BONAVENTURA

A cura di Diego Fusaro

Come se uno cade in un precipizio e vi rimane se un altro non lo aiuta a sollevarsi, così l’anima nostra non avrebbe potuto risollevarsi dalle cose sensibili fino alla contemplazione di se stessa e dell’eterna verità riflessa in essa, se la verità stessa, assumendo la forma umana in Cristo, non si fosse fatta scala di riparazione per la caduta della prima scala di Adamo. Perciò nessuno, per quanto possa essere illuminato dai doni di natura e della scienza acquisita, può rientrare in se stesso per godervi Dio, se non per la mediazione di Cristo, che ha detto: "Io sono la porta; chi passerà attraverso di me si salverà, entrerà e troverà pascoli eterni".

Giovanni Fidenza , detto Bonaventura (e appellato "doctor seraficus"), nasce verso il 1217 a Bagnoregio presso Viterbo . Nel 1235 si reca a Parigi a studiare forse nella facoltà delle Arti e successivamente, nel 1243 , nella facoltà di teologia. Nel 1235 si reca a Parigi a studiare forse nella facoltà delle Arti e successivamente, nel 1243, nella facoltà di teologia. Probabilmente in quello stesso anno entra tra i Frati Minori. I suoi studi di teologia terminano nel 1253, quando diventa "magister" (cioè "maestro") di teologia e ottiene la licentia docendi (la "licenza d'insegnare"). Nel 1250 il papa aveva autorizzato il cancelliere dell'Università a conferire tale licenza a religiosi degli ordini mendicanti, sebbene ciò contrastasse con il diritto di cooptare i nuovi maestri rivendicato dalla corporazione universitaria. E proprio nel 1253 scoppia uno sciopero al quale tuttavia i membri degli ordini mendicanti non si associarono. La corporazione universitaria richiese loro un giuramento di obbedienza agli statuti, ma essi rifiutarono e pertanto vennero esclusi dall'insegnamento. Questa esclusione colpì anche Bonaventura, che fu maestro reggente fra il 1253 e il 1257. Nel 1254 i maestri secolari denunciarono a papa Innocenzo IV il libro del francescano Gerardo di Borgo San Donnino Introduzione al Vangelo eterno. In questo testo fra' Gerardo, rifacendosi al pensiero di Gioacchino da Fiore, annunciava l'avvento di una «nuova età dello Spirito Santo» e di una «Chiesa cattolica puramente spirituale fondata sulla povertà», profezia che si doveva realizzare attorno al 1260. In conseguenza di questo il Papa — poco prima di morire — annullò i privilegi concessi agli ordini mendicanti. Il nuovo pontefice papa Alessandro IV condannò il libro di Gerardo con una bolla nel 1255, prendendo tuttavia posizione a favore degli ordini mendicanti e senza più porre limiti al numero delle cattedre che essi potevano ricoprire. I secolari rifiutarono queste decisioni, venendo così scomunicati, anche per il boicottaggio da loro operato ai danni dei corsi tenuti dai frati mendicanti. Tutto questo nonstante che i primi avessero l'appoggio del clero e dei vescovi, mentre il re di Francia Luigi IX si trovava a sostenere le posizioni dei mendicanti. San Bonaventura in un dipinto di Francisco de ZurbaránNel 1257 Bonaventura venne riconosciuto magister. Nello stesso anno fu eletto Ministro generale dell'Ordine francescano, e rinunciando così alla cattedra. A partire da questa data, preso dagli impegni della nuovo servizio, accantonò gli studi e compì vari viaggi per l'Europa. Il suo obiettivo principale fu quello di conservare l'unità dei Minori, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all'Ordine. Favorevole a coinvolgere l'Ordine francescano nel ministero pastorale e nella struttura organizzativa della Chiesa, nel Capitolo generale di Narbona del 1260, contribuì a definire le regole che dovevano guidare la vita dei membri dell'Ordine: le Costituzioni dette appunto Narbonensi. A lui, in questo Capitolo, venne affidato l'incarico di redigere una nuova biografia di san Francesco d'Assisi che, intitolata Legenda maior, diventerà la biografia ufficiale nell'Ordine. Infatti il Capitolo generale successivo, del 1263, approvò l'operà composta dal Ministro generale; mentre il Capitolo del 1266, riunito a Parigi, giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precedenti alla Legenda Maior, probabilmente per proporre all'Ordine una immagine univoca del proprio fondatore, in un momento in cui le diverse interpretazioni fomentavano contrapposizioni e conducevano verso la divisione.[1] Negli ultimi anni della sua vita, Bonaventura intervenne nelle lotte contro l'aristotelismo e nella rinata polemica fra maestri secolari e mendicanti. A Parigi, tra il 1267 e il 1269, tenne una serie di conferenze sulla necessità di subordinare e finalizzare la filosofia alla teologia. Nel 1270 lascia Parigi per farvi però ritorno nel 1273, quando tiene altre conferenze nelle quali attacca quelli che sono a suo parere gli errori dell'aristotelismo. Nel maggio del 1273, già vescovo di Albano, viene nominato cardinale; l'anno successivo partecipa al Concilio di Lione (in cui favorisce un riavvicinamento fra le Chiesa latina e quella greca), nel corso del quale muore, forse a causa di un avvelenamento, stando almeno a quanto affermò in seguito il suo segretario, Pellegrino da Bologna. Pierre de Tarentasie, futuro papa Innocenzo V, ne celebrò le esequie, e Bonaventura venne inumato nella chiesa francescana di Lione. Nel 1434 la salma venne traslata in una nuova chiesa, dedicata a San Francesco d'Assisi; la tomba venne aperta e la sua testa venne trovata in perfetto stato di conservazione: questo fatto ne facilitò la canonizzazione, che avvenne ad opera del papa francescano Sisto IV il 14 aprile 1482, e la nomina a dottore della Chiesa, compiuta il 14 maggio 1588 da un altro francescano, papa Sisto V. Bonaventura è considerato uno dei pensatori maggiori della tradizione francescana, che anche grazie a lui si avviò a divntare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal punto di vista teologico che da quello filosofico. Difese e ripropose la tradizione patristica, in particolare il pensiero e l'impostazione di sant'Agostino. Egli combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti, fondamentali per il suo pensiero. Inoltre valorizzò alcune tesi della filosofia arabo-ebraica, in particolare quelle di Avicenna e di Avicebron, ispirate al neoplatonismo. Nelle sue opere ricorre continuamente l'idea del primato della sapienza, come alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre facoltà dell'uomo. Egli sostiene, infatti, che: « (...) la scienza filosofica è una via verso altre scienze. Chi si ferma resta immerso nelle tenebre. » Secondo Bonaventura è il Cristo la via a tutte le scienze, sia per la filosofia che per la teologia. Il progetto di Bonaventura è una riduzione (reductio artium)non nel senso di un depotenziamento delle arti liberali, bensì della loro unificazione sotto la luce della verita rivelata, la sola che possa orientarle verso l'obiettivo perfetto a cui tende imperfettamente ogni conoscenza, il vero in sè che è Dio. La distinzione delle nove arti in tre categorie, naturali (fisica, matematica, meccanica), razionali (logica, retorica, grammatica) e morali (politica, monastica, economica) riflette la distinzione di res, signa ed actiones la cui verticalità non è altro che cammino iniziatico per gradi di perfezione verso l'unione mistica. La parzialità delle arti è per B. non altro che il rifrangersi della luce con la quale Dio illunima il mondo: prima del peccato originale Adamo sapeva leggere indirettamente Dio nel Liber Naturae (nel creato), ma la caduta è stata anche perdita di questa capacità. Per aiutare l'uomo nel recupero della contemplazione della somma verità, Dio ha inviato all'uomo il Liber Scripturae, conoscenza supplementare che unifica ed orienta la conoscenza umana, che altrimenti smarrirebbe se stessa nell'autoreferenzialità. Attraverso l'illunimazione della rivelazione, l'intelletto agente è capace di comprendere il riflesso divino delle verità terrene inviate dall'intelletto passivo, quali pallidi riflessi delle verita eterne che Dio perfettamete pensa mediante il Verbo. Ciò rappresenta l'accesso al terzo libro, Liber Vitae, leggibile solo per sintesi collaborativa tra fede e ragione: la perfetta verita, assoluta ed eterna in Dio, non è un dato acquisito, ma una forza la cui dinamica si attua storicamente nella reggenza delle verita con le quali Dio mantiene l'ordine del creato. Lo svelamento di quest'ordine è la lettura del terzo libro che per segni di dignità sempre maggior avvicina l'uomo alla fonte di ogni verità. La primitas divina La primalità di Dio è il sostegno a tutto l'impianto teologico anselmiano. Nella sua prima opera, il Breviloquium, egli definisce i caratteri della teologia affermando che, poiché il suo oggetto è Dio, essa ha il compito di dimostrare che la verità della sacra scittura è da Dio, su Dio, secondo Dio ed ha come fine Dio. l'unita del suo oggette determina come unitaria ed ordinata la teologia perché la sua struttura corrisponde ai caratteri del suo oggetto. Nella sua opera più famosa, l'Itinerarium mentis in Deum ("L'itinerario della mente verso Dio"), Bonaventura spiega che il criterio di valore e la misura della verità si acquisiscono dalla fede, e non dalla ragione (come sostenevano gli averroisti). Da ciò fa conseguire che la filosofia serve a dare aiuto alla ricerca umana di Dio, e può farlo, come diceva sant'Agostino, solo riportando l'uomo alla propria dimensione interiore (cioè l'anima), e, attraverso questa, ricondurlo infine a Dio. Secondo Bonaventura, dunque, il «viaggio» spirituale verso Dio è frutto di una illuminazione divina, che proviene dalla «ragione suprema» di Dio stesso. Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve passare attraverso tre gradi, che, tuttavia, devono essere preceduti dall'intensa ed umile preghiera, poiché: « (...) nessuno può giungere alla beatitudine se non trascende sé stesso, non con il corpo, ma con lo spirito. Ma non possiamo elevarci da noi se non attraverso una virtù superiore. Qualunque siano le disposizioni interiori, queste non hanno alcun potere senza l'aiuto della Grazia divina. Ma questa è concessa solo a coloro che la chiedono (...) con fervida preghiera. È la preghiera il principio e la sorgente della nostra elevazione. (...) Cosí pregando, siamo illuminati nel conoscere i gradi dell'ascesa a Dio. » La "scala" dei 3 gradi dell'ascesa a Dio è simili alla "scala" dei 4 gradi dell'amore di Bernardo di Chiaravalle, anche se non uguale; tali gradi sono:
1) Il grado esteriore: « (...) è necessario che prima consideriamo gli oggetti corporei, temporali e fuori di noi, nei quali è l'orma di Dio, e questo significa incamminarsi per la via di Dio. »
2) Il grado interiore: « È necessario poi rientrare in noi stessi, perché la nostra mente è immagine di Dio, immortale, spirituale e dentro di noi, il che ci conduce nella verità di Dio. »
3) Il grado eterno: « Infine, occorre elevarci a ciò che è eterno, spiritualissimo e sopra di noi, aprendoci al primo principio, e questo dona gioia nella conoscenza di Dio e omaggio alla Sua maestà. »
Inoltre, afferma Bonaventura, in corrispondenza a tali gradi, l'anima ha anche tre diverse direzioni: « (...) L'una si riferisce alle cose esteriori, e si chiama animalità o sensibilità; l'altra ha per oggetto lo spirito, rivolto in sé e a sé; la terza ha per oggetto la mente, che si eleva spiritualmente sopra di sé. Tre indirizzi che devono disporre l'uomo a elevarsi a Dio, perché l'ami con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta l'anima (...). » (San Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum) Dunque, per Bonaventura l'unica conoscenza possibile è quella contemplativa, cioè la via dell'illuminazione, che porta a cogliere le essenze eterne, e ad alcuni permette persino di accostarsi a Dio misticamente. L'illuminazione guida anche l'azione umana, in quanto solo essa determina la «sinderesi», cioè la disposizione pratica al bene. Il mondo, per Bonaventura, è come un libro da cui traspare la Trinità che l'ha creato. Noi possiamo ritrovare la Trinità "extra nos" (cioè "fuori di noi"), "intra nos" ("in noi") e "super nos" ("sopra di noi"). Infatti, la Trinità si rivela in 3 modi: come "vestigia" (o impronta) di Dio, che si manifesta in ogni essere, animato o inanimato che sia; come "immagine" di Dio, che si trova solo nelle creature dotate d'intelletto, in cui risplendono memoria, intelligenza e volontà; come "similitudine" di Dio, che è qualità propria delle creature giuste e sante, toccate dalla Grazia e animate da fede, speranza e carità; quindi, quest'ultima è ciò che ci rende "figli di Dio". La Creazione dunque è ordinata secondo una scala gerarchica trinitaria, e la natura non ha sua consistenza, ma si rivela come segno visibile del principio divino che l'ha creata; solo in questo, quindi, trova il suo significato. Bonaventura trae questo principio anche da un passo evangelico, in cui i discepoli di Gesù dissero: « "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!" Alcuni farisei tra la folla gli dissero: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli".Ma egli rispose: "Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre". » (Lc, 19,38-40) Le creature, dunque, sono impronte, immagini, similitudini di Dio, e persino le pietre "gridano" tale loro legame col divino.



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