ERACLITO
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Eraclito, vissuto ad Efeso tra il VI e il V secolo a.C., è di famiglia
aristocratica (addirittura discendente da famiglia regale) e lo stile stesso in
cui scrive risente di questa influenza aristocratica (nella sua opera arriverà a
dire: "uno è per me diecimila, se è il migliore"). Nel suo libro
Peri fusewV (Sulla
natura) traspare palesemente un atteggiamento di disprezzo per la massa
popolare (definita come un branco di "cani" che gli abbaiano contro). Va subito
precisato, però, che l'aristocraticismo di Eraclito non è molto legato alla vita
politica, quanto piuttosto a quella intellettuale e culturale. Secondo la
tradizione, Eraclito avrebbe depositato il suo libro (di cui ci sono pervenuti
parecchi frammenti) nel tempio di Artemide ad Efeso: egli compie questo gesto
senz'altro per il fatto che il tempio era il luogo più sicuro per la custodia
(all'epoca le biblioteche non c'erano) , ma anche perchè era tipicamente
aristocratico riallacciarsi al sapere della casta sacerdotale ed arcaica.
Eraclito ritiene dunque che il tempio sia l'unico luogo idoneo a custodire il
suo scritto: egli infatti nutre grande sfiducia nella possibilità che il
messaggio da lui consegnato allo scritto possa essere compreso dalla maggior
parte degli uomini. Ciò dipende dai contenuti di esso, lontani dalle esperienze
della vita comune, ma anche dal linguaggio e dalla forma nei quali questi
contenuti sono espressi. In effetti ancora oggi non si è riusciti a comprendere
la natura dell'opera di Eraclito, sebbene possediamo numerosi frammenti (oltre
100): essa era infatti costituita di aforismi, vale a dire paginette autonome e
singole. Il fatto che fosse un libro "aforistico" non significa che fossero idee
campate in aria o che Eraclito saltasse di palo in frasca, cambiando in continuo
argomenti: ogni frase, ogni pagina può in qualche modo essere collegata ad altre
in modo argomentativo. Va senz'altro notato che Eraclito fu probabilmente il
primo a fare collegamenti forma-contenuto : dal momento che i contenuti erano
complessi , anche lo stile e la forma dovevano essere complessi: è come se
Eraclito volesse sottolineare la difficoltà del contenuto tramite la difficoltà
della forma (tant'è che veniva spesso denominato "l'oscuro" o "il piangente"):
Aristotele stesso, nel tratteggiare le qualità stilistiche proprie dei filosofi,
cita Eraclito come esempio in negativo. Socrate stesso dice che per penetrare
nel senso dei discorsi di Eraclito occorrerebbe essere dei "palombari di Delo".
Ma Eraclito era pienamente consapevole della difficoltà di interpretazione del
suo libro: da buon aristocratico, diceva che non tutti gli uomini erano in grado
di capire cosa dicesse: solo i migliori ce l'avrebbero fatta. In Eraclito
perfino gli accenti sono ambigui: il termine greco "bios" (bioV) , ad esempio, letto "biòs"
significa "arco" , ma letto "bìos" significa "vita" (sono addirittura antitetici
i significati: l'arco è un qualcosa che provoca la morte, che è l'opposto della
vita). E' interessante e famoso il frammento in cui Eraclito dice "la natura
ama nascondersi" (fusiV filei
kruptein) : con ciò, egli intende sottolineare che non è
facile trovare la realtà, ma occorre aprire bene gli occhi; lo stesso stile
eracliteo – così oscuro - può allora essere inteso come un invito a stare in
guardia. In Eraclito vi è una convinzione di fondo: che l'intera realtà sia
governata da un solo principio (come dicevano i Milesi), a cui tutto è
collegato. Dirà che questi legami che legano la natura sono dettati dal
LogoV (Logos) : nel mondo
c'è una ragione che lo fa andare avanti e un discorso che lo lega. Sia ragione
sia discorso vengono proprio tradotti ambedue con "logos", termine che riveste
una miriade di significati. Logos è anche il discorso che Eraclito consegna al
suo scritto, che in questo senso si presenta come espressione adeguata del logos
cosmico. Questo è comune a tutti gli uomini, ma essi non sono in grado di
comprenderlo perchè restano rinchiusi nel loro orizzonte privato . Eraclito
paragona questi uomini a coloro che dormono e li chiama "dormienti", in
contrapposizione con coloro che son desti: quale è la differenza tra le due
categorie? Quando siamo svegli siamo in grado di mettere in comune le
esperienze: non siamo soli , ma c'è un comune terreno d'intesa . Quando invece
dormiamo e ciascuno di noi vive nei sogni in un mondo interamente suo. I
dormienti quindi, nel caso degli uomini che Eraclito così definisce, sono coloro
che rinunciano al logos cosmico, che ci consente di capire insieme la realtà.
Certo suona strano che un aristocratico parli di logos comune-cosmico: in realtà
la questione è che quel "comune" logos "cosmico" si riferisce non a tutti gli
uomini, ma a pochi : solo ai migliori , e non ai dormienti. Ma cerchiamo di
comprendere che cosa Eraclito intenda con "logos comune, cosmico": come
accennato, la parola logos è polisemantica ed è quindi bene non tradurla. Essa
si riconnette al verbo greco "lego", che in origine significava "legare" ma che
poi passò a significare "parlare". Logos vuol dire, tra le varie cose, discorso:
c'è l'idea di più parole che vengono tra loro legate per assumere un
significato. Può anche significare "discorso interiore" in quanto prima di
parlare, si effettua un ragionamento, un dialogo interno a noi stessi. Quindi
passò a significare "ragionamento" e da qui "ragione", ossia la facoltà di
effettuare ragionamenti. Per Eraclito però i significati della parola logos sono
essenzialmente tre: 1) La ragione che governa l'universo 2) Il pensiero che
comprende questa ragione universale 3) il discorso che esprime questa conoscenza
(dunque il discorso che Eraclito pone per iscritto nel suo testo). Così come
abbiamo un logos dentro di noi (la ragione) , Eraclito dice che anche nella
realtà ci deve essere un logos cosmico, dove logos ha valenza di "ragione" : il
logos è quel qualcosa che fa funzionare l'universo. Eraclito afferma che il
logos che abbiamo nella nostra mente non è diverso da quello cosmico. Per
arrivare a dire questo, probabilmente, Eraclito si deve essere sagacemente
chiesto: "come è che quello che noi pensiamo esiste anche nella realtà?". Questo
è anche un modo per rispondere alla domanda: "come si ricollegano le leggi della
natura e del mondo? ". Di fatto, Eraclito nega l'esistenza di un dio, ma ammette
quella di una ragione universale: c'è un nesso tra la ragione che governa il
mondo e quella che governa la nostra mente: sono la stessa cosa e dunque
l’ambiguità espositiva nell'opera "Perì fuseos" è dettata dal logos stesso, che
fà sì che la natura ami nascondersi. Certo è difficile comprendere questo logos
universale, ma non è impossibile: l'uomo ce la può fare usando quel frammento di
logos a sua disposizione, insito dentro di lui : la ragione, che non è
nient'altro che un pezzettino di logos universale di cui tutti disponiamo.
Quindi tutti partiamo dallo stesso livello, ma solo i migliori riescono ad
emergere e ad avvicinarsi al logos cosmico. I dormienti sono coloro che non ci
riescono nè ci provano: per raggiungere il logos universale bisogna cooperare,
non agire da soli e nel proprio interesse: Eraclito dice "bisogna seguire ciò
che è comune; infatti ciò che è è comune di tutti . Ma pur essendo il logos di
tutti , la folla vive come se avesse un proprio ed esclusivo criterio per
giudicare". Eraclito era del parere che una città per funzionare avesse
bisogno delle leggi: come il logos cosmico governa il mondo, così le leggi
governano la città. Anche le leggi (nomoi), come la mente umana, rappresentano un
frammento di logos universale. In Eraclito matura l'idea che la legge umana
derivi da quella naturale, della fusiV
(natura). Tutte le leggi umane - nella misura in cui sono
giuste - attingono ad un'unica legge cosmica. A quei tempi vi era anche chi
diceva che le leggi umane fossero puramente convenzionali e non c'entrassero
nulla con la natura. Sebbene Eraclito arrivi ad ammettere che il principio sia
il logos, un'entità assolutamente astratta, tuttavia egli sente il bisogno di
incarnarlo in qualcosa di materiale, e più precisamente nel fuoco. Eraclito dice
che l'universo non è il prodotto di dei o uomini, ma un ordine universale unico
ed eterno. Egli lo identifica con "il fuoco sempre vivente" . Con il
riferimento al fuoco, Eraclito non intende soltanto introdurre una variazione
rispetto alla tesi, tradizionalmente attribuita agli ionici a partire da
Aristotele (Metafisica, I), dell'unicità del principio. Intende piuttosto
insistere sulla peculiarità di comportamento del fuoco: si accende e si spegne
regolarmente secondo una misura, come appare anche dal sole, che ora brilla (di
giorno) e ora si spegne (di notte). La vicenda cosmica in tutti i suoi aspetti e
nelle sue incessanti trasformazioni è infatti regolata da una misura. La
mobilità del tutto non è un divenire casuale o disordinato, ma è regolata
secondo ritmi precisi. Eraclito sostiene che non si tratti solo della
successione di un opposto all'altro, del giorno alla notte, della vita alla
morte e così via. La guerra (polemoV) assurge a simbolo e insieme regola di tutto ciò che avviene
nell'universo: questo è caratterizzato da un'armonia superiore consistente
nell'unità e identità degli opposti in tensione tra loro (coincidentia
oppositorum). Quindi anche per Eraclito la ricerca dell'unità, al di sotto
dell'apparente molteplicità e dispersione di ciò che appare ai più, è
l'obiettivo primario. La guerra ("Polemos è signore di tutte le cose")
tra gli opposti non è espressione di ingiustizia, come ritengono i più e come
aveva detto Anassimandro: il divenire di tutte le cose è il risultato del
perenne conflitto che permea il tutto e si esprime nell'incessante tensione e
trasformazione di un contrario nell'altro. Il fuoco suggerisce bene l'idea di
questo costante divenire, di dinamicità, di trasformazione e di identità degli
opposti: dove c'è il fuoco c'è la vita, ma il fuoco porta anche la morte (come
"bios" denota sia la vita sia l’arco mortifero). Eraclito polemizzerà moltissimo
con i Pitagorici (ed in particolare con Pitagora che definirà "inventore di
coltelli", vale a dire dell'arte tagliente della retorica, che mira ad
affascinare l'ascoltatore con dialoghi raffinati, ma privi di verità), che
sostenevano la pace e l'armonia dei contrasti e che vedevano nella musica la
struttura numerica della realtà. Per lui la vera armonia è la tensione tra i
contrasti (armonia discors): se prendiamo un arco o una lira, notiamo che
essi funzionano fin tanto che la struttura data dal contrasto e dalla tensione
degli opposti regge. Divenire significa proprio passare da un opposto all'altro.
Mentre nella nostra società si tende a dare un valore negativo alla guerra,
Eraclito (e in forza di ciò sarà amatissimo ad esempio da Hegel) dice che
polemos (la guerra) è il padre di tutte le cose, è ciò che rende liberi o
schiavi gli uomini. Da notare che non si può conoscere pienamente una cosa se
non si conosce il suo opposto: non si può conoscere davvero la schiavitù se non
si sa che cosa sia la libertà. Per Eraclito la guerra è una grande cosa anche
perchè determina quali siano gli uomini più valevoli e quelli inferiori: anche
nella guerra c'è dunque un frammento di logos universale. Per Eraclito c'è
armonia solo quando i contrari sono in tensione. In un suo frammento, Eraclito
afferma che il diametro del sole sia di un piede umano, il che è un'assurdità e
lui lo sapeva bene: con quest'affermazione sconcertante egli vuole dire che,
così come è assurda la sua affermazione, tali sono anche tutte quelle che si
arrestano all’apparenza, giacchè "la natura ama nascondersi". In un altro
frammento dice di aver indagato se stesso ("ho indagato me stesso"):
salta all'occhio questa affermazione perchè sul tempio di Apollo a Delfi c'era
scritto gnwqi sauton
(conosci te stesso): lui dice di aver indagato se stesso ed emerge il legame di
Eraclito con il mondo arcaico e sacro, tipicamente aristocratico, quel mondo a
cui aveva voluto affidare il proprio scritto. Probabilmente quest'affermazione
va riferita ad un'importante constatazione di Eraclito: voleva conoscere il
logos dell'anima e dice di aver scoperto che l'anima non ha dimensioni, non è
definita: "per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la
via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo
lógos". Dice che il suo logos è profondo, quasi con l'idea dello
scavare in profondità alla ricerca dell'anima. Eraclito biasima anche Esiodo,
l'autore di quella specie di Bibbia dei Greci che è la "Teogonia", che
tra le varie coppie di contrari aveva individuato il giorno e la notte, ma che
non le aveva individuate come identità di opposti. In un frammento Eraclito dice
"la via in su ed in giù è unica ed identica": un qualsiasi percorso in
pendenza è sia salita sia discesa e ciò significa che le stesse cose possono
contemporaneamente essere opposte ed identiche ed in particolare traspare
l'identificazione degli opposti: la salita e la discesa sono tra loro opposti,
ma si identificano. Interessante è il frammento in cui dice: "il fulmine
governa tutte le cose" ; il fulmine è strettamente connesso al fuoco, che
governa tutto ed è l'attributo principale di Zeus, il padre degli dei. Gli
Stoici pensavano che vi sarebbe stato un grande anno in cui vi sarebbe stato un
incendio che avrebbe portato alla conflagrazione del mondo (ekpurosiV) e che dopo ciò ne sarebbe nato
uno nuovo. Essi amavano Eraclito perchè pensavano di leggere nei suoi frammenti
idee simili, quali la conflagrazione. In effetti c'è un frammento eracliteo in
cui si dice che il fuoco può cambiarsi in tutte le cose e che tutte le cose si
possono cambiare in fuoco, ma Eraclito intende semplicemente dire che una parte
di cose viene di continuo cambiata in fuoco, e una parte di fuoco viene di
continuo cambiata in cose. C'è un equilibrio: Eraclito non intendeva
assolutamente parlare di conflagrazioni: si tratta di interpretazioni errate da
parte degli stoici. Uno dei frammenti senz'altro più famosi di Eraclito è quello
che dice : "negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo
" : troppo spesso è stato interpretato come il manifesto della "filosofia
del divenire", del panta rei
("tutto scorre"), come se Eraclito ci stesse suggerendo che non possiamo mai
bagnarci due volte nelle stesse acque di un fiume, giacchè esse si rinnovano
incessantemente. In realtà l’indirizzo dell’incessante divenire che regola la
realtà sarà intrapreso, più che da Eraclito (nel quale pure non è assente), dal
suo discepolo Cratilo (futuro maestro di Platone): egli estremizzerà le
posizioni di Eraclito e diventerà il filosofo del "tutto scorre": a suo avviso è
addirittura impossibile dare i nomi alle cose perchè esse cambiano di continuo
(noi chiamiamo Po un fiume ma non è corretto, perchè le acque si rinnovano in
continuazione e il fiume non è mai lo stesso); si fissa artificialmente una cosa
che non è fissabile perchè in continua mutazione. Cratilo con il "panta rei"
arriva a dimostrazioni sofistiche: è impossibile conoscere qualcosa che cambia
sempre. Quindi in teoria, dal momento che non si possono attribuire nomi,
bisognerebbe limitarsi ad indicare le cose col dito, senza chiamarle per nome.
In realtà Eraclito, con il frammento del fiume, sta argomentando in favore della
coincidenza degli opposti, mettendo in luce come quando ci immergiamo in un
fiume siamo in esso e al contempo non siamo in esso (poiché nel
fiume le acque cambiano di continuo). Circa l'identità degli opposti, egli dice
anche che "il mare è l'acqua più pura e impura, per i pesci potabile e
salutare, per gli uomini imbevibile e letale" : in questo frammento si può
anche scorgere il famoso relativismo assoluto di Protagora, ad avviso del quale
il miele c'è chi lo sente dolce e chi lo sente amaro, ma non si può
effettivamente dire se esso sia amaro o dolce: dipende da come ciascuno lo
sente. Durissima è la critica condotta da Eraclito contro i sapienti del suo
tempo (Pitagora, Ecateo, Esiodo, Omero, tutta "gente dalla doppia
testa"), accusati di polumaqia, il "sapere molte cose": la vera conoscenza dev’essere quella dell’unico
logos.