JOHN DEWEY

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L'educazione è ricostruzione e riorganizzazione dell'esperienza che accresce il significato dell'esperienza stessa e aumenta l'abilità di dirigere il corso dell'esperienza stessa.


JOHN DEWEY
INDICE
RIASSUNTO DI Esperienza ed educazione



LA VITA, LE OPERE E LA FORMAZIONE CULTURALE


John Dewey nacque a Burlington, nel Vermont nel 1859, studiò alla John Hopkins University e all'università del Michigan, ad Ann Arbor, dove seguì corsi di psicologia. Dal 1894 al al 1904 insegnò nell'università di Chicago, dove fondò la Laboratory School, una scuola sperimentale per bambini, e dal 1904 al 1929 nella Columbia University di New York, dove morì nel 1952. Si interessò sia alla filosofia che alla pedagogia e la sua influenza in questo campo è ancora notevole, sia negli Stati Uniti che nel mondo anglosassone. Dopo un primo periodo di adesione all'idealismo neohegeliano, dovuto all'influenza di G S Morris, il giovane Dewey si accostò al pragmatismo di William James. Giova ricordare che nella formazione intellettuale del giovane Dewey svolse un ruolo fondamentale la sue educazione "cristiana" pratica ed, in particolare, il pensiero di Coleridge, che aveva completamente rigettato la religione come "corpo dottrinario", per intenderla soprattutto come "volontà di azione" ed esperienza di vita. Le idee religiose di Dewey sono peraltro sempre rimaste un fatto "privato", a parte il volumetto "A Common Faith" (Una fede comune, La Nuova Italia, Firenze 1959). Nel periodo degli studi universitari aveva vissuto una sorta di crisi spirituale attraverso la quale era giunto ad emanciparsi alla tendenza della personalità di isolarsi "da sè e dal corpo" e questo lo aveva portato a considerare un errore anche il dualismo Dio-natura, spirito e carne. Cercò in Hegel il superamento filosofico del "dualismo" ( e non crediamo che l'abbia trovato, visto che abbandonò ben presto l'idealismo), ma soprattutto cercò in Darwin il senso, non solo filosofico, dell'evoluzionismo. Elaborò quindi una interpretazione progressista e non reazionaria (tipica del cosiddetto "darwinismo sociale") dell'evoluzionismo. Per capire subito la qualità della filosofia di Dewey dobbiamo intendere che questo superamento del dualismo diventò il leit motiv di tutta la sua ricerca filosofica e pedagogica e venne già a delinearsi nel saggio "Is logic a dualistic science?" (Open Court,III, 1890, pag 2040-2043) Qui Dewey si opponeva chiaramente alla statica dicotomia tra pensiero e realtà esterna, insistendo piuttosto sulla relazione dinamica e reciprocamente condizionante tra mondo dei fatti e realtà del pensiero.

Lo strumentalismo
La filosofia di Dewey venne da lui stesso definita "strumentalismo" in quanto egli interpretò la facoltà di "ragionare" come uno strumento per elaborare l'esperienza. Ciò suppone che il soggetto non sia riducibile alla sola ragione, ma si dia, appunto, un soggetto protagonista attivo, che usa la ragione, indagando, per colmare gli squilibri tra sè e l'ambiente circostante a partire dai propri bisogni. Scrisse in "How we think":
"Il pensiero non è un caso di combustione spontanea: non accade punto secondo "principi generali". Vi è qualcosa che lo occasiona e lo evoca.>>
Ed ancora:
<<[...] il pensiero non è un separato processo mentale: è una faccenda che riguarda il modo in cui una gran quantità di fatti osservati e suggeriti nel corso dell'esperienza viene impiegata, il modo in cui essi concorrono insieme e sono fatti concorrere assieme, il modo in cui sono trattati. Di conseguenza tutte le materie, gli argomenti, le questioni, sono intellettuali non per se stessi, ma in ragione del ruolo che, nella vita di una determinata persona, viene fatto loro giocare nella direzione del pensiero" (idem)
Nella "Logica come teoria dell'indagine" egli scrisse:
"Indagare e dubitare sono, fino ad un certo punto, termini sinonimi. Noi indaghiamo quando dubitiamo; ed indaghiamo quando cerchiamo qualcosa che fornisca una risposta alla formulazione del nostro dubbio. Pertanto è peculiare della natura stessa della situazione determinata che suscita l'indagine, di essere fonte di dubbio; o, in termini attuali anzichè potenziali, di essere incerta, disordinata, disturbata. La qualità peculiare di ciò che investe i materiali dati, costituendoli in situazione, non è esattamente un'incertezza generica; è una dubbiosità unica nel suo genere che fa si che la situazione sia appunto e soltanto quella che è. E' quest'unica qualità che non soltanto suscita la particolare indagine intrapresa ma esercita anche il controllo sopra i suoi speciali procedimenti. Altrimenti nell'indagine un qualunque processo potrebbe aver luogo e riuscirvi fecondo con altrettanta probabiltà che qualunque altro. Ove una situazione non sia univocamente qualificata nella sua propria indeterminatezza, si da uno stato di completo panico: la risposta ad esso assume la forma di attività palesi cieche e selvagge. Enunciando la cosa da un punto di vista personale, noi abbiamo "perso la testa". Una grande varietà di parole serve a caratterizzare le situazioni indeterminate. Esse sono disturbate, penose, ambigue, confuse, piene di tendenze contrastanti, oscure, ecc... E' la situazione che ha questi caratteri. Noi siamo dubbiosi perchè la situazione è nella sua essenza dubbiosa.>>
Ancora:
"E' un errore credere che la situazione sia dubbiosa solo in senso "soggettivo". La nozione che nell'esistenza reale ogni cosa sia completamente determinata è stata posta in discussione dai progressi della stessa scienza fisica. Anche se ciò non fosse avvenuto, la completa determinazione non avrebbe potuto valere per le cose esistenti in quanto costituenti un ambiente. Infatti la Natura è un ambiente soltanto in quanto si trovi ad essere in interazione con un organismo, o io, o che altro nome si voglia usare.>>
Per Dewey dunque l'individuo vive un processo nel quale la civiltà e la cultura lo differenziano dalla natura. Ogni individuo come organismo vivente incorpora l'ambiente nelle sue funzioni biologiche e, in qualche modo, lo modifica dopo averlo incorporato. Questa distinzione tra sfera soggettiva ed oggettiva comincia a presentarsi coscientemente quando l'equilibrio tra organismo ed ambiente vien meno e si determina la necessità di un adattamento diverso. Dewey fa l'esempio dell'animale che deve cercarsi il cibo: questi è in una situazione diversa dall'animale ben pasciuto, e sente la differenza tra sè ed il mondo proprio in quanto ha un problema da risolvere. Per Dewey la vita è un'altalena di di squilibri e ristabilimenti di equilibri, cioè di bisogni e di soddisfazione degli stessi. La reintegrazione dell'equilibrio non è un semplice ritorno alla situazione precedente, ma comporta delle modificazioni sia nell'organismo che nell'ambiente. Tra l'evoluzione delle specie animali e lo sviluppo della cultura umana c'è tuttavia uno scarto. Il livello della cultura differenzia l'uomo da tutti gli animali perchè non consente una risposta istintiva ed automatica alle difficoltà ed alle privazioni. Il compito del pensiero, ovvero della logica, è di chiarire ed ordinare, organizzare l'insieme confuso ed oscuro delle esperienze fatte e perciò il pensiero si avvale strumentalmente di concetti, ragionamenti e teorie. Queste però non sono che operazioni mentali, cioè strumenti che consentono di rendicontare ciò che sappiamo in modo intellegibile e secondo un senso. Per Dewey il sapere ha dunque un carattere essenzialmente pratico ed operativo. Tuttavia la ricchezza peculiare dell'uomo consiste nel linguaggio; esso consente la comunicazione tra i propri simili e quindi il confronto di esperienze ed una elaborazione comune. Ma il linguaggio non è qualcosa di soprannaturale, è un comportamento biologico particolare, derivante da una naturale continuità con le precedenti esperienze organiche dell'umanità. Dewey definisce la propria teoria della logica come una teoria naturalistica della logica e sostiene che vi è continuità tra i processi più semplici e i processi più complessi dell'attività umana. Pertanto anche la ricerca scientifica è la prosecuzione naturale del comportamento organico con il quale l'uomo affronta le difficoltà primordiali dell'esistenza. Lo scarto tra la vita mentale e culturale e quella fisica, secondo Dewey, risale alla rottura cartesiana tra razionale e fisico (res cogitans e res extensa), ma non è altro che un pregiudizio filosofico che deve essere rimosso per poter finalmente comprendere che è l'esperienza biologica il fondamento della ragione e dunque dello stesso pensiero astratto e simbolico. Nella "Logica dell'indagine" Dewey definisce il modello dell'indagine secondo un modello costante a qualsiasi livello si svolga. Essa parte sempre da una situazione reale problematica, anche drammatica, e quindi indeterminata. Attraverso l'osservazione si raccolgono dati e si intuiscono-vedono dei collegamenti e delle relazioni tra i dati.
"Donde la domanda: come può controllarsi la formazione di un problema genuino in modo che le ulteriori indagini muovano verso una soluzione? Il primo passo da fare per rispondervi è riconoscere che nessuna situazione completamente indeterminata può essere convertita in un problema fornito di elementi definiti. Il primo passo è dunque la ricerca degli elementi di una data situazione che, come elementi, siano ordinati. Quando un segnale d'incendio risuoni in una sala d'adunanza affollata, v'è la più grande indeterminatezza circa ciò che può portare a un risultato favorevole. Uno può finire sano e salvo o può finire calpestato o bruciato. Tuttavia il fuoco è caratterizzato da alcuni tratti ben definiti. E', per esempio, localizzato in qualche posto. Inoltre i passaggi e le uscite sono in posizioni fisse. Poichè sono definiti o determinati nella realtà, il primo passo nella posizione del problema è di definirli nell'osservazione. Vi sono altri fattori che, mentre non sono temporalmente e spazialmente fissati, costituiscono tuttavia fattori osservabili; per esempio, il comportamento ed i movimenti degli altri membri dell'adunanza. Tutte queste condizioni osservate, ove vengano riunite, costituiscono "i fatti del caso". Essi sono i termini del problema, in quanto condizioni delle quali occorre tener conto o prendere atto quando ci si voglia proporre una soluzione adeguata. Una possibile soluzione adeguata è allora suggerita dalla determinazione delle condizioni di fatto accertate mediante l'osservazione. La possibile soluzione si presenta perciò come un'idea, proprio come i termini del problema (che sono fatti) vengono stabiliti con l'osservazione. Le idee sono conseguenze anticipate (previsioni) di ciò che capiterà, ove certe operazioni vengano eseguite in preciso rapporto con le condizioni osservate. L'osservazione dei fatti e le significazioni o idee suggerite hanno origine e sviluppo strettamente corrispondenti. Quanto più chiari si profilano i fatti del caso per essere stati assoggettati a osservazione, tanto più chiare e rispondenti si fanno le concezioni circa i modi di trattare il problema costituito da tali fatti." (idem)

Le idee come fattori operazionali Avendo dunque chiaro come vengono le "idee" intese come fattori operazionali si può dunque convenire sul fatto che esse ci consentono di dirigere ulteriori azioni per migliorare le osservazioni e far venire in luce nuovi fatti ed elementi nella ricerca. Gli scienziati usano un sistema di simboli concettuali più astratto e riflettono su informazioni più elaborate di quelle di cui dispone l'uomo comune, ma anch'essi tendono a riordinare le esperienze e le condizioni ambientali per discernere e contestualizzare il campo delle possibilità. Nella logica di Dewey, che è viva e non esasperatamente formale, si evidenzia una visione inedita tra mezzi e risultati e, per certi aspetti i principi "primi" vengono apparentemente messi da parte. La logica fondata su principi a priori, come quella di Kant, si fonda per Dewey su un modello storicamente determinato, quello della geometria euclidea. Teoreticamente invece, nemmeno nella matematica, i principi sono in sè a priori, ma solo il frutto di criteri direttivi e convenzioni, principi guida che hanno una loro eterna validità in quanto rendono possibile un campo deduttivo coerente. Ma è la base biologica della logica a fare la logica, anche quella matematica.

Le radici sociali dell'intelligenza
Ciò che consente il passaggio da un comportamento organico semplice ad un comportamento "umano" in senso anche intellettuale, contraddistinto da logica e razionalità, è dunque la socializzazione. Anche per Dewey, come per Aristotele, la società, la polis, è la dimensione naturale dell'uomo, è scritto nelle sue informazioni genetiche, è il suo destino. E' quindi del tutto inutile, secondo Dewey, che la psicologia sociale si ponga problemi intorno all'origine della società. Il passaggio dal branco, alla tribù, alla formazione sociale più evoluta è determinato, Marx direbbe, dal sistema di produzione. Per Dewey dall'intelligenza e dal sentimento che la cooperazione è meglio del solipsismo, perchè è nella cooperazione che l'individuo trova risposte ai suoi problemi. Ciò che va, per così dire, studiato è come dalle abitudini, dai costumi, dalle tradizioni, cioè dai sistemi di interazione, nascano le diversità delle menti e dei caratteri individuali. La riflessione capace di smuovere una persona dal tran tran sociale e dai modelli circostanti non si fa da sè, secondo Dewey, e nemmeno è un dono degli dei. Nasce da circostanze eccezionali che pongono problemi inediti e richiedono nuove risposte e nuovi adattamenti. Dunque anche se il prodotto del genio è indubbiamente un prodotto delle capacità intellettive individuali, esso ha dietro di sè una storia, mediazioni e conflitti, insufficienze e privazioni, a volte anche "contraddizioni".

Progettazione operativa e ideologia politica
Per Dewey l'opposizione tra riformatori e conservatori ha una dimensione del tutto americana ed anglosassone (se vogliamo) nella quale l'opposizione tra destra e sinistra non è totalmente ideologica, e quindi artificiosa, come nei paesi europei, latini (e cattolici) in generale. A noi resta difficile capire come e perchè, date le caratteristiche della storia recente del nostro paese dove le contrapposizioni ideologiche hanno sempre avuto la meglio su quelle reali. Eppure è vero: in America la destra è "destra" e la sinistra è "sinistra"! E questo perchè, probabilmente, la sinistra non è mai stata complice di quella banda a delinquere contrabbandata come stato sociale (delle tangenti e delle clientele politiche). I riformatori puntano sull'efficacia delle abitudini e delle istituzioni per formare la natura umana secondo un modello evolutivo. I conservatori parlano invece di immutabilità degli istinti come "costanti" della natura umana. Dewey riconosce che l'inerzia, la pigrizia mentale delle masse è enorme e difficilmente modificabile. Tuttavia nega recisamente che la natura umana sia immodificabile, anche perchè in questa idea alligna sempre l'eterno ritornello del conservatore che giustifica così il ricorso ad atti repressivi e selettivi. Per Dewey non esiste nemmeno un naturale istinto umano che predisponga alla guerra ed alla bellicosità. Sono sempre le condizioni sociali a determinare i conflitti ed è perchè le situazioni vengono strumentalizzate, spesso con argomenti irrazionali, che gli impulsi umani vengono convogliati verso la guerra.

Critica al capitalismo
La critica al capitalismo comincia, in modo non del tutto scontato, con una critica indiretta del marxismo. Dewey soggiornò molti anni in Unione Sovietica per studiare i modelli scolastici e la pedagogia marxista. Molte delle sue riflessioni in questo campo sono dunque dovute ad esperienze dirette. Egli vide, giustamente, che non è vero che lo sfruttamento della classe operaia da parte dei capitalisti sia reso necessario da una sorta di legge naturale, di logica intrinseca alla proprietà privata dei mezzi di produzione. Sono le forme e le modalità del lavoro, che dipendono dalle abitudini sociali dominanti a rendere costrittivo e penoso il lavoro stesso. Su questo piano Dewey rimprovera al marxismo soprattutto la mancanza di un piano della ragione operativa e l'astrattezza della dialettica storica in quanto la lotta di classe non è l'elemento determinante e risolutivo dei conflitti sociali, ma un dato di fatto su cui bisogna agire razionalmente. La critica di Dewey al capitalismo non è una critica astratta al modello metastorico di un capitalismo ottocentesco che sfrutta spregiudicatamente tisici, vecchi e bambini per creare "plusvalore", ma si indirizza ad una critica del capitalismo concreto, ad esempio del "taylorismo" come modello organizzativo che di fatto inibisce la crescita culturale del lavoratore, lo costringe ad un lavoro "senza pensiero", consentendo così il riproporsi di una opposizione alla vita intellettuale del "pensiero senza lavoro" cara ai filosofi "contemplativi". Per Dewey la filosofia di Bergson che separa la vita di routine dallo slancio vitale, considerato come esperienza eccezionale, è una posizione reazionaria volta alla conservazione di pochi privilegiati (siano essi borghesi o intellettuali). In questo giudizio su Bergson Dewey si avvicinò molto ai marxisti francesi degli anni trenta. In questo progetto di ricomposizione dell'uomo che deve rimanere se stesso in tutti i momenti della sua vita ne va della stessa filosofia. A che diavolo serve, altrimenti, la filosofia?

La crisi della società
Dewey legge correttamente i processi sociali e denuncia con chiarezza che quando le istituzioni invecchiano e si sclerotizzano portano al soffocamento delle spinte evolutive e quindi alla necrosi delle società. Il tramonto dell'Occidente non è dovuto a fattori mistici di declino dello spirito ma, all'incapacità di pensare razionalmente ed operativamente e nel progettare soluzioni ai problemi. La crisi è sempre dovuta al decremento dell'intelligenza sociale, alla caduta del dibattito e della ricerca, al prevalere di comportamenti irrazionalistici e misticheggianti. (oggi diremmo alle stupidaggini del pensiero positivo e della new age) Dewey, darwiniano, non condivide il darwinismo razzista e romantico che vedeva la civiltà come un luogo di confronto tra razze vecchie e nuove, tra popoli biologicamente sani ed altri deteriorati. Non sono i popoli giovani che possono salvare le vecchie razze. Bisogna ringiovanire la società, deburocratizzarla, liberarla dal vecchiume ideologico.

La polemica antiprimitivistica
Anche per questo Dewey irride ovviamente tutte le idealizzazioni del "buon selvaggio" e dello spirito vitalistico dei popoli primitivi. Vede con chiarezza nella stessa epopea degli Indiani d'America la prova del loro stretto legame al ritualismo, spesso ingiustificato, e tipico delle società che non si evolvono mai. Critica una delle massime sciocchezze dello stupidario filosofico e culturale, quella che solo la società primitiva consenta la spontaneità dei sentimenti e la purezza del cuore. Del resto basta pensare che il commercio delle mogli, ad esempio, in cambio di un cavallo o due, è l'esatto contrario di quanto teorizzano i "primitivisti" sognatori. Spontaneità e libertà appartengono al futuro di una società evoluta e non al passato primitivo.

Il "New Deal"
Dewey fu dunque uno dei filosofi del "New Deal", se non il filosofo per eccellenza di questo tentativo vigoroso di rinnovare culturalmente la società americana ed il vecchiume moralistico del New England, stanco erede della filosofia dei pellegrini del Mayflower. Furono queste idee guida a portare gli Stati Uniti a superare la terribile crisi del 29, e poi a scendere decisamente in campo contro il nazismo nella seconda guerra mondiale.

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