Guida allo studio della Vita di Gesù di Hegel
A cura di Maurizio Pancaldi

Esposizione dei temi

Hegel scrive questa Vita di Gesù tra il maggio e il luglio del 1795 durante il suo soggiorno a Berna. Si tratta, come afferma il titolo, di una esposizione storica della figura di Gesù che vuole essere "oggettiva": essa dunque si basa certamente sui documenti neotestamentari (soprattutto il vangelo di Giovanni), ma opportunamente scelti e criticamente vagliati. Da essi vengono pertanto espunti tutti gli episodi riguardanti i miracoli e dal carattere strettamente teologico (quelli in cui Gesù afferma la propria divinità) per concentrarsi sull'aspetto dottrinale del messaggio evangelico di cui evidentemente si intende cogliere l'essenza. Quest'ultima è individuata nella dottina kantiana della virtù e della legge morale di cui Gesù sarebbe insieme il banditore e il modello di perfetta realizzazione: questi fattori costituiscono dunque anche il criterio ermeneutico con il quale Hegel legge, seleziona e presenta i testi. La vita, la figura e l'insegnamento di Gesù sono ricostruiti e seguiti dalla nascita alla morte attenendosi il più rigorosamente possibile all'empiricamente accertabile e all'umano, in ossequio al programma kantiano di abolizione progressiva della statutarietà delle chiese e delle loro dottrine positive, di riconduzione della religione "entro i limiti della pura ragione" e della sua riduzione a pura razionalità morale. Così Hegel produce una costante traduzione delle parole di Gesù in altrettante espressioni kantiane così come del filosofo di Koenigsberg tende a riproporre il tessuto concettuale e teoretico in merito alla dottrina dell'etica e della religione.

E' insieme semplice e complesso produrre un riassunto dell' opera che in effetti, a parte le questioni ermeneutiche, non introduce veriazioni sensibili rispetto alla narrazione dei fatti presenti nei testi evangelici. Nell'esporre la vita di Gesù Hegel compie, pur seguendo uno schema abbastanza libero, una notevole sintesi che attinge con una certa aderenza a tutte le fonti neotestamentarie (anche se si nota una prevalenza di Giovanni): l' arco di tempo considerato va dalla nascita alla morte e comprende tutti gli episodi più rilevanti nella narrazione sinottica, specialmente quelli in cui Gesù ha modo di manifestare, specialmente attraverso un serrato confronto con i farisei, la propria posizione dottrinale (ad esempio: l' episodio di Nicodemo, il sermone della montagna, la guarigione del paralitico in giorno di sabato, il perdono dell' adultera, il discorso durante l' ultima cena).

Dato questo carattere della struttura narrativa, piuttosto che seguirne lo svolgimento - sostanzialmente parallelo ai Vangeli - ci sembra più utile documentare il rapporto di Hegel con Kant in quest'opera giovanile attraverso l'enucleazione dei tre poli tematici che percorrono trasversalmente tutta la trattazione.

a) La figura di Gesù

Egli non è il Cristo, ma un uomo "deciso a rimanere eternamente fedele a ciò che stava incancellabilmente scritto nel suo cuore, a venerare soltanto l'eterna legge della moralità e colui la cui santa volontà è incapace di essere affetta da altro che non sia quella legge". La sua missione verso coloro che accorrevano ad ascoltarlo era quella di cercare "di rimuovere con il suo esempio e i suoi ammaestramenti la limitatezza di spirito dei pregiudizi ebraici e dell'orgoglio nazionale, e (…) riempirli del suo spirito che poneva un valore solo nella virtù che non è legata ad una particolare nazione o a istituzioni positive". In un altro episodio (cfr. Giovanni, 12, 20), polemizzando con coloro che ne volevano fare un capo nazionale, egli espone lo scopo della propria missione: "Questi uomini si sbagliano se mi attribuiscono l'ambizione di volermi erigere ad un Messia quale essi si aspettano, se credono che io esiga che mi si debba servire o che io mi senta lusingato se essi si offrono di aumentare il numero del mio seguito. Se essi obbediscono alla santa legge della loro ragione, allora siamo fratelli ed apparteniamo ad una medesima società; ma se ritengono che mio scopo siano la potenza e la gloria, essi misconoscono la superiore destinazione dell'uomo o credono che io la misconosca. (...) Il mio sforzo di chiamare gli uomini al vero servizio della divinità, alla virtù, mi ha posto in questa situazione [si riferisce alle intenzioni che i capi del sinedrio nutrono di ucciderlo] ed io sono pronto ad assoggettarmi ad ogni conseguenza che ne possa derivare. E se tutto ciò contraddice ancora una volta alle vostre attese, che cioè il Messia in cui sperate non deve morire, è segno che per voi la vita è di per sé qualcosa di grande e che la morte è tanto temibile da non poterla far concordare con un uomo che debba meritare il vostro rispetto. Ma esigo forse io rispetto per la mia persona? o fede in me? o voglio forse imporvi come mia invenzione un criterio per valutare e per giudicare il valore degli uomini? No; il rispetto per voi stessi, la fede nella santa legge della vostra ragione, l'attenzione al giudice interno che è nel vostro petto, alla coscienza, un criterio che è anche un criterio della divinità, tutto ciò io ho voluto ridestare in voi". Sullo stesso argomento egli ritorna durante l'ultima cena rivolgendosi agli apostoli: "Conservate nel vostro ricordo colui che ha dato la sua vita per voi, ed il mio ricordo, il mio esempio, sia per voi un valido mezzo di rafforzamento nella virtù. (...) Amatevi l'un l'altro, amate tutti gli uomini come io ho amato voi; che io dia la mia vita per il bene dei miei amici è la prova del mio amore. Io non vi chiamo più miei discepoli o allievi; questi seguono la volontà del loro maestro spesso senza sapere il motivo per cui devono agire così; voi siete cresciuti nell'autonomia dell'uomo alla libertà della vostra propria volontà; dalla vostra propria forza di virtù trarrete frutti, se lo spirito dell'amore, la forza che anima voi e me, è il medesimo."

b) La legge morale

Questo è il vero messaggio di Gesù. Esso risulta dal prologo stesso dell'opera che ritraduce l'analogo del Vangelo di Giovanni :"La ragion pura incapace di ogni limite è la divinità stessa. E' secondo la ragione, dunque, che è ordinato in generale il piano del mondo; è la ragione che indica all'uomo la sua destinazione, l'incondizionato scopo della sua vita. Spesso essa è bensì oscurata, ma mai è stata del tutto spenta: anche nell'oscuramento si è sempre conservato un debole barlume di essa. Tra gli ebrei fu Giovanni che rese di nuovo attenti gli uomini a questa loro dignità, che non doveva essere per loro niente di estraneo, che anzi essi dovevano cercare in se stessi, non nella loro origine, non nell'impulso alla felicità; non nell'essere servitori di un uomo assai rispettato, bensì nello sviluppo della scintilla divina che era stata loro partecipata e che dava loro testimonianza di essere discesi in un senso più elevato dalla divinità stessa. Lo sviluppo della ragione è l'unica sorgente della verità e di quella quiete d'animo che Giovanni non pretese certo di possedere in maniera esclusiva o come una rarità ma che tutti gli uomini possono dischiudere a se stessi. Ma maggiori meriti per il miglioramento delle corrotte massime umane e per la conoscenza dell'autentica moralità e del più puro culto di Dio si è acquisito Cristo." Mediante la sconfitta delle tentazioni patite durante il suo ritiro meditativo del deserto (cfr. Matteo, 4), egli ha insegnato infatti "che è indegno dell'uomo aspirare a un tale potere [quello di rendersi indipendente dalla natura], poiché possiede in sé la forza innalzata al di sopra della natura, la cui elevazione e il cui sviluppo è la vera destinazione della sua vita." Rivolgendosi a Nicodemo, Gesù gli sintetizza la sua dottrina in questi termini: "L'uomo in quanto uomo (...) non è semplicemente un essere del tutto sensibile. La sua natura non è limitata semplicemente agli impulsi del piacere. C'è anche uno spirito in lui, una scintilla dell'essenza divina, gli è stata partecipata l'eredità di tutti gli esseri razionali. Così come tu ben senti fischiare il vento e ne sperimenti il soffio ma non hai nessun potere né sai donde venga o dove vada, così ti si annunzia irresistibile quell'autonoma ed immutabile facoltà interiore. (...) Verrà il tempo, che propriamente è già presente, in cui gli autentici adoratori di Dio adoreranno il padre universale nel vero spirito della religione (…), lo spirito in cui signoreggia soltanto la ragione e il suo fiore, la legge morale; solo qui deve essere fondata l'autentica adorazione di Dio." E così nel discorso della montagna (cfr. Matteo, 5), che nella sua globalità occupa un posto fondamentale nell'impianto generale dell'opera, Gesù afferma: "Non crediate che io sia venuto a predicare la non validità delle leggi, a togliere la loro obbligatorietà; io sono venuto bensì a renderle perfette, ad infondere spirito in questa morta carcassa; il cielo e la terra possono ben passare, ma non passeranno le esigenze della legge morale, il dovere di obbedire ad esse. (...) Ma quel che io aggiungo, per compiere l'intero sistema delle leggi, è la condizione principale, che voi cioè non vi contentiate, come i farisei e i maestri del vostro popolo, di un'osservanza alla lettera delle leggi che può essere solo oggetto del giudizio umano, bensì agiate nello spirito della legge, per rispetto del dovere." E in questo contesto giunge perfino a formulare la legge del dovere in stretti termini kantiani: "Agite secondo una massima tale che, ciò che voi volete che valga come legge universale tra gli uomini, valga anche per voi: questa è la legge fondamentale della moralità, il contenuto di tutte le legislazioni e dei libri sacri di tutti i popoli." Nell'ambito di un altro episodio che lo vede impegnato in una disputa con i farisei che lo interrogano sulle prove che poteva offrire circa la validità della sua dottrina (cfr. Giovanni, 8, 21-31), Gesù afferma: "Credete voi forse che la divinità abbia gettato nel mondo il genere umano e l'abbia abbandonato alla natura senza una legge, senza una coscienza del fine ultimo della sua esistenza, senza la possibilità di trovare in se stesso il modo come piacere alla divinità? Credete che la conoscenza della legge morale sia un privilegio concesso soltanto a voi, a questo angolo della terra, con esclusione, non si sa perché, di tutte le altre nazioni della terra? (...) Questa intima legge è una legge della libertà cui l'uomo si assoggetta volentieri come a legge che egli stesso si detta; è eterna, e in essa giace il sentimento dell'immortalità. Per il dovere di farla conoscere agli uomini io sono pronto a dare la vita (..). Voi siete schiavi, poiché state sotto il giogo di una legge che vi è stata posta dall'esterno e che perciò non ha la forza di strapparvi, attraverso il rispetto di voi stessi, dalle vostre inclinazioni.(...) All'uomo (…) è stata data la legge della sua ragione, e non può giungergli altro insegnamento né dal cielo né dalla terra, poiché questo sarebbe contrario allo spirito di quella legge che esige una soggezione libera, non estorta con la paura, né servile."

c) Il regno di Dio come fine della moralità

Anche in riferimento a questo tema (che più volte viene indicato come "società dei puri spiriti"), Hegel ci presenta un Gesù di stretta osservanza kantiana. Ancora nell'ambito del discorso della montagna egli afferma: "La vostra preghiera (…) sia un'elevazione del vostro sentimento al di sopra dei piccoli scopi che gli uomini si pongono, al di sopra delle brame che li sbattono qua e là, con il pensiero rivolto a Dio che vi ricordi la legge scolpita nel vostro cuore e vi riempia di rispetto per essa, inattaccabile da ogni stimolo delle inclinazioni. (...) I bisogni della natura, i desideri delle inclinazioni non possono dunque essere oggetto della vostra preghiera, perché come potreste mai sapere se la loro soddisfazione sia lo scopo del piano morale di Dio? Lo spirito della vostra preghiera sia che voi, animati dal pensiero della divinità, facciate dinanzi ad essa fermo proponimento di consacrare tutta la vostra vita alla virtù. Questo spirito della preghiera, espresso in parole, si potrebbe presentare all'incirca così: Padre (...) possa un giorno venire il tuo regno, nel quale tutti gli esseri razionali prendono a regola delle loro azioni soltanto la legge. A questa idea vengono sottomesse poco a poco tutte le inclinazioni, financo il grido della natura. (...) Noi vogliamo piuttosto lavorare su noi stessi sì da migliorare il nostro cuore, da nobilitare gli impulsi delle nostre azioni e da purificare sempre più dal male i nostri sentimenti, per diventare più simili a te, la cui santità e gloria soltanto è infinita." In un altro episodio (cfr. Luca, 12) Gesù afferma: "Credete forse che io vi abbia invitati ad un quieto godimento della vita? che il destino che io attendo ed esigo per me sia un futuro felice e libero da affanni? No! la persecuzione sarà la mia sorte così come la vostra; discordia e conflitto saranno la conseguenza che avranno le mie dottrine. Questo conflitto tra vizio e virtù, tra l'attaccamento alle opinioni e agli usi tradizionali della fede, che sono stati inculcati nella testa e nel cuore degli uomini da una qualsiasi autorità, ed il ritorno ad un rinnovato servizio della ragione restaurata nei suoi diritti, questo conflitto dividerà amici e famiglie, porterà onore alla parte migliore dell'umanità, ma sarà funesto se quelli che hanno abbattuto l'antico, perché imponeva catene alla libertà della ragione e intorbidava le sorgenti della moralità, al suo posto imporranno ancora una fede imposta e legata alla lettera, che toglierebbe di nuovo alla ragione il diritto di darsi legge da se stessa e di credere liberamente e liberamente assoggettarsi ad essa". Ancora parlando con i suoi discepoli (cfr. Matteo 24) delle voci che potevano indicare il Messia in vari punti della terra, Gesù dice: "Non lasciatevi trascinare a seguirli! Tali presunzioni e glorie daranno luogo a rivolte politiche e a scissioni di fede; si prenderà partito, e in questo spirito di parte ci si odierà e ci si tradirà reciprocamente, e ci si crederà autorizzati a sacrificare a questo cieco zelo per dei nomi e delle parole i più santi doveri dell'umanità. La dissoluzione dello stato, la distruzione di tutti i legami della società e dell'umanità, e come loro effetti la peste e la carestia renderanno questa infelice terra facile preda dei nemici stranieri. (…) E se lo spirito del fanatismo dovesse assalirvi e maltrattarvi, predicate la moderazione ed esortate all'amore e alla pace, e disinteressatevi di tutti questi partiti religiosi e politici; non crediate di veder compiere il piano della divinità in tali congreghe o in associazioni che giurano sul nome o sulla fedeltà di una persona: il piano di Dio non si limita ad un popolo o ad una fede, bensì abbraccia con amore imparziale l'intero genere umano. (…) Così anche voi non crediate che sia sufficiente aver abbracciato una fede, se poi trascurate quel che è più necessario, l'esercizio della virtù, e inoltre, nella necessità o all'approssimarsi della morte, non crediate che sia sufficiente ammassare in fretta alcuni buoni principi e non pensate di farvi belli con dei meriti altrui (…). Dinanzi al santo giudice del mondo voi non avreste nessuna consistenza con la sola vostra fede chiesastica o con la promessa consolante di meriti altrui."

Storia della critica

Come è noto, Hegel non pubblicò la Vita di Gesù che comparve solo nel 1907 nella raccolta di Scritti teologici giovanili curata da Hermann Nohl. Tuttavia, di essa parla Karl Rosenkranz, il biografo ufficiale del filosofo nella sua Vita di Hegel del 1844 (ed. it. Milano 1974). Dopo una breve descrizione del manoscritto e del suo contenuto, l'autore così ne determina le intenzioni interpretative: "Ciò che caratterizza l'armonizzazione hegeliana dei Vangeli è l'aver fatto astrazione dal miracolo in senso fisico. Ma è proprio perché questo elemento non esiste, perché non dà nessuno scandalo all'intelletto, né viene da esso contestato criticamente o depotenziato attraverso spiegazioni, che la narrazione produce un così grande effetto. Hegel ha voluto rappresentarci Cristo in tutta la sua piena realtà umana, nella sua spirituale resistenza alle prove storiche. Ha osservato attentamente tutte le circostanze esterne, ha tenuto conto con cura di tutti i momenti psicologici del rapporto tra Gesù e i suoi discepoli e si è servito nell'esposizione delle parti didattiche del linguaggio del proprio tempo (...) Hegel non ha voluto lasciar fuori dalla Vita di Gesù l'elemento miracoloso per evitare una questione spinosa; lo dimostra il fatto che ha variamente discusso il rapporto fra speculazione e concetto di miracolo. Riteneva che tutti fossero d'accordo sulla verità del miracolo per fantasia. Per la fondazione della scienza suprema è importante sapere se si debba prendere come punto di partenza una storia, un'autorità, qualcosa d'incomprensibile oppure si debba attribuire indi pendenza e autorità alla ragione. In quanto si tenta di spiegare il miracolo esegeticamente o storicamente, si è già rinunciato al diritto della ragione, poiché così, di fronte al difensore del miracolo, si tradisce l'indecisione nei confronti dell'autonomia della ragione." Come si vede, le parole di Rosenkranz, pur così misurate, lasciano trasparire le polemiche di quegli anni circa questa materia.

Nel 1905 esce l'opera di Dilthey Storia della giovinezza di Hegel (ed. it. Napoli 1986) di cui la raccolta del Nohl può essere considerata una sorta di appendice. Il libro è importante perché da un lato rilancia gli studi sul pensiero hegeliano, lasciato in ombra in seguito al trionfo del Positivismo, e dall'altro perché presenta per la prima volta un aspetto fino a quel momento sconosciuto dalla produzione di Hegel, in grado di gettare nuova luce su quella già nota della maturità. Contro l'immagine di Hegel formalista, panlogista, sistematico, ordinatore enciclopedico della scienza speculativa, in linea con l'ortodossia luterana, Dilthey delinea quella d'un giovane Hegel interessato ai problemi della vita reale, riluttante agli schematismi, conscio delle antinomie dell'esistenza, dapprima genericamente kantiano in etica, poi decisamente irrazionalista, mistico e panteista (in Italia questa tesi è stata ripresa e sostenuta da Galvano Della Volpe con il suo Hegel romantico e mistico del 1929). Non solo: è Dilthey ad accreditare l'immagine di un Hegel "al servizio di [una] aspirazione pratica ad un illuminismo religioso" secondo le indicazioni di Kant. I principi etico-religiosi di Kant "contengono le linee direttive dell'esposizione di Hegel. La Vita di Gesù ha lo scopo pratico di realizzare la religione popolare. L'insegnamento di Cristo viene interpretato nel senso della fede morale di Kant, e l'esempio di Cristo deve quindi portare calore e forza a questa fede razionale". "Sotto questo influsso Hegel pone in rilievo ovunque la capacità della ragione umana di darsi spontaneamente una propria legge. In conseguenza di ciò l'etica risulta metaempirica in senso propriamente kantiano, vale a dire fondata nell'essenza universale della ragione; ed ora egli trasferisce questo punto di vista e la sua profonda e amara opposizione alla religione legalistica, ai suoi dogmi e alle sue cerimonie, nel tempo del Cristianesimo primitivo. Hegel comprende quel tempo a partire dalla sua posizione, dalla grande lotta tra autorità esterna ed autonomia in cui egli si trova. Nella sua risolutezza dittatoriale mette da parte nei Vangeli tutto ciò che annuncia l'amore come vero principio della morale interiore di Gesù. (...) Questo è il primo caso in cui egli usa l'accorgimento di comprendere il passato in maniera più profonda partendo dalla vita storica che lo circonda (…) e in questo caso il suo modello è la profonda interpretazione del Cristianesimo che viene formulata da Kant nel suo scritto sulla religione."

Alla linea interpretativa di Dilthey, si oppose in parte (l'Hegel giovane rimane ancora, misticismo a parte, un romantico) fin dal 1920, Franz Rosenzweig nel suo Hegel e lo Stato (ed. it. Bologna 1976), che sottolineava invece il persistente interesse politico di Hegel i cui scritti giovanili sull'argomento erano stati esclusi dalla raccolta del Nohl. Naturalmente Rosenzweig non si cura della Vita di Gesù in quanto non direttamente attinente al tema della sua ricerca, però ci consente di inserire questo testo in un ambito di pensiero e di interessi più determinato rispetto alla prospettiva offerta da Dilthey.

Il libro di György Lukács Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica del 1954 (ed. it. Torino 1975) rappresenta, pur nella sua unilateralità, un punto fondamentale nella storia delle interpretazioni hegeliane in quanto intende indagare, da un punto di vista marxista, la genesi del pensiero dialettico quale espressione del movimento storico attuato dalla borghesia e concluso dal socialismo: di questo movimento Hegel è stato naturalmente, sul versante borghese, l'interprete più lucido e profondo. Anche Lukács non esamina esplicitamente la Vita di Gesù, ma ricostruisce l'atmosfera problematica (e culturale) da cui è scaturito il testo: la critica alla positività della religione quale sostegno del dispotismo e dell'oppressione e in quanto comporta l'abolizione dell'autonomia morale del soggetto (che implicitamente esige la propria indipendenza dai dogmi religiosi alla cui autorità è stato costretto a piegarsi), con la conseguente degenerazione dei costumi che dura fino all'epoca presente quando "la perdita della libertà morale trae necessariamente con sé, secondo Hegel, la perdita dell'uso indipendente della ragione. L'oggetto estraneo, morto, dato, oppure dominante, della religione positiva, spezza quell'unità e compattezza di vita in cui l'uomo ha vissuto in precedenza, nell'epoca della sua libertà, e trasforma le questioni di vita in problemi trascendenti, inconoscibili, inaccessibili alla ragione".

Dopo Lukács la cultura marxista (o prossima al marxismo) ha continuato ad apprezzare la produzione giovanile di Hegel per le sue caratteristiche antisistematiche e per la forte carica antidogmatica e libertaria che la ispira. E' questo il caso di Ernst Bloch che accenna alla questione in Soggetto-Oggetto (ed. it. Bologna 1975) dove della nostra opera si dice che "fedele al testo evangelico, scritta con penetrante vivacità, ci presenta Gesù come semplice uomo, non come autore di miracoli, e tanto meno come Dio. Egli predicava la religione dell'amore, non una religione positiva con comandamenti, imposizioni, formalismi giuridici, Chiesa. Quest'ultima è considerata senz'altro come l'istituzione della nullità e dell'estraneazione umana; non a caso è sorta a Roma, nel regno della persona giuridica e dell'apparato burocratico. (...) In ultima analisi , è la disuguaglianza fra gli stati (…) all'origine dei due mali (…) della proprietà e della casta sacerdotale. Gesù invece insegnava l'amore come uguaglianza e l'uguaglianza (…) come condizione dell'amore."

Anche Herbert Marcuse in Ragione e rivoluzione (ed. it. Bologna 1976) considera gli scritti giovanili per individuarne i nuclei tematici che sarebbero poi stati sviluppati nelle opere mature. Pur non prendendo mai in esame specificamente la Vita di Gesù, egli osserva che "proprio in questo stesso periodo della vita di Hegel e in questi stessi scritti, tuttavia, il suo tono mutò leggermente, ed egli incominciò a considerare come destino storico dell'uomo e come onere che l'uomo porta necessariamente dalla nascita l'accettare le relazioni sociali e politiche che limitano il suo pieno sviluppo". In tal modo egli incominincia ad insistere sul concetto di necessità storica che tanta parte avrà nelle sua riflessione successiva. Certo "il tentativo di Hegel di comprendere le leggi universali che governano questo processo lo portò inevitabilmente all'analisi delle istituzioni sociali nel progresso della storia", tra cui principalmente la religione cristiana. "La prima discussione hegeliana sui problemi religiosi e politici insiste sulla nota che la perdita di unità e libertà - un fatto storico - è la caratteristica generale dell'età moderna che condiziona tutti gli aspetti della vita privata e sociale [e che] appare in modo evidente nei numerosi conflitti che riempiono la vita umana, soprattutto nel conflitto tra l'uomo e la natura. Tale conflitto (…) aveva condotto all'antagonismo tra idea e realtà, tra il pensiero e il reale, tra coscienza ed esistenza. L'uomo si trova costantemente tagliato fuori da un mondo che rimane ostile ed estraneo ai suoi impulsi e desideri. Come, dunque, si può riportare questo mondo in armonia con le possibilità dell'uomo? [Hegel] sostenne che la Cristianità aveva una fondamentale funzione nel mondo storico che consisteva nel dare all'uomo un nuovo assoluto su cui potersi basare e una meta finale alla sua vita. Hegel comprese tuttavia anche che la verità rivelata dal Vangelo non poteva adattarsi alla realtà sociale e politica in evoluzione nel mondo, poiché il Vangelo faceva appello essenzialmente all'individuo, e all'individuo distaccato dal suo contesto sociale e politico: lo scopo principale del Vangelo consisteva nel salvare l'individuo, non la società o lo Stato. Non era dunque la religione che poteva risolvere il problema, né la teologia poteva enunciare principi per ristabilire la libertà e l'unità. Ne risultò che gli interessi di Hegel andarono lentamente spostandosi dal piano teologico a quello filosofico." Marcuse riconosce che negli scritti giovanili la dialettica, pur presente, è ancora immersa in uno schema teologico per cui il primo concetto introdotto da Hegel come principio unificatore delle contraddizioni è quello di vita, che si distingue da ogni altro aspetto dell'essere per il carattere unico del rapporto con i suoi limiti e la sua forma determinata e con il suo mondo nel suo insieme. Infatti la vita si presenta all'inizio come una sequenza di determinate condizioni oggettive in quanto il soggetto vivente le trova poste fuori di sé a limitare la sua libera e autonoma realizzazione. Il processo della vita consiste tuttavia nel ridurre continuamente queste condizioni esterne entro la stabile unità del soggetto. Infatti "l'essere vivente si conserva come entità autonoma dominando e riducendo a sé la molteplicità delle determinate condizioni in cui esso si imbatte e mettendo in armonia con se stesso tutto ciò che gli si oppone. L'unità della vita, pertanto, non è immediata e naturale, ma risulta da un costante e attivo superamento di tutto ciò che ostacola tale unità. Si tratta di un'unità che prevale solo in seguito a un processo di mediazione tra il soggetto vivente quale esso è e le sue condizioni oggettive. La mediazione è la funzione tipica dell'io vivente come soggetto attivo, e, nello stesso tempo, crea tale io vivente come soggetto attivo. La vita è la prima forma in cui la sostanza è concepita come soggetto e pertanto è la prima realizzazione della libertà. Essa è il primo aspetto di una vera sintesi degli opposti e quindi la prima attuazione della dialettica. Non tutte le forme di vita, tuttavia, rappresentano un'unità così completa, Solo l'uomo, in virtù della sua capacità di conoscere, può raggiungere l'idea della Vita. (...) Solo l'uomo è capace di trasformare le condizioni oggettive così che esse divengano un mezzo per il suo sviluppo soggettivo. (…) Egli porta la verità nel mondo e con essa può organizzare il mondo in modo da renderlo conforme alla ragione. Hegel spiega questo argomento con l'esempio di Giovanni Battista e, per la prima volta, sostiene l'idea secondo cui il mondo nella sua vera essenza è il prodotto dell'attività storica dell'uomo."

Anche in Italia, specie negli anni Sessanta, la cultura laica ha dedicato molta attenzione al giovane Hegel. Tra gli studi più notevoli in questo senso vi è quello di Arturo Massolo, Prime ricerche di Hegel (ora in La storia della filosofia come problema, Firenze 1967); egli evidenzia come il loro significato generale sia segnato dalla perplessità (manifestata in una lettera a Schelling alla vigilia della sua partenza per Jena) su come sia possibile agire nella vita degli uomini, ponendo quindi la questione di come la filosofia possa servire l'uomo. Hegel infatti non inizia come filosofo: "i suoi problemi non sono sollecitati da un sistema, ma sono vissuti con una immediatezza e intensità, che respinge da sé una mediazione (…) Non soltanto Hegel non ha mai avuto né all'inizio né dopo alcun interesse per una filosofia definitoria o dell'essenziale, ma la sua prima posizione autenticamente speculativa coincide con l'affermazione che la vivente natura [dell'uomo] è eternamente altra dal suo concetto." Dunque per Hegel la filosofia non è attività da svolgersi in modo solitario, e anche nei cosiddetti Scritti teologici Massolo riconosce un prevalente interesse politico tanto da poter affermare che "c'è in lui prepotente una esigenza rivoluzionaria". Venendo in specifico alla Vita di Gesù, Massolo cerca di individuarne il significato all'interno dell'evoluzione hegeliana. In apparenza il lavoro sembra l'esecuzione di un progetto kantiano di ricostruzione storica del Cristianesimo da dottrina morale ancora frammentaria a sistema razionale puro di religione; se invece si guarda al contesto (specialmente gli scritti che precedono) si può constatare come "Hegel è già cosciente che né una morale né una religione possono venire esposte in una loro validità fuori di un loro riferimento ai bisogni del tempo. Se parla ancora di una religione pura, egli non può allora parlarne in senso kantiano, nel senso, quindi, di una religione naturale, cioè conforme alla natura in sé della ragione. (...) Indubbiamente Hegel si muove dentro lo spirito kantiano, ma Kant non avrebbe riconosciuto come espressione del suo pensiero quella identificazione di evidente derivazione schellinghiana, con la quale Hegel inizia: La ragion pura che trascende ogni limite, è la divinità stessa". Certo, osserva Massolo, il Gesù di Hegel non ha in sé nulla di sacro e di divino, ma soprattutto esalta la lotta dell'uomo e il suo diritto alla libertà religiosa. "Kantiana è certamente questa esaltazione della legislazione morale, tanto più che a Francoforte Hegel la sottoporrà a critica. (..) [Allora] egli non solo staccherà da Gesù e renderà a Kant il concetto della legislazione morale come l'espressione stessa della libertà dell'uomo, ma farà dell'insegnamento stesso di Gesù la negazione più alta dello spirito morale kantiano, nel quale individuerà il riflesso dello spirito servile ebraico." Pertanto nell'interpretazione di Massolo il fondamento speculativo e ideologico della Vita di Gesù non deve essere ricercato in Kant, quanto piuttosto nella risonanza che in Hegel ebbe il pensiero schellinghiano che esaltava nell'uomo la solitaria nostalgia dell'assoluto.

L'opera di Mario Rossi, Da Hegel a Marx (Milano 1970 e segg., 6 voll.), veramente imponente per disegno e ampiezza di documentazione, si prefigge, come indica il titolo, di ripercorrere l'arco di tempo e l'itinerario speculativo che collega la massima espressione del pensiero borghese come accettazione del mondo al fondatore del materialismo storico e del socialismo scientifico come teoria rivoluzionaria. Nel comporre tale progetto l'autore discute, con notevole competenza e solido possesso dei termini della discussione, le principali posizioni interpretative hegeliane del Novecento, offrendo quindi allo studioso un valido sussidio per orientarsi nella sterminata letteratura sull'argomento. Ciò risulta particolarmente prezioso in riferimento al giovane Hegel la cui problematica, in confronto al sistema della maturità, appare molto più fluida e aperta. Quanto al merito della Vita di Gesù, Rossi, dopo aver indicato i caratteri dell'ambiente sociale in cui Hegel si trovò a pensare e lavorare, la vede emergere da una riflessione che fa avanzare sul proscenio l'elemento della religione soggettiva che si definisce e precisa sempre più come religione razionale, della libertà morale e anche come religione naturale. "La critica al Cristianesimo procede, infatti, sempre partendo dal suo carattere autoritario, e sviluppandolo in due direzioni, in quanto esso coincide con l'asservimento politico, ma anche in quanto è in contraddizione con la religione razionale pura, o naturale." In questo senso la Vita di Gesù per unità di costruzione e compiutezza è da considerarsi il primo testo maggiore giovanile di Hegel, dove Cristo impersona l'ideale della religione razionale e naturale pura. Ciò non significa per Rossi che si debba concludere frettolosamente con una supposta adesione al kantismo da parte di Hegel. Certo, Gesù si richiama continuamente alla ragion pratica e all'autonomia della moralità e non appare come nulla più che una creatura umana seppur moralmente perfetta. Egli è, come incarnazione del Sollen, una figura del tutto coerente e lineare. "Più che un semplice influsso kantiano quest'operetta sembra rivelare l'intenzione del giovane Hegel di fare il punto su un'esperienza essenziale, di assicurarsi di aver perfettamente compreso ed esaurito la sistematica morale kantiana, e insieme, il recupero teorico del Cristianesimo, almeno nella persona del fondatore, alla sfera della pura moralità, che lo stesso Kant aveva già tentato. (...) Hegel si spinge così fino al limite della possibilità di rivalutare il Cristianesimo rigurdo al carattere della pura razionalità della religione. L'elemento kantiano (...) viene da Hegel isolato, personificato nella figura di Gesù, ed elaborato attraverso una traduzione, in tal senso, dei Sinottici. Il Vangelo giovanneo, invece, offre pochi spunti a questa narrazione, che si conduce in prevalenza su Luca (…)" "Esperienza puntuale e determinatissima, quindi, bilancio conclusivo d'un gruppo di acquisizioni, punto fermo che conclude una delle linee della complessa esperienza giovanile hegeliana (…) e non indice d'una svolta integrale nell'orientamento del giovane scrittore. Gli altri motivi diversi, o anche contrastanti, non vengono negati, ma soltanto sospesi, conservati sullo sfondo, per essere ripresi dopo la discussione di questo, che appare per ogni riguardo un accuratissimo studio di particolari, in senso figurativo."

Attenzione agli scritti giovanili viene dedicata anche da Enrico De Negri nella sua ampia e originale Interpretazione di Hegel (Firenze 1973). Partendo dalla constatazione che "nel suo esordio, il pensiero di Hegel (…) è esso stesso espressione di un disagio assai diffuso" che lo porta a respingere l'astrattezza illuministica, "il compito che incombe allo Hegel e alla sua generazione è quello di ricostruire su nuove basi" affidata alla ragione (che è plastica e non rigida, che include e non solo sopporta il particolare) la possibilità di relizzazione della moralità nella vita quotidiana attraverso un suo intenso collegamento con l'amore. Questa significativa coincidenza della ragione con l'amore spiega il motivo per cui Hegel sia apparso a volte un kantiano e a volte un romantico: in realtà si attua, secondo De Negri, un circolo onde l'una si innesta nell'altro e viceversa. In questo contesto si tratta di valutare il significato che la religione assume agli occhi del giovane Hegel: "la religione appare complessa non soltanto secondo i suoi rapporti con le altre attività umane, individuali e sociali, ma anche secondo la sua costruzione interna", potendosi distinguere una religione soggettiva (scaturente dal bisogno di credere in una realizzazione totale del bene supremo), una oggettiva (un insieme di precetti e di dogmi, e quindi una teologia incompatibile con la massa di un popolo), una religione privata (ausilio sulla via della virtù, consolazione nella disgrazia e nella sofferenza). A questo punto De Negri prende in considerazione specificamente la Vita di Gesù (da lui tuttavia giudicata poco interessante): Hegel segue per giustapposizione di episodi il cammino terreno del Maestro mettendo in rilievo l'antitesi tra l'idea pura e la prassi antiutilitaristica del dovere e quella farisaica. "Il Gesù di Hegel somiglia a un pastore protestante seguace di Kant; le parabole del Vangelo e il Discorso della montagna vengono tradotti in altrettante sentenze di contenuto morale razionalistico e di tipo strettamente kantiano." Malgrado ciò l'autore contesta l'adesione di Hegel all'ortodossia del kantismo: "in realtà l'interpretazione hegeliana della persona di Gesù dipende dal concetto (…) della religione privata. Quando la sostanza nazionale sia radicalmente corrotta, la fuga dei migliori dall'ambiente che li circonda diventa comprensibile e anche necessaria. Di tal sorta è appunto la situazione nella quale venne a trovarsi Gesù, perché secondo Hegel il popolo ebraico incarna l'esempio della corruzione senza rimedio. Ed ora Gesù, spregiando i vincoli convenzionali, si fa banditore di una religione adatta per coloro i quali, disposti anch'essi a deporre gli abiti di una civiltà decaduta, prestano per lo meno ascolto alla voce universale, ancorché astratta della ragione. Così la religione privata o individuale coincide con la religione universale. Il kantismo e il razionalismo dello Hegel son dunque da prendersi come un canone interpretativo valido per una determinata situazione, nella quale incide la sventura che l'individuo si allontani dal suo popolo; ma il medesimo canone non vale per l'interpretazione della realtà umana tutta quanta." Già da questa affermazione appare la necessità, da parte di Hegel, di una svolta e l'adozione di un diverso canone ermeneutico in vista di una più adeguata diagnosi delle forme della scissione e della riconquista dell'intero.

E'noto che la fortuna di Hegel nel nostro secolo è in gran parte legata al clima "esistenzialistico" emergente nel periodo tra le due guerre. Di tale clima una delle più significative espressioni è costituita dal libro di Jean Wahl La coscienza infelice nella filosofia di Hegel (ed. it. Milano 1972), che se non prende in particolare considerazione la Vita di Gesù, dedica però molto spazio alla problematica giovanile, di cui cerca di cogliere il nucleo essenziale. Come Dilthey, anche Wahl considera il giovane Hegel immerso nell'atmosfera romantica e religiosa avvicinandolo a Schleiermacher e a Schlegel, mentre canta i giochi gravi, l'amicizia, l'amore, un Eros adorno del fascino del cuore e dei sogni più dolci, parlando del dolce calore, della morbida luce della vera saggezza. In questo senso "nella vita religiosa completa, resterà il minimo possibile di puro oggettivo e di puro soggettivo, il minimo possibile, da un lato come dall'altro, di limitato", e in questa prospettiva "la figura di Gesù è apparsa assai presto a Hegel al di sopra del giudaismo, al di sopra del paganesimo stesso, e infine al di sopra del Cristianesimo, come recante agli uomini nuovi valori, e una nuova bellezza". Infatti egli si volgeva a quei giorni "in cui così fortemente si sentiva la divina bellezza umana, in cui lo spirito era sereno e puro. Egli cerca quella compiutezza quella perfezione che Hölderlin cantava come un ideale dell'umanità, come il fine supremo degli spiriti. Il Cristianesimo, quale gli si offre, non può soddisfarlo. Il fatto è che in tutte le forme della religione cristiana che si sono sviluppate nel progressivo destino del tempo, constatiamo il carattere permanente dell'opposizione nel divino, il quale solo nella coscienza, mai nella vita dev'essere presente." Per il resto Hegel constata che nel mondo moderno c'è un carattere torbido, grave e irritabile insieme, che attiene all'essenza stessa della religione cristiana. Oggi noi viviamo in uno stato di separazione, di reciproca ostilità, di tensione (momento intermedio fra l'unità primitiva e l'unità ideale) nella quale ritroveremo la pienezza di forme e di contenuto che caratterizzava la Grecia. Conciliare i termini che sembravano opporsi, offrire allo spirito moderno diviso, lacerato, un ideale di nozioni armoniche in cui l'interiorità e l'esteriorità, le parti e il tutto si fonderanno, in cui la ragione apparirà come vivente e la vita come razionale: questo è lo scopo che si propone il filosofo. "Se l'universo deve essere totalità bella, sostanza piena, e altresì spirito, riflessione incessantemente rinnovata, si comprende come il problema della beatificazione del particolare, della beatificazione della sofferenza e della coscienza infelice sia al centro di questa filosofia, come debbano essere unite le idee d'un dolore infinito e d'una felice totalità. Hegel sa che questa totalità non può essere raggiunta che attraverso la lotta e la sofferenza. (...) Non c'è per lui riconciliazione perfetta se non si è passati per gli stati della più completa lacerazione e del dolore infinito. Soltanto così gli uomini diventeranno (…) gli specchi felici della felicità o, come dirà Hegel, gli specchi di Dio. Di più, gli uomini, già caratterizzati per il loro stato di divisione, uniranno la loro chiarezza alla chiarezza divina. Come ha profondamente visto Dilthey, Hegel vuole superare il pessimismo di Rousseau mediante l'idea di un progresso che consegue alla distruzione stessa dell'idea di unità. Ma può farlo solo elevandosi ad una concezione religiosa e tale da oltrepassare il problema sociale propriamente detto. All'inizio della sua vita, come alla fine, Hegel si rivela teologo. Da un capo all'altro della sua opera corre un motivo, quello della divisione, del peccato, del dolore, e gradualmente si trasforma in quello della riconciliazione e della beatitudine. La sua logica stessa appare da questo punto di vista come un tentativo di interpretare, alla luce della sua esperienza della teologia, i tentativi della coscienza umana di guadagnare quell'assoluzione che è l'assoluto, quell'approdo che è la nozione." Dunque, secondo Wahl, un Hegel mistico, religioso e romantico. "E se è vero che il Romanticismo è al contempo una rinascita del sentimento religioso, non dovremmo dire che è il sentimento religioso stesso a farci provare la necessità dell'infelicità? L'anima religiosa (…) è un'anima divisa. Il Romanticismo, il Cristianesimo (…) son dunque mediazioni necessarie a che si produca l'hegelismo, il quale sarà un Romanticismo classico, un Cristianesimo razionale." Wahl insiste sul fatto che "Hegel ha avvertito per tempo nella natura umana un bisogno di conoscenze divine cui si connettono d'altronde esigenze morali (…) E poiché la terra ha in sé un bisogno religioso, sarà dunque possibile una conoscenza fenomenologica della religione. (..) L'uomo vuole trascendere l'uomo. La natura umana non è assolutamente separata dal divino. Ma questo sentimento d'un essere a lui superiore dovrà legarsi nell'uomo al sentimento della propria infelicità." Tale sentimento, secondo Hegel, è strettamente connesso al giudaismo: negli scritti giovanili (e quindi anche nella Vita di Gesù) "il giudaismo è concepito come una religione della servitù" e "il popolo ebraico è il popolo dell'assoluta separazione". Perciò "Dio deve rivelarsi nel popolo più spregevole, perché qui il dolore è infinito e più comprensibile a tutti. (...) Tale restò sempre il Dio degli Ebrei, un oggetto infinito, servo del suo popolo, e di cui il suo popolo era servo. Dominio su oggetti, questo il suo motto". "Il popolo (...) vuole fuggire dalla realtà, attende il Messia, un Messia che è estraneo, ovvero restringe la sua attività a un culto senz'anima e a una religione farisaica." Su questo sfondo viene delineandosi la figura di Gesù il quale, per il messaggio che reca, è per Hegel più vicino al nostro spirito e alla nostra sensibilità. Wahl ovviamente nota il diverso carattere del Gesù hegeliano: da quello kantiano (della Vita di Gesù) a quello profeta del Genio e dell'Amore (ne Lo spirito de Cristianesimo e il suo destino). In ogni caso "l'essenza della sua predicazione è costituita dalla scomparsa della categoria di signoria e servitù, su cui poggiavano il mondo ebraico e il mondo romano." Egli infatti predica virtù che "non sono soggette, né schiave, ma pure inclinazioni (…) Nello stesso tempo, conformemente all'essenza della vera religione, unifica quanto era stato diviso. Istituisce un legame vivente che è libertà e pertanto bellezza e santità" da intendersi non illuministicamente come conformità all'intelligenza ma come bisogno di indipendenza. Con Gesù "Dio non è più padrone, ma un padre. La vita ridiventa vita." Citando un passo della "Vita di Gesù", Wahl afferma che in Hegel "Gesù ci fa intendere che Dio è per noi un prossimo. Gesù è un sacerdote della religione dell'uomo - l'uomo Dio è anzitutto l'uomo, non un individuo che sarebbe oggetto di stupore, ma l'idea stessa nella sua bellezza, l'idea, nostra proprietà, nostra creazione", anche se poi riconosce che "a partire dalla Vita di Gesù, idee non kantiana vengono a fondersi con idee di Kant; aspirazione all'unità, gioia, amore, semplicità del cuore."

Sotto l'aspetto più propriamente filologico e storico, gli anni Cinquanta e Sessanta hanno assistito alla comparsa di alcuni studi fondamentali (per lo più, come ha notato Rossi, di matrice cattolica) sul giovane Hegel. Il primo è di Paul Asveld (La pensée religieuse du jeune Hegel, Lovanio 1953), secondo il quale a Berna Hegel, assumendo le vesti del riformatore, legge o rilegge Kant che gli suggerisce il tema dell'alienazione religiosa tanto da indurlo ad abbandonare l'idea di un Dio trascendente. La Vita di Gesù studia così come il Cristianesimo da saggezza privata e religione della libertà si sia trasformato in religione d'autorità arrivando a soppiantare quella greco-romana. In quest'opera la persona del Cristo ha perduto tutta la sua trascendenza, mentre i fatti miracolosi sono o taciuti o interpretati in senso naturale: infatti, Gesù è la personificazione dell'ideale di virtù, presentato come un predicatore della religione della ragione in lotta con la religione ebraica fondata sull'obbedienza a una legislazione esteriore ricevuta per rivelazione. Lo spirito santo diventa così una mentalità, il senso morale, che Gesù vuole inculcare negli apostoli, mentre la ragione è una scintilla divina che spinge gli uomini alla libertà. Secondo Asveld, Hegel non pretende di darci un'idea esatta, storica, della vita di Gesù; piuttosto la sua è un'esposizione spurgata di tutto ciò che non ha valore per noi, finalizzata a non vedere in Gesù se non ciò che desta interesse attuale, che può servire d'esempio. Ma Hegel non solo spurga, ma trasforma anche il ritratto di Gesù presentato dal testo evangelico: egli ha voluto tentare un'esperienza, ha voluto comporre una vita di Gesù adattata ai bisogni della religione popolare. Per questo non ha considerato veritiero tutto ciò che i Vangeli e San Paolo hanno detto di Gesù, il quale è un uomo come gli altri, che non ha mai preteso di essere un Dio incarnato per la redenzione dell'umanità decaduta, di legare la salvezza ad una fede personale, di fondare una religione che sostituisca l'apparato esistente. Ma se la sua morale non vuole essere che una saggezza individuale, perché poi i discepoli opereranno una metamorfosi della sua figura e della sua dottrina incentrata sulla deificazione del maestro? Asveld risponde: Gesù era egli stesso ebreo, è stato costretto a difendersi, è stato costretto ad attirare gli altri più con la sua persona che con la ragione. Sotto la spinta di questi fattori gli apostoli trasformeranno Cristo in un assoluto esteriore e faranno diventare il Cristianesimo una religione positiva, principio di alienazione in cui gli individui rinunciano alla loro libertà di pensiero e alla loro intera personalità. Libertà, alienazione, riappropriazione religiosa: questi, secondo Asveld, in termini in cui si muove l'indagine di Hegel che, affrancatosi dal dogma, intende vedere il Cristianesimo dall'interno a partire dalla vita stessa del suo fondatore.

Lo studio di Carmelo Lacorte (Il primo Hegel, Firenze 1959) apparentemente non dovrebbe essere utilizzato per i nostri fini, dato che considera solo i periodi di Stoccarda e Tubinga. In realtà risulta essenziale per comprendere l'incidenza di Kant nella formazione del giovane Hegel (incidenza che farà sentire tutti i suoi effetti proprio nella Vita di Gesù). Lacorte sottolinea dunque l'importanza di Kant negli anni di studio universitario in rapporto ad alcuni punti essenziali.

  1. Kant è l'antidogmatico per antonomasia contro la teologia scolastica: è lui che denuncia il fallimento del soprannaturalismo e della conciliazione tra filosofia e religione positiva.
  2. Con il primato della ragion pratica, Kant ha indicato i nuovi compiti della filosofia. Ragione, libertà, regno di Dio, regno dei fini, chiesa invisibile: sono questi i contenuti del nuovo umanesimo che nasce dalla filosofia di Kant, la quale, mostrando che tutta l'umanità è degna di rispetto, consentirà che gli individui imparino a sentire la propria dignità e a recuperare i propri diritti calpestati da oppressori e tiranni. Nella prospettiva illuministica di Kant, le idee sono dunque una forza vivificatrice che solleverà gli animi e insegnerà a sacrificarsi per esse.
  3. Alla teologia, Kant oppone la fede e la religione razionale da un lato, la morale autonoma dall'altro. Egli dunque rovescia il rapporto tra teologia e morale sistemando la religione nella metafisica dei costumi.

Partendo da questa prospettiva, secondo Hegel la religione appare come il fenomeno più rilevante in cui si esprime il grado di sviluppo raggiunto da un popolo. La ricerca di Hegel infatti, priva di preoccupazioni confessionalistiche, se da un lato denuncia il dogmatismo teologico, dall'altro esalta la religione popolare in cui si esprimono i nuovi sviluppi della filosofia come meta della civiltà e della cultura. In essa si compie tutto un complesso di elementi che costituiscono e manifestano il grado di civiltà di un popolo, della sua costituzione politica, delle sue espressioni etiche e giuridiche. Emerge dunque nel pensiero di Hegel l'esigenza dell'educazione del genere umano ancorata all'esame della struttura spirituale della vita storica dei popoli: egli si occupa kantianamente di metafisica dei costumi, studiando il fenomeno religioso come elemento rivelatore delle strutture che presiedono alle figure della civiltà di un popolo in accordo con lo sviluppo storico raggiunto dalla cultura. Ma Lacorte mette in luce come Hegel ampli, rispetto a Kant, l'orizzonte teorico. La religione costituisce per Hegel il mezzo più concreto ed efficace per rendere pratici i principi, per attuare gli ideali della filosofia, per servire come strumento valido per educare gli uomini secondo la loro vera natura in rapporto alle concrete esigenze storiche. Essa è espressione di un'esigenza naturale dello spirito umano e configura diversamente la vita umana a seconda che promuova e influenzi lo sviluppo di talune tendenze o altre. Il fenomeno religioso esprime e risolve i problemi dell'umanità, in cui si riverberano le diverse concezioni filosofiche: si tratta pertanto, secondo Hegel, di studiare la religione come strumento che conduce al soddisfacimento delle esigenze più profonde dello spirito umano che è naturalmente buono.

Uno studio notevole sul giovane Hegel, per rigore e ampiezza d'analisi, è poi quello di Adrian Peperzak, Le jeune Hegel et la vision morale du monde (La Haye, 1969). Nella prefazione l'autore dichiara di volersi attenere ad una linea interpretativa equidistante da quella troppo teologica di Asveld e da quella troppo politica di Lukács, che sia rispettosa dei testi hegeliani alla cui lettera intende aderire con scrupolo per evitare forzature ideologiche nella loro lettura. Emerge così un Hegel nella cui formazione giocano diversi fattori (le idee di Rousseau, di Kant, di Lessing, di Schiller, di Fichte) e aperto ad una problematica complessa che spazia dall'ideale etico del "regno di Dio", al vagheggiamento della bellezza ellenica, all'ideale politico sollecitato dalla rivoluzione francese. Questo percorso intellettuale, secondo Peperzak, non può essere ignorato allorché intraprendiamo l'esame della prima opera organica scritta nel periodo bernese, la Vita di Gesù appunto. Naturalmente la prima questione da affrontare è: si tratta proprio di un testo di netta ed esclusiva derivazione kantiana? In effetti Hegel sembra eseguire il piano proposto da Kant ne La religione entro i limiti della pura ragione che prospetta la vittoria sul male da parte di un'umanità (il popolo di Dio) costituitasi sotto la legge morale. In vista della realizzazione di questa Chiesa invisibile, quelle visibili, con le loro dottrine e le loro leggi, verranno man mano abolite in rapporto inversamente proporzionale al consolidarsi della virtù. In questa chiave Hegel è risalito alle origini del Cristianesimo per rendere accettabile questa religione: così si dovrà ammettere che una Chiesa visibile giustifica la sua costituzione per mezzo di una rivelazione e basandosi su un libro sacro, ma resta fermo che il criterio supremo in base al quale si deve interpretare questa religione rivelata è la religione pura della sola ragion pratica. Così l'esegesi non potrà essere la traduzione esatta del pensiero dell'autore, ma una spiegazione che favorisca la moralità e che quindi possa anche confliggere con la prima. Questo libro ci parla dunque di una persona che fu il fondatore non della religione pura (perché questa è scritta nel cuore di ciascun uomo) ma della prima Chiesa autentica. Quello che la storia racconta della sua vita non ci interessa, dato che la nostra fede non si fonda che sulle verità della ragion pura, le sole che siano capaci di autogiustificarsi: perciò possiamo osservare come il fine di Gesù sia stato la religione puramente morale in vista della quale non ha voluto porre altre condizioni che quelle della ragione stessa. Hegel dunque mira a questo duplice obiettivo: applicare i risultati del kantismo alle idee correnti e reinterpretare il vangelo in funzione della moralità seguendo le indicazioni di Kant così come erano state assimilate e si erano precisate lungo la linea dei suoi studi. Così nella Vita di Gesù egli da un lato adotta da Kant la concezione di un Cristo modello fedele della ragion pratica; dall'altro assembla i dati contenuti nei quattro Vangeli in un racconto unico e continuo scartando in nome della ragione tutto ciò che è positività. Poiché Gesù non ha il diritto di fare miracoli o di predicare altro che la moralità kantiana: così Hegel combina ingegnosamente una certa fedeltà al testo evangelico con un divieto assoluto su tutto ciò che oltrepassa la ragione umana (anche se, nota Peperzak, questo significa che Hegel rifiuta il Gesù del Vangelo). Peperzak si chiede se Hegel abbia voluto restaurare la figura del Gesù storico o se abbia costruito un Gesù quale avrebbe dovuto essere e quale sarebbe stato se i giudei fossero stati più obiettivi nei suoi confronti: dal confronto con altri testi contemporanei che evidenziano la grande preoccupazione per l'educazione del popolo alla moralità attraverso la religione, egli crede di poter concludere che quello di Hegel sia un tentativo di liberare Gesù dalla cornice in cui la storia cristiana l'ha rinchiuso. Si può dunque vedere nella Vita di Gesù un saggio teso a stabilire l'ideale religioso della virtù posto in bocca a colui nel quale il popolo riconosce il suo salvatore. Senza criticare apertamente il Cristianesimo come tale Hegel vuole restaurare o instaurare quella fede che la religione e la Chiesa positive hanno mascherato: è ovvio che la predicazione di una disposizione morale che si incontra con la voce della coscienza fa diminuire d'un sol colpo l'importanza della fede ecclesiastica. Così è altrettanto naturale che Hegel adatti il Vangelo alla Germania del 1795, modificando in senso moderno le parole evangeliche: come risulta dai numerosi passi che Peperzak porta a documento, il Cristo nuovo compendia il suo insegnamento nella predicazione della ragione morale e autonoma (riconoscete la voce della vostra coscienza, accettate questa legge pura e razionale, non credete in me ma ritrovate il rispetto di voi stessi, della vostra dignità umana: allora troverete il riposo interiore e il bene nell'al di là, allora riconoscerete Dio in spirito e verità). In tal modo tutto il Vangelo (i suoi paradossi, esortazioni, parabole, leggende, inni, poemi) si ridice ad un interminabile sermone sulla virtù e sull'autonomia morale, in cui, nota Peperzak, si perde non solo la religione ma anche la poesia. Secondo l'autore è dunque indubitabile che la caratteristica globale della Vita di Gesù prova una dipendenza (per il linguaggio e il contenuto concettuale) da Kant. Tuttavia essa non si può dire totale: infatti Hegel sottolinea il ruolo del sentimento naturale o autentico dove Kant non ammette che la legge della ragione. L'antropologia hegeliana si differenzia dunque da quella kantiana per questo senso di gerarchizzazione che vede gli impulsi e la legge come due sentimenti in lotta, ma in cui la seconda è pur sempre legata ad un sentimento naturale. La ragione non condanna dunque gli impulsi naturali ma li dirige e li rende più nobili, nobilitando le motivazioni delle nostre azioni. Dunque alla luce del formalismo della ragione, Hegel sembra concepire il rapporto tra la ragione e la sensibilità come un rapporto tra interessi più alti e interessi più bassi, coma la tensione tra un fine più spirituale e nobile e altri fini più bassamente sensibili (il che, nota ancora Peperzak, porta Hegel ad essere talvolta più kantiano di Kant, giacché quest'ultimo non dice mai che le inclinazioni o la sensibilità sono in quanto tali malvagie, come invece si trova in molti passi hegeliani). Peperzak rileva quindi nella Vita di Gesù l'intrecciarsi del sentimentalismo tipico della fase tubinghese, derivato dalle letture di Rousseau, Schiller, Shaftesbury ecc. (per cui la morale è un affare del cuore, dei sentimenti - per cui i sentimenti nobili combattono quelli malvagi), con elementi più tipicamente kantiani (assoggettare le inclinazioni per seguire la legge morale). La coincidenza dei due orientamenti consiste nel punto in cui la ragion pratica si chiama "sentimento nobile della legge", sentimento che rende questa legge non una universalizzazione astratta ma un fuoco ardente che fa nascere un entusiasmo eroico virtuoso (per cui, rispetto a Kant, Hegel pone al centro della propria riflessione la dignità umana e il rispetto di se stessi).

Altrettanto impegnato e acuto del precedente è lo studio di Günther Rohrmoser su Théologie e aliénation dans la pensée du jeune Hegel (Paris 1970), che sottolinea l'importanza delle opere giovanili come punto di partenza della filosofia di Hegel, in quanto in esse si può riconoscere la natura, il contenuto e la struttura dei problemi che il suo pensiero si propone di dominare. Anche Rohrmoser si propone di mantenere un punto d'equilibrio tra la lettura di Dilthey (panteismo mistico) e quella di Lukács (interessi socio-politici), mostrando la connessione tra questi due tipi di problemi (problemi politico-sociali e critica delle forme della teologia e della fede cristiana) che sono teologicamente politici e possiedono una struttura politicamente teologica. Certo vediamo che Hegel attacca la distinzione tra religione soggettiva e religione oggettiva, tra religione del cuore e religione dell'intelletto, tra fides quae creditur (la fede che è creduta) e fides qua creditur (la fede per cui si crede). Ma il punto è: il Cristianesimo è o è diventato una religione positiva? Orbene, il modello della religione greca persuade Hegel che è un difetto del Cristianesimo nel mondo moderno di essere una religione dell'individuo: infatti, nell'antichità la religione penetrava tutta la vita del singolo mentre nel Cristianesimo la religione è separata dalla vita profana. Altrettanto nella teologia moderna il sistema teologico ortodosso è separato dalla pietà soggettiva: perciò Hegel esige la riabilitazione dell'essere sensibile e dei suoi bisogni contro le pretese dell'intelligenza. Ciò naturalmente postula una trasformazione della religione obiettiva e della sua dottrina per armonizzarla con i bisogni reali della verità soggettiva. Questa richiesta collide con la constatazione che la religione cristiana, che pure ha fatto progredire la moralità, si disinteressa dei principi di realizzazione politica umana. Ma Hegel in questo periodo giovanile sembra ostile, più che al Cristianesimo in sé, alla Chiesa: in questo senso, secondo Rohrmoser, l'esposizione della vita di Gesù mostra l'impossibilità di fare entrare la rivelazione (cioè l'apparizione di Gesù) nel concetto della religione obiettiva, poiché Gesù ha voluto esattamente il contrario di quello che il Cristianesimo storico ha fatto del suo messaggio. Per questo Hegel indaga le reali intenzioni di Gesù scoprendo un messaggio di liberazione che ristabilisca l'uomo nel suo diritto inalienabile, nel suo rapporto con Dio. Ma se ciò è vero, il Vangelo suppone un uomo capace di seguire le leggi che egli stesso si è dato (capacità e diritto negato nel corso della realizzazione storica di questa dottrina). Ora, come mai colui che annuncia (il messaggio di liberazione) è diventato colui che è annunciato? Rispondere a questo problema significa risolvere quello di sapere come il Cristianesimo ha potuto divenire una religione obiettiva, una religione della positività. Resta il fatto che il Gesù hegeliano rimane l'uomo del compimento della legge morale, nel senso dell'insegnamento kantiano del dovere di praticare la virtù: il fatto meraviglioso della sua apparizione è che un uomo è esistito, che non è stato il risultato di determinate condizioni storiche, che ha avuto una fiducia nuova nell'uomo, che si è impegnato a seguire la legge morale dettata dalla propria ragione, a fare il bene perché è bene senza badare a ricompense. Egli ha sostituito la relazione tra padrone e schiavo (propria del giudaismo) con la relazione fiduciosa, umanamente bella e libera, d'un figlio verso il padre. Se la positività comprende tutto ciò che è giustificato dalla tradizione, il diritto a esistere in quanto istituzione garantita da una autorità, allora la colpa della positività consiste nella regressione del Cristianesimo nel giudaismo. Rohrmoser conclude quindi la sua analisi mostrando come per Hegel realizzare la naturalità del concetto di religione significhi non abolire tutte le religioni ma solo quella positiva: solo a questa condizione l'uomo si può realizzare in quanto uomo.

Il ponderoso volume di Hans Küng, Incarnazione di Dio (Brescia 1972), è in ordine di tempo l'ultimo grande lavoro sulla filosofia di Hegel con l'ambizione, al di là degli aspetti puramente tecnici e filologici, di coglierne il senso essenziale. In particolare il fine di questo lavoro è di offrire un contributo ad un ripensamento della cristologia contemporanea alla luce della riflessione hegeliana. L'analisi della Vita di Gesù offerta dal Küng (che per i suoi fini non pretende di entrare in particolari e in delucidazioni specifiche dell'esegesi hegeliana) inizia registrando risultati ormai consolidati: l'opera contiene "una morale razionale piena di dovere e di virtù, di legge eterna, di eticità e dignità dell'uomo, rivolta (…) contro l'autorità eteronoma, contro il formalismo liturgico e la religione codificata, ora concentrata sul regno del bene morale, inteso come regno di Dio." Ovviamente da questo orizzonte viene eliminato tutto ciò che sa di mistero e di miracolo, e tutto ciò che non si elimina viene reinterpretato. Küng sposa senz'altro la tesi che "dietro la Vita di Gesù. è presente Kant. Ed Hegel procede qui quasi più kantianamente dello stesso Kant". Ora quest'ultimo (cui viene dedicato lo spazio di quasi tutto il capitolo, nella supposizione appunto che Hegel ne adotti totalmente le tesi) aveva delineato una cristologia in chiave nettamente antropologica; anzi: "la cristologia di Kant è (…) antropologia radicale" in quanto la persona di Cristo si è risolta nell'idea del bene. Dunque "il Cristo biblico si secolarizza come idea dell'umanità": e se gli gnostici antichi avevano applicato a Gesù il mito dell'uomo originario, "in questa gnosi moderna dalla ragione Gesù è visto invece come un momento necessario di passaggio verso l'idea dell'umanità: verso l'ideale di un'umanità gradita a Dio". In questa chiave Kant risolve l'antico problema della libertà e della legge: "l'uomo come essenza razionale, nella sua libertà legge a se stesso, nella sfera logica e in quella pratica, nella scienza, nella morale e nell'estetica." E così risulta che l'idea kantiana della umanità, nella sua perfezione morale, è come un riflesso dell'apparizione storica di Cristo: ma così facendo Kant ha pure introdotto un'ermeneutica biblica caratterizzata dalla demistificazione razionale e dalla destoricizzazione (in sostanza un'interpretazione speculativo-ideologica della Bibbia e in particolare della cristologia). "L'interpretazione autentica del Cristianesimo, per lui filosofo, rimane garantita soltanto da un'interpretazione della fede ecclesiale come fede puramente morale": così si raggiunge anche in Kant un'armonia tra fede rivelata e fede razionale secondo i principi della filosofia razionalistica. Il risultato di questa operazione ermeneutica è la "distruzione radicale del dogma cristologico", in quanto la religione rivelata sarebbe solo un veicolo (provvisorio e destinato a scomparire) lungo la storia dell'umanità, il cui vero valore è l'idea, il contenuto ideale. "Dall'ambito della religione autentica, ideale ed eterna, resta escluso anche il fatto storico Gesù Cristo, e più precisamente il fatto di essere un uomo, la cui storia, come ogni storia, è un episodio." Perciò il Dio di Kant si presenta come il Dio delle lontananze, mentre "nell'uomo stesso, nella determinazione morale della ragion pratica sta l'autorità normativa della legge morale" con la conseguenza che non è più Dio a fondare la morale, ma la morale a fondare Dio. Küng insiste nel mostrare che "tenendo presenti la teologia deistica di Kant e la sua antropologia naturalistico-morale, è fin troppo comprensibile che egli non potesse avere molta comprensione per l'evento-Cristo", e se ciò è esatto non si può negare che l'interpretazione di Kant deformi princìpi decisivi della tradizione biblica. In lui ciò che dalla Bibbia viene inteso teologicamente, viene interpretato in senso morale; ciò che è inteso cristologicamente, in senso antropologico; ciò che è inteso ecclesiologicamente, in senso soggettivo. Secondo Küng Hegel a Tubinga aveva assimilato non tanto il metodo di Kant, "quanto piuttosto certi risultati della [sua] filosofia religiosa e pratica": perciò questa Vita di Gesù, così integralmente e totalmente kantiana, "scritta con partecipazione e simpatia", non può stupire. Essa dimostra che "la vita e la dottrina di Gesù non possono fondare una religione nazionale [concetto, quello di Volkreligion molto a caro a Hegel durante il periodo tubinghese], ma solo una religione privata, diretta alla formazione di singoli individui, almeno fino a quando la dottrina di Gesù sarà intesa (…) kantianamente come morale". L'esperimento di Hegel consiste dunque in questo, nel dimostrare che tanto la dottrina di Gesù quanto quella di Kant non potevano essere d'alcuna utilità per la religione nazionale, ma solo per la religione privata. Secondo Küng, questo spiega il carattere retrospettivo di questa Vita di Gesù, e come qui Hegel possa essere tanto kantiano (nel descrivere la vita e la dottrina di Gesù) quanto postkantiano (nel sostenere l'idea di una religione nazionale). In conclusione "con questo scritto Hegel aveva chiarito i presupposti per la soluzione di un problema che gli stava particolarmente a cuore e cioè come il Cristianesimo, originariamente pura religione privata, fosse potuto diventare una religione positiva, ma non la vera e vitale religione di un popolo."



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