PIERRE BOURDIEU
A cura di Diego Fusaro e Chiara Mangiarini
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VITA E OPERE
Pierre Bourdieu fu sociologo, ma anche antropologo, filosofo e sostenitore del movimento anti-globalizzazione, il cui lavoro investì un’ampia gamma di argomenti, quali l’etnografia, l’arte, la letteratura, la pedagogia, il linguaggio, il costume e la televisone.
Il testo più importante di Bourdieu è Differenza: una critica sociale al giudizio di gusto (1984), nominato dall’Associazione Internazionale di Studi Sociologici come uno dei dieci lavori di sociologia più importanti del XX secolo.
“Il gusto classifica, e classifica ciò che classifica. Le discipline sociali, divise dalle loro classificazioni, si distinguono fra loro per la distinzione che loro stesse fanno di bello e brutto, elegante e volgare, nella quale la loro posizione riguardo le classificazioni oggettive è espressa o tradita”.
Pierre Boudieu nacque il primo agosto 1930 nel villaggio di Denguin, in una regione dei Pirenei a sud-ovest della Francia. Suo padre era il direttore dell’ufficio postale del paese. A scuola si dimostrò uno studente brillante, ma si guadagnò una certa fama anche come giocatore di rugby. Si trasferì a Parigi, dove studiò alla Scuola Normale Superiore; suo insegnante era il filosofo Jacques Derrida. Boudieu s’interessò di Merleau-Ponty, di Husserl e Heidegger, e anche degli scritti accademici del giovane Marx. La sua tesi, sostenuta nel 1953, consisteva nella traduzione e nel commento dell'Animadversione di Leibniz. Dopo aver ottenuto la laurea in filosofia, Bourdieu insegnò per un anno, a seguito del quale fu chiamato alle armi. Prestò servizio per due anni in Algeria, dove le truppe francesi cercavano di sedare i ribelli algerini. Nel 1959-60 tenne un corso presso l’università di Algeri; nel frattempo, studiò le tecniche di agricoltura tradizionali e la cultura etnica dei Berberi. Disse una volta:
“Pensavo di essere un filosofo, e ci volle molto tempo prima di ammettere a me stesso che ero divenuto un etnologo”.
Nel 1960 tornò dunque in Francia nella vesti di un antropologo autodidatta.
Nel 1962 sposò Marie-Claire Brisard. Studiò antropologia e sociologia, insegnando a Parigi dal 1960 al 1962 e a Lille dal 1962 al 1964, anno in cui entrò a far parte della facoltà dell’Ecole Praticque des Hautes Etudes. Nel 1968, divenne direttore del Centro Europeo di Studi Sociologici, dove, con un gruppo di colleghi, diede il via a un’ampia e collettiva ricerca sperimentale sui problemi relativi al mantenimento del sistema di potere attraverso la trasmissione della cultura dominante. Uno degli argomenti fondanti i suoi lavori, era quello secondo il quale cultura ed educazione sono fondamentali nell’affermazione delle differenze sociali e nella riproduzione di quelle stesse differenze. Ne La Riproduction (1970), Bourdieu argomentò che il sistema di educazione francese riproduce le divisioni culturali della società. Egli sottintendeva anche una corrispondenza tra la “violenza simbolica” degli interventi pedagogici e il monopolio dello Stato nell’uso legittimo della violenza fisica.
Nel 1975 Bourdieu lanciò il giornale Actes de la Recherche en Sciences Sociales. Nel 1981 gli fu assegnata la prestigiosa cattedra di sociologia del Collège de France. A partire dagli anni '80, Bourdieu divenne uno dei sociologi francesi più frequentemente citati negli Stati Uniti. Per i suoi studenti divenne un guru, Bour-dieu (dio), o un terribile esempio di terrorista sotto le mentite spoglie del sociologo. Negli anni '80 prese anche parte a diverse attività al di fuori dei circoli accademici: supportò lo sciopero dei ferrovieri, si fece portavoce dei senzatetto, fu ospite di programmi televisivi e nel 1996 fondò la casa editrice Liber/Raison d’Agir. Nel 1998 pubblicò un articolo sul quotidiano “Le Monde”, nel quale paragonò il “forte discorso” del neoliberalismo con la posizione del discorso psichiatrico in un asilo di igiene mentale. Le ultime pubblicazioni di Bourdieu riguardano argomenti quali il maschilismo, le nuove correnti neoliberali, l’arte di E. Manet e Beethoven. Bourdieu morì di cancro a Parigi il 24 gennaio del 2002. Tra i suoi scritti più importanti, ricordiamo Sociologie de l’Algerie (1958), Per una teoria della pratica, Il senso pratico (1980), Meditazioni pascaliane, Il dominio maschile (1998), La distinzione (1979), Questioni di sociologia (1980), Le strutture sociali dell’economia, I Delfini, La riproduzione (1970), Homo academicus (1984), La noblesse d’état, Le regole dell’arte (1992), La fotografia, L’amore dell’arte, Il mestiere di scienziato, L’ontologia politica di Martin Heidegger (1988), La miseria del mondo (1993), Ragioni pratiche. Sulla teoria dell’azione (1994).
IL PENSIERO
Bourdieu è uno strutturalista critico. Infatti, egli aderisce, in certa misura, alle tesi dello strutturalismo, secondo cui nel mondo sociale vi sono strutture indipendenti dalla coscienza dell’individuo e dal suo volere le quali delimitano in modo specifico il comportamento dell’attore sociale. Bourdieu ama definire la propria posizione teorica come “costruttivista strutturalista”: a suo avviso, gli individui possono costruire fenomeni sociali tramite il loro pensare e il loro agire, ma tale costruzione avviene sempre all’interno di un’ineludibile struttura che mai può essere rimossa. A questo proposito, per spiegare il rapporto che vincola l’individuo alla struttura, Bourdieu utilizza un’immagine piuttosto efficace: come la grammatica condiziona ma non determina il nostro linguaggio, così la struttura condiziona ma non determina il nostro agire. In forza di questa concezione della struttura, il filosofo francese può sottoporre a critica lo strutturalismo classico, che assume la struttura come autonoma e determinante. In particolare, Bourdieu attacca Talcott Parsons e il suo “strutturalismo funzionalistico”, accusandolo di non riconoscere quella contingenza che sfugge alla struttura e che caratterizza il nostro agire. In particolare, secondo il nostro autore, gli attori sociali non sono automi che si conformano ai ruoli che la società impone. Al contrario, essi godono di una certa libertà nell’agire, sono creativi e imprevedibili, e fanno uso di quel “senso pratico” grazie al quale possono adeguarsi alle situazioni più disparate. Grazie al senso pratico, nota Bourdieu, possiamo aggiustare di volta in volta il nostro ruolo in funzione delle concrete situazioni che ci si presentano, adattandoci a esse. Oltre alla posizione strutturalista classica (Parsons, Levy-Strauss), che trascura indebitamente la creatività e la capacità di adattamento dell’attore sociale, Bourdieu attacca anche la pretesa oggettività dello scienziato: al centro dello scritto Homo academicus sta appunto l’uomo accademico che riduce la vita sociale a concetti oggettivi, impoverendola incredibilmente e illudendosi di far valere un atteggiamento neutro e distaccato dalla realtà descritta. Per l’uomo accademico, che coincide con lo scienziato, il mondo è un insieme non di attività pratiche, bensì di prestazioni cognitive. La critica allo strutturalismo, tuttavia, non conduce Bourdieu sull’opposta sponda del volontarismo: egli riconosce la forza condizionante (anche se non determinante) dei fatti sociali, e proprio in forza di tale riconoscimento sottopone a critica il creativismo assoluto e l’interazionismo. La cultura infatti non può essere ridotta a mondo di simboli dei quali gli individui dispongono con libertà assoluta. La posizione di Bourdieu sembra dunque collocarsi a metà strada tra il determinismo degli strutturalisti e il “volontarismo” degli interazionisti. In particolare, gli interazionisti (ad esempio Erving Goffman) esagerano la capacità degli individui di negoziare l’identità e di definire la situazione. Criticando l’interazionismo, Bourdieu scopre il materialismo nella sua accezione marxiana: l’interpretazione dei simboli e la definizione di situazioni sono sempre inaggirabilmente legati a strutture che sfuggono, almeno in parte, al controllo dell’individuo. Pur avvicinandosi al marxismo, il pensatore francese evita le secche sia dell’oggettivismo senza soggetto (Levy-Strauss), sia dell’idealismo ermeneutico. Egli attacca pure l’utilitarismo, rinfacciandogli di non essere in grado di capire che non solo l’agire economico, ma pure quello simbolico è un agire razionale. Alla base di tale critica, sta la convinzione che la razionalità non sia riducibile a vantaggi immediati: tutte le pratiche umane sono rivolte a interessi (perfino la solidarietà), che però non sono quelli immediati a cui pensava l’utilitarismo. Sicché, anche quando stiamo rifiutando l’interesse immediato, in realtà stiamo perseguendo interessi mediati. Bourdieu si concentra sui “principi generativi” coi quali gli individui costruiscono fenomeni sociali e culturali. Egli è convinto, sulla scia di Karl Marx, che ciascuno di noi si muova all’interno di una certa ideologia a seconda della classe di appartenenza. Bourdieu, andando oltre Marx, distingue tra quattro diversi tipi di capitale:
a) Capitale economico (denaro, mezzi di produzione)
b) Capitale sociale (reti sociali)
c) Capitale culturale (lingue, gusto, way of life, ecc)
d) Capitale simbolico (simboli di legittimazione).
Questi quattro tipi di capitale sono convertibili l’uno nell’altro, nel senso che chi ha la cultura (capitale culturale) può tradurla in denaro (capitale economico), e così via. Sulla base di questa distinzione del capitale, Bourdieu può distinguere diverse classi sociali: anche in ciò, egli rimane fedele a Marx e, a un tempo, si spinge oltre. Infatti, la distinzione marxiana tra borghesi (dominatori) e proletari (dominati), che nel tempo in cui fu pensata era sicuramente valida, oggi è del tutto inadeguata per comprendere una situazione sociale che si è fatta più complessa e intricata. Si tratta dunque di portare il marxismo “all’altezza dei tempi”; come avrebbe detto Antonio Gramsci. La classe che sta più in alto, dice Bourdieu, è quella che ha tutti e quattro i tipi di capitale in misura maggiore: ma ciò non vuol dire che le classi siano gerarchiche e fisse come in Marx. Le tre classi principali (classe alta, classe media, classe bassa) si dividono a loro volta in tre livelli interni: così, all’interno della classe alta, vi sarà un “gruppo” (milieu) alto, uno medio e uno basso; e così nelle altre due classi (la media e la bassa). In particolare, per quel che riguarda la classe sociale alta, il gruppo alto è quello della borghesia con grande capitale economico; quello medio è quello dei professionisti; e quello basso è quello degli intellettuali e degli artisti. Alla luce di questa suddivisione, le classi tendono a sfumare le une nelle altre e a perdere quella rigidità con cui si configuravano nel marxismo tradizionale: così, il gruppo alto della classe alta può trovarsi a condividere interessi del gruppo alto della classe media. Detto altrimenti, ci si trova in una situazione in cui si hanno comunità di interessi che prescindono dalle diversità di classe: di conseguenza, la stessa “lotta di classe”, che agli occhi di Marx si configurava come semplice scontro tra dominati e dominanti, diventa più complessa e meno definita nei suoi contorni. Bourdieu insistre molto sul momento culturale: chi fa parte di una classe ha una certa visione del mondo, certi costumi. È ciò che il nostro pensatore chiama habitus, categoria nella quale rientrano, in definitiva, tutte le cose condivise in una certa classe (comportamenti, gusti, idee, giudizi). L’habitus “non è un destino”, è piuttosto l’“inconscio collettivo” di una classe sociale, la quale non sa di avere quell’habitus. Rispetto a Marx, la vera novità risiede nel fatto che la classe sociale non dipende soltanto dall’economia, ma anche dalla cultura, dall’estetica e dalla morale: a tal punto che gli stessi conflitti di gusto sono conflitti di classe. In particolare, ad avviso di Bourdieu, ci sono due diversi gusti: il “lusso” e la “estetica popolare”. Il primo appartiene alla classe superiore e astrae dal momento economico; il secondo appartiene alla classe inferiore e ha a che fare con necessità materiali.