DENIS DIDEROT

A cura di Diego Fusaro


"Filosofare è dare la ragione delle cose o per lo meno cercarla. "

INDICE
VITA E OPERE
PERCORSO TRA LE OPERE
IL PENSIERO
PASSI TRATTI DALLE OPERE




VITA E OPERE

Denis Diderot nasce il 5 ottobre 1713 a Langres, una cittadina di provincia, da una famiglia borghese benestante. Dopo aver studiato presso il collegio gesuita della città, si trasferisce a Parigi per iscriversi all'Università, da cui esce con il titolo di "magister artium" nel 1732. Privo di un preciso indirizzo di carriera, si adatta ai più diversi lavori, dallo scrivano pubblico al precettore, frequentando, come molti altri giovani bohémien, i salotti e i caffè in cui circolano le idee illuministiche e libertine. Qui conosce un altro provinciale come lui, Jean Jacques Rousseau, con cui costruisce un intenso quanto burrascoso rapporto. Studia greco e latino, medicina e musica, guadagnandosi da vivere come traduttore. Nel 1745 traduce il "Saggio sulla virtù e sul merito" di Shaftesbury, dei quale ammira le idee di tolleranza e di libertà. Sotto questa influenza si collocano i "Pensieri filosofici" ("Pensées philosophiques") del 1746, di intonazione deista, "La sufficienza della religione naturale" ("De la suffisance de la religion naturelle") e "La passeggiata dello scettico" ("La promenade du sceptique"), del 1747, aspramente critici verso la superstizione e l'intolleranza. Risale al 1748 il romanzo libertino "I gioielli indiscreti" ("Les bijoux indiscrets") e al 1749 la "Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono" ("Lettre sur les aveugles à l'usage de ceux qui voient") di intonazione sensista e materialista. Già questa prima rassegna di titoli (cui vanno aggiunti anche alcuni saggi di matematica) lascia intravedere due caratteristiche fondamentali della personalità intellettuale di Diderot, vale a dire la vastità dei suoi interessi (che spaziano dalla filosofia alla biologia, dall'estetica alla letteratura) e la flessibilità dei generi di scrittura da lui praticati, particolarmente congeniale al carattere mobile, aperto e dialogico del suo pensiero. Incarcerato a Vincennes per taluni di questi scritti, giudicati sovversivi, Diderot trascorre cinque mesi di prigionia piuttosto blanda, dal 22 luglio al 3 novembre 1749. Nel frattempo è incominciata anche la grande avventura dell' "Encyclopédie", che lo occuperà instancabilmente per il successivo quindicennio: di quest'opera Diderot sarà il più infaticabile artefice, scorgendo in essa una irrinunciabile battaglia politica e culturale e sostenendola pressoché da solo, dopo la defezione di d'Alembert nel 1759. Viceversa, Diderot non darà in genere circolazione pubblica ai propri scritti, molti dei quali rimarranno quindi del tutto sconosciuti al di fuori della ristretta cerchia dei philosophes , per venire pubblicati solo dopo molti decenni dalla sua morte (alcuni addirittura in questo secondo dopoguerra). Appartengono a questo periodo (la pubblicazione dell'enciclopedia si concluderà definitivamente solo nel 1773) altre importanti opere: ricordiamo i fondamentali saggi filosofici "L'interpretazione della natura" ("De l'interpretation de la nature", 1753: si tratta di aforismi di stile baconiano di concezione ateistica) e il "Sogno di d'Alembert" (Rêve del 1709), i romanzi "La monaca" ("La religeuse", 1700) , "Giacomo il fatalista" ("Jacques le fataliste", 1773), il dialogo "Il nipote di Ranieau" ("Le neveu de Raineau", 1762), le opere teatrali "Il figlio naturale" e "Il padre di famiglia" nonché il trattato "La poesia drammatica" ("La poésie drammatique", 1757-58 ). La vita privata di Diderot è intensa, libera, irta focalizzata intorno a centri affettivi di grande importanza: la famiglia (si era sposato nel 1743 con una corniciaia, Antoinette Champion detta Nariette, avendo dal matrimonio una figlia amatissima) e, a partire dal 1756, la amica e amante Sophie Volland. Di quest'ultima relazione ci resta un epistolario di grande valore, oltre che biografico, letterario e storico. Nel 1773 Diderot si reca a Pietroburgo, dove stende per l'imperatrice Caterina II diversi progetti di riforma della società e dell'istruzione. Un durissimo colpo per la morte di Sophie il 22 febbraio 1784. Il 31 luglio dello stesso anno il filosofo muore a Parigi.

PERCORSO TRA LE OPERE

Filosofo e scrittore, nato da famiglia piccolo-borghese, Diderot (Langres 1713-Parigi 1784) venne messo a studiare dai gesuiti prima a Langres, poi al collegio d'Harcourt di Parigi. Destinato alla carriera ecclesiastica, preferì l'avvocatura cui si dedicò però, conclusi gli studi, solo per pochi anni (1732-34). Condusse vita da bohémien, che gli inimicò il padre e gli alienò la sia pur modesta pensione che questi gli passava; il matrimonio con una donna del popolo, Anne-Antoinette Champion, contribuì ad alimentare il disaccordo con la famiglia, che neppure la nascita della figlia, la futura M.me de Vandeul, poté appianare. Tra i numerosi impegni per guadagnarsi da vivere (lezioni private, traduzioni, rifacimenti di opere scientifiche), Diderot aveva intanto pubblicato una Epître in versi e la traduzione della "Storia della Grecia" di Temple Stanyan. Sono le premesse di quella che sarà la sua vocazione letteraria di poligrafo originalissimo e spesso paradossale, che troveranno conferma nella libera traduzione dell' "Inquiry Concerning Virtue or Merit " di Shaftesbury, le cui tesi lo rafforzano nell'idea di separare i precetti morali da ogni influsso divino per conservare loro una base puramente umana. Sarà questo un punto fermo nell'opera di Diderot, riconfermato dalla scoperta fatta da un gruppo di critici nei numerosissimi inediti del Fondo Vandeul. La maggior parte delle sue opere uscì postuma: in vita, tra i suoi scritti più noti, pubblicò soltanto "Les pensées philosophiques" (1746), che per la loro arditezza (condanna dei dogmi e dei culti) vennero date al fuoco per mano del boia, "Les bijoux indiscrets" (1747), libro erotico-satirico, la "Lettre sur les aveugles à l'usage de ceux qui voient" (1749), che gli valse tre mesi di carcere a Vincennes per le idee professate a proposito di Dio e della Natura, la "Lettre sur les sourds et les muets" (1751), anonima, come i precedenti scritti, "Les pensées sur l'interprétation de la nature" (1754). Scrisse anche due mediocri lavori teatrali: "Le fils naturel" (1757) e "Le père de famille" (1758), seguiti dagli "Entretiens sur le fils naturel" e dal "Discours sur la poésie dramatique" (1758). Incapace di dare ordine alla sua vita, anche per le grosse difficoltà economiche in cui si dibatteva, nel 1763 ottenne l'aiuto di Caterina II di Russia che gli acquistò la sua biblioteca, lasciandogliene l'uso e nel 1773, anche per ringraziarla, egli si recò, invitato da lei, a Pietroburgo e vi rimase circa un anno, postillando di osservazioni il nuovo codice e proponendo un piano di riforma scolastica ("Observations sur le Nakaz", pubblicate in parte nel 1899 e complete nel 1921). Rientrato a Parigi, per altri dieci anni, pur scrivendo ininterrottamente, fu il più seducente conversatore dei principali salotti letterari del tempo, ammirato sia dagli amici di M.me d'Épinay, sia da quelli del barone d'Holbach. Le sue idee filosofiche si ritrovano tanto nelle opere, quanto nella vastissima corrispondenza, e persino nelle opere altrui, come nella "Histoire des deux Indes" del Raynal, di cui scrisse numerosi frammenti. Materialista convinto, fedele alle leggi della "natura", Diderot è soprattutto un "seminatore di idee", che daranno frutto assai tardi. Le sue relazioni sui biennali Salons parigini di pittura, tranne una, quella del 1759, furono pubblicate sul finire del secolo XVIII e nel XIX. Si tratta di corrispondenze critiche che Diderot indirizzò all'amico Grimm (ivi compresi gli "Essais sur la peinture", scritti nel 1765-66), che rivelano in lui il padre della critica d'arte moderna. Il "Supplément au voyage de Bougainville", scritto nel 1772, apparve come gli "Essais" nel 1796. Il "Rêve de d'Alembert", scritto nel 1769, fu stampato nel 1830 e consente di collocare Diderot tra i precursori del trasformismo scientifico. Nel 1796 vengono contemporaneamente pubblicati due romanzi: "La Religieuse" (La monaca), scritto nel 1760, che è un atto di accusa contro la vita conventuale del secolo XVIII e che il Manzoni avrà presente per la monaca di Monza dei "Promessi Sposi", e "Jacques le fataliste et son maître" (Giacomo il fatalista e il suo padrone), dove alla trama si sostituisce il dialogo tra servo e padrone, sulle loro storie d'amore, che stanno a dimostrare come in realtà nell'ampio concetto di natura venga a essere superata ogni antinomia. Nel 1823 apparve "Le neveu de Rameau" (Il nipote di Rameau), tradotto dal tedesco, e solo nel 1891 G. Mondal scoprirà il manoscritto originale. È questo il capolavoro letterario di Diderot, in cui tutta la sua vivacità dialettica erompe, come fuoco d'artificio, in una serie di paradossi che coinvolgono filosofia, uomini, arte, musica, morale e i nemici dell' "Encyclopédie". Lo stesso "Paradoxe sur le comédien" (Paradosso sul commediante), scritto nel 1773, apparve solo nel 1830 e getta le basi dell'estetica intellettualistica. Documento notevole, infine, per la conoscenza dell'uomo sono le lettere, soprattutto quelle dirette all'amata Sophie Volland, quelle a Naigeon, allo scultore Falconet, tutte riunite da poco tempo nell'ampia raccolta della "Correspondence". Con la pubblicazione dei "Textes politiques" a cura di Yves Benot (1960), delle "Œuvres politiques" a cura di Paul Vernière (1963) e, specie, del "Commentaire alla Lettre sur l'homme et ses rapports" di Frans Hemsterhuis (da lui conosciuto all'Aia durante il suo viaggio di ritorno dalla Russia), commento scoperto e pubblicato solo nel 1964 e in cui sono confermati il suo monismo materialistico e il suo ateismo ben presenti nella "Réfutation d'Helvétius", scritta nel 1773 e rimasta anch'essa inedita a lungo, Diderot venne a essere ampiamente rivalutato come pensatore politico. Il suo pensiero è più moderno del suo tempo. Sconfessata la concezione politica dell'Illuminismo, Diderot si stacca dalle idee di Voltaire per avvicinarsi a quelle di Rousseau sul filo della tesi ribadita nei "Mémoires pour Cathérine II", in cui l'assolutismo illuminato è addirittura giudicato come il peggiore dei mali, tale da sprofondare in un sonno di morte chi a esso s'abbandona, poiché perde, nella totale fiducia in chi lo guida, il sentimento della libertà, così indispensabile a ogni progresso umano e sociale.

IL PENSIERO

Con Diderot (e con Voltaire) siamo alla base del pensiero illuminista. Un pensiero che ha avuto le sue evoluzioni nel tempo, ma mantenendo sostanzialmente fedele una coerenza etica di fondo. Diderot fu autore, oltrechè di romanzi e racconti, di un cospicuo numero di opere filosofiche che rimasero però spesso inedite per lungo tempo, con scarsa influenza sul pensiero illuministico del Settecento. Attraverso gli ambienti parigini in cui circolavano i testi filosofici clandestini, Diderot lesse gli inglesi (soprattutto Shaftesbury): nei "Pensieri filosofici" è infatti testimoniato l'iniziale deismo di Diderot, utilizzato (come in Voltaire) in polemica anti-cristiana. Ma già nella "Lettera sui ciechi" (1749) la concezione deistica di Diderot si evolve in senso spinoziano, portando ad un'identificazione di Dio con la natura ("Deus sive natura" era il motto di Spinoza) che esclude la presenza in quest'ultima di ogni causalità finale e, di conseguenza, rende inutile l'ipotesi di un Dio creatore, esterno alla natura stessa. Questa posizione è ulteriormente sviluppata in "Sull'interpretazione della natura" (1753): qui lo spinozismo diderotiano viene sviluppato in senso evoluzionistico; la materia, fornita autonomamente di movimento e sensibilità, è il principio dal quale derivano, per evoluzione progressiva, le diverse specie naturali. In questa tesi affiora la vicinanza di Diderot ad una concezione biologica della natura, sulla scia degli sviluppi che la biologia aveva avuto in Francia con scienziati del calibro di Buffon e de Maupertuis. Tutto ciò in contrapposizione alla più consueta interpretazione in termini fisico-meccanici, secondo il modello newtoniano che, sotto questo profilo, si inseriva nella precedente tradizione cartesiana. L'idea dell'evoluzione della specie dalla materia è, però, per Diderot soltanto un'ipotesi che funziona meglio della tradizionale concezione di un mondo dipendente da un creatore: la sua dimostrazione scientifica va al di là delle possibilità della conoscenza umana. E' proprio questo carattere meramente ipotetico a distinguere la posizione filosofica di Diderot da quella dei materialisti contemporanei, con i quali egli entra in aperto conflitto (soprattutto nella "Confutazione di Helvétius") accusandoli di aver fatto del materialismo una concezione dogmatica dell'universo. Negli ultimi suoi lavori, Diderot accantona anche quest'ipotesi, e i suoi interessi di "philosophe" si concentrano sulla determinazione di una "morale naturale", giustificata dalla superiorità degli istinti naturali sui condizionamenti sociali. Le discussioni filosofiche di Diderot (come rivela il "Supplemento al viaggio di Bougainville", 1772) vengono dunque a toccare il problema, fatto emergere da Rousseau ed assai discusso nella cultura dell'epoca, dei rapporti tra la condizione naturale o selvaggia e quella civile. Tra le varie cose, Diderot recupera il concetto di eclettismo: un concetto che, nella tradizione filosofica, ha quasi sempre avuto un significato negativo, e che viene spesso ancora oggi inteso come sinonimo di mancanza di originalità, di collazione piú o meno disorganica di materiali altrui. Eclettismo invece, per Diderot, significa fare i conti con la varietà della realtà senza volerla per forza appiattire nella omogeneità di un "sistema"; significa lavorare con metodo per trovare il nesso che esiste fra le "verità" isolate, e impegnarsi in questa ricerca in maniera sistematica, seguendo la strada tracciata dalla "libertà di pensiero", "dall'esperienza e dalla ragione" e dalla quale è impossibile deviare.

Partito dalle note deiste dei "Pensieri filosofici" ("Pensées philosophiques", 1744), Diderot giunse presto a posizioni materialistiche con la "Lettera sui ciechi per l'uso di quelli che vedono" (1749) e la "Lettera sui sordi e sui muti per l'uso di quelli che intendono e parlano" (1751). Fu proprio la "Lettera sui ciechi" a causargli l'imprigionamento a Vincennes. In questa lettera Diderot sviluppava una nuova concezione del mondo e dell'uomo, un metodo di analisi e una nuova teoria della conoscenza. E' messo in discussione il concetto stesso di normalità: la diversità del cieco serve a Diderot per relativizzare il concetto di normalità e mettere in discussione molti luoghi comuni sullo sviluppo dell'intelligenza. Il cieco con cui dialoga possiede la ragione, la stessa degli altri uomini: ragione e intelligenza non si riducono a una combinazione di sensazioni: se empirismo e sensismo, di Locke e Condillac, fossero veri il mondo del cieco senza la facoltà di vedere sarebbe radicalmente diverso da quello del vedente: il che non è vero. Il cieco giudica come il vedente anche se attraverso modalità diverse. Le intelligenze possono svilupparsi in modo differenziato a seconda dei contesti culturali, educativi, sociali e fisici diversi. Diderot si serve dei ciechi per dimostrare come molte norme tradizionali e regole sono il prodotto di convenzioni sociali. Intravede l'utopia di un mondo e di una società costruiti su basi diverse. Il suo scopo è dimostrare che le nostre idee su dio e sulla morale non sono assolute ma relative alla nostra costituzione fisica, psichica e alla nostra educazione. Anche l'uso del dialogo, il dialogo di origine socratica, è indicativo della ricerca filosofica di Diderot. "La lettera sui sordi e muti" (1951) fu poi usata da Condillac per il suo "Trattato delle sensazioni", e influenzerà i lavori dell'abate de L'Epée. Diderot prende l'esempio dei sordi e dei muti per spiegare l'origine e la formazione del linguaggio. Mostra come non esiste solo il linguaggio parlato ma anche quello mimico e gestuale, vede i linguaggi come mezzi di comunicazione, sviluppa l'idea della molteplicità delle forme comunicative. Parlando del teatro osserva come la " lingua dei gesti è metaforica ". Analizzando la genesi della lingua francese, mostra come la lingua popolare, quella di Rabelais e di Montaigne, è più ricca e creativa di quella scritta codificata dai dotti. Scrisse alla voce 'Filosofo' dell'Encyclopédie: " la grazia determina il cristiano ad agire, la ragione determina il filosofo ", mentre l'uomo è un essere sociale ( " l'uomo è fatto per vivere in società "). Contro le superstizioni, i dogmi, gli idoli che tirannizzano lo spirito umano, scrive che " filosofare è dare la ragione delle cose o per lo meno cercarla ". Filosofia è " la scienza dei possibili ", occorre ricercare quello che può convenire in generale per tutti gli interessi umani e in che cosa consistono le differenze. Così giunge a ipotizzare un concetto di evoluzione differenziata, e si interessa di calcolo delle probabilità. La sua idea centrale è quella della combinazione dei possibili: la natura è un caos di forze, un insieme di contraddizioni e conflitti, di sviluppi potenziali. Di qui il superamento diderotiano del meccanicismo e del tradizionalismo statico. nella sua "Critica al libro 'Dell'Uomo' di Helvetius" scrive contro " il governo arbitrario d'un principe giusto e illuminato " che, anche se giusto e illuminato, abitua il popolo a obbedire al tiranno: " toglie al popolo il diritto di deliberare, di volere o non volere, di opporsi anche alla sua volontà quando ordina il bene; perché questo diritto di opposizione [...] è sacro: senza questo i soggetti assomigliano a un gregge di cui si disprezza il richiamo, con il pretesto che lo si porta nei grassi pascoli ". " La società si di vide in due classi: una classe ristretta di cittadini che sono ricchi, e una classe molto numerosa di cittadini che sono poveri ": Diderot critica sfruttamento e sperequazione, vorrebbe una ripartizione più equa della ricchezza. Nell' "Apologia dell'Abate Raynal" scrive contro " i tiranni religiosi ", e aggiunge: " il libro che amo e che i re e i loro cortigiani detestano è il libro che fa nascere i Bruti ": l'insurrezione è un dovere per un popolo oppresso, perché " i mortali sono tutti uguali ". Per Diderot " mai un uomo potrà essere la proprietà di un sovrano, un bambino la proprietà di un padre, una donna la proprietà di un marito, un domestico la proprietà di un padrone, un negro la proprietà di un colono. Dunque non possono esistere schiavi, neanche per diritto di conquista, ancora meno per acquisto e vendita. I Greci dunque sono stati degli animali feroci contro i quali i loro schiavi giustamente si sono ribellati. I Romani dunque sono stati bestie feroci [...] ". Per questo principio Diderot condanna i massacri degli spagnoli in America Latina. Ma fa anche qualcosa in più. Nel 1766-1769 il navigatore francese Bougainvil le aveva compiuto un viaggio di circumnavigazione scoprendo numerosi arcipelaghi della Polinesia, e aveva poi raccontato la sua esperienza nel "Viaggio intorno al mondo" (1771), che Diderot aveva letto. Diderot scrive allora il "Supplemento al Viaggio di Bougainville" (1771) che è una critica radicale dei fondamenti culturali e etici della civiltà europea del tempo. Il testo è scritto nella forma del dialogo tra il vecchio saggio di Tahiti e Bougainville. Diderot denuncia l'etnocidio e l'etnocentrismo de gli europei, mentre nello stesso tempo presenta la comunità tahitiana come vicina allo 'stato di natura' (sullo sfondo c'è il mito del "buon-selvaggio"), basata sulla parità uomo-donna, sulla comunità dei beni, l'eguaglianza, la libertà sessuale e l'autogoverno. Nell'isola di Tahiti non esiste l'idea di peccato, la parità tra i sessi è totale, la donna è un essere libero e pensante come l'uomo e non può quindi essere la proprietà di nessuno. Il vincolo matrimoniale non è eterno ma consensuale, esso è " il consenso di abitare in una stessa capanna, di dormire nello stesso letto, finché si sta bene insieme ": " appena la donna diventa la proprietà dell'uomo, e il piacere sessuale è vi sto come un furto, nacquero delle virtù e dei vizi immaginari. In una parola, tra i due sessi, delle barriere ". " Volete sapere la storia abbreviata di quasi tutta la nostra miseria? Eccola. Esisteva un uomo naturale. Hanno introdotto dentro questo un uomo artificiale, e si è alzata nella caverna una guerra continua che dura tutta la vita. Talvolta l'uomo naturale è il più forte, talvolta è travolto dall'uomo morale e artificiale. E nell'uno come nell'altro caso il povero mostro è lacerato, attanagliato, tormentato, steso sulla ruota. Gemendo senza sosta, continuamente infelice ". Invoca Diderot: " piangete, infelici tahitiani! piangete dell'arrivo [...] di questi uomini ambiziosi e cattivi [...]. Un giorno torneranno [...] per incatenarvi, sgozzarvi, assoggettarvi alle loro stravaganze e ai loro vizi, un giorno servirete sotto di loro, altrettanto corrotti, altrettanto vili, infelici come loro ". Fa dire al vecchio tahitiano: " noi segniamo il puro istinto della natura. Tu hai tentato di cancellare dalla nostra anima il suo carattere. Qui tutto è di tutti, e tu ci hai predicato non so quale distinzione del tuo e del mio [...]. Noi siamo liberi, ed ecco che tu hai piantato nella nostra terra il titolo della nostra futura schiavitù. Tu non sei né dio né un demonio: chi sei allora per fare degli schiavi? [...] Tu hai progettato nel fondo del tuo cuore la rapina di tutto un popolo! Tu non sei schiavo, soffriresti piuttosto la morte che esserlo, e tu vuoi asservirci! Tu credi dunque che il tahitiano non sappia difendere la sua libertà e morire? [...] Il tahitiano è tuo fratello. Voi siete due figli della natura: quale diritto hai su di lui che non abbia su di te? [...] Lasciaci le nostre usanze, sono più sagge e più oneste delle tue, non vogliamo barattare quella che chiami la nostra ignoranza contro i tuoi inutili lumi. [...] Siamo disprezzabili solo per non avere bisogni superflui? [...] Insegni fin dove vuoi quello che chiami la comodità della vita, ma permetti a de gli esseri sensati di fermarsi se ottengono dai loro continui faticosi sforzi solo beni immaginari. Se tu ci persuadi a oltrepassare il limite del bisogno semplice, quando finiremmo di lavorare? Quando goderemmo? Abbiamo ridotto il più possibile le nostre fatiche annue e giornaliere perché niente ci sembra preferibile al riposo. Va nel tuo paese ad agitarti, tormentarti quanto vuoi: lasciaci riposare ". Alla fine della sua vita il vecchio filosofo si schierava con le colonie nordamericane in rivolta contro l'impero inglese, con la sua "Apostrofe ai ribelli d'America" ("Apostrophe aux insur gents d'Amérique"): parla di libertà, uguaglianza, virtù, indipendenza, scrive che per raggiungere felicità e libertà gli americani non dovevano abusare della prosperità, dovevano essere giusti nella ripartizione delle ricchezze, non tentare di soggiogare altri popoli. Scrisse Diderot, ne "L'autorità politica" ( dall'Enciclopedia):

" Nessun uomo ha avuto dalla natura il diritto di comandare agli altri. La libertà è un dono del cielo, ed ogni individuo della stessa specie ha il diritto di fruirne non appena è dotato di ragione. L'unica autorità posta dalla natura è la patria potestà; ma la patria potestà ha dei limiti e nello stato di natura cesserebbe non appena i figli fossero in grado di governarsi. Ogni altra autorità ha un'origine diversa dalla natura. A ben guardare, si potrà sempre farla risalire ad una di queste due fonti: o alla forza e alla violenza di chi se ne è impadronito, o al consenso di coloro che vi si sono assoggettati con un contratto stipulato o presunto tra essi e colui al quale hanno deferito l'autorità. Il potere acquisito con la violenza è mera usurpazione, e dura solo finché la forza di chi comanda prevale su quella di coloro che ubbidiscono; sicché, se questi ultimi diventano a loro volta i più forti e si scrollano di dosso il giogo, lo fanno con altrettanto diritto e giustizia di chi l'aveva loro imposto. La stessa legge che ha fondato l'autorità allora la distrugge: è la legge del più forte. Talvolta l'autorità impostasi con la violenza cambia natura: quando si regge per aperto consenso di coloro che si sono sottomessi; ma in questo caso rientra nel secondo caso che esaminerò; e chi se l'era arrogata, diventando allora principe, cessa di essere tiranno ".

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