MARSILIO FICINO
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Nato dal medico Diotifeci e da Alessandra di Nanoccio, studia a Firenze sotto Luca de Bernardi e Comando Comandi e apprende le prime nozioni di greco da Francesco da Castiglione, mentre è da smentire la notizia riportata nella Vita Ficini di Giovanni Corsi, scritta del 1506, che sia stato allievo del Platina.
Il suo primo maestro di filosofia è il folignate Niccolò Tignosi, medico aristotelico autore di un De Anima e di un De ideis. Conseguenza di questi insegnamenti è la sua Summa philosophiae, un gruppo di scritti in latino dedicati a Michele Mercati intorno al 1454 in cui il Ficino tratta di fisica, di logica, di Dio e di aliae multae questiones. Nella dedica all'amico scrive di volerlo introdurre a quegli studi che devono impegnare la nostra età, secondo la regola del nostro Platone.
Studia Epicuro e Lucrezio, scrivendo intorno al 1457 i Commentariola in Lucretium, che distruggerà nel 1492, il De voluptate ad Antonium Calisianum, il De virtutibus moralibus e il De quattuor sectis philosophorum, dove tratta di questioni morali e dell'anima riportando opinioni platoniche, aristoteliche, epicuree e stoiche, exercendae memoriae gratia, come esercitazione mnemonica e senza pretese sistematiche.
Nel 1456 scrive quattro libri di Institutionum ad platonicam disciplinam, perduti, tratti da fonti latine e per questo motivo trascurati per la sentita esigenza di abbeverarsi alla diretta fonte greca. Sembra che il suo interesse al platonismo abbia indotto l'arcivescovo fiorentino Antonino, preoccupato di possibili deviazioni del Ficino verso eresie platoniche, a consigliargli di studiare tanto medicina a Bologna che l'opera di Tommaso d'Aquino. Ma la permanenza a Bologna dal 1457 al 1458, testimoniata da Zanobi Acciaiuoli, non è documentata e resta certo l'ininterrotto interesse per la filosofia platonica e neo-platonica.
Intorno al 1460 traduce Alcinoo, Speusippo, i versi attribuiti a Pitagora e l'Assioco attribuito a Senocrate. Tradotti gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la Teologia di Esiodo, riceve in dono da Cosimo de' Medici un codice platonico e una villa a Careggi, che diverrà nel 1459 sede dell'Accademia Platonica, fondata dallo stesso Ficino per volere di Cosimo, con il compito di studiare le opere di Platone e dei platonici, promuovendone la diffusione. Qui inizia la traduzione, nell'aprile del 1463, dei Libri ermetici (Corpus hermeticum), portati in Italia dalla Macedonia da Leonardo da Pistoia; la sua opera di traduzione avrà un grande influsso nel pensiero rinascimentale. Il Ficino vede in quella sapienza antica l'esistenza di una rivelazione, di una pia philosophia della quale l'umanità di tutti i tempi era sempre stata partecipe. Nella dedica a Cosimo, scrive che Ermete Trismegisto per primo disputò con grandissima sapienza della maestà divina, della gerarchia degli spiriti (daemonum ordine), della trasmigrazione delle anime. Per primo fu chiamato teologo: lo seguì, secondo teologo, Orfeo, poi Aglaofemo, Pitagora e Filolao, maestro del nostro divino Platone.
Esiste dunque, secondo Ficino, una concorde e antica tradizione teologica, una priscae theologiae undique sibi consona secta, che nasce con Ermete e si conclude con Platone e che si propone di sottrarre l'anima dagli inganni dei sensi e della fantasia per portarla alla mente; questa percepisce la verità, l'ordine di tutte le cose, sia esistenti in Dio che emanate da Dio, grazie all'illuminazione divina, cosicché l'uomo, tornato fra i suoi simili, li rende partecipi delle verità rivelategli dalla fonte divina (divino numine revelata).
La sua traduzione latina del Corpus hermeticum, già tradotta in volgare nel 1463 da Tommaso Benci, viene stampata nel 1471; nel 1463 inizia la traduzione latina dei dialoghi platonici, conclusa forse nel 1468 e vi aggiunge nel tempo i suoi commenti: intorno al 1474, al Convivio, tradotto anche in italiano, al Filebo e al Fedro, nel 1484 al Timeo e nel 1494 al Parmenide.
Dal 1469 al 1474 stende l'opera più importante, i diciotto libri della Theologia platonica de immortalitate animarum, dedicata a Lorenzo de' Medici e, dopo aver preso i voti sacerdotali il 18 dicembre 1473, la Religione cristiana, in italiano, di cui darà poi la versione latina nella De christiana religione. Dal 1475 al 1476 scrive la Disputatio contra iudicium astrologorum e nel 1481 viene dato alle stampe il suo Consiglio contro la pestilenza, dopo il flagello dell'epidemia del 1478.
Nel 1484 inizia la traduzione delle Enneadi di Plotino e dal 1488 al 1493 Giamblico, Proclo, Prisciano, Porfirio, Sinesio, Teofrasto, Michele Psello, la Mistica teologia e i Nomi divini dello Pseudo-Dionigi, e i frammenti di Atenagora: con questo ampio corpus platonico il Ficino persegue la sua teorizzazione della continuità della tradizione teologica da Ermete ai platonici prolungatasi attraverso Dionigi Areopagita, Agostino, Apuleio, Boezio, Macrobio, Avicebron, Al-Farabi, Avicenna, Duns Scoto, Bessarione e il Cusano.
I tre libri del De vita, usciti nel 1489, gli procurano accuse di magia dalle quali si difende con un' Apologia; nel 1495 pubblica dodici libri di Epistulae che comprendono anche opuscoli scritti dal 1476 al 1491, come il De furore divino, la Laus philosophiae, il De raptu Pauli, le Quinque claves Platonicae sapientiae, il De vita Platonis, i De laudibus philosophiae, l' Orphica comparatio Solis ad Deum, la Concordia Mosis et Platonis, gli Apologi de voluptate quattuor.
Lascia incompiuto un Commento a San Paolo per la morte sopraggiunta a sessantasei anni, nel 1499. È sepolto nel duomo di Santa Maria del Fiore, dove un monumento lo celebra come il maggior filosofo fiorentino.
È noto come Aristotele concepisca l’essere umano come sinolo, insieme indissolubile di materia e forma, di corpo e anima, cosicché il suo principale commentatore dell’antichità Alessandro di Afrodisia poteva ben dedurne esplicitamente la mortalità dell’anima contemporanea a quella del corpo. Al contrario, Platone aveva già distinto le due sostanze, concedendo all’anima una vita separata e indipendente dal destino del corpo.
A questa concezione aderisce Ficino, la cui Theologia platonica o De immortalitate animarum, si apre con un
« Liberiamoci in fretta, spiriti celesti desiderosi della patria celeste, dai lacci delle cose terrene, per volare con ali platoniche e con la guida di Dio, alla sede celeste dove contempleremo beati l’eccellenza del genere nostro »
Per comprendere la sostanza dell’anima è necessario comprendere la struttura dell’universo alla cui base, ossia al grado inferiore, è la materia, concepita, seguendo Averroè, come pura quantità: "la materia non ha di per sé nessuna forza che possa produrre le forme", diversamente da chi, come Avicebron, la concepisce come "sostanza produttrice di forme, fonte piuttosto che soggetto delle forme".
E’ la qualità il principio formale che dà sostanza alle realtà corporee, grazie a "una sostanza incorporea che penetra attraverso i corpi, della quale sono strumento le qualità corporee": questa sostanza incorporea è l’anima "che genera la vita e il senso della vita anche dal fango non vivente".
Al di sopra delle anime sono gli angeli: "sopra quelli intelletti che alli corpi s’accostano, cioè l’anime ragionevoli, non è dubbio che sono assai menti, dal commercio dei corpi al tutto divise"; e se l’intelletto dell’anima "è mobile e parte interrotto e dubbio", l’intelletto angelico è "stabile tutto, continuo e certissimo".
Al di sopra del tutto è Dio, che è unità, bontà e verità assoluta, fonte di ogni verità e di ogni vita, è atto e vita assoluta: "dove un continuo atto e una continua vita dura, quivi è un immenso lume d’una assolatissima intelligenza" che è luce per gli uomini perché si riflette in tutte le cose. Attraverso Dio "tutte le cose son fatte, e però Iddio si trova in tutte le cose e tutte le cose si veggono in lui...Iddio è principio, perché da lui ogni cosa procede; Iddio è fine, perché a lui ogni cosa ritorna, Iddio è vita e intelligenza, perché per lui vivono le anime e le menti intendono".
Dio e corpo sono gli estremi della natura e la funzione dell'anima, che è, diversamente da Aristotele e da Tommaso, realtà in sé e non forma del corpo, è quella di incarnarsi per unire corpo e spirito:"è tale da cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori...per istinto naturale, sale in alto e scende in basso. E quando sale, non lascia ciò che sta in basso e quando scende, non abbandona le cose sublimi; infatti, se abbandonasse un estremo, scivolerebbe verso l'altro e non sarebbe più la copula del mondo". La copula mundi è l'anima razionale che "ha sede nella terza essenza, possiede la regione mediana della natura (obtinet naturae mediam regionem) e tutto connette in unità".
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