Enomao di Gadara

La componente radicale e contestatrice dell’antico cinismo – che trova la sua più tipica espressione nell’"anaídeia" e nella "parresía" – ritorna in primo piano in Enomao. Nei suoi scritti egli probabilmente trattò l’intero arco della tematica cinica, ma a noi sono pervenute dettagliate informazioni e ampi estratti di una sola opera che recava il titolo L’esposizione dei ciarlatani. In questa opera Enomao sferrava una sferzante requisitoria contro gli oracoli e contro la possibilità delle profezie e della mantica. Egli esaminava in modo analitico le più celebri profezie dell’oracolo di Delfi, ne mostrava l’inconsistenza e la capziosità e adduceva altresì alcune ragioni filosofiche contro la possibilità delle profezie stesse. Le argomentazioni filosofiche non si basavano su una generica negazione dell’esistenza della Divinità e di Demoni. Infatti Enomao, come in genere i Cinici, non era un ateo; egli riteneva, tuttavia, che la Divinità non dovesse occuparsi delle cose umane, e che, quindi, le pretese profezie non avessero nulla di demoniaco e di divino, ma fossero solamente imbrogli belli e buoni. Le argomentazioni in parola facevano appello alla contraddizione sussistente fra l’affermazione dell’esistenza del "Fato" o della "Necessità" che tutto governa, da un lato, e l’ammissione della libertà umana, dall’altro. La mantica dimostra la propria assurdità nella misura in cui fa appello, ad un tempo, ad ambedue questi presupposti, che reciprocamente si escludono.

Scrive Enomao:

È del tutto ridicolo porre nello stesso tempo che qualcosa dipenda dall’uomo e che tuttavia egli sia dominato dal Destino.

Questa contraddizione rende assurda la credibilità degli oracoli (e della mantica in genere) in tutti i sensi. In primo luogo, rende assurda la stessa pretesa libertà di profetare di Apollo, perché, se tutto fosse necessario, Apollo a Delfi non potrebbe stare in silenzio, nemmeno se lo volesse, e, in ogni momento, egli, lungi dal poter fare la propria volontà, dovrebbe fare ciò che la Necessità ha stabilito. In secondo luogo, posto anche che gli oracoli fossero possibili, non avrebbero alcun senso, nella misura, almeno, in cui essi comandano una qualsiasi cosa, perché, ammettendo la Necessità, nulla resterebbe in potere dell’uomo. In questa vivace polemica, si comprende come Enomao dovesse prendersela soprattutto contro gli Stoici, i quali, con la loro dottrina del Fato, pretendevano di dare una base filosofica alla mantica. Gli Stoici – secondo Enomao – non sono coerenti: infatti essi affermano che l’uomo può essere virtuoso; inoltre sono ad un tempo sicuramente persuasi che l’uomo possa essere tale non contro la propria volontà, ma solo per spontanea deliberazione. Ma se così è, non c’e nessuno, "Dio o Sofista che sia", che possa osare affermare che questa spontanea deliberazione dipenda dalla necessità, a motivo dell’evidente contraddizione; e se così è, non regge il loro fatalismo. E, con un’impennata di cinica "parresía", Enomao conclude:

E se osa affermarlo [scil: che ciò che si sceglie deliberatamente dipenda esso pure dalla necessità], non formuleremo più argomenti contro di lui, ma daremo mano ad un nervo di bue, il meglio teso, come quello che serve a raddrizzare i discoli, e gli spezzeremo i fianchi.


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