FRANCIS HERBERT BRADLEY
A cura di Diego Fusaro
Nella seconda metà dell'ottocento anche in Inghilterra si produsse una reazione idealistica al positivismo, in particolare al pensiero di Spencer e Stuart Mill.
In questa rinascita di interesse per le posizioni idealistiche, sulla scia di quel platonismo inglese che già si era affacciato sulla scena in pieno '600 ( i platonici di Cambridge) , si delinea l'importante contributo di Francis Herbert Bradley , nato nel 1846 e vissuto ad Oxford anche se non insegnò nel College.
L'opera principale di Bradley, "Appearence and Reality", si svolse a partire dal vecchio, ma mai pienamente superato, tema platonico dell'esperienza individuale della realtà piena di contraddizioni e nella riaffermazione di una vera realtà costituita dalla coscienza assoluta, cioè unità di soggetto ed oggetto derivata da Hegel. Bradley nacque il 30 gennaio 1846 a Clapham nella contea del Surrey. Era il quarto figlio di Charles Bradley, predicatore Evangelico, e della sua seconda moglie Emma Linton.
La sua famiglia, costituita da molti fratelli, dimostrò d'essere una straordinaria fucina di talenti intellettuali.
George Granville Bradley, nato da un precedente matrimonio, fu successivamente Head Master al Marlborough College, Master of University College, Oxford, and Dean of Westminster Abbey; A.C. Bradley, il figlio più giovane del secondo matrimonio, studiò filosofia a Oxford fino al 1881, e, dopo una decisa virata verso studi di tipo letterario, insegnò a Liverpool e Glasgow, rifiutò una cattedra a Cambridge, e divenne il più importante critico di Shakespeare del suo tempo.
Nel 1856 Bradley cominciò a frequentare il Cheltenham College; nel 1861 si trasferì al Marlborough College, che era diretto da suo fratello. Mentre era a Cheltenham aveva cominciato a studiare il tedesco. E riuscì a leggere molte parti della "Critica della Ragion Pura" di Kant, sebbene molti aspetti della lingua tedesca non gli fossero ancora del tutto chiari.
Durante l'inverno del 1862-63 si ammalò gravemente e corse il rischio di morire.
Nel 1865 entrò entrò all'University College di Oxford, come scolaro, ottenendo una buona votazione nel 1867, ma un inaspettato insuccesso in litterae humaniores nel 1869.
Alfred Edward Taylor, assai noto per i suoi studi su Platone in un'opera che ebbe fortuna in Inghilterra ("Elementi di metafisica" del 1903) giustificò questo insuccesso di Bradley nella completa incapacità degli esaminatori di comprendere la profondità del nuovo approccio di Bradley agli studi filosofici in Gran Bretagna.
Nel giugno del 1871 Bradley cominciò a soffrire una grave infiammazione renale. Ciò aggravò il suo già precario stato di salute e lo portò a condurre una vita ancora più isolata e riservata, tra ansietà e varie forme di esaurimento nervoso.
Collingwood nella sua autobiografia descrive in parte la riservatezza di Bradley: " Sebbene abbia vissuto a meno di cento yards da lui per ben sedici anni, mai riuscii a posare il mio sguardo su di lui ". Questa reclusione aggiunge un elemento di mistero alla sua reputazione filosofica, mistero incrementato dal fatto che alcuni suoi libri risultano dedicati ad una persona identificata solo dalle iniziali E.R.
Sebbene Bradley fosse votato agli studi filosofici, la sua non fu solo un'esistenza trascorsa tra i libri. Per proteggere la sua salute dai tremendi inverni inglesi, egli trascorse diversi periodi al mare, sia nel sud dell'Inghilterra che sulle coste mediterranee.
Molti dei suoi libri, specialmente il postumo "Aforismi", non possono essere solo l'opera di un uomo confinato nei suoi studi.
Politicamente fu un conservatore, ma non di tipo dottrinario. Sebbene i suoi scritti rivelino un temperamento religioso, egli confessò in una lettera del 1922, di aver trovato la religiosità evangelica di suo padre esageratamente oppressiva.
Ottenne in vita diversi riconoscimenti ufficiali e nel 1924 re Giorgio V lo insignì dell' Order of Merit: così Bradley fu il primo filosofo ad essere scelto per questo rara ed ambita onorificenza.
Tre mesi più tardi, dopo, pochi giorni di malattia, morì il 18 settembre del 1924 e fu sepolto all'Holywell Cemetery di Oxford.
Il primo sostanziale contributo di Bradley alla filosofia fu la pubblicazione del suo pamphlet "The Presuppositions of Critical History", esprimente un sostanziale scetticismo intorno all'interpretazione dei fatti storici.
Ispirato dalla lettura di certa critica biblica tedesca - critica ai miracoli che violano la legge di natura -Bradley tenta di estendere questa riluttanza alla storia in generale senza tuttavia riuscire ad essere molto convincente.
Il lavoro non fu mai letto e valutato per il suo significato storico, ma come una introduzione al pensiero filosofico di Bradley.
Alcun temi caratteristici delle opere successive compaiono già qui, come quello della fallibilità dei giudizi individuali di persone che non hanno una coscienza sufficientemente ampia e che dunque confondono l'apparenza con la realtà.
Nei "Principi di logica" del 1893, lo stesso anno della pubblicazione di "Apparenza e realtà", Bradley cercò di dimostrare che anche il mondo della logica pura, se astratto dalla coscienza assoluta, è solo l'espressione di una coscienza finita e limitata, pertanto contiene le stesse contraddizioni e le stesse limitazioni del finito e dell'apparenza.
Per Bradley il senso della logica sta nel giudizio, il quale va inteso come "qualificazione" della realtà stessa. In altre parole ogni idea contenente un giudizio, per Bradley non è solo un'idea, ma una qualità del reale.
Posto dunque che qualsiasi qualificazione non sia davvero transitoria e accidentale, per cui ad esempio sono stanco adesso, ma ieri sera ero in forma, per Bradley appare evidente che l'essere stanco in generale definisce, per esempio, una persona "stanca" di natura sotto un profilo, ma attiva e dinamica sotto un altro, e ciò implica contraddizione. Tutto il reale qualificato, pertanto risulta contraddittorio, illusorio e la logica stessa vacilla nell'impossibile impresa di qualificare in modo stabile e determinato la realtà.
Pertanto la molteplicità dei giudizi, pur considerando che essi vengono espressi sotto determinate condizioni e circostanze limitate, porta comunque a contrapposizioni inconciliabili.
Di notevole interesse, a questo proposito, è la seguente riflessione: anche le condizioni e le limitazioni qualificano la realtà a loro volta. Pertanto la contraddizione non è superata, diciamo, dall'ambientazione, ma semplicemente moltiplicata.
Tale impostazione potrebbe essere facilmente contestabile dalla semplice introduzione del concetto di "funzione", per cui, per esempio, un uomo è un "padre", un "marito", un "cittadino" del Regno Unito e un "professore di filosofia" ed ogni giudizio logico deriva la sua stessa fondazione certa, muovendo dal "fatto" della funzione e da quale sia l'aspettativa legata a questo fatto, ovvero cosa ci aspetta da un "padre", da un "marito" e così via.
Ma in realtà, posto che in partenza vi sia una generale intuizione idealistica che trova comunque contraddittorie due affermazioni diverse sullo stesso argomento, emesse, per così dire, prima in veste di "professore" che, seguendo l'etica di Russell, è contrario al matrimonio, e poi in veste di "marito" che , essendosi sposato, è favorevole (ma non troppo) al matrimonio, o di "padre" che spinge sua figlia a cercarsi un fidanzato di qualità, affidabile, e non il primo bellimbusto che le capita a tiro, è inevitabile che Bradley finisca con l'avere ragione. Ovvero il mondo dell'esperienza individuale è contraddittorio e Guglielmo di Ockham ebbe torto a scrivere che " l'obbedienza non implica peccato ".
Ovvero, svolgendo una funzione, si deve, a volte commettere "peccato" obbedendo alla logica della funzione perché non si può fare altrimenti. Ad esempio "correggere" un figlio che non apprezza in modo particolare né la matematica né le brave persone. Oppure rifilare un brutto voto allo studente che non sa dir nulla nemmeno sulla concezione del tempo in Agostino.
Questo rigetto radicale del fantastico mondo della vita e della contraddizione tra funzioni porta Bradley comunque alla definizione di un criterio assoluto di verità, cioè, al riconoscimento che vi è una realtà assolutamente priva di contraddizioni, quindi realmente consistente.
Per Bradley questa realtà non può essere altro che "coscienza" assoluta, perfettamente coerente, e non determinabile da nessuna delle tante facce della coscienza contraddittoria e finita, quindi nemmeno dal pensiero, dalla sensazione, dalla volontà, proprio perché anche tali qualità, o facoltà, sono in sè contraddittori. Vi possono essere, per esempio, volontà contrastanti in una stessa persona, e possono darsi sia pensieri contrastanti, che sensazioni contrastanti, come vedere la bellezza di una donna brutta o viceversa l'odio che si annida latente in ogni amore fatale e possessivo respinto o tradito.
Neppure la moralità, scrive ancora Bradley, può essere attribuita all'assoluto.
Per Bradley in generale le relazioni sono inconcepibili e questo mette in crisi il modo realistico di concepire il mondo come una rete di relazioni tra cose e tra le cose e le proprie qualificazioni.
Esamina ad esempio il rapporto tra qualità primarie e secondarie introdotto da Locke e vi scorge diverse contraddizioni, tutte in qualche modo da riportare alla difficoltà fondamentale della ricerca filosofica sulla relazione, ovvero l'identificazione di ciò che è diverso.
Non c'è identificazione che non sia poi contraddittoria, anche perchè ogni relazione comporta una modificazione dei suoi termini relativi, esattamente come un uomo ed una donna sposati non sono più come erano prima di sposarsi.
Ma data questa modificazione - osserva acutamente Bradley - " ogni termine della relazione si scinde " in due parti, rimanendo quello che era e insieme diventando il nuovo. Queste due parti divise, non possono riunirsi che attraverso una nuova relazione, la quale darà vita ad una nuova scissione, e dunque ad una nuova relazione unificante, e ciò all'infinito.
Perciò la relazione è intrinsecamente contraddittoria e lo stesso "io" non può sfuggire a questa logica inesorabile della scissione, pur essendo al di là di ogni dubbio che esso esista nel mondo quotidiano delle apparenze. La riflessione razionale infatti lo scalza e lo rende persino inconcepibile di fronte alla contraddizione del chi e del cosa "sono io" realmente.
Direi che in questo aspetto viene ad essere ingigantito più il problema della qualificazione che quello della vera e propria identità dell'io. Ma forse in Bradley, questa distinzione che pure è posta, non sempre viene mantenuta lucidamente.
In altre parole se l'identità pura necessita di una qualificazione per ritrovarsi sicura della propria identità, è evidente che la serie di relazioni necessarie alla ricostruzione porta a contraddizioni insanabili. E questo anche tornando al concetto di contraddizione che aveva Aristotele perchè io, posto un concetto di tempo superiore all'attimo, anche se inferiore al quarto d'ora, posso essere sia impegnato a scrivere questo articolo che a pensarne un altro, sia qui a digitare che con la mente a pescare sulle ridenti rive di un ruscello.
Ciò per il semplice fatto che l'individuo non è solo determinato dalla sue relazioni, e anche perchè le sue relazioni con le proprie qualità sono di natura diversa dalle relazioni con gli altri esseri umani, ma perchè un individuo è soprattutto quello che fa e non credo si possa dire che il rapporto tra io e la mia attività sia catalogabile solo come "relazione".
Inoltre il fatto di appartenere ad un sindacato non cambia in modo determinante tutte le altre attività del mio io, e non pone di fatto alcun dubbio sulla mia identità e sulla relazione con altre mie qualificazioni, intelligenza, carattere espansivo e comunicativo, apertura mentale, un fisico da Maciste e così via.
In sostanza Bradley esagera i problemi e finisce con l'occultare questioni ovvie e risolte, tuttavia non si può liquidare con poche battute perchè sotto un profilo veramente razionale il problema della "relazione logica" esiste ed in quanto tale è stato evidenziato da Bertrand Russell.
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