1 . Perché nella filosofia hegeliana il finito si risolve nell'infinito?
2 . Che cosa significa " tutto ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale "?
4 . Quali sono le differenze più rilevanti tra la filosofia di Kant e la filosofia di Hegel?
7 . Perché la filosofia della natura è considerata il "tallone d'Achille" del sistema hegeliano?
9 . Che cosa intende Hegel per società civile e per stato?
10 . In che modo Hegel intende il rapporto tra l'individuo e lo stato?
12 . Che
ruolo svolge lo spirito assoluto nel sistema di Hegel
La risoluzione del finito nell'infinito è da sempre considerata una delle tesi di fondo dell'idealismo hegeliano. Con questa teoria egli intende dire che la realtà non è un insieme di sostanze autonome, che sussistono separatamente, ma un organismo unitario, di cui tutto ciò che esiste è semplice manifestazione. Tale organismo coincide con l'Assoluto o Infinito, mentre le varie manifestazioni di esso rimandano allo stesso Infinito. Di conseguenza, il finito, come tale, non esiste in quanto ciò che noi chiamiamo finito non è altro che espressione, modo d'essere dell'infinito.
Con questo aforisma Hegel intende riassumere quello che costituisce uno dei capisaldi del suo sistema, cioè l'identità tra Ragione e realtà. La Ragione (il razionale) è reale in quanto si attua nella realtà in forme concrete; essa non rimane un concetto astratto, ideale, ma è riscontrabile nel mondo concreto poiché ogni fatto che si realizza ha la ragione del suo verificarsi. D'altra parte tutto ciò che esiste (il reale) è manifestazione concreta della Ragione; nella realtà infatti, non c'è posto per qualcosa che non sia pensiero, poiché ogni evento segue magari inconsapevolmente una certa struttura razionale. Non esiste contrasto e nemmeno differenza tra la Ragione e la realtà: ciò che accade è giusto, è logico e naturale che accada (giustificazionismo francamente discutibile). Da qui, in Hegel, l'identità tra essere e dover-essere, diversamente dalla soluzione kantiana.
La dialettica, oltre ad essere la legge logica di comprensione della realtà e la legge ontologica di sviluppo della realtà, è anche la legge che regola il divenire e per questo è legata indissolubilmente ad esso. Inoltre secondo Hegel pensare dialetticamente significa pensare alla realtà come ad un insieme di processi che procedono secondo lo schema fisso di tesi, antitesi e sintesi, ovvero affermazione di un concetto, sua negazione e infine unificazione di affermazione e negazione in una sintesi superiore. Riaffermazione che viene identificata da Hegel con il termine tecnico Aufhebung, il quale evidenzia l'idea di un superamento che è sia un "togliere", in quanto appunto qualcosa viene negato, sia un "conservare", dato che Hegel intende la sintesi come mediazione, come unità del contraddittorio. Ogni sintesi ottenuta poi rappresenta a sua volta un nuovo punto di partenza: la tesi a cui si contrappone un'altra antitesi, da cui si svolge un'ulteriore sintesi e così via. La dialettica arriva così ad esprimere un processo che porta a raggiungere l'obiettivo di Hegel, ovvero la riunificazione del molteplice in una totalità sistematica.
"Uno dei punti di vista capitali della filosofia critica è, che prima
di procedere a conoscere Dio, l'essenza delle cose, ecc., bisogni indagare la
facoltà del conoscere per vedere se sia capace di adempiere quel compito
[...] Voler conoscere dunque prima che si conosca è assurdo, non meno del saggio
proposito di quel tale Scolastico, d'imparare a nuotare prima di arrischiarsi
nell'acqua". (Enciclopedia delle scienze filosofiche, Bari, 1966, pag.
55)
Questo famoso e sarcastico aforisma di Hegel ci fa intuire la
radicale differenza tra i due grandi pensatori tedeschi: se in Kant prevale,
anche alla luce di una tradizione filosofica, che rimanda ad esempio a Locke,
una impostazione gnoseologica, un preliminare interrogarsi sui limiti
della conoscenza umana, in Hegel proprio questi limiti vengono abbattuti a
favore di una conoscenza, di una ragione infinita, annunciata dalla
rivoluzione filosofica dell'Idealismo.
Se in Kant noi possiamo conoscere
mediante le forme a priori dello spirito (spazio, tempo, le categorie,
l'io penso), che sole possono giudicare il materiale empirico e quindi
permetterci una conoscenza scientifica del mondo fenomenico, questo comporta un
insieme di conseguenze metodologiche: la conoscenza pura è distinta dalla
conoscenza empirica, il mondo fenomenico è diviso dal mondo noumenico, la
sensibilità è altro rispetto all'intelletto, e il mondo noumenico, la cosa in
sè, va al di là della possibilità di conoscenza propria dell'uomo. Al
contrario, in Hegel, ragione pura e conoscere empirico (il razionale e il reale)
non sono separabili, sensibilità e intelletto sono momenti dialettici di uno
stesso processo, fenomeno e noumeno perdono la loro distinzione, dato che il
concetto di cosa in sè, come di una realtà non conoscibile, viene a
cadere. Con Hegel viene meno, insomma, la distinzione tra piano della realtà e
piano del pensiero, dal momento che al di là del pensiero, della soggettività
non vi è alcuna realtà indipendente.
Il punto più manifesto del disaccordo è
forse rappresentato dalla cosmologia razionale: secondo Kant la ragione giunge a
proposizioni contraddittorie sul mondo (e quando il mondo viene trattato come
totalità diventa un ente metafisico, non più scientifico), affermando, ad
esempio, sia che la materia è composta di parti semplici, sia che la materia è
infinitamente divisibile. Per Kant questa contraddizione della ragione con se
stessa è una dimostrazione lampante della vacuità della metafisica (cioè di una
ragione infinita, svincolata dai limiti del fenomenico). Per Hegel invece il
contraddittorio diviene il motore stesso della ragione: di una ragione infinita,
intesa come totalità e processo, coincidente con la stessa realtà.
Vi sono
altre differenze tra i due pensatori. In particolare sul pensiero etico-politico
(si pensi ad esempio alla diversa considerazione della guerra), ma qui si
volevano sottolineare gli aspetti filosofici più generali, anche se non è
possibile evitare un'ultima considerazione. Nella ragion pratica, per Kant Dio è
un postulato, è cioè un ideale indimostrabile e trascendente rispetto alla
nostra vita. Per Hegel il divino è la stessa totalità, il processo
immanente, la ragione infinita che si dispiega nel reale, in cui Dio e
uomo finiscono per coincidere. Ma questa coincidenza implica che il senso
dell'esistenza non può essere cercato in un orizzonte esterno al mondo in cui
l'uomo vive.
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La coscienza infelice può essere considerata il concetto chiave della
Fenomenologia dello Spirito , perché solo tramite essa si giunge dialetticamente
alla conciliazione e alla fusione tra il finito e l'infinito.
La coscienza,
infatti, raggiunge il suo stato di massima infelicità nel momento in cui si
presenta una separazione tra il mutevole e l'immutabile, tra la realtà sensibile
e la realtà ultrasensibile.
Tale scissione risulta esplicita nella radicale
separazione tra l'uomo e Dio, quando l'uomo aliena se stesso per proiettarsi e
conferire valore solo in Dio. Nascono così le religioni, storicamente
rappresentate dall'Ebraismo e dal Cristianesimo medievale; tali credenze non
consentono però di soddisfare la pretesa umana di cogliere in una presenza
particolare e sensibile un Assoluto che si dimostra irraggiungibile.
L'infelicità della coscienza viene descritta da Hegel tramite il seguente
percorso:
1) la devozione: in cui il pensiero religioso è
costitutivamente incapace di elevarsi a concetto;
2) il fare,
l'operare: in cui la coscienza cerca di esprimersi nel mondo e nel
lavoro, rinunciando ad un contatto immediato con Dio, ma finendo per riconoscere
come appartenenti a Dio le proprie opere;
3) la mortificazione di sè:
in cui si consuma la totale negazione ascetica dell'io a favore di Dio.
Ma il punto più basso e più infelice di questo travagliato cammino trapassa
dialetticamente nel punto più alto, nel momento in cui la coscienza, tentando
invano di raggiungere Dio, si rende conto di essere Dio, l'universale, il
soggetto assoluto.
Ogni auto coscienza ha la necessità di essere riconosciuta dalle altre, con le quali entra in rapporto. Questo rapporto però non si basa sull'amore, ma sul conflitto, in quanto il riconoscimento implica dolore, separazione e sofferenza. Nel conflitto l'autocoscienza, che pur di essere riconosciuta non teme la morte, diventa signore, mentre quella, che pur di aver salva la vita rinuncia al riconoscimento, diventa servo. Ma questo rapporto servo-signore si inverte: il signore diventa dipendente dal lavoro del servo mentre il servo, controllando i propri istinti, diventa indipendente dal proprio lavoro. L'acquisizione di indipendenza da parte del servo avviene attraverso tre fasi: l'angoscia della morte, il servizio e il lavoro. Il servo ha avuto paura non di una cosa precisa, ma della perdita della propria essenza; ha così compreso di essere un'entità indipendente e separata dalle cose esterne ed ha raggiunto la consapevolezza di sé. Tramite il servizio si è autodisciplinato ed ha imparato a controllare e vincere i propri bisogni. Infine attraverso il lavoro si è reso indipendente da ciò che produce, dando ad esso la propria forma imprimendo nel mondo la propria immagine, trasformandolo. Modellando il mondo il servo rende dipendente da sé il signore che vive in esso e ha bisogno delle cose che lo circondano. La dialettica sevo-signore è stata più volte ripresa da vari filosofi, in modo particolare dai marxisti, dagli esistenzialisti, tra cui Heidegger e Sartre. Naturalmente i marxisti hanno sottolineato la tematica dell'importanza del lavoro. Bisogna sottolineare però che Hegel non giunge a prospettare la rivoluzione politico-sociale, ma si ferma alla coscienza della indipendenza del servo e della dipendenza del signore da lui. La filosofia di Heidegger riprende il tema dell'angoscia della morte, sottolineando come essa sia alla base del raggiungimento della consapevolezza di sé. Il servo ha avuto paura della morte e da ciò deriva la sua sottomissione. Dal riconoscimento che la morte è una parte dell'Esserci nasce l'angoscia che condiziona l'esistenza quotidiana la quale viene dunque vista come una fuga dalla morte. Per finire Sartre pone l'accento sul carattere conflittuale del rapporto fra le coscienze che non possono confrontarsi se non attraverso una rottura.
La trattazione della filosofia della natura è concettualmente più debole, per la svalutazione che Hegel operò nei confronti della realtà naturale e delle scienze empiriche. Da un lato il filosofo tedesco presenta il passaggio da idea a natura come una sorta di caduta dell'Idea, perché antitesi; dall'altro come suo potenziamento in quanto prima realizzazione dell'Idea. Pensare alla natura in questo modo non è certo agevole: questa doppia e contraddittoria concezione della Natura rende questo passaggio il punto più oscuro della filosofia hegeliana.
Come si sa, l'impostazione morale kantiana si fonda sull' imperativo
categorico, ovvero su quella legge di tipo formale che indica il modo in cui
dobbiamo agire. L' impostazione morale kantiana è quindi basata sulla
contraddizione tra essere e dover essere in quanto ognuno di noi nell'agire deve
conformarsi alla massima universale e ad esempio considerare l'altrui persona
sempre come fine e mai come mezzo; questo rende difficile, vista la tensione tra
impulsi e legge del dovere, se non impossibile realizzare la felicità.
Hegel
nel formulare il proprio sistema inserisce la morale all'interno dello spirito
oggettivo, che agisce a livello sociale distinguendolo in tre momenti: il
diritto astratto (tesi), che è la manifestazione del valore del singolo
individuo e concerne quindi l'esistenza esterna della libertà delle persone; la
moralità (antitesi), che è la sfera della volontà soggettiva quale si manifesta
nell'interiorità e spinge all'azione; l'eticità (sintesi), che è la
realizzazione del bene (tramite la famiglia, la società civile e lo Stato).
Nella filosofia di Hegel il momento della moralità rimanda a Kant: entrambi i
filosofi mostrano come questo momento porti al conflitto tra la virtù e la
felicità, alla scissione tra la soggettività legata ai valori e il bene come si
realizza concretamente. Tale conflitto che Kant non riesce e non vuole
risolvere, data la tensione ineliminabile tra l'individuo e il corso delle cose,
viene superato nella filosofia hegeliana grazie all' eticità: ovvero alla
realizzazione di sè nell'ambito famigliare, nella società e nella dimensione
dello stato.
La società civile
Con la formazione di nuovi nuclei famigliari il
sistema concorde della famiglia si frantuma nel sistema atomistico conflittuale
della società civile, che si identifica sostanzialmente con la sfera economico-
sociale, giuridico- amministrativo del vivere insieme, cioè come luogo di
scontro e incontro che dovranno coesistere tra loro.
La società civile si
articola in tre momenti:
L'idea di porre fra individuo e stato la società civile, è stata
ritenuta una delle maggiori intuizioni di Hegel.
Lo stato
Lo stato rappresenta la riaffermazione dell'unità della
famiglia, in una dimensione più alta e con un significato più complesso e
articolato. Lo stato, che Hegel definisce anche come l'ingresso di Dio nel
mondo, è la sintesi del principio della famiglia e della società civile, con lo
sforzo di indirizzare i particolarismi verso il bene collettivo.
Hegel
rifiuta la concezione liberale di stato, poiché ritiene che comporterebbe una
confusione tra società civile e stato, riducendo lo stato a semplice tutore dei
particolarismi della società civile. Allo stesso modo rifiuta la concezione
democratica, osservando che se la sovranità risiede nel popolo non si va
incontro se non a "confusi pensieri" in quanto il popolo al di fuori dello stato
è solo una moltitudine informe.
Hegel ritiene che la sovranità dello stato
derivi dallo stato medesimo, che ha in se stesso il proprio scopo e la propria
ragion d'essere. Lo stato hegeliano è sovrano ma non dispotico ed ha la forma di
uno "stato di diritto", senza però essere uno stato liberal-democratico. E'
proprio questo punto a risultare ambiguo e controverso per i pensatori e i
critici successivi.
Hegel poi identifica la costituzione con la monarchia
costituzionale moderna, la quale prevede tre poteri: legislativo, governativo,
principesco.
Lo stato rappresenta l'estrema incarnazione dell'ethos o spirito oggettivo.
In esso infatti la volontà dell'individuo diventa veramente libera e
consapevole, anche se solo in ottemperanza alla legge.
L'individuo
identifica i suoi fini particolari con lo spirito universale che è oggettivato
nello stato.
Non è quindi lo stato ad essere basato sugli individui, ma sono
gli individui che esistono grazie allo stato che li precede sia in senso storico
temporale, in quanto gli individui nascono nell'ambito di uno stato già
esistente, sia logico, in quanto lo stato è superiore ad essi.
Lo stato, che
secondo Hegel deve mantenere un ordinamento monarchico-costituzionale e non
democratico e liberale (secondo le teorie contrattualistiche o
giusnaturalistiche a cui si ispirava l'Illuminismo), diventa dunque
l'espressione dello spirito del popolo che esiste grazie alle leggi.
Il
Rechtstaat di Hegel è uno stato di diritto fondato sul rispetto delle
leggi e sulla salvaguardia della libertà formale dell' individuo e della
sua proprietà.
Esso è regolato da una costituzione che emerge dallo spirito
del popolo in stretto raccordo con la sua storia, le sue tradizioni e le sue
caratteristiche particolari e che non può perciò essere stabilita o costruita a
tavolino secondo le teorie contrattualistiche.
Lo stato, inoltre, è per
Hegel l' incarnazione della volontà divina che organizza il mondo ed è quindi
immune dai vincoli imposti dalla morale o da un eventuale diritto
internazionale.
Nel sistema hegeliano lo stato appartiene al momento dello spirito oggettivo. Ma, nel processo dialettico, questo momento viene trasceso da quello che Hegel chiama il regno dell'Idea Assoluta, che si articola in arte, religione e filosofia. In sostanza sono le forme della vita culturale a ricadere nella sfera dello spirito assoluto, nel senso che la più alta e universale attività dell'uomo risiede nella produzione estetica, nell'atteggiamento religioso, nella riflessione filosofica. E' importante notare che Hegel distingue tra il territorio del finito, entro cui viene collocata l'eticità (quindi lo stesso stato) e il territorio dell'infinito, che non può mai essere subordinato a qualche cosa d'altro. Per questo il compito spirituale più alto non dovrebbe mai venire imbrigliato da un potere esterno, ma essere il frutto di una libertà reale, espressione piena dello spirito del popolo. Arte, religione e filosofia non si differenziano per il loro contenuto, ma per la loro forma: l'arte incontra l'idea assoluta nella forma dell'intuizione sensibile, la religione nella forma della rappresentazione, la filosofia come puro concetto. Ma l'arte, la bellezza, può cogliere la verità del tutto solo con la mediazione di un elemento sensibile; e la religione, che nella sua manifestazione più alta (il cristianesimo) ci rappresenta l'assoluto attraverso l'immagine di un dio personale, riproponendo così la scissione della coscienza infelice tra dio e mondo, sono forme non completamente adeguate dello spirito assoluto, che solo nella mediazione filosofica trova la sua verità. Non solo la filosofia è l'unità dell'arte e della religione, ma in quanto autocoscienza assoluta dello spirito porta a compimento l'autentico significato della sua stessa storia, scoprendo che le varie concezioni filosofiche si succedono secondo lo svolgimento dialettico delle determinazioni concettuali dell'idea. In questo modo Hegel giunge a unificare la filosofia con la storia della filosofia e fa del proprio sistema la sintesi di tutte le parziali, ma necessarie, verità del passato: la totalità dispiegata della verità.
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