Negli anni ’60, Habermas si concentra
soprattutto sul tema della comunicazione tra gli uomini, influenzato dalla
cosiddetta “svolta linguistica” e dalla “teoria del linguaggio” (sia
ermeneutica, sia analitica). Con la nascita di questo nuovo interessamento, il
nostro autore abbandona lo studio precedente sull’individuo come entità
solitaria e autosufficiente in diretta interazione con l’ambiente. Al cuore
della “nuova” riflessione habermasiana sta un soggetto pubblico e
linguisticamente strutturato in una comunità linguistica nella quale si forma
la coscienza dei singoli individui. Questa “svolta” avviene soprattutto con lo
scritto Teoria dell’agire comunicativo (1981), in cui è teorizzata una
teoria “pragmatica” del linguaggio, ossia interessata al rapporto intercorrente
tra il linguaggio e chi ne fa uso. In questo nuovo capitolo della sua
filosofia, Habermas instaura un dialogo proficuo con Karl Otto Apel: i due
autori sono convinti che chiunque partecipi a un’argomentazione razionale
sensata presupponga implicitamente alcune pretese
universali di validità: 1) giustezza (Richtigkeit):
ogni dialogante deve rispettare le norme della situazione argomentativa: ad
esempio, ascoltare le tesi altrui o ritirare le proprie, qualora si siano
dimostrate false; 2) verità (Wahreit): ogni
dialogante deve formulare enunciati esistenziali appropriati; 3) veridicità (Wahrhaftigkeit): ogni dialogante
deve essere sincero e convinto dei propri asserti; 4) comprensibilità
(Verständlichkeit): ogni dialogante deve parlare in modo aderente al senso
e alle regole grammaticali. Se anche una sola di queste quattro pretese non è
soddisfatta, allora crolla la possibilità di un’intesa tra gli interlocutori.
Naturalmente, queste pretese implicano che la comunicazione avvenga tra
soggetti liberi, senza condizionamenti, autorità o interessi, ma soltanto sulla
base della capacità di convincimento delle ragioni migliori. Tutte queste pretese
hanno un valore etico oltre che logico: a tal punto che esse danno vita a una
vera e propria “etica del discorso” (Diskursethik);
quando tutte le pretese sono soddisfatte, si ha la “situazione
discorsiva ideale”, ossia un modello di società giusta incentrata
sull’uguaglianza dei dialoganti. Una siffatta società coincide col modello di comunità democratica composta da uomini uguali,
liberi e dialoganti su questioni collettive nel tentativo di risolvere
razionalmente i propri conflitti di interessi. Nell’ottica di Habermas e Apel,
l’etica del discorso è un’etica cognitivistica (che
fonda razionalmente le norme etiche), deontologica
(che fa riferimento a principi inaggirabili), formalistica
(stabilisce principi procedurali, non contenuti), universalistica
(valida per tutti gli esseri dotati di ragione) e postkantiana
(l’etica non è, kantianamente, una faccenda morale riguardante il singolo
individuo, ma piuttosto una questione pubblica che coinvolge tutti i
dialoganti). In termini weberiani, poi, l’etica del discorso è un’etica “della
responsabilità” e non “dei principi”.