CESARE CREMONINO



"Ad philosophiam sum vocatus, in ea totus fui" (Testamento, 1631).

 



CREMONINOCesare Cremonino (1550-1631) è rappresentante del tardo aristotelismo padovano, si proclamava aristotelico (fu chiamato Aristoteles redivivus) secondo l'interpretazione di Alessandro D'Afrodisia (II sec. d. C.), ma ci teneva a non confondersi con i seguaci pedissequi del filosofo greco, e la visione aristoteliche è integrata in modo eclettico con dottrine neoplatoniche, averroistiche, tomistiche o scotiste che riflettono l'esigenza di avere basi concrete empiriche nell'analisi filosofica. Il suo interesse è per la fisica speculativa, cioè per la filosofia della natura. Tale naturalismo si pone in modo non religioso. La filosofia è un separatum opus rispetto alla teologia. La prima deve ricorrere unicamente a spiegazioni e a mezzi naturali, rifiutando il sovrannaturale come area di non propria competenza. Per Cremonino il mondo sublunare si contrappone nettamente al mondo celeste. Il problema è svolto nell'ambito della dottrina ilemorfica: è un principio attivo, il calidum innatum, che opera la sintesi di corpo e anima, materia e forma. Il cielo è corpo organico di materia ed anima informante (che ama e desidera Dio), con in sé il principio del proprio moto (automovimento), ha valenza quasi teologica, governa il mondo, è la prima causa efficiente dell'ordine naturale, è principio di legalità-unità-razionalità dell'ordine cosmico. Cremonino polemizza con Averroè circa la dottrina della doppia verità, identificando filosofia e teologia, nel senso che riduce tutto a filosofia (speculativa e della natura). Si oppone alla concezione averroistica dell'unità dell'intelletto, considerando l'intelletto stesso come la differenza specifica degli uomini di fronte agli animali e tra loro.

Secondo Schiamone, Cremonino è assolutamente insensibile allo spirituale e a suo avviso nel sublunare il principio unificante dei quattro elementi è il calore innato, fonte di vita, non corporeo ma celeste, deputato a mediare tra anima e corpo, con sede nel cuore da cui si diffonde per tutto il corpo, determinando la seguente catena (secondo l'interpretazione alessandrinista): calore innato – nutrizione – generazione – animazione. Il calore innato non è altro che il calore dei temperamenti (di cui parla Galeno), dovuto a mescolanza di elementi che compongono il corpo, mescolanza causata dal movimento dei Cieli. Da essi dipende dunque la natura dell'anima nella sua singolarità. Da qui l'interpretazione di tutta la realtà come panpsichismo. Non vi è quindi posto per l'immortalità dell'anima, né per la spiritualità. Nel Tractaus de Paedia Cremonino compie una sinderesi tomista in funzione non morale bensì teoretica. Paedia è la facoltà di conoscere le condizioni costitutive della scienza, è l'habitus dei fondamenti del sapere, con valore metodologico, gnoseologico, pedagogico (tratto dalla paideia greca). Essa è anteriore e fondante rispetto alla logica e rispetto all'esperienza Dio è svuotato di ogni contenuto (non ha nozioni, Deus est veritas immobilis), non influisce su fatti particolari o contingenti, trascende ogni nostra possibilità di comprensione (assoluta aseità), non è creatore del mondo (visione epicureo/lucreziana), neppure può essergli attribuita libertà, la quale implica mutamento. I suoi attributi non sono definibili, se non in negativo: non può essere creatore, in quanto tale azione sarebbe estrinseca; non può essere causa efficiente del mondo (muove solo come causa finale, come oggetto di desiderio: appunto per tale aspetto finalistico del desiderio, non può che "muovere" ciò che ha un'anima, vale a dire i cieli). Dio e le intelligenze celesti possono muover i cieli solo attraverso questa anima informate, che ama e desidera Dio. Famoso più per la vena discorsiva delle sue lezioni e per il fascino personale che per suoi scritti, Cremonino è anche descritto come consultato e ammirato da principi e re, che volevano averne il ritratto, ma pare che le lezioni, una volta stampate, caddero subito di pregio e vennero dimenticate. Bisogna tener conto della sua fama dovuta se non altro al fatto che ha insegnato per quarant’anni a Padova, con punte di quattrocento alunni per anno. Ha avuto quindi un uditorio di almeno cinquemila persone diventate successivamente medici o comunque elementi intellettuali inseriti nella società italiana ed europea. Dopo la pubblicazione del Nuncius Sidereus di Galileo, molti si aspettavano da parte di Cremonino una netta presa di posizione secondo gli schemi della tradizione fisica aristotelica, ma C. non si pronunciò "non volendo provare cose di cui io non ho cognizione alcuna, né l'ho vedute", secondo l’espressioni riferite da Paolo Gualdo in una lettera a Galileo (Padova 1611). Riflettendo il pensiero concreto di Aristotele, Cremonino evidenzia più volte il ruolo dell'induzione:

 

"Ordo vero resolutivus incipit a fine et ipsius habita praecognitione progreditur ad ea consideranda per quae talis finis haberi possit" [il metodo risolutivo parte dal dato e - fondandosi sulla sua conoscenza - procede alla considerazione dei principi che rendono possibile il dato stesso]

 

Pur nell'ambito di schemi filosofici ormai non adatti all'indagine sulla natura, Cremonino fu - al pari di Galileo - uno degli intellettuali che tennero viva la discussione sui problemi della razionalità dello spirito e della ricerca umana.

Parallela all'attività di insegnamento del Cremonino è quella letteraria, che delinea un orizzonte teorico di tipo razionalistico se non illuministico. Ad esempio, nella commedia Le nubi (collocabile tra il 1603 e il 1611) egli delinea le seguenti tematiche: dimensione sociale della cultura, difesa della cultura laica contro le deformazioni tomistico-gesuite, libertà di coscienza, uguaglianza sociale, condanna della magia, mondo arcadico visto come contrapposizione al clima di oppressione contemporaneo, esaltazione dell'ingegno umano, riferimento alla scienza che viene dall'esperienza ("Son le cose il buon libro / che deue studiarsi"). Si inquadra in quest’ottica l’aspra polemica condotta da Cremonino contro i Peripatetici dell’epoca, accusati di travisare il testo aristotelico e di fraintenderlo in più punti:

 

Io mi rendo sicuro che se Aristotele tornasse al mondo egli riceverebbe me tra i suoi seguaci […], molto più che moltissimi altri che, per sostenere ogni detto suo vero per vero, vanno esplicando dai suoi testi, concetti che mai non gli sariano caduti in mente. E quando Aristotele vedesse le grandi novità scoperte in cielo dov'egli affermò quello essere inalterabile et immutabile perché niuna alterazione vi si era allora veduta, indubitabilmente egli, mutando opinione, direbbe ora il contrario” (Lettera a Liceti).

 

Se Aristotele tornasse in vita – ci suggerisce Cremonino – muterebbe le sue errate opinioni circa l’immutabilità del mondo sopralunare, fatta definitivamente crollare dalle scoperte scientifiche di Galileo.

 

 



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