GIUSEPPE FERRARI



INDICE

LA VITA
IL PENSIERO
FILOSOFIA DELLA RIVOLUZIONE (testo integrale)
 



LA VITA

G. FERRARIGiuseppe Ferrari nacque a Milano il 7 marzo 1811 e si spense a Roma nella notte tra l’1 e il 2 luglio 1876. Prima avvocato, passò poi completamente agli studi filosofici, considerando come proprio maestro Romagnosi. Per alcuni anni studiò Vico, delle cui opere fu anche editore; spirito irrequieto, proteso verso l'azione, le lotte e i contrasti ideali, Ferrari trovò in Francia, ove si recò nel 1838, un ambiente consono al suo spirito. Il pensiero e l'atteggiamento politico di Ferrari ruotavano attorno al principio di libertà ed uguaglianza sociale e all'idea di federalismo repubblicano e democratico come unica forma di soluzione del problema italiano del Risorgimento. Il federalismo per Ferrari si doveva manifestare nell'assetto da dare all'Italia libera, ma per raggiungere questo era necessario che vi fosse un'unione rivoluzionaria. Egli fu però contrario al principio dell'"Italia farà da sè", perché ritenne necessario l'intervento francese in Italia: le delusioni del 1848 esasperarono le sue idee federaliste, repubblicane e radicali e dal 1852 al 1859 si raccolse negli studi. Nel problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, come non partecipò dell'entusiasmo per Pio IX, così non approvò né la formula di Cavour, né il pensiero di Mazzini, e auspicava una completa indipendenza del moderno stato italiano da ogni legame religioso. Non fu nemmeno un uomo di governo; ebbe però un grande interesse per la vita politica, così che rientrato in Italia nel 1859 ed eletto deputato per il collegio di Luino, partecipò per molti anni ai dibattiti parlamentari. Sedeva sui banchi della sinistra, in realtà fu un isolato della tenace idea del federalismo. Cavour, Minghetti, Crispi, riconoscendone il valore e l'onesta sincerità lo stimavano, ma in fondo vedevano in lui il superstite di una corrente politica sconfitta. Fu però favorevole a una Roma capitale e, nonostante il suo federalismo, votò per la convenzione di Settembre; nel maggio del 1873 propose che la soppressione delle corporazioni non si restringesse entro i confini della legge. Prese parte soprattutto alle discussioni economiche, sociali ed amministrative e i meriti scientifici di Ferrari ottennero ampi riconoscimenti ufficiali: ebbe una cattedra universitaria a Milano e tenne corsi liberi a Torino e a Pisa.

 

IL PENSIERO

Echi non irrilevanti ebbero le tematiche dei positivisti francesi nel pensiero di Giuseppe Ferrari (1811-1876), filosofo e pensatore politico, costretto ad un ventennale esilio appunto in Francia, e divenuto, dopo il rientro in Italia in seguito alla proclamazione del Regno, deputato e docente all'Università di Milano. Della sua ricca produzione culturale sono da ricordare gli scritti Filosofia della rivoluzione (1851), Corso sugli scrittori politici italiani (1862), Prolusione al corso di filosofia della storia (1862), Teoria dei periodi politici (1874), Saggio sul principio e sui limiti della filosofia della storia (1843). L'umanità - egli sostiene in tono positivistico - passata attraverso l'età della religione e quella della metafisica, ha compiuto, con la Rivoluzione Francese, il passo decisivo verso l'«età della rivoluzione». La filosofia ha il compito dunque di spazzar via il rigurgito di spiritualismo, verificatosi dopo gli eventi rivoluzionari francesi, e le nostalgie dell'astrattismo logico, per affermare l'insostituibilità del «fatto positivo» nella formazione della conoscenza e nell'organizzazione sociale. Deve sostituire la «rivelazione naturale», cioè l'osservazione empirica dei fatti, alla «rivelazione religiosa», aprendo cosí la strada al definitivo predominio della scienza in una società fondata sull'uguaglianza, sul socialismo e sulla democrazia; in una società in cui non vi siano piú chiese né religione, e in cui non sussista piú la sovranità della proprietà privata, difesa con vigore dai borghesi e produttrice di squilibri e disuguaglianze sociali. Da questi elementi si evince come, accanto a quella esercitata dal positivismo, fu decisiva su Ferrari l’influenza del socialismo utopistico, in particolare quello di Proudhon (col quale fu in rapporti). Primo editore delle opere di Giambattista Vico, Ferrari fu il primo pensatore a considerare sensu stricto la storia come scienza. La Rivoluzione francese – nota Ferrari – è rimasta incompiuta: per farla proseguire, occorre tener saldo, contro ogni forma di spiritualismo, il presupposto del sensismo illuministico, secondo il quale la base della certezza sta nei fatti, ovvero in ciò che si vede e si sente. Sicché un pensiero che si proponga di travalicare il dominio dei fatti, è per ciò stesso illegittimo, giacché si trasforma in una “logica” astratta, disancorata dall’esperienza e dunque tale da produrre errori e da indurre a credere che ciò che appare ai sensi sia solo parvenza. Proprio in ciò è racchiusa la genesi delle erronee costruzioni metafisiche. Il puro pensiero genera contraddizioni, ma ciò è semplicemente il segno della sua incapacità di cogliere la realtà e la vita, che è movimento e individualità. Se ne deve allora trarre la conseguenza che “poiché la ragione non afferra la vita, tanto peggio per la ragione”. Il programma di Ferrari si risolve allora in un tentativo di “riconquistare il fatto”, subordinando il pensiero all’esperienza. Alla rivelazione divina, egli contrappone la rivelazione naturale, la quale consiste nell’intuizione diretta dei fatti: essa ci rivela la nostra vita e, insieme, quella degli altri. La verità sta nell’istinto che ci guida e ci governa, noi non siamo mai del tutto consapevoli del nostro operare: si tratta allora di vivere come se ci fosse un fine. Ferrari è convinto che l’umanità cammini lungo la strada di un progresso inarrestabile orientato verso l’epoca della rivoluzione, che sarà caratterizzata dall’instaurazione del dominio della scienza e dell’uguaglianza. Essa procederà oltre le conquiste della rivoluzione francese, eliminando le chiese, riequilibrando le ricchezze e stabilendo una democrazia egualitaria. Mediante la scienza, sarà possibile sopperire ai bisogni del proletariato, liberandolo dalla fame e dalle malattie e provvedendo alla sua educazione. Il governo stesso si dovrà ridurre all’amministrazione di un popolo, che si organizzerà attraverso libere associazioni. In queste conclusioni, il pensiero elaborato da Ferrari è assai vicino a quello di Proudhon. 

 


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