A cura di Mai Saroh Tassinari
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VITA E OPERE
Roland Barthes nacque a Cherbough, in Normandia. Dopo la morte del padre in una battaglia navale nel 1916, la madre, Henriette Binger Barthes, si trasferì a Bayonne, dove Roland trascorse la sua infanzia. Nel 1924 si trasferirono a Parigi, dove egli frequentò prima il liceo Montaigne (1924-30) e poi il Louis-le-Grand (1930-34). Nel 1927, Henriette diede alla luce un figlio illegittimo, Michel Salzado. Quando i nonni di Roland si rifiutarono di aiutare sua madre dal punto di vista economico, questa mantenne la sua famiglia lavorando come rilegatrice di libri. Alla Sorbona, Roland studiò la letteratura classica, le tragedie greche, la grammatica e la filologia, laureandosi in letteratura classica (1939) e grammatica e filologia (1943). Nel 1934 contrasse la tubercolosi e trascorse gli anni dal 1934 al 1935 e dal 1942 al 1946 in dei sanatori. Durante l’Occupazione, si trovava in un sanatorio a Isère. Numerose ricadute gli impedirono di terminare la sua tesi di dottorato, ma egli continuò a leggere avidamente, fondò una compagnia teatrale e incominciò a scrivere. Fu insegnante in dei licei di Biarritz (1939), Bayonne (1939-40), Parigi (1942-46), all’Istituto Francese di Bucarest (1948-49), all’Università di Alessandria d’Egitto (1949-50) e alla Direzione Generale degli Affari Culturali (1950-52). Dal 1952 al 1959 lavorò come ricercatore al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica, dal 1960 al 1976 fu direttore degli studi presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes. Negli anni 1967-68 insegnò alla John Hopkins a Baltimore, e dal 1976 al 1980 ebbe la cattedra di semiologia al Collège de France. Nel 1953 pubblicò Il grado zero della scrittura: il libro fu dapprima pubblicato sotto forma di articoli nella rivista di Albert Camus, “Combat”. Quest’opera confermò Barthes come uno dei critici di maggior rilievo della letteratura modernista in Francia e introdusse il concetto di écriture in quanto distinto dallo stile, dal linguaggio e dalla scrittura. Quest’opera aveva molte affinità con quelle degli scrittori del nouveau roman. Egli fu il primo critico a definire gli obiettivi degli scritti di Alain Robbe-Grillet e Michel Butor. Inoltre, considerò le condizioni storiche del linguaggio letterario e ribadì la difficoltà di una pratica moderna di scrittura: dedito al linguaggio, lo scrittore è immediatamente assorbito in ordini discorsivi particolari.
In Michelet par lui-même (1954), una biografia di Jules Michelet, storico del XIX secolo, Barthes si concentrò sulle ossessioni personali di Michelet e ritenne che esse fossero parte del suo modo di scrivere e che dessero una realtà esistenziale ai momenti storici collegati alla scrittura dello storico. In Mitologie (1957), impiegò dei concetti semiologici nell’analisi dei miti e dei segni nella cultura contemporanea. I suoi materiali di studio erano costituiti da quotidiani, film, spettacoli, mostre, a causa della loro relazione con l’abuso ideologico. Il suo punto di partenza non risiedeva nei giudizi tradizionali e nello studio delle intenzioni dell’autore, ma nel testo stesso in quanto sistema di segni, la cui struttura soggiacente forma il significato dell’intera opera. Un’agenzia di pubblicità trovò i suoi lavori talmente interessanti che lo persuase a lavorare per un breve periodo come consulente per la Renault.
Lo studio Su Racine (1963) originò qualche controversia a causa del giudizio non ortodosso di Barthes nei riguardi di Racine. Raymond Picard, professore della Sorbona e studioso di Racine, criticò nella sua Nuova critica o nuova impostura? (1965) la natura soggettiva dei saggi di Barthes. Per tutta risposta, in Critica e verità (1966), Barthes auspicava che una “scienza della critica” potesse sostituire la “critica universitaria” perpetuata da Picard e dai suoi colleghi. Barthes raccomandava inoltre che il criticismo diventasse una scienza e mostrasse che i termini e gli approcci critici sono connessi all’ideologia della classe dominante. I valori di chiarezza, nobiltà e umanità, considerati come base ovvia per ogni tipo di ricerca, secondo lui costituivano in realtà una censura nei confronti di altri tipi di approcci.
Durante la sua carriera, pubblicò saggi più che studi veri e propri, presentando le sue opinioni sotto forma di aforismi soggettivi e non di ipotesi teoriche. Ne Il piacere del testo (1973), egli sviluppò ulteriormente le sue idee sulle dimensioni personali in relazione al testo. Analizzò anche il suo desiderio di leggere secondo le sue preferenze, le sue avversioni e le sue motivazioni associate a tale attività. L’impero dei segni (1970) fu scritto dopo che egli visitò il Giappone e tratta dei miti di quel paese.
In Elementi di semiologia (1964), organizzò le sue opinioni a proposito della scienza dei segni, basandosi sul concetto di linguaggio e sull’analisi del mito e del rituale di Ferdinand de Saussure. Barthes fornì poi la sua applicazione più approfondita della linguistica strutturale in S/Z (1970). Analizzando punto per punto una novella di Balzac, Sarrasine, considerò l’esperienza della lettura e le relazioni del lettore in quanto soggetto nei confronti del movimento linguistico all’interno dei testi. Secondo lui, la critica classica non aveva mai considerato debitamente il lettore. Ma il lettore è lo spazio dove tutti i molteplici aspetti del testo si incontrano. Infatti, l’unità di un testo non risiede nella sua origine, ma nella sua destinazione. Lo studio diventa il punto focale e il modello per una critica letteraria a più livelli, grazie alla sua concentrazione analitica sugli elementi strutturali che costituiscono l’insieme letterario.
L’ultimo libro di Barthes fu La camera chiara (1980), in cui la fotografia viene considerata in quanto mezzo di comunicazione. Fu scritto nel corto lasso di tempo tra la morte della madre e la propria. La fotografia, e soprattutto i ritratti, erano per lui “una magia, non un’arte”. Durante la sua vita, egli visse sempre con o vicino a sua madre, la quale morì nel 1977, mentre Barthes morì più tardi a Parigi, in seguito a un incidente stradale avvenuto il 23 marzo del 1980. Pubblicato postumo, il libro Incidenti (1987) rivelò l’omosessualità dell’autore e le sue passioni segrete.
IL PENSIERO
Tra gli anni 40 e la fine degli anni 50, Barthes insegnò per brevi periodi a Bucarest, in Egitto e a Parigi. In quell’epoca, pubblicò importanti opere critiche, quali Il grado zero della scrittura, Michelet par lui-même, Mitologie e una moltitudine di saggi autorevoli sul teatro, il nouveau roman e altri temi. Nel 1960, ottenne un posto più stabile all’Ecole Pratique des Hautes Etudes (EPHE) a Parigi, dove, nel 1962, divenne Direttore degli Studi in “Sociologia dei segni, dei simboli e delle rappresentazioni”. Il suo incarico all’EPHE corrispose a una seconda fase nella sua carriera. Già critico e intellettuale insigne, incominciò da allora a pubblicare lavori di rilievo nell’ambito dello strutturalismo e della semiologia. Gli ultimi saggi nei suoi Essais critiques trattano soprattutto dei cambiamenti che questi movimenti stavano apportando alle nozioni accademiche e intellettuali della critica, della letteratura e dell’interpretazione. Durante gli anni 60, egli pubblicò anche importanti opere semiologiche che prendevano spunto dallo strutturalismo, come gli Elementi di semiologia, il suo rilevante saggio del 1966 sull’analisi strutturale delle narrative letterarie e infine Il sistema della moda. Gli anni successivi all’EPHE furono caratterizzati da una serie di brillanti articoli e libri che lo videro andare oltre un approccio strettamente semiologico e strutturalista, verso una posizione che divenne conosciuta come post-strutturalista. L’impero dei segni, S/Z, Sade, Fourier, Loyola, Il piacere del testo e Roland Barthes, assieme ad alcuni saggi che ancora oggi sono molto influenti, quali La morte dell’autore, pubblicato per la prima volta nel 1968, confermarono Barthes come forse lo scrittore più importante di un periodo che molti considererebbero il culmine della teoria e della critica letteraria, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. Negli ultimi lavori di questa insigne lista di libri, egli sviluppò una nuova teoria erotica e fortemente personale di lettura e di scrittura. L’ultima sua opera, infatti, è segnata dall’interesse per l’effetto fisico della letteratura e di altre forme d’arte, per i piaceri edonistici offerti al lettore dai testi letterari, dalla musica e dalla fotografia, e infine per la violenza (la repressione di tali piaceri e reazioni fisiche) insita nel linguaggio stesso. Gli fu assegnata una cattedra di semiologia letteraria al Collège de France nel 1976. Nel suo famoso discorso inaugurale dichiarò che “il linguaggio – la realizzazione concreta di un sistema linguistico – non è né reazionario né progressista; è piuttosto semplicemente fascista”. Le sue ultime opere, in modo particolare il suo libro sul discorso dell’innamorato, Frammenti di un discorso d’amore, e la sua analisi della fotografia nel contesto della morte di sua madre, La camera chiara: nota sulla fotografia, incominciarono a condurre tale visione del linguaggio, e quindi anche della scrittura, in un ambito in cui il lavoro teorico veniva sostituito da un genere di discorso che egli denominò “romanzesco”.
Se alla fine Barthes avrebbe tentato di scrivere un romanzo, o se i suoi ultimi lavori costituiscono già un tipo di scrittura romanzesca, è ancora un punto che viene discusso dagli studiosi, dai teorici e dai critici della sua opera. Forse la domanda resterà senza una risposta, siccome egli non visse tanto a lungo da terminare i progetti che aveva in animo alla fine degli anni 70. Dopo essere stato a pranzo dal futuro Presidente della Repubblica, François Mitterand, venne investito mentre stava attraversano la rue des Ecoles, il 25 febbraio 1980. Morì all’incirca un mese dopo. Varie sue opere sono state pubblicate postume, in particolare diversi brevi diari tenuti dal 1969 al 1979. La pubblicazione di questi testi è particolarmente notevole per la descrizione esplicita dell’omosessualità dell’autore. L’importanza di Barthes nell’ambito della storia culturale e intellettuale francese è stata anche onorata dalla pubblicazione di tutte le sue opere in Oeuvres complètes (3 voll. Ed. Eric Marty, Paris: Le Seuil, 1993-5). Barthes ha sempre avuto e continua ad avere un’immensa influenza su varie discipline all’interno delle istituzioni accademiche, come le discipline umanistiche. La sua opera sugli studi culturali, esemplificata da Mitologie e Il sistema della moda, ha contribuito a porre le basi per un modo particolare stimolante di studio e di analisi. Concetti quali la testualità e l’intertestualità, la morte dell’autore, il testo di scrittura e il testo di lettura e così via svolgono ancora un ruolo cruciale nella maniera in cui gli studenti e gli studiosi di oggi si accostano ai testi letterari. Le sue meditazioni provocative sulla musica, sul cinema e soprattutto sulla fotografia continuano a fornire un fondamento per una grande quantità di opere teoriche contemporanee in queste aree. Recenti innovazioni nella teoria, in modo particolare quelle riguardanti le nuove tecnologie informatiche, continuano a trovare una molteplicità di domande, e a volte anche di risposte, nell’opera di Barthes. Tuttavia, bisogna ammettere che non c’è mai stata e probabilmente mai ci sarà una scuola di critica o di teoria barthiana; infatti, nessuno si fa chiamare critico o teorico barthiano. Come spiega Tzvetan Todorov, nel suo saggio critico sul pensatore francese, Barthes “ha creato un ruolo per se stesso che consisteva nel rovesciare la padronanza inerente al discorso e nell’assumere quel ruolo che […] egli stesso ha reso insostituibile”. Barthes era un teorico e uno scrittore allo stesso tempo insostituibile e irripetibile. Uno scrittore che non può essere considerato a parte, poiché adottò durante tutta la sua carriera innumerevoli stili e approcci teorici contrastanti e la sua scrittura, dall’inizio alla fine, si confronta con il problema di base dell’avanguardia moderna e del pensiero intellettuale: come produrre una forma di scrittura o di discorso che può resistere all’assorbimento attuato dalla cultura dominante e quindi da ciò che, nelle sue ultime opere, egli chiamò semplicemente “potere”. Di rado era ottimista riguardo le probabilità di creare un modo simile di scrittura e di discorso. In tutti i suoi lavori, dal primo libro all’ultimo, è testimone degli irresistibili poteri di assimilazione posseduti dalla cultura dominante e istituzionalizzata. Eppure l’intera sua opera oggi risalta di fronte ai nostri occhi quale testamento di una vita vissuta nella resistenza contro tali poteri. Non esiste una scuola di critica o di teoria barthiana, eppure Roland Barthes resta un modello fondamentale per tutti coloro che oggi vorrebbero impegnarsi nel campo teorico e intellettuale.