alcun non fece.
MNESILOCO:
   Io so perché: fra quante femmine ai tempi nostri
   vivono, di Penelopi, una non me la mostri!
   Son Fedre sino all'ultima.
DONNA A:
   Sentite come scaglia
   di nuovo contumelie, questo fior di canaglia!
MNESILOCO:
   Ma non l'ho mica detto, tutto quel che ho nel sacco.
   C'è di peggio, per Giove, se ne volete... Attacco?
DONNA A:
   Se hai messo fuori quanto sapevi! Or se' all'asciutto!
MNESILOCO:
   Non la decimillesima parte diss'io, di tutto
   ciò che si fa. Lo dissi, come, con la cannuccia
   che portiam per sorreggere le trecce, il vin si succia?
CORO:
   Schianta!
MNESILOCO:
   E come a bistecche la ruffiana si tratta
   nelle feste Apaturie? Dopo, è stata la gatta.
CORO:
   Trista me, che insulsaggini!
MNESILOCO:
   Quella che con la scure
   accoppò suo marito, non l'ho detta; e neppure
   quella che con un filtro ebbe di senno tolto
   il suo; né come sotto la tinozza sepolto
   da quell'altra...
CORO:
   Non crepi?
MNESILOCO:
   d'Acarne, il babbo fu.
DONNA A:
   Si può sentire, certa roba?
MNESILOCO:
   Né come tu,
   quando la tua fantesca partorí quel maschiotto,
   gliel carpisti, e la femmina tua le ponesti sotto.
DONNA A:
   Non sarà che tu dica certa roba, e la passi
   liscia, senza che il vello, per le Dee, ti scardassi.
MNESILOCO:
   Prova solo a toccarmi, per Giove!
DONNA A (Percotendolo):
   Ecco, to' piglia!
MNESILOCO (Restituendo la percossa):
   Ecco, to' piglia!
DONNA A (A una compagna):
   Reggimi, Filista, la mantiglia!
MNESILOCO:
   Accòstati soltanto, ed io...
DONNA A:
   Tu?
MNESILOCO:
   La focaccia
   ch'ài mangiata, di sèsamo, vo' che tu la rifaccia.
CORO:
   Tregua alle ingiurie pongasi: vêr noi corre in gran fretta
   una femmina: or via, - prima ch'ella qui sia,
   state zitte, ché in pace vogliamo darle retta!
CLISTENE (È sbarbato, e vestito con la massima effeminatezza;
giunge correndo):
   O donne care, per costume simili
   a me, si vede ben dalle mie guancie
   quanto amico vi sono. Io per le femmine
   vo' pazzo, e sono il loro propugnacolo.
   E or ora, inteso in piazza che si búcina
   d'un grosso affar che vi riguarda, súbito
   a voi son corso, perché stiate in guardia,
   e gli occhi apriate, e all'impensata cogliere
   non vi debba un negozio di tal càlibro.
CORO:
   Che v'è, fanciul? Poiché fanciul nomarti
   convien, finché le guance hai cosí rase!
CLISTENE:
   Si susurra che qui mandato Euripide
   abbia a spiare un suo vegliardo suocero.
CORO:
   Con qual disegno, ed a quale opra accinto?
CLISTENE:
   A sentire i discorsi, ed a conoscere
   quanto fra voi si dica e si deliberi.
CORO:
   E come mai non fu riconosciuto?
CLISTENE:
   Gli rase il mento, gli arse i peli, Euripide,
   e l'acconciò nel resto a mo' di femmina.
MNESILOCO:
   Ma che gli date retta? E chi sarà
   sí gonzo da lasciar che lo spelacchino?
   Per le Dee venerande, io non gli credo.
CLISTENE:
   Tu cianci! Non sarei venuto a dirvelo,
   se la fonte non fosse sicurissima.
CORO:
   Quanto ci hai detto, è cosa molto seria!
   Su via, d'indugi non è tempo, oh femmine!
   Guardiam, cerchiamo ove poté nascondersi
   quell'uomo: e tu, protettor nostro, cercalo
   con noi: quest'altro aggiungi al primo merito.
CLISTENE (Alla donna A):
   Su, tu per prima, chi sei?
MNESILOCO:
   Dove scappo?
CLISTENE:
   Bisogna esaminarvi.
MNESILOCO:
   Oh me tapino!
DONNA A:
   Chi sono io? La moglie di Cleònimo!
CLISTENE (Al Coro):
   E voi la conoscete, questa femmina?
CORO:
   Sí, si conosce, passa pure all'altre.
CLISTENE:
   Chi è quest'altra qui, col bimbo in collo?
DONNA A:
   La balia mia, per Giove.
MNESILOCO:
   Io me la svigno!
   (Si muove)
CLISTENE:
   Dove vai? Ferma lí!
MNESILOCO:
   Cosa ti piglia?
   Lascia che orini!
CLISTENE:
   Sei sfacciata bene!
   Ma fa' pure il tuo comodo, t'aspetto.
CORO:
   Davvero, aspetta, esaminala bene.
CLISTENE:
   Un secolo, ci stai!
MNESILOCO:
   Lo vedi? Ieri
   mangiai crescione, e oggi ho l'iscuría.
CLISTENE:
   Ma che vai crescionando! Vieni qui!
   (Lo trascina)
MNESILOCO:
   Mi sento male, e mi trascini!
CLISTENE:
   Dimmi:
   tuo marito, chi è?
MNESILOCO:
   Chi? Mio marito?
   Conosci coso, quello di Cotòcide?
CLISTENE:
   Coso? Chi coso?
MNESILOCO:
   Coso, che una volta
   coso, figlio di coso...
CLISTENE:
   O io mi sbaglio,
   o tu sbalestri. - E qui, ci sei venuta
   qualche altra volta?
MNESILOCO:
   Perdio, tutti gli anni!
CLISTENE:
   La tua compagna di tenda, chi era?
MNESILOCO:
   Cosa... Oh che strazio!
CLISTENE:
   Non rispondi a tòno!
DONNA A (A Clistene):
   Va' un po': la voglio esaminare in regola
   sui riti dell'altr'anno. E sta in disparte,
   tu: ché sei maschio, e udire non t'è lecito.
   (A Mnesiloco)
   Di', tu: qual si compié primo dei riti?
MNESILOCO:
   Il primo?... Aspetta quale fu... Si bevve.
DONNA A:
   Quale il secondo?
MNESILOCO:
   Ci si bevve sopra.
DONNA A:
   Te l'ha detto qualcuno. E il terzo, quale?
MNESILOCO:
   Foresta chiese un calice, perché
   l'orinale non c'era.
DONNA A:
   Le son chiacchiere!
   Clistene, vieni qui, Clistene! Questo
   è l'uom che dici.
CLISTENE:
   Che gli devo fare?
DONNA A:
   Spoglialo, via, ché non ne imbrocca una.
MNESILOCO:
   Spogliare me, di nove figli madre?
CLISTENE:
   Sfacciata, sciogli la fascetta, e súbito.
   (Comincia a spogliarlo)
DONNA A:
   Vedi come è massiccia e poderosa!
   E il seno come noi, non l'ha, per Giove.
MNESILOCO:
   Perché mai non incinsi e sono sterile.
DONNA A:
   Ora: e poc'anzi aveva nove figli.
CLISTENE:
   Sta ritto: dove lo nascondi il bischero?
DONNA A (Guardandogli dietro):
   Spunta qui: bianco e rosso ch'è un amore.
CLISTENE (Guardandogli dietro):
   Oh, dov'è?
DONNA A:
   Adesso è ripassato avanti.
CLISTENE (Guardando avanti):
   Se qui non c'è!
DONNA A:
   No, ora è qui di nuovo.
CLISTENE:
   Hai fra le gambe un istmo, eh, galantuomo?
   Tiri piú spesso avanti e indietro il bischero
   che i Corinzi le navi!
DONNA A:
   Eh, che briccone!
   Apposta, dunque, difendeva Euripide,
   e ci vituperava.
MNESILOCO:
   Oh me tapino,
   in che pasticcio mi sono ficcato.
DONNA A:
   Via, che si fa?
CLISTENE:
   Voi custodite bene
   costui, che a gambe darsela non possa:
   e la nuova ai pritani io recherò.
   (Parte in gran fretta)

INTERMEZZO DANZATO
CORO:
   Posi ognuna il mantello, la sua lampada accenda,
   e cerchi, virilmente succinta, se si asconda
   fra noi qualche altro intruso: faccia intorno la ronda,
   e la Pnice, e ogni passo perlustri, ed ogni tenda.
   (Gittano i mantelli, e, impugnate fiaccole, incominciano
   a figurare, con movimenti ritmici, una perlustrazione)
   Si badi ad avanzare, ora, con passo lieve,
   e a spiare in silenzio dappertutto: ma presto
   bisogna far: che tempo d'indugi non è questo:
   anzi correre in giro sveltissime si deve.
PRIMO SEMICORO:
   Muoviti in giro, e vedi
   se qualcun altro sia
   nascosto in queste sedi.
   (Evoluzione)

SECONDO SEMICORO:
   Tutto d'intorno gitta
   lo sguardo, e a manca spia
   attentamente, e a dritta.
   (Vanno prima a sinistra, poi a destra)
CORO:
   Se il coglierem, dell'empio
   oprare a noi ragione ei dovrà rendere,
   e a tutti quanti gli uomini
   servir dovrà d'esempio, perché fuggano
   le infami opre, e i costumi
   tristi; e dirà che esistono
   veracemente i Numi.
   E insegnerà pei Superi l'ossequio a tutti quanti
   gli uomini, e a compier solo atti permessi e santi,
   a pensar solo quanto è bello e lecito.
   E chi non voglia, cosi finirà.
   Se alle male opre intento, nella rabida
   follia, nel pazzo ardor colto sarà,
   tutte le donne, gli uomini tutti veder potranno
   che il Dio stesso, dei tristi scende e degli empî a danno.
   (Incominciano a raccogliersi di nuovo verso il centro dell'orchestra)
   Ma ci sembra d'avere ben cercato ogni posto,
   né scorgiam che alcun altro uomo sia qui nascosto.
(Mentre le donne si stanno aggruppando intorno all'altare,
Mnesiloco rapisce un bimbo ad una di loro e si rifugia
su l'altare di Diòniso)
DONNA B (Inseguendolo):
   Ehi, dove fuggi? Ehi là, ehi là, ti fermi?
   Tapina me, tapina, m'ha strappata
   la bambina dal seno, ed è scappato!
MNESILOCO:
   Sgolati pur; ma la tua bimba, se
   non mi lasciate, non l'imbocchi piú:
   ché le dal brando sovra i lombi aperte,
   sanguigne vene, arrosseran l'altare! -
DONNA B:
   Tapina me! Non mi aiutate, o donne?
   Non levate alte grida? Non fiaccate
   di costui la baldanza, e sopportate
   che priva del mio bimbo unico resti?
CORO:
   Ahimè, ahimè!
   Qual novello, oh venerande Parche, orrore io mirar deggio?
   Quale audacia, qual protervia! Qual eccesso non ardiva
   contro noi compiere, amiche!
MNESILOCO:
   Tal che fiacchi l'eccessiva
   tracotanza vostra.
CORO:
   Azioni non son queste orrende e peggio?
DONNA B:
   Veramente, azioni orrende: il mio bambolo mi prende!
CORO:
   Che dir bisogna,
   se tanto egli osa, e non se ne vergogna?
MNESILOCO:
   E non è ch'abbia smesso!
CORO:
   Ma se ti fu l'ingresso
   cosí facile, uscire
   non potrai certo, e dire
   che dopo un tale eccesso
   svignartela potesti:
   amico, oggi ci resti.
MNESILOCO:
   Voglia un Dio che tal fato resti da me lontano!
CORO:
   Alle tue birbonate qual Dio presterà mano?
MNESILOCO:
   Lasciar la bimba, non la lascio: parlate al vento.
CORO:
   Ma presto avrai motivo d'esser poco contento:
   dei vituperî e i tristi detti ben presto avrai
   il guiderdon che meriti, e dell'empie opre. Omai,
   rivolta, la fortuna
   novelli mali sul tuo capo aduna.
   (Alla donna B)
   Con te le ancelle prendi, legna raccogli, e tosto
   ardiam questo briccone, cuciniamolo arrosto.
DONNA B:
   Andiamo a prender dei sarmenti, o Mània.
   (A Mnesiloco)
   Oggi ti vo' ridurre come un tizzo.
MNESILOCO:
   Sí, accendi, brucia! - Tu frattanto, o bimba,
   la cretesina lèvati. Sul capo
   sol di tua madre il sangue tuo ricada!
   (Tolte le vesti alla bimba, si trova fra le mani
   un otre pieno di vino)
   Oh, che rob'è? La bimba è diventata
   un otre pieno di vino? E calzava
   le pianelline? Oh donne, aride spugne,
   barili senza fondo, che il pretesto
   di ber pescate onde che sia: risorsa
   grande per gli osti, e rovina per noi
   e per le masserizie ed il telaio.
(Tornano le donne con fasci di sarmenti)
DONNA B:
   Mettigli accosto assai sarmenti, o Mània!
MNESILOCO:
   Mettili, sí! Ma tu, di', questo bimbo
   l'hai partorito, dici?
DONNA B:
   E l'ho portato
   ben dieci mesi in seno.
MNESILOCO:
   In seno, hai detto?
DONNA B:
   Per Artèmide, sí!
MNESILOCO:
   Tien tre boccali,
   o quanto? Me lo dici?
DONNA B:
   Ah, che m'hai fatto!
   Una bimba a quel modo, l'hai spogliata?
   Spudorato!
MNESILOCO:
   A qual modo?
DONNA B:
   Cosí piccola!
MNESILOCO:
   Quanti anni fa? Tre pinte o quattro?
DONNA B:
   Giusto
   cosí: vide la luce alle Dionísie.
   Dammela!
MNESILOCO:
   Fossi pazzo, per Apollo!
DONNA B:
   E allora, ti si brucia.
MNESILOCO:
   E voi bruciatemi!
   Ma presto e lesto io sgozzerò la bimba.
DONNA B:
   No, te ne prego: in vece sua, fa' quello
   che vuoi di me.
MNESILOCO:
   Le tue viscere sono
   di vera madre: e tuttavia la sgozzo.
   (Fende l'otre, e il vino si spande su l'altare)
DONNA B:
   Viscere mie! Dammi il catino, o Mània,
   che della bimba almen raccolga il sangue.
MNESILOCO:
   Mettilo sotto: questo lo concedo.
DONNA B:
   Crepa! Sei poco invidïoso e tristo!
MNESILOCO:
   La pelle spetta alla sacerdotessa.
DONNA B:
   Che spetta, alla sacerdotessa?
MNESILOCO (Porgendo l'otre vuoto):
   Questo!
DONNA C:
   Chi, miserrima Mica, orba ti fece,
   chi ti strappò la bambinella amata?
DONNA B:
   Questo birbone: ma giacché sei qui,
   fagli la guardia: intanto, io prendo Clístene,
   e denunzio ai pritani il galantuomo!
(Tutte le donne partono, e Mnesiloco rimane
sotto la custodia della donna C)
MNESILOCO:
   A quale astuzia chiederò salute?
   Che penserò? che tenterò? Chi causa
   è del mio male, e m'ha cacciato in questo
   ginepraio, non giunge. Or via, qual messo
   spedire gli potrei? Lo stratagemma
   del Palamede io so. Com'egli fece,
   scriverò sopra i remi, e al mare poi
   li affiderò. Ma remi non ce n'è!
   (Agli spettatori)
   Dove trovar potrei dei remi? Dove?
   (Guardando degli idoletti di legno che si trovano su l'altare)
   Se scrivessi su queste statuette,
   invece che sui remi? Anzi, son meglio!
   Legno son queste, e legno erano quelli!
   (Incomincia a scrivere su uno degli idoletti,
   e canticchia pateticamente)
   O mani, opra si dia
   a un impresa che schiudami
   di salute la via!
   O levigati legni,
   in voi restino impressi
   de lo scalpello i segni,
   che dei tormenti miei vadano messi.
   - Ahimè, che sgorbio ho
   fatto con questo ro!
   Dove finisce questa stanghetta?
   (Incomincia a scagliare gli idoletti in varie direzioni)
   Per ogni tramite movete in fretta,
   di qua, di là:
   quello che preme, è la celerità.

PARABASI
CORO:                                  Parabasi
   Rivolte agli uditori, le nostre lodi adesso
   facciam. Suol dire ognuno corna del nostro sesso:
   siam la pèste degli uomini, vengono i mali tutti
   da noi, risse, contese, rivolte, guerre e lutti.
   Ma perché mai, se siamo quella pèste che dite,
   ci prendete per mogli? Perché ci proibite
   di starcene in finestra, di uscire per la via,
   e la pèste guardate con tanta gelosia?
   Se esce una donnetta, quando, tornàti a casa,
   non la trovate, súbito furor l'alma v'invasa:
   mentre un'offerta ai Numi far ben lieti dovreste,
   che stia lunge, né in casa vi rimanga la pèste.
   Se in casa altrui, pe'l gioco stanche; ci coglie il sonno,
   tutti, attorno ronzandoci, veder la pèste vonno.
   S'affaccia una? La pèste sbircian tutti. Ha vergogna,
   e si ritira? Allora sí, ciascheduno agogna
   che di nuovo al balcone quella pèste si mostri:
   tanto maggiori sono dei vostri i pregi nostri.
   Ma veniamo alla prova: ché noi del vostro conto
   sparliamo, e voi del nostro. Si osservi, ed un confronto
   s'istituisca, a nome contrapponendo nome,
   un d'uomo, uno di donna. Parlano i fatti, come
   Càrmino di Nausimaca valga men. Salabacca
   val cento Cleofonti, per quanto sia baldracca.
   Chi mai con Aristòmaca, quella di Maratona,
   chi di voi con Stratònica, da tempo omai, tenzona?
   Quei tali senatori che abdicaron l'altr'anno
   al poter loro, d'Eubula forse miglior' saranno?
   Neppur essi, il direbbero! Perciò noi ci si vanta
   d'esser di voi migliori. Di', rubàti cinquanta
   talenti dall'erario, qual mai donna oserà
   farsi tirar sul cocchio in pubblica città?
   Quando avrà preso molto molto, sarà una sporta
   di gran, che a suo marito lo stesso dí riporta!

                                       Stretta
   Ma fra costoro, parecchi ne osservi
   che di tal onta si sono macchiati,
   che piú di noi della gola son servi,
   e tagliaborse, e buffoni, e pirati:
   e valgon meno di noi, senza dubbio,
   nel serbar l'asse paterno: il cestello
   noi sempre intatto portiamo ed il subbio,
   la spola e l'ombrello;
   ma quanti il subbio con tutta la cuspide,
   fra i nostri sposi, perdettero in guerra;
   ed a quanti altri l'ombrello dagli omeri
   scivolò giú a terra!
CORIFEO:                               Epirrema
   Rimprocciam, noi donne, agli uomini, molte cose, e con ragione.
   Una, poi, passa ogni limite. Certo, qualche distinzione
   converria serbar per quale di noi donne desse a luce
   un figliuol che avvantaggiasse la città, stratego o duce,
   ed il posto nelle Stenie, nelle Scire, e in qual tu vuoi
   riserbarle delle feste che si celebran fra noi.
   Ma dovria, se vile o inetto partoriva alcuna un figlio,
   trïerarco tristo, o malo conduttore di naviglio,
   dietro a quella che un gagliardo partoria, con rasi crini
   rimanere. E a chi potrebbe parer giusto, o cittadini,
   che d'Iperbolo la madre, con gran chioma e manto bianco,
   debba star, di lei che Lamaco generò, seduta a fianco,
   e che presti ad interesse? Quando presta ad interesse
   a qualcuno, e vuole il frutto, converria ch'ei non gliel desse,
   ma negandole i quattrini, le dicesse: «Oh, sei del frutto
   degna tu, che di tue viscere ne porgevi un sí bel frutto?»

PARTE SECONDA
MNESILOCO (È sempre rifugiato su l'altare, e guarda verso le párodoi,
se arriva Euripide. La vecchia gli fa la guardia):
   Aspetta, aspetta, mi sono sguerciato.
   E lui non viene. Che lo tratterrà?
   Ah! si vergognerà di quella broda
   del Palamede, non può esser altro!
   Con che dramma lo adesco?... Ora ci sono!
   Farò la scimmia all'Elena moderna:
   il vestito da donna, non mi manca!
VECCHIA:
   Che hai da borbottare e strabuzzare?
   Te la dò io, l'Elena, se non stai
   tranquillo, finché arrivano i pritani!
MNESILOCO (Con caricatura):
   Ecco del Nilo le fluenti, altiere
   di vezzose fanciulle: ei bagna, invece
   dell'eterea piova, il bianco Egitto,
   fertile di sirmea negro alle genti.
VECCHIA:
   Che briccone, per Ecate Lucifera!
MNESILOCO:
   Ignobile non è la patria mia:
   Sparta: e mio padre è Tindaro!
VECCHIA:
   Ah, capestro,
   quello è tuo padre? Tuo padre è Rospetto!
MNESILOCO:
   Elena detta fui.
VECCHIA:
   Mi ridiventi
   daccapo donna, e ancora hai da saldare
   il conto della prima metamorfosi?
MNESILOCO:
   Molte per me spirâr su lo Scamandro
   alme d'eroi.
VECCHIA:
   Ma tu non ci crepasti:
   peccato!
MNESILOCO:
   Ora son qui; né giunge ancora
   Menelao sposo mio. Deh, perché vivo
   tuttor?
VECCHIA:
   Perché sono poltroni i corvi.
MNESILOCO:
   Ma sento al cuore mio come un solletico:
   Zeus, la mia nuova speme, oh, non deludere!
EURIPIDE (Vestito come il Menelao dell'«Elena»):
   Il sire ov'è di queste altiere sedi,
   che i peregrini, da burrasche affranti
   nel procelloso mar, naufraghi, accolga?
MNESILOCO:
   Di Pròteo questa è la magion!
EURIPIDE:
   Qual Pròteo?
VECCHIA (Ad Euripide):
   O pover'òmo, bada che t'abbindola.
   Da dieci anni, perdina, è morto Protea.
EURIPIDE:
   E in qual terra approdò la nave nostra?
MNESILOCO:
   In Egitto.
EURIPIDE:
   Ahi, tapin, dove approdossi!
VECCHIA:
   Gli dài retta, a quel birbo? Neppur lui
   sa quel che dice. È il santuario, questo.
EURIPIDE:
   E adesso, è in casa, o di qui lungi è Pròteo?
VECCHIA:
   Il mal di mare, forestiero mio,
   ti tien tuttora incitrullito. Pròtea,
   ti sto dicendo, è bell'e morto; e tu
   ripicchi: È in casa, oppure è fuor di casa?
EURIPIDE:
   Ahi, morto! Ed in qual tomba ebbe sepolcro?
MNESILOCO:
   Questo è il tumulo suo, dov'or sediamo.
VECCHIA:
   Pezzo di birba, ti pigliasse un canchero!
   L'altare hai cuore di chiamarlo tumulo?
EURIPIDE:
   O stranïera, di funeree bende,
   cinta, a che siedi in questo asil di morte?
MNESILOCO:
   Debbo, costretta a nozze ingrate, il talamo
   partecipare col figliuol di Pròteo!
VECCHIA (A Mnesiloco):
   Perché ripigli in giro il forestiero? -
   Oh forestiero, questo fra noialtri
   per rubare il tesoro, c'è venuto!
MNESILOCO:
   Abbaia pur, di contumelie cuoprimi!
EURIPIDE:
   Questa vecchia chi è, che ti vitupera?
MNESILOCO:
   Teonòe, figlia di Pròteo!
VECCHIA:
   Io? Santi Numi,
   Critilla sono, figlia d'Antifèo,
   del demo di Gargetto: e tu se' un birbo!
MNESILOCO:
   Ciancia a tua posta: non però fia mai
   che il tuo germano io sposi, e rompa fede
   al mio signore Menelao, ch'è in Troia!
EURIPIDE:
   Donna, che mai dicesti? A me rivolgi
   le abbaglianti pupille!
MNESILOCO:
   Ah, mi vergogno
   di te: troppe la gota onte sofferse!
EURIPIDE:
   Ma che?... mi muor su le labbra la voce...
   Numi, che veggio mai? Donna, chi sei?
MNESILOCO:
   E tu chi sei? Quel che tu chiedi io chiedo.
EURIPIDE:
   Sei forse Ellèna, o qui nascesti, o donna?
MNESILOCO:
   Ellèna: ma te ancor conoscer bramo.
EURIPIDE:
   Tutta, mi sembri Elena, al volto.
MNESILOCO:
   E a me tu Menelao... quello dei cavoli!
EURIPIDE:
   Sí, tu miri quell'uomo infelicissimo!
MNESILOCO:
   Oh giunto alfin della tua sposa in braccio!
   Prendimi, prendimi, oh signor! Circondami
   de le tue braccia! To' un bacio! Rapiscimi,
   rapiscimi, rapiscimi, rapiscimi,
   sul cuor tuo, senza indugio!
(Euripide fa per trascinar via Mnesiloco)
VECCHIA:
   Ah, giuraddio,
   pover'a chi ti tocca! Gli rivogo
   questa fiaccola in testa!
EURIPIDE:
   La mia sposa,
   la figliuola di Tíndaro, tu nieghi
   che a Sparta io meni?
VECCHIA:
   Mi sembri tu pure
   un bel furfante: gli ci tieni il sacco!
   Apposta egittavate! - Ma tu, presto
   l'hai da scontare: ecco pritano e arciere.
EURIPIDE:
   Questa mi secca! Ma convien svignarsela.
MNESILOCO:
   E io, povero me, che faccio?
EURIPIDE:
   Sta
   di buon animo: ch'io non t'abbandono
   finch'io respiri, o non rimanga a secco
   delle infinite gherminelle mie!
MNESILOCO:
   E intanto, questa l'abbiam fatta corta!
(Euripide parte. Entrano un pritano e un arciere: Mnesiloco
nasconde pudicamente il viso)
PRITANO:
   Questo è quel birbo che diceva Clístene?
   Nascondi il viso, eh?
   (All'arciere)
   Portalo a quel palo,
   e legacelo, arciere; e dopo, messolo
   qui, fa' la guardia, e non lasciar che alcuno
   gli si avvicini; ma prendi una frusta,
   e se qualcuno gli si accosta, picchialo.
VECCHIA:
   Sí, che, per Giove, adesso adesso un trappola
   un altro po' me lo portava via!
MNESILOCO (Al pritano):
   Per quella destra, che se alcuno t'offre
   lo sbruffo, volentier porgi, o pritano,
   fammi, in punto di morte, anche una grazia!
PRITANO:
   Che grazia?
MNESILOCO:
   Prima che mi leghi al palo,
   fa' che l'arcier mi spogli nudo: ch'io
   cosí vecchio, non debba col guarnello
   giallo e la mitra, far ridere i corvi
   a cui da pranzo servirò.
PRITANO:
   Deciso
   fu nel consiglio che cosí vestito
   legar ti si dovesse, affinché veda
   chiunque passa, che canaglia sei!
MNESILOCO:
   Ahi, ahi, guarnello! Me l'hai fatta grossa. -
   Piú non m'avanza di salvezza speme!
(Il pritano parte, e lo Scita lega Mnesiloco al palo)

INTERMEZZO DANZATO
CORO:
   Su via, diamoci ai giuochi - sí come in questi lochi
   nella sacra stagione rito è alle donne, quando
   le pure orgie alle Dive celebriam, che Pausone
   venera, digiunando
   anch'egli, e implora supplice, di stagione in stagione,
   che tali feste spesso - goder gli sia concesso.
CORIFEO:
   Lànciati, avanza,
   sfiora coi pie' la terra,
   volgiti, la man serra
   nella man, de la danza
   serba il numero, incedi
   sui prontissimi piedi,
   lo sguardo gira
   tutto d'intorno, e mira
   dei Cori l'ordinanza.
   (Evoluzione)
PRIMO SEMICORO:
   E insiem dei Numi
   canta e loda l'olimpia
   stirpe, come del ballo nell'ebrezza costumi.
SECONDO SEMICORO:
   Se alcun ritiene
   che io, donna, nel tempio
   voglia sparlar degli uomini, colui non pensa bene.
CORO:
   Ma nostra cura
   sia d'avanzarci súbito,
   d'un vago ballo in tondo segnando la misura.
   (Nuova evoluzione)
CORIFEA:
   Avanza, e della cétera
   il sire esalta, e Artèmide
   Dea cacciatrice, veneranda e pura.
CORO:
   Dio dell'arco, a te gloria!
   Concedi a noi vittoria!
CORIFEA:
   Ad Era anche si lèvino
   gl'inni, che in tutti gode
   i cori, ed è degl'imenèi custode.
CORO (Leva un grido di acclamazione)
CORIFEA:
   Anche a voi piaccia, o agreste
   Ermète, o Pane, o care
   Ninfe, ridenti queste
   nostre danze mirare.
CORO (Acclama)
CORIFEA:
   Muovi, con uno scoppio
   di mani, al passo doppio.
CORO (Batte le mani e danza)
CORIFEA:
   Si scherzi adesso, o donne, sí come è nostro rito,
   e sia digiuno stretto.
   (Evoluzione)
   Con ritmo grazïoso moviamo ad altro sito,
   e ogn'inno sia perfetto.
   (Evoluzione)
   Tu stesso, o cinto d'ellera
   signor, Bacco, ne guida:
   t'esalterò con agili
   danze festose grida.
CORO:
   Diòniso, evoè!
CORIFEA:
   Semele, o Bromio, o figlio
   di Zeus, te a luce dette:
   a te fra i balli l'animo
   gode: su alpestri vette
   tu fra soavi cantici
   muovi di Ninfe il pie'!
CORO:
   Evoè, evoè!
CORIFEA:
   D'intorno a te risuonano
   gli echi del Citerone,
   le negre frondi fremono sui vertici
   e il petroso burrone,
   e ti circonda - dei suoi tralci l'ellera
   da la vezzosa fronda!
(Il Coro leva alte e prolungate grida di giubilo)
ARCIERE:
   Stendare atesse a ciel serene qui.
MNESILOCO:
   Fammi una grazia, arciere.
ARCIERE:
   Ma che crazie!
MNESILOCO:
   Allenta un po' la gogna.
ARCIERE:
   Esser serfite.
   (La stringe di piú)
MNESILOCO:
   Di piú la stringi? O disgraziato me!
ARCIERE (Seguitando a stringere):
   Folere angora strincere?
MNESILOCO:
   Accidenti,
   accidentacci, che ti pigli un canchero!
ARCIERE:
   Fecchie priccone, stare zitte! - Antare
   a pigliare tappete, per star comode!
(Pone in terra una stuoia, vi si getta su, e si addormenta)
MNESILOCO:
   Che bei guadagni ho fatti con Euripide!
   Ahimè!
   (Su la scena appare Euripide, grottescamente camuffato da Perseo,
   su una caricatura di cavallo alato)
   Celesti e Giove salvatore!
   C'è speranza! L'amico non ha idea
   d'abbandonarmi! Vedo un certo Pèrseo
   che sbuca fuori, e fa segno ch'io faccia
   da Andromeda. Eh, di lacci, n'ho da vendere!
   Intanto, è chiaro che viene a salvarmi:
   se no, mica pensava a volar qui!
EURIPIDE:
   Care vergini, care...
   - Come accostarmi, come quello Scita ingannare? -
   M'odi tu, m'odi
   tu, che ripeter godi
   le voci entro gli spechi?
   Concedimi che presso quella donna io mi rechi!
MNESILOCO:
   Pietà non sente chi me di vincoli
   strinse, il piú misero d'ogni mortale!
   Sfuggita a mala pena la rancida
   vecchia, spacciato son tal'e quale:
   ché questa guardia scita, me, tapino e negletto
   dagli amici, esponeva qui, dei corvi a banchetto.
   (Canta con espressione comicamente patetica)
   Vedi? Né fra le vergini
   mie compagne, né a danza avvien che inceda
   col cestello dei voti; ma esposta in duri vincoli
   io sono, all'orca Verdazzurro in preda.
   O donne, non d'Imene
   i cantici, ma l'ululo
   che a captiva conviene
   levate. Al fondo, o misera,
   scesa d'ogni rovina -
   o tapina, tapina, tapina! -
   piango lo strazio che i miei parenti
   feron di me,
   ahimè, ahimè!,
   e quel mortale imploro, fra le lagrime
   e i funerei lamenti,
   che, fatto in prima barbaro scempio
   della mia barba, cintomi in gonne
   gialle, negli aditi di questo tempio
   mi spinse, dove sono le donne.
   Oh del fato implacabile
   Nume! Oh maledizion su la mia testa!
   E chi fia che impassibile
   consideri la mia sorte funesta?
   Oh! dall'ètra a distruggermi
   precipiti su me l'ignëa stella:
   ché piú l'incorruttibile
   luce del sole non mi pare bella,
   poi che fra orrendi spasimi
   io qui venivo appesa,
   dell'Orco volta verso la discesa.
EURIPIDE (camuffato come l'Eco dell'«Andromeda»):
   Salve, o fanciulla cara! E il genitore
   che t'espose, Cefèo, perdano i Numi.
MNESILOCO:
   Chi sei tu, che le mie pene commiseri?
EURIPIDE:
   Eco scherzosa che ripete i detti:
   che l'anno scorso, in questo luogo stesso,
   presi parte alla gara con Euripide.
   Ma fa' la parte tua, figliuola: fiotta
   miseramente!
MNESILOCO:
   E tu fiottaci sopra!
EURIPIDE:
   Lascia pur fare a me: comincia i lagni.
MNESILOCO (Canta):
   Deh, con che lungo corso,
   o sacra Notte, il plaustro
   pel costellato dorso
   tu sospingi del sacro ètra, solcando
   l'Olimpo venerando!
EURIPIDE:
   Venerando!
MNESILOCO:
   Perché tal copia di mali, Andromeda,
   ti die' la sorte?
EURIPIDE:
   Ti die' la sorte?
MNESILOCO:
   Ahimè, che morte!
EURIPIDE:
   Ahimè, che morte!
MNESILOCO:
   Col tuo cicaleccio vuoi farmi la festa!
EURIPIDE:
   Vuoi farmi la festa!
MNESILOCO:
   Chi ti ci manda, rompistivali?
EURIPIDE:
   Rompistivali?
MNESILOCO:
   Cantare lasciami la monodia;
   da brava, smettila, su via!
EURIPIDE:
   Su via!
MNESILOCO:
   Va' a quel paese!
EURIPIDE:
   Va' a quel paese!
MNESILOCO:
   Che guaio è questo?
EURIPIDE:
   Che guaio è questo?
MNESILOCO:
   Non intendo un cavolo!
EURIPIDE:
   Non intendo un cavolo!
MNESILOCO:
   Crepa!
EURIPIDE:
   Crepa!
MNESILOCO:
   Va' al diavolo.
EURIPIDE:
   Va' al diavolo.
ARCIERE (Svegliandosi, a Mnesiloco):
   Cosa cicalare?
EURIPIDE:
   Cosa cicalare?
ARCIERE:
   Io chiamare pritani!
EURIPIDE:
   Io chiamare pritani!
ARCIERE:
   Che cuaie essere queste?
EURIPIDE:
   Che cuaie essere queste?
ARCIERE (A Mnesiloco):
   Essere tu che parlare?
EURIPIDE:
   Essere tu che parlare?
ARCIERE:
   Toferti pendire!
EURIPIDE:
   Toferti pendire!
ARCIERE:
   Tu prentermi in cire!
EURIPIDE:
   Tu prentermi in cire!
MNESILOCO:
   Io no: è questa vecchia qui vicino!
EURIPIDE:
   Qui vicino!
ARCIERE:
   Tof'essere quella pirpande?
EURIPIDE:
   Tof'essere quella pirpande?
MNESILOCO:
   Adesso è scappata.
EURIPIDE:
   Adesso è scappata.
ARCIERE:
   Tofe, tofe scappare?
EURIPIDE:
   Tofe, tofe scappare?
ARCIERE:
   Toferti pendire!
EURIPIDE:
   Toferti pendire!
ARCIERE:
   Ancora parlare?
EURIPIDE:
   Ancora parlare?
ARCIERE:
   Prentere quella pirpona!
EURIPIDE:
   Prentere quella pirpona!
ARCIERE:
   Maletetta tonnaccia chiacchierona!
(Euripide parte, e l'arciere si rimette a dormire.
Dopo un po', si presenta di nuovo Euripide, camuffato da Perseo)
EURIPIDE:
   A qual giungemmo, o Dei, barbara terra,
   sul veloce talare? All'ètra in grembo
   solcandomi un sentier, l'alato piede
   io, Perseo, muovo, e il capo della Gòrgone
   meco recando, vo d'Argo al paese.
ARCIERE:
   Ti chi Còrcone tire? Lo scrifano?
EURIPIDE:
   Io reco, ho detto, il capo della Gòrgone
   d'Argo al paese!
ARCIERE:
   E antarci, a quel paese!
EURIPIDE:
   Qual rupe io miro, e sopra, a mo' di nave,
   pari alle Dee, legata una donzella?
MNESILOCO:
   Stranïero, pietà di questa misera!
   Sciogli i miei lacci.
ARCIERE:
   Stare zitte o no?
   Star per morire, e chiacchierare ancora?
EURIPIDE:
   Pietà di te, veggendoti sospesa,
   o fanciulla, mi muove!
ARCIERE:
   Che fangiulla!
   Esser fecchie improglione, pirpe, e latre.
EURIPIDE:
   Tu fametichi, o Scita! È questa Andromeda,
   la figlia di Cefèo!
ARCIERE:
   Cuartar purchiacca:
   parerti tonna?
EURIPIDE:
   A me la mano porgi,
   o Scita, e fa' che presso a lei mi trovi!
   Ha ciascun dei mortali i propri deboli:
   me di questa donzella amore accese!
ARCIERE:
   Io non oppormi. Se voltar le chiappe
   ti qui, non proipirti ti chiafarle;
   anzi, tarti una mane.
EURIPIDE:
   Ah! che non lasci
   ch'io la disciolga, o Scita, e in dolce amplesso
   con lei sul nuzïal talamo giaccia?
ARCIERE:
   Se smanïare per quel fecchie prutte,
   pucar tietre la tafola, e serfirti!
EURIPIDE:
   No, ma i suoi lacci sciolgo.
ARCIERE:
   E io frustarti.
EURIPIDE:
   Nondimeno il farò.
   (S'accinge a sciogliere Mnesiloco)
ARCIERE:
   E io tagliarti
   con un golpe di sciapola la testa!
EURIPIDE:
   Ahimè, che faccio? Che ragioni trovo?
   Nulla fa presa sopra questo barbaro!
   Se acute novità porgi alla gente
   rozza, le spargi al vento! Ad altra astuzia
   piú adatta per costui convien m'appigli.
   (Parte)
ARCIERE:
   Quande scimmiate afer fatte, folpaccia!
MNESILOCO:
   Pensa in che guai, Persèo, tu m'abbandoni!
ARCIERE:
   Cose, folere assacciare la frusta?
   (Si ributta giú, e si riaddormenta)
CORO:
   Te, danzatrice vergine,
   Palla, invochiam nei cori,
   te, che il talamo ignori,
   che detta sei clavígera,
   e Atene nostra reggi
   con visibili leggi:
   vien, come a te s'addice,
   dei tiranni odiatrice.
   Invocan te le femmine:
   t'avanza con la Pace,
   che di feste si piace.
   Venite, o Dee benevole,
   al nostro santuario,
   dove si niega agli uomini
   vedere i riti santi:
   e schiarino le fiaccole
   gl'immortali sembianti.
   Vi supplichiamo, o molto
   venerande Tesmòfore,
   se mai porgeste ascolto
   alle preghiere, piacciavi
   anche or di chi vi chiama
   esaudir la brama!

CATASTROFE
(Entra Euripide, travestito da vecchia, conducendo una giovinetta
danzatrice e una suonatrice di flauto)
EURIPIDE (Al Coro):
   Donne, se d'ora in poi fare volete
   tregua con me, l'occasïone è questa.
   Io prometto che mai v'oltraggerò,
   d'ora in poi: tale è la proposta mia.
CORO:
   Qual disegno t'induce a tal partito?
EURIPIDE:
   Mio suocero è costui legato all'asse.
   O fo di riaverlo, e voi da questa
   bocca piú non udrete alcun insulto;
   o non mi date retta, e metto in piazza
   che piatti preparate in casa ai vostri
   mariti, quando tornan dalla guerra.
CORO:
   In quanto a me, son bella e persuasa:
   vedi tu, se convincer puoi quel barbaro.
EURIPIDE:
   Questo è affar mio!
   (Alla ragazza)
   E il tuo, cervetta, è quello
   di ricordar ciò che per via ti dissi.
   Vien qui, prima, rimbóccati la veste!
   (Alla flautista)
   Tu suona un'aria persïana, o Tèreda!
(La suonatrice intona un'aria da ballo)
ARCIERE (Scuotendosi):
   Cos'esser questi suoni? Serenata?
   Afermi risfegliate!
EURIPIDE:
   Arciere, questa
   bimba voleva far le prove: deve
   andar da dei signori a fare un ballo.
ARCIERE:
   Pallare, fare prove! Io non tir niende. -
   Quant'essere lecciera! Parer pulce
   sopre coperta!
EURIPIDE (Alla danzatrice):
   Prendi un po', figliuola,
   questo mantello, e siedi sui ginocchi
   dello Scita. Cosí. Distendi i piedi,
   che ti scalzo.
ARCIERE:
   Sicure, sí, setere,
   setere, sí, sicure, figliettina! -
   Com'esser ture poppe! Parer rape!
EURIPIDE (Alla flautista):
   Piú svelta, con quel flauto!
   (Alla danzatrice)
   Hai piú paura
   dello Scita?
ARCIERE:
   Che cule pelle! - Tàrtele,
   se non stare al tue poste! - Che spettacole!
EURIPIDE (Alla danzatrice):
   Bene. Prendi il mantello, si fa tardi.
ARCIERE:
   Non tarmi un pacie, prima?
EURIPIDE:
   E perche no? -
   Daglielo!
ARCIERE:
   Uh, uh, uh, che lincua tolce!
   Parer miele ti prima qualità!
   Venire con me a lette?
EURIPIDE:
   Arciere, addio,
   questo non sarà mai!
ARCIERE:
   Sí, sí, fecchietta,
   farmi queste piacere!
EURIPIDE:
   Dài una dramma?
ARCIERE:
   Tartela, sí, sí, sí!
EURIPIDE:
   Quattrini avanti.
ARCIERE:
   Non afer solte! Prentere turcasse.
EURIPIDE (Consegnandogli la fanciulla):
   Riaccompagnala, poi.
ARCIERE:
   Fenire, figlia!
   (Ad Euripide)
   Fecchietta, intande tu far cuardia al fecchie.
   Come chiamarti?
EURIPIDE:
   Artemisia: ricòrdatelo
   bene, sai, questo nome!
ARCIERE:
   Sí, Artamusia.
   (Via con la ragazza)
EURIPIDE:
   Tu ne assisti finor, trappolatore
   Ermete!
   (Alla flautista)
   Piglia questa roba, o bimba,
   e scappa: io sciolgo questo galantuomo.
   (Incomincia a sciogliere Mnesiloco)
   Appena sciolto, tu dattela a gambe,
   e fila a casa, dalla sposa e i bimbi.
MNESILOCO:
   Scioglimi i lacci, e lascia fare a me.
EURIPIDE:
   Sei sciolto. Scappa via, prima che torni
   l'arciere, e ti ci acchiappi.
MNESILOCO (Dandola a gambe):
   E no, che faccio?
(Anche Euripide esce. Per un istante rimane la scena vuota,
poi tornano lo Scita e la danzatrice)
ARCIERE:
   Esser craziose tande tua figlietta,
   fecchietta! Essere niende schizzignosa,
   prestarsi assai!... Tof'essere fecchietta?
   (S'accorge che non c'è piú Mnesiloco)
   Essere rofinate! Il fecchie dove
   esser scappate? Fecchietta, fecchié...
   Fecchietta, aferla fatta troppe crossa!
   Artamussia!
   Fecchia afermela fatta!
   (Alla ragazza)
   Antare al tiavole!
   Essere antate per frecare, ed essere
   state frecate. Poverette me!
   Che fare? Of'esser fecchietta? Artamussia!
CORO:
   La vecchia, vuoi, che venne con l'arpetta?
ARCIERE:
   Sí, sí; tu, aferla fista?
CORO:
   Se n'è andata
   da questa parte, e la seguiva un vecchio.
ARCIERE:
   Il fecchie afer cuarnelle gialle?
CORO:
   Giusto!
   Se l'insegui di qui, li pigli ancora.
ARCIERE:
   Fecchiaccia infame! Da che parte prentere?
   Artamussia!
CORO:
   Va diritto costí!
   (L'arciere si slancia)
   Eh, dove corri?
   Non tornii indietro? Vai tutto al contrario.
ARCIERE:
   Pofere me! Correre preste preste,
   Artamussia!
   (Via di corsa dall'altra parte)
CORO:
   Corri, col vento in poppa, vattene alla malora!
   Ma quanto basta scherzammo: è ora
   che alla sua casa torni ciascuna:
   e le Tesmòfore ci diano, in cambio
   dei nostri scherzi, buona fortuna!
(In due schiere escono dalle due parodoi)


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