ARISTOTELE
ETICA A NICOMACO
LIBRO VI
1. [La retta ragione. Le due parti dell’anima razionale].
Dal momento che abbiamo già precedentemente asserito136 che è il giusto mezzo che occorre scegliere, e non l’eccesso né il difetto, e [20] giacché il giusto mezzo è come la retta ragione137 dice, è di questo che dobbiamo trattare. Infatti, in tutte le disposizioni di carattere di cui abbiamo parlato, come pure negli altri casi, c’è una specie di bersaglio, mirando al quale chi possiede la ragione tende e rilascia la corda del suo arco138, e c’è una determinata misura che definisce le medietà, che noi diciamo intermedie tra l’eccesso e il difetto, [25] perché sono conformi alla retta ragione. Questa affermazione è, sì, vera, ma non chiarificatrice, perché anche in tutti gli altri oggetti delle preoccupazioni umane, di cui v’è scienza, è vero dire questo, che, cioè, non dobbiamo darci pena né essere trascurati né più né meno del dovuto, ma attenerci al giusto mezzo, cioè a come prescrive la retta ragione. Ma se uno possedesse solo questa verità [30] non saprebbe per niente di più; per esempio, quali rimedi deve applicare al corpo, se gli si dicesse che deve usare quelli che comanda l’arte medica, e nel modo in cui li usa chi quest’arte possiede. Perciò, anche delle disposizioni dell’anima bisogna non solo che ciò che si è detto sia veramente così, ma anche che sia definito che cos’è la retta ragione e quale è la misura che la definisce [35].
Orbene, quando abbiamo distinto le virtù dell’anima, abbiamo detto139 che alcune sono virtù del carattere, [1139a] e altre sono virtù del pensiero. Delle virtù etiche abbiamo già trattato140; delle altre, dopo un discorso preliminare sull’anima, diciamo quanto segue. Precedentemente abbiamo detto141 che ci sono due parti dell’anima, quella razionale e quella irrazionale: [5] ora dobbiamo suddividere alla stessa maniera quella razionale. E diamo per ammesso che le parti razionali siano due: una è quella con cui contempliamo gli enti i cui principi non possono essere diversamente, e una con cui consideriamo le realtà contingenti142. Infatti, nei confronti delle cose che sono diverse per genere è diversa anche quella delle parti dell’anima [10] che per natura è rivolta all’una o all’altra di esse, se è vero che è per una certa somiglianza e parentela con esse che la conoscenza le appartiene143. Chiamiamole, rispettivamente, la parte "scientifica" e la parte "calcolatrice": infatti deliberare e calcolare sono la stessa cosa, ma nessuno delibera sulle cose che non possono essere diversamente144. Per conseguenza, la parte calcolatrice [15] non è che una parte dell’elemento razionale dell’anima. Bisogna, dunque, capire qual è la migliore disposizione di ciascuna di queste parti: essa, infatti, è la virtù di ciascuna, e la virtù di una cosa è ciò che è proprio di questa cosa in rapporto alla sua funzione.
2. [Desiderio, intelletto, scelta].
Ma nell’anima145 ci sono tre elementi che determinano insieme l’azione e la verità: sensazione, intelletto e desiderio. Ma di questi tre la sensazione non è principio di alcuna azione morale: risulta chiaro dal fatto [20] che le bestie hanno, sì, la sensazione, ma non partecipano della capacità di agire moralmente146. Quello, poi, che sul piano del pensiero sono l’affermazione e la negazione, sul piano del desiderio sono il perseguimento e la fuga. Così, poiché la virtù etica è una disposizione alla scelta, e la scelta è un desiderio assunto dalla deliberazione, bisogna per questo che il ragionamento sia vero e che il desiderio sia retto147, [25] se la scelta deve essere moralmente buona, e che ciò che il ragionamento afferma e ciò che il desiderio persegue siano la stessa cosa. Questi, dunque, sono il pensiero pratico e la verità pratica. Del pensiero teoretico, poi, che non è né pratico né produttivo, la buona e la cattiva disposizione sono il vero e il falso (questa è infatti la funzione di ogni attività pensante): la funzione della parte pratica [30] e pensante insieme è la verità in accordo con il retto desiderio. Orbene, principio dell’azione è la scelta (che è ciò da cui procede il movimento, ma non il fine a cui il movimento tende), e principi della scelta sono il desiderio e il calcolo dei mezzi per raggiungere il fine. Dunque, la scelta non può sussistere né senza intelletto e pensiero né senza disposizione morale, giacché un agire moralmente buono [35] o cattivo non può sussistere senza pensiero e senza carattere. Il pensiero di per sé non mette in moto nulla, bensì ciò che muove è il pensiero che determina i mezzi per raggiungere uno scopo, cioè il pensiero pratico. [1139b] Questo, infatti, presiede anche all’attività produttrice: chiunque, infatti, produca qualcosa, la produce per un fine, e la produzione non è fine a se stessa (ma è relativa ad un oggetto, cioè è produzione di qualcosa), mentre, al contrario, l’azione morale è fine in se stessa, giacché l’agire moralmente buono è un fine, ed il desiderio è desiderio di questo fine. Perciò la scelta è intelletto che desidera [5] o desiderio che ragiona, e tale principio è l’uomo. Ma non può mai essere oggetto di scelta il passato (per esempio, nessuno può scegliere di avere saccheggiato Troia), giacché non si delibera sul passato, ma sul futuro e sul contingente, mentre il passato non può non essere stato. Perciò ha ragione Agatone148: [10]
"Ché di questa sola possibilità anche Dio rimane privo: rendere non fatto ciò che è stato fatto".
Dunque, la funzione di entrambe le parti intellettive dell’anima è la verità. E, dunque, le disposizioni in virtù delle quali ciascuna di esse meglio attinge la verità sono rispettivamente le loro virtù.
3. [La scienza].
Orbene, ricominciamo dall’inizio e parliamo di nuovo di queste disposizioni. [15] Ammettiamo, dunque, che le disposizioni per cui l’anima coglie il vero con un’affermazione o con una negazione siano cinque di numero: e queste sono l’arte, la scienza, la saggezza, la sapienza, l’intelletto; il giudizio e l’opinione no, perché ad essi è possibile ingannarsi. Che cosa è, dunque, la scienza, se dobbiamo parlare con rigore e non tener dietro a similitudini, risulta chiaro da quanto segue. [20] Tutti ammettiamo che ciò di cui abbiamo scienza non può essere diversamente da quello che è: ciò, invece, che può essere anche diverso, quando è fuori dal campo della nostra osservazione, non si sa più se esiste o no. In conclusione, l’oggetto della scienza esiste di necessità. Quindi è eterno: gli enti, infatti, che esistono di necessità assoluta sono tutti eterni, e gli enti eterni sono ingenerati e incorruttibili. [25] Inoltre, si ritiene che ogni scienza sia insegnabile e che ciò che è oggetto di scienza può essere appreso. Ogni insegnamento, poi, procede da conoscenze precedenti, come diciamo anche negli Analitici149: procede, infatti, o mediante l’induzione o mediante il sillogismo. Ora, l’induzione è principio di conoscenza anche dell’universale, mentre il sillogismo procede dagli universali. Ci sono, [30] dunque, dei principi da cui il sillogismo procede, ma dei quali non è possibile sillogismo: dunque, si ottengono per induzione. In conclusione, la scienza è una disposizione alla dimostrazione, insieme con tutti gli altri caratteri che abbiamo definito negli Analitici 150, giacché quando si è giunti ad una determinata convinzione e quando i principi ci sono noti, si ha scienza. Infatti, se i principi non sono più noti della conclusione, [35] si avrà scienza solo per accidente. Si consideri conclusa in questo modo la definizione di scienza.
4. [L’arte].
[1140a] Ciò che può essere diverso da come è, può essere sia oggetto di produzione, sia oggetto di azione: altro è la produzione e altro l’azione (per quanto riguarda questi argomenti ci affidiamo anche agli scritti151 essoterici). Così anche la disposizione ragionata all’azione è altro dalla disposizione ragionata alla produzione. [5] Perciò nessuna delle due è inclusa nell’altra, giacché l’azione non è produzione, e la produzione non è azione. Poiché l’architettura è un’arte ed è per essenza una disposizione ragionata alla produzione, e poiché non c’è nessun’arte che non sia una disposizione ragionata alla produzione, e non c’è nessuna disposizione ragionata alla produzione che non sia un’arte, arte sarà [10] lo stesso che "disposizione ragionata secondo verità alla produzione". Ogni arte, poi, riguarda il far venire all’essere e il progettare, cioè il considerare in che modo può venire all’essere qualche oggetto di quelli che possono essere e non essere, e di quelli il cui principio è in chi produce e non in ciò che è prodotto. L’arte, infatti, non ha per oggetti le cose che sono o vengono all’essere per necessità, [15] né le cose che sono o vengono all’essere per natura, giacché queste hanno in sé il loro principio. Poiché produzione ed azione sono cose diverse, è necessario che l’arte riguardi la produzione e non l’azione. Ed in certo qual modo hanno gli stessi oggetti il caso e l’arte, come dice anche Agatone152: "L’arte ama il caso e il caso ama [20] l’arte". Dunque, l’arte, come s’è detto, è una specie di disposizione, ragionata secondo verità, alla produzione; la mancanza d’arte, al contrario, è una disposizione, accompagnata da ragionamento falso, alla produzione, sempre relativa alle cose che possono essere diversamente da come sono.
5. [La saggezza].
Per quanto riguarda la saggezza, ne coglieremo l’essenza se considereremo [25] qual è la natura di coloro che chiamiamo saggi. Ebbene, comunemente si ritiene che sia proprio del saggio essere capace di ben deliberare su ciò che è buono e vantaggioso per lui, non da un punto di vista parziale, come, per esempio, per la salute, o per la forza, ma su ciò che è buono e utile per una vita felice in senso globale. Una prova ne è che noi chiamiamo saggi coloro che lo sono in un campo particolare, quando calcolano [30] esattamente i mezzi per ottenere un fine buono in cose che non sono oggetto di un’arte. Ne consegue che anche in generale è saggio chi è capace di deliberare. Ma nessuno delibera sulle cose che non possono essere diversamente, né sulle cose che non gli è possibile fare lui stesso. Cosicché, se è vero che scienza implica dimostrazione, ma che, d’altra parte, non v’è dimostrazione delle cose i cui principi possono essere diversamente [35] (tutte queste infatti possono essere anche diversamente), e poiché non [1140b] è possibile deliberare su ciò che è necessariamente, la saggezza non sarà né scienza né tecnica. Non sarà scienza perché l’oggetto dell’azione può essere diversamente, e non sarà arte perché il genere dell’azione e quello della produzione sono diversi. In conclusione, resta che la saggezza sia [5] una disposizione vera, ragionata, disposizione all’azione avente per oggetto ciò che è bene e ciò che è male per l’uomo. Infatti, il fine della produzione è altro dalla produzione stessa, mentre il fine dell’azione no: l’agire moralmente bene è un fine in se stesso. Per questo noi pensiamo che Pericle e gli uomini come lui sono saggi, perché sono capaci di vedere ciò che è bene per loro e ciò che è bene per gli uomini in generale; [10] e tale capacità hanno, secondo noi, gli uomini che sanno amministrare una famiglia o uno Stato. Per questo motivo attribuiamo alla temperanza questo nome, perché salva la saggezza153. Salva, cioè, il giudizio saggio. In effetti, non è che il piacere e il dolore corrompano e distorcano ogni tipo di giudizio (per esempio, questo: il triangolo [15] ha o non ha la somma degli angoli interni uguale a due angoli retti), bensì soltanto i giudizi che riguardano l’azione. Infatti, i fini delle azioni sono le azioni stesse: a chi è corrotto dal piacere o dal dolore non è più manifesto il principio, né che è in vista di questo o per causa sua che deve scegliere e fare tutto ciò che sceglie e fa: il vizio, infatti, distrugge il principio dell’azione morale. [20] Per conseguenza, la saggezza è necessariamente una disposizione ragionata, vera, disposizione all’azione nel campo dei beni umani. Inoltre, dell’arte c’è una virtù, ma non c’è una virtù della saggezza: cioè, nel campo dell’arte è preferibile chi sbaglia volontariamente, mentre nel caso della saggezza, come in quello delle altre virtù, sbagliare volontariamente è peggio. Dunque, è chiaro che la saggezza è una virtù [25] e non un’arte. Poiché, poi, le parti razionali dell’anima sono due, la saggezza sarà la virtù di una delle due, di quella opinativa154: sia l’opinione sia la saggezza, infatti, si riferiscono alle cose che possono essere diversamente. Inoltre la saggezza non è soltanto una disposizione ragionata: prova ne è che di una simile disposizione vi può essere oblio, della saggezza, [30] invece, no.
6. [L’intelletto].
Poiché la scienza è un giudizio che ha per oggetto gli universali e le cose che sono necessariamente, e poiché ci sono dei principi delle cose dimostrabili e di ogni scienza (giacché la scienza implica ragionamento), il principio di ciò che è oggetto di scienza non è a sua volta oggetto di scienza155 né di arte né [35] di saggezza: infatti, ciò che è oggetto di scienza è dimostrabile, mentre l’arte e la saggezza [1141a] riguardano ciò che può essere diversamente. Quindi, neppure la sapienza ha come oggetto i principi: è proprio del sapiente, infatti, avere dimostrazione di un certo tipo di cose. Per conseguenza, se le disposizioni per cui cogliamo la verità e non cadiamo mai in errore, sia sugli oggetti che non possono sia su quelli che possono essere diversamente, sono scienza, saggezza, sapienza e intelletto, [5] e se i principi non possono essere oggetto di tre di queste (con "tre" intendo saggezza, scienza e sapienza), resta che essi siano oggetto dell’intelletto.
7. [La sapienza. Differenza tra sapienza e saggezza].
Noi attribuiamo la sapienza nelle arti a coloro che raggiungono la più alta maestria [10] nelle loro arti: per esempio, diciamo che Fidia156 è uno scultore sapiente e Policleto157 un sapiente statuario, indicando qui con "sapienza" nient’altro che l’eccellenza in un’arte. Ma noi pensiamo che ci siano degli uomini sapienti in senso onnicomprensivo e non sapienti solo in un campo particolare o in una cosa determinata, come dice Omero nel Margite158: [15]
"costui gli dèi non lo fecero né zappatore né aratore né sapiente in qualche altra cosa"159.
Così è chiaro che la sapienza è la più perfetta delle scienze. Per conseguenza, bisogna che il sapiente non solo conosca ciò che deriva dai principi, ma anche che colga il vero per quanto riguarda i principi stessi. Così si può dire che la sapienza sia insieme intelletto e scienza, in quanto è scienza, con fondamento, [20] delle realtà più sublimi. È assurdo infatti, pensare che la politica e la saggezza siano la forma più alta di conoscenza, se è vero che l’uomo non è la realtà di maggior valore nell’universo. Se, dunque, ciò che è salutare è diverso per gli uomini e per i pesci, mentre ciò che è bianco e diritto è sempre la stessa cosa, tutti devono riconoscere che anche ciò che è sapiente è la stessa cosa, mentre ciò che è saggio [25] è diverso. Infatti, si dice che è cosa saggia il saper considerare adeguatamente i nostri interessi particolari, ed è ad un uomo saggio che noi li affidiamo. È per questo che si dice che certi animali sono saggi, quelli cioè che mostrano di avere una certa capacità di previdenza per ciò che interessa la loro vita. È chiaro, inoltre, che non si può dire che la sapienza e la politica si identificano: se, infatti, [30] si chiamerà sapienza la scienza di ciò che è utile a noi stessi, ci saranno molte sapienze, giacché non è unica la scienza di ciò che è bene per tutti gli animali, ma è diversa per ciascuna specie, come anche non c’è un’unica scienza medica per tutti gli esseri viventi. Se, poi, si dice che l’uomo è superiore a tutti gli altri animali, non cambia niente, giacché ci sono altre realtà di natura ben [1141b] più divina dell’uomo, come risulta chiarissimo, se non altro, dai corpi di cui è costituito l’universo160. Dunque, da quanto abbiamo detto risulta chiaro che la sapienza è, insieme, scienza e intelletto delle realtà più sublimi per natura. Perciò Anassagora161 e Talete162, e gli uomini come loro, vengono chiamati sapienti [5] ma non saggi, quando si vede che ignorano ciò che è vantaggioso per loro, e si dice che essi conoscono realtà straordinarie, meravigliose, difficili e divine, ma inutili, perché non sono i beni umani che essi cercano.
La saggezza, invece, riguarda i beni umani e le cose su cui è possibile deliberare: infatti, [10] noi diciamo che soprattutto questa è la funzione del saggio, il deliberare bene, e nessuno delibera sulle cose che non possono essere diversamente, né su quelle che non abbiano un qualche fine che sia un bene realizzabile nell’azione. L’uomo che sa deliberare bene in senso assoluto è quello che, seguendo il ragionamento, sa indirizzarsi a quello dei beni realizzabili nell’azione che è il migliore per l’uomo. La saggezza non ha come oggetto [15] solo gli universali, ma bisogna che essa conosca anche i particolari, giacché essa concerne l’azione, e l’azione riguarda le situazioni particolari. È per questa ragione che alcuni uomini, pur non conoscendo gli universali, sono, nell’azione, più abili di altri che li conoscono, e questo vale anche negli altri campi163: sono coloro che hanno esperienza. Se, infatti, uno sa che le carni leggere sono facili da digerire e salutari, ma non sa quali sono le carni leggere, non produrrà la salute; [20] la produrrà piuttosto colui che sa che le carni degli uccelli sono leggere e salutari. La saggezza, poi, riguarda l’azione: cosicché deve possedere entrambi i tipi di conoscenza, o di preferenza quella dei particolari. Ma ci sarà anche qui una scienza architettonica164.
8. [Politica e saggezza come conoscenza del particolare].
La politica e la saggezza sono la stessa disposizione, benché la loro essenza non sia la stessa. La saggezza che ha per oggetto [25] una città, in quanto architettonica165, è saggezza legislativa; ma in quanto riguarda gli atti particolari, ha il nome comune di saggezza politica. Quest’ultima riguarda l’azione e la deliberazione: il decreto, infatti, è oggetto dell’azione in quanto è l’ultimo termine della deliberazione. È per questo che solo coloro che deliberano sui casi particolari si dice che fanno politica: questi infatti sono i soli ad agire come fanno gli artigiani. Ma comunemente si ritiene [30] anche che la saggezza sia soprattutto quella che riguarda in modo esclusivo l’individuo stesso; e questa ha il nome comune di saggezza; il nome, poi, delle altre forme è "amministrazione familiare" o "legislazione" o "politica", e quest’ultima si divide in "deliberativa" e "giudiziaria". E una forma di conoscenza sarà, sì, quella di sapere ciò che è utile a se stessi, ma è molto diversa. [1142a] E si ritiene che sia saggio colui che conosce il suo interesse e se ne occupa a fondo, mentre gli uomini politici si occupano di un sacco di cose. Perciò Euripide dice:
"Come potrei essere saggio io che avrei potuto,
[pur rimanendo inattivo,
semplice numero tra i tanti nell’esercito,
partecipare di un ugual diritto? [...] [5]
Giacché coloro che aspirano troppo in alto e fanno il di più…"166.
Costoro, infatti, cercano ciò che è bene per loro, e credono che sia questo che devono fare. Da questa opinione, dunque, è derivata la credenza che i saggi siano questi. Eppure il bene dell’individuo non può certo sussistere senza amministrazione familiare [10] e senza costituzione politica. Inoltre, in che modo bisogna amministrare i propri interessi non è una cosa evidente, e va fatta oggetto di indagine.
Prova, poi, di ciò che abbiamo detto è anche il fatto che i giovani sono geometri o matematici o sapienti in materie del genere, ma non si pensa che un giovane sia saggio. Il motivo è che la saggezza riguarda anche i particolari, i quali diventano [15] noti in base all’esperienza, mentre il giovane non è esperto: infatti, è la lunghezza del tempo che produce l’esperienza. Perché ci si potrebbe chiedere anche questo: per quale ragione un ragazzo può essere un matematico, ma non un sapiente o un fisico? Non si deve forse rispondere che gli oggetti della matematica derivano dall’astrazione, mentre i principi della sapienza e della fisica si ricavano dall’esperienza, e che, mentre su questi ultimi i giovani non hanno convinzioni [20] ma si contentano di parole, degli oggetti matematici, invece, non ignorano l’essenza? Inoltre, nel deliberare, l’errore può riguardare sia l’universale sia il particolare: ci si può sbagliare, infatti, o nel dire che tutte le acque pesanti sono malsane, o nel dire che questa determinata acqua è pesante. Che la saggezza non sia scienza è manifesto: essa riguarda l’ultimo termine della deliberazione, come abbiamo detto, [25] giacché tale è l’oggetto dell’azione. Dunque, essa si contrappone all’intelletto: l’intelletto, infatti, ha per oggetto le definizioni, di cui non c’è dimostrazione, mentre la saggezza ha per oggetto l’ultimo particolare, di cui non c’è scienza ma sensazione, ma non sensazione dei sensibili propri, bensì quella mediante cui, in matematica167, noi percepiamo che l’ultimo determinato particolare è un triangolo: anche là, infatti, ci si dovrà fermare. Ma quest’ultima168 è più [30] sensazione che saggezza, e la forma dell’altra169 è diversa.
9. [L’attitudine a deliberare bene].
Tra cercare e deliberare c’è differenza, giacché il deliberare è una specie del cercare. Bisogna, dunque, cercar di comprendere che cos’è l’attitudine a deliberare bene, se è un tipo di scienza o di opinione o di sagacia o qualche altro genere di cosa. [1142b] Scienza non è certamente: infatti, non si cerca ciò che si sa, mentre l’attitudine a deliberare bene è una specie della deliberazione, e colui che delibera cerca e calcola. Ma, certo, non è neppure sagacia: infatti, la sagacia non implica ragionamento ed è qualcosa di rapido, e si dice che bisogna mettere in pratica rapidamente ciò che si è deliberato, [5] ma che bisogna deliberare lentamente. Inoltre, anche la prontezza di spirito è diversa dall’attitudine a deliberare bene: la prontezza di spirito è una specie di sagacia. Infine, l’attitudine a deliberare bene non è alcun tipo di opinione. Ma poiché chi delibera male erra, mentre chi delibera bene delibera correttamente, è chiaro che l’attitudine a deliberare bene è una specie di rettitudine, ma non una rettitudine della scienza né dell’opinione. [10] Della scienza, infatti, non c’è rettitudine (perché non c’è neppure errore), e, d’altra parte, la rettitudine dell’opinione è la verità; e, nello stesso tempo, tutto ciò che è oggetto di opinione è già stato determinato. Pur tuttavia, l’attitudine a deliberare bene non è scompagnata dal ragionamento. Dunque, resta da dire che essa è rettitudine del pensiero: quest’ultimo, infatti, non è ancora un’asserzione. E l’opinione non è ricerca, ma è già asserzione, mentre chi delibera, [15] sia che deliberi bene sia che deliberi male, cerca qualcosa e calcola. Ma l’attitudine a deliberare bene è una specie di rettitudine della deliberazione: perciò bisogna indagare prima di tutto sulla natura e sull’oggetto della deliberazione170. E poiché il termine "rettitudine" ha molti significati, è chiaro che qui non si tratta di ogni tipo di rettitudine: infatti, l’incontinente, cioè il vizioso, otterrà col suo calcolo ciò che si propone come suo dovere, cosicché si troverà [20] ad aver deliberato correttamente, anche se poi si è procurato un gran male. Ma si ritiene che il deliberare bene sia una cosa buona: infatti, è questo tipo di rettitudine della deliberazione che costituisce l’attitudine a deliberare bene, cioè è quella rettitudine che mira a raggiungere un bene. Anche questo bene, poi, è possibile coglierlo mediante un sillogismo falso, e cogliere ciò che si deve fare, ma non il mezzo conveniente: è possibile che il termine medio sia falso; cosicché non è [25] ancora attitudine a deliberare bene questa disposizione a raggiungere ciò che si deve, ma non con il mezzo con cui si dovrebbe. Inoltre, è possibile raggiungere lo scopo, talora deliberando per molto tempo, talora rapidamente. Ma neppure quella è ancora attitudine a deliberare bene, che è invece una rettitudine conforme all’utile, cioè conforme al mezzo, al modo e al tempo dovuti. Inoltre, è possibile deliberare bene sia in senso assoluto, sia in relazione ad un fine determinato. Dunque, [30] l’attitudine a deliberare bene, in senso assoluto, è quella che conduce correttamente al fine preso in senso assoluto, mentre l’attitudine a deliberare bene in senso stretto è quella che conduce ad un determinato fine. Se, quindi, è caratteristica dei saggi il ben deliberare, l’attitudine a deliberare bene sarà la rettitudine conforme a ciò che è utile per raggiungere il fine, di cui la saggezza è la vera apprensione.
10. [Il giudizio e la perspicacia].
Il giudizio, poi, e la perspicacia, per cui parliamo di uomini [1143a] giudiziosi e perspicaci, non sono la stessa cosa che la scienza o l’opinione in generale (giacché in questo caso tutti sarebbero giudiziosi), né sono una determinata scienza particolare, come, per esempio, la medicina, scienza della salute, o la geometria, scienza delle grandezze. Il giudizio, infatti, non ha per oggetto gli enti eterni [5] ed immobili, né una qualsiasi delle realtà divenienti, bensì realtà che possono suscitare problemi e richiedere una deliberazione. Perciò il giudizio ha gli stessi oggetti della saggezza, ma giudizio e saggezza non sono la stessa cosa. La saggezza, infatti, è imperativa, perché il suo fine è quello di determinare ciò che si deve o che non si deve fare; il giudizio, invece, [10] è soltanto critico. Infatti, giudizio e perspicacia sono la stessa cosa, come uomo giudizioso e uomo perspicace. Il giudizio, poi, non consiste né nel possedere né nell’acquistare la saggezza; ma come "apprendere" si dice "comprendere"171, quando si fa uso della scienza, così si dice "comprendere" quando si fa uso dell’opinione nel giudicare sulle cose che sono oggetto [15] della saggezza, quando ne parla un altro, e nel giudicare adeguatamente (giacché "bene" e "adeguatamente" qui significano la stessa cosa). Ed il nome di "giudizio", in base al quale parliamo di uomini giudiziosi, è derivato da quello del "giudizio" di cui ci si avvale nell’apprendere: spesso, infatti, intendiamo per "comprendere" l’apprendere.
11. [La comprensione e l’indulgenza. Loro rapporto con l’intelletto].
E quella che chiamiamo "comprensione"172, per cui diciamo che certi uomini sono "indulgenti", [20] cioè che hanno comprensione, è un corretto giudizio su ciò che è equo. Prova: soprattutto dell’uomo equo diciamo che è disposto all’indulgenza, e che è equo l’avere indulgenza in certi casi. L’indulgenza è una comprensione che giudica correttamente di ciò che è equo: e giudica correttamente quando giudica equo ciò che lo è veramente. [25] Ora, tutte le disposizioni di cui abbiamo parlato convergono, logicamente, verso la stessa cosa: noi, infatti, quando attribuiamo agli stessi uomini comprensione, giudizio, saggezza e intelletto, diciamo che essi hanno ormai comprensione e intelletto, e che sono saggi e giudiziosi. Tutte queste facoltà, infatti, riguardano gli oggetti ultimi, cioè i particolari: appunto [30] nell’essere capace di giudicare su ciò che è oggetto del saggio consiste l’essere giudizioso e benevolo173, ovvero indulgente, giacché l’equità è comune a tutti gli uomini buoni nel loro comportamento verso gli altri. Ora, gli oggetti di tutte le azioni sono cose particolari e ultime, giacché il saggio deve conoscere i particolari ultimi, e il giudizio e la comprensione riguardano [35] gli oggetti delle azioni, e questi sono appunto dei termini ultimi. Anche l’intelletto riguarda gli oggetti ultimi in entrambi i sensi: è infatti l’intelletto che ha come oggetto [1143b] sia i termini primi sia gli ultimi, e non il ragionamento, ed è l’intelletto174 che, da una parte, coglie i termini immutabili e primi nell’ordine delle dimostrazioni, e, dall’altra, nelle questioni pratiche, coglie il termine ultimo e contingente, cioè la premessa minore. Infatti, i principi da cui si ricava il fine sono questi: è dai particolari, infatti, che si ricavano [5] gli universali. Di questi fatti particolari bisogna avere apprensione immediata, e questa apprensione immediata è l’intelletto. Per questo si ritiene che queste qualità siano naturali, e che, mentre nessuno è sapiente per natura, è per natura che si ha comprensione, giudizio, intelletto. Prova ne è che noi pensiamo che esse seguano le varie età, e che una determinata età ha intelletto e comprensione, in quanto, noi crediamo, ne è causa la natura. [Perciò [10] l’intelletto è sia principio sia fine: infatti, le dimostrazioni partono da fatti particolari e riguardano fatti particolari.]175. Cosicché bisogna tener conto delle affermazioni non dimostrate, cioè delle opinioni degli uomini d’esperienza e dei più anziani, ovvero dei saggi, non meno che delle loro dimostrazioni, giacché essi, per il fatto di avere un occhio formato dall’esperienza, vedono correttamente. Si è dunque detto che cosa sono [15] la saggezza e la sapienza, quali oggetti abbia ciascuna di esse, e che ciascuna appartiene ad una diversa parte dell’anima.
12. [Saggezza e sapienza. Loro utilità].
A proposito, poi, di saggezza e sapienza ci si potrebbe domandare a che cosa servono. (1) Infatti, mentre la sapienza non considera nulla di ciò che può rendere felice [20] l’uomo (giacché non riguarda nessun divenire), la saggezza ha proprio questo come oggetto: ma per che cosa si ha bisogno di lei? La saggezza ha per oggetto le cose giuste, belle e buone per l’uomo, ma queste sono le cose che è proprio dell’uomo buono fare, e non è per il fatto di conoscere che noi siamo più atti a farle, se è vero che [25] le virtù sono delle disposizioni, così come non siamo più atti a metterle in pratica se conosciamo le cose sane e forti, quelle che vengono così chiamate non perché producono la salute o la forza, ma perché derivano da una disposizione: in realtà non siamo affatto più atti all’azione per il fatto di possedere la scienza medica o l’arte ginnica. Ma se si deve dire che lo scopo della saggezza non è quello di possedere queste conoscenze teoriche, ma quello di far diventare virtuosi, a coloro che sono già virtuosi la saggezza non serve a nulla. [30] (2) Inoltre, non serve neppure a coloro che non l’hanno ancora: non ha, infatti, alcuna importanza se possediamo noi stessi la saggezza o se diamo retta ad altri che la possiedono, ma ci basterà fare come nel caso della salute: anche se vogliamo acquistare la salute, non ci mettiamo tuttavia a studiare medicina. (3) Oltre a ciò, si ammetterà che sarebbe strano se la saggezza, pur essendo inferiore alla sapienza176, fosse più di lei dominante: [35] infatti, l’arte che produce una cosa qualsiasi comanda e impera su ciascun prodotto. Ciò posto, su questi argomenti bisogna discutere: ora, infatti, ne abbiamo solo mostrato le aporie. [1144a] (1) Quindi, in primo luogo, diciamo che esse sono necessariamente virtù per se stesse, poiché ciascuna è virtù di ciascuna delle due parti dell’anima, anche se non producono niente, né l’una né l’altra. (2) In secondo luogo, esse producono in realtà qualcosa; ma non come la medicina produce la salute, bensì come la salute <produce se stessa>177, così [5] la sapienza produce felicità: pur essendo, infatti, una parte della virtù nella sua globalità, per il fatto di essere posseduta e di essere in atto, essa fa l’uomo felice178. (3) Inoltre, la funzione propria dell’uomo si compie pienamente in conformità con la saggezza e con la virtù etica: infatti, la virtù fa retto lo scopo, e la saggezza fa retti i mezzi per raggiungerlo. Della quarta parte dell’anima179, poi, quella nutritiva, non c’è alcuna [10] virtù di questo tipo, giacché non dipende da lei agire o non agire.
(4) Per quanto, poi, riguarda il fatto che la saggezza non ci rende più atti a compiere le azioni belle e giuste, dobbiamo ricominciare da un po’ più in alto, prendendo come punto di partenza il seguente. Come, infatti, diciamo che alcuni, pur compiendo delle azioni giuste, non sono ancora giusti, come, per esempio, coloro [15] che fanno ciò che è prescritto dalle leggi o involontariamente o per ignoranza o per qualche altra ragione, ma non per se stesso (eppure, almeno fanno ciò che si deve, cioè ciò che bisogna che l’uomo di valore faccia), così, come sembra, c’è una certa disposizione per fare ciascun tipo di azioni in modo da essere buoni, intendo dire, cioè, per compierle in base ad una scelta ed avendo come scopo ciò stesso [20] che si fa.
Dunque, è la virtù che fa retta la scelta, mentre tutto quanto contribuisce per natura a farci operare una retta scelta non dipende dalla virtù ma da potenzialità diverse. Ma a chi ha già acquisito queste cognizioni bisogna parlare in maniera più chiara. C’è, dunque, una potenzialità che viene chiamata "abilità": questa è tale per cui si è in grado [25] di compiere le azioni che mirano allo scopo che ci si è proposti, e di raggiungerlo. Quindi, se lo scopo è buono, essa è da lodare, se è cattivo, invece, si tratta di furberia: è per questo che chiamiamo abili tanto i saggi quanto i furbi. La saggezza non è questa potenzialità, ma non esiste senza questa potenzialità. Questa disposizione, poi, [30] non si realizza in questo "occhio dell’anima" senza la virtù, come s’è detto e come è evidente. Infatti, i sillogismi pratici hanno questo principio: "poiché tale è il fine, cioè il bene supremo...", quale che sia (concediamo, tanto per ragionare, che sia uno qualsiasi): ma questo principio non è manifesto se non a chi è buono, giacché [35] la perversità stravolge e fa cadere in errore sui principi pratici. Cosi è manifesto che non è possibile essere saggio senza essere buono.
13. [Riflessioni conclusive sulle virtù dianoetiche].
[1144b] Per conseguenza, bisogna esaminare di nuovo anche la virtù. Infatti anche la virtù, come la saggezza, ha un rapporto molto stretto con l’abilità: non lo stesso, ma simile; analogo rapporto c’è tra la virtù naturale e la virtù vera e propria. Tutti ritengono che ciascun tipo di carattere ci appartenga [5] in qualche modo per natura: infatti, giusti, inclini alla temperanza, coraggiosi e così via, noi lo siamo subito fin dalla nascita. Ma noi, tuttavia, cerchiamo qualcosa d’altro: il bene in senso proprio, e il possesso di tali qualità in un altro modo. Infatti, le disposizioni naturali appartengono sia ai bambini sia alle bestie, ma senza intelletto esse sono manifestamente dannose. [10] In ogni caso, sembra che sia facile osservare che, come ad un corpo vigoroso ma privo della vista succede, quando si muove, di cadere rovinosamente, per il fatto che non ha la vista, così succede anche qui. Ma quando uno acquista l’intelletto si comporta ben diversamente: solo allora la sua disposizione, pur essendo ancora simile a quella naturale, sarà propriamente virtù. Per conseguenza, come nel caso della parte opinativa dell’anima ci sono due [15] specie di disposizioni, l’abilità e la saggezza, così anche nel caso della parte morale ce ne sono due: da una parte la virtù naturale e dall’altra la virtù vera e propria; e di queste due, la virtù vera e propria non nasce senza la saggezza. Perciò alcuni dicono che tutte le virtù sono forme di saggezza, e perciò Socrate in un senso conduceva correttamente la ricerca, in un altro sbagliava: pensando che [20] tutte le virtù sono forme di saggezza, sbagliava, ma dicendo che esse non sorgono senza la saggezza, diceva bene. Ecco la prova: anche oggi, infatti, tutti, quando definiscono la virtù, dicono che è una determinata disposizione che riguarda certi oggetti, e aggiungono che è conforme alla ragione e la retta ragione è quella conforme alla saggezza. Sembra, dunque, che tutti, in qualche modo, presagiscano [25] che è virtù quella disposizione che è conforme alla saggezza. Ma bisogna andare un po’ più in là. Non è solo la disposizione conforme alla retta ragione, ma quella che è congiunta con la retta ragione che è virtù: e la retta ragione in questo campo è la saggezza. Socrate pensava che le virtù fossero ragionamenti (infatti diceva che sono [30] tutte delle scienze); noi, invece, riteniamo che esse siano congiunte con la ragione. È chiaro, dunque, da quanto si è detto che non è possibile essere buono in senso proprio senza saggezza, né essere saggio senza la virtù etica. Ma in questo modo resterà anche confutato l’argomento dialettico con cui si vorrebbe provare che le virtù esistono separatamente l’una dall’altra: infatti, la medesima persona non è ugualmente ben disposta per natura [35] verso tutte le virtù, ma sarà tale che una l’ha già acquisita, l’altra non ancora; questo, infatti, può capitare per quanto riguarda le virtù naturali, [1145a] ma per quanto riguarda le virtù per cui uno è chiamato buono in senso assoluto, non è possibile: quando, infatti, gli appartiene una sola virtù, la saggezza, gli apparterranno insieme tutte le virtù. È chiaro, inoltre, che, anche se essa non fosse guida all’azione, si avrebbe bisogno della saggezza per il fatto che è la virtù della parte dell’anima qui interessata; ed è chiaro che la scelta corretta non sarà possibile senza [5] la saggezza né senza la virtù: l’una180, infatti, determina il fine, l’altra181 ci fa compiere le azioni atte a raggiungerlo. È certo, poi, che la saggezza non è padrona della sapienza e della parte migliore dell’anima, come neppure la medicina è padrona della salute: infatti, non si serve di lei, ma cerca di vedere come essa si possa produrre: la saggezza, dunque, comanda in vista della sapienza, ma non comanda alla sapienza. [10] Inoltre, è come se si dicesse che la politica comanda agli dèi, poiché regna su tutto l’ordinamento della città.