ERMARCO

 

 

 

Alla morte di Epicuro (270 a.C) suo successore nella direzione della Scuola – e quindi secondo scolarca del Giardino – fu Ermarco di Mitilene. Fu egli pure un cospicuo polemista. F. Longo Auricchio, che ha curato la prima edizione dei frammenti, così tratteggia la figura spirituale di questo personaggio:

«L’eccellenza di Ermarco non è generalmente ammessa. Mentre unanime è il riconoscimento delle elevatissime doti spirituali e umane di Metrodoro, si è diffusa la persuasione che Ermarco, nella formazione filosofica, non abbia raggiunto né il livello di Epicuro né quello di Metrodoro, sia insomma quasi una figura di secondo piano. Non c’è dubbio che alla base di tale convinzione è una testimonianza di Seneca, di cui, a mio avviso, è stata esagerata la portata. Secondo Seneca, Epicuro ha operato, per così dire, una classificazione dei caratteri dei discepoli che tendono alla verità. Metrodoro e Ermarco devono essere entrambi guidati nel cammino verso la sapienza, ma Ermarco ha bisogno di un sostegno maggiore. Tuttavia ambedue raggiungo-no il fine, e Epicuro, che si rallegra con Metrodoro, ammette che la sua ammirazione va in misura maggiore a Ermarco, perché maggiore è stato il suo impegno nella pratica della filosofia. A me sembra che tale sia il senso della testimonianza di Seneca e ne emerga un giudizio tutt’altro che deteriore di Ermarco».

Leggiamo la sua descrizione degli Dei, che riprende le idee di Epicuro in modo puntuale:

Secondo Ermarco bisogna pensare agli dèi come esseri che ispirano e espirano. Senza questa caratteristica certo non potremmo più pensare questi esseri viventi tali quali li abbiamo conosciuti attraverso le nostre anticipazioni, come neppure (potremo pensare) pesci che non abbiano bisogno di acqua né uccelli che non abbiano bisogno di ali per muoversi attraverso l’aria [...]. E bisogna dire che essi fanno uso sia della voce sia della conversazione fra loro. Infatti non li penseremo felici e indistruttibili in grado maggiore – egli afferma – se non avessero voce o non discorressero fra loro, ma fossero simili agli uomini muti: In verità, poiché noi, che non siamo mutilati in alcuna parte, ci serviamo della voce, dire che gli dèi o sono mutilati o non somigliano a noi sotto questo aspetto è anche estremamente sciocco, dal momento che né noi né loro diversamente in alcun modo coniamo espressioni, e, d’altra parte, perché conversare con i propri simili è per i buoni fonte di piacere indicibile E, per Zeus, si deve ritenere che la loro lingua sia il greco o una lingua non lontana dal greco… tutti i sapienti… si dice che usino parole non molto diverse nelle articolazioni. E sappiamo che sono sapienti solo coloro che si servono della lingua greca”.

 

 


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