CARATTERI GENERALI DELL’ILLUMINISMO EUROPEO
Nonostante i grandi progressi in campo di cultura avvenuti nel 1600 per l' audacia e l' intelligenza individuale di pochi pensatori , la più diffusa immagine del mondo restava nel 1700 , al termine di quei cento anni rivoluzionari e innovatori , assai vicina a quella di tre o quattro secoli prima . Nell' ambito della scienza il modello galileiano
In Italia la diffusione della cultura illuministica si sviluppa in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Ciò è dovuto al differente contesto storico-culturale della penisola. L'arretratezza economica, l'immobilità delle istituzioni, l'instabilità politica dovuta alla catena delle guerre di successione, l'assenza di una borghesia dotata di consistente peso economico-sociale, l'assolutismo delle dinastie regie, la pesante atmosfera controriformistica, il prevalere di una cultura umanistica e storico-erudita, dimentica della tradizione scientifica galileiana, producono per lungo tempo una situazione di stasi sociale ed intellettuale (la cui unica eccezione è costituita dal Vico). Solo con la pace di Aquisgrana (1748), che assicura al paese un arco quarantennale di pace, la situazione generale della penisola comincia a dare segni di risveglio. In campo politico, Milano, Parma, Firenze e Napoli, grazie alle nuove dinastie riformatrici degli Asburgo, dei Lorena e dei Borboni, che si ispirano ai "dispotismi illuminati" europei, avviano una serie di riforme in senso anti-feudale ed anti-clericale. Per ciò che riguarda la cultura, da un lato si ha lo studio e la divulgazione di importanti opere d'Oltralpe (compresa la traduzione della Enciclopedia), dall'altro si ha la creazione di una cattedra di economia a Napoli e la fondazione del giornale milanese ,Il Caffè, nel cui ambito abbiamo la comparsa di un libro di valore europeo: Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. Invece negli altri stati italiani, soprattutto nel Piemonte e nello Stato pontificio, la situazione tende a rimanere stagnante e le tendenze autoritarie dei governanti impediscono una consistente diffusione del pensiero illuministico, anche se non riescono a frenare l'eco delle nuove idee. Pur non essendo privo di debiti verso il pensiero inglese, l'Illuminismo italiano - che non è fatto di " grandi solitari " ma di figure di media statura impegnate in problemi sociali e cariche pubbliche - appare strettamente connesso a quello francese ed ha come sua caratteristica l'apertura verso problemi morali, giuridici ed economici. Perciò l'importanza dell'Illuminismo deve "essere rintracciata prevalentemente sul piano politico, dove esso rappresenta una vigorosa reazione al disinteresse per la cosa pubblica e alla separazione della cultura dalla società... Più empiristico di quello tedesco, meno speculativamente penetrante di quello inglese, meno radicale di quello francese, l'Illuminismo italiano non è per questo impedito dallo svolgere la sua specifica funzione, organicamente commisurata alle esigenze della società del tempo e capace di creare una temperie culturale vivace ". In Italia, come detto, i due centri in cui l’Illuminismo trova terreno più fertile per la sua diffusione sono Napoli e Milano: a Napoli lo spirito dell'Illuminismo trova i suoi precursori soprattutto in Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) e in Pietro Giannone (1676-1748). Il primo, storico ed erudito di fama europea, autore degli Annali d'Italia (1744-1749) e delle Riflessioni sopra il buon gusto nelle lettere e nelle arti (1708), è importante per la polemica contro i ritardi della cultura italiana del tempo e per aver stabilito alcuni principi della metodologia storiografica critico-scientifica: la messa tra parentesi della tradizione, l'accertamento della realtà dei fatti e dell'autenticità dei documenti, il rispetto dell'oggettività storica. Il secondo, autore della Istoria civile del Regno di Napoli (1723), mostra come il potere ecclesiastico abbia, per via di successive usurpazioni, limitato e indebolito il potere politico e come sia interesse di questo ridurre lo stesso potere ecclesiastico nei puri limiti spirituali. Il Giannone si attendeva dalla sua opera tra l'altro "il rischiaramento delle nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi".Una figura che appartiene più all'Illuminismo francese che all'italiano è quella del napoletano abate Ferdinando Galiani (1728-1787) che fu per dieci anni (1759-1769) segretario dell'Ambasciata del Regno di Napoli a Parigi e dominò i salotti intellettuali della capitale francese con il suo spirito e il suo brio. Galiani fu specialmente un economista. Il suo trattato Della moneta (1751) è diretto a criticare la tesi del mercantilismo che la ricchezza di una nazione consista nel possesso dei metalli preziosi. Le sue idee filosofiche, non esposte in forma sistematica, ma gettate qua e là come motti di spirito, sono contenute nelle Lettere (scritte in francese) e sono in tutto conformi alle idee dominanti nell'ambiente francese in cui Galiani è vissuto. Nei filosofi i quali affermano che tutto è bene nel migliore dei mondi, Galiani vede degli atei patentati che, per paura di essere arrostiti, non hanno voluto terminare il loro sillogismo. Ed ecco qual è questo sillogismo. "Se un Dio avesse fatto il mondo, questo sarebbe senza dubbio il migliore di tutti; ma non lo è, neppur da lontano; dunque non c'è Dio". A questi atei camuffati bisogna rispondere, secondo Galiani, nel modo seguente: "Non sapete che Dio ha tratto questo mondo dal nulla? Ebbene, noi abbiamo dunque Dio per padre e il nulla per madre. Certamente nostro padre è una grandissima cosa, ma nostra madre non vale niente del tutto. Si prende dal padre, ma si prende anche dalla madre. Ciò che vi è di buono nel mondo viene dal padre e ciò che vi è di cattivo viene dalla signora nulla, nostra madre, che non valeva gran che" (Lett. all'Abate Mayeul, 14 dicembre 1771). Dal sensismo francese deduce il fondamento delle sue dottrine economiche Antonio Genovesi (1712-1769) che fu il primo in Europa a professare nelle università la nuova scienza dell'economia: ricopri infatti, dal 1754, la cattedra di lezioni di commercio nell'Università di Napoli. Genovesi riconosce come principio motore, sia degli individui sia dei corpi politici, il desiderio di sfuggire al dolore che deriva dal bisogno inappagato e chiama tale desiderio interesse, considerandolo come ciò che sprona l'uomo, non solo alla sua attività economica, ma anche alla creazione delle arti, delle scienze e ad ogni virtù (Lez. di commercio, ediz. 1778, 1, p. 57). Genovesi è anche autore di opere filosofiche: Meditazionifilosofiche sulla religione e sulla morale (1758); Logica (1766); Scienze metafisiche (1766); Diceosina ossia dottrina del giusto e dell'onesto ( 17 76). Nelle Meditazioni egli rifà a suo modo il procedimento cartesiano; ma riconosce il primo principio non nel pensiero ma nel piacere di esistere. Questo indirizzo che sembra derivato da Helvétius non impedisce al Genovesi di difendere le tesi dello spiritualismo tradizionale: la spiritualità e l'immortalità dell'anima, il finalismo del mondo fisico e l'esistenza di Dio. A Montesquieu si ispirava Gaetano Filangieri (1752-1788) nella sua Scienza della legislazione (1781-1788), che mette a partito l'opera del filosofo francese per dedurne ciò che si deve fare per l'avvenire, cioè per trarne i principi e le regole di una riforma della legislazione di tutti i paesi. Dalla riforma della legislazione, Filangieri si attende il progresso del genere umano verso la felicità e l'educazione del cittadino. Ispirato da questa fiducia ottimistica nella funzione formatrice e creatrice della legge, il Filangieri delinea il suo piano di legislazione. Nel quale è notevole una difesa dell'educazione pubblica, difesa che muove dal principio che solo essa può avere uniformità di istituzioni, di massime e di sentimenti e che per ciò soltanto la minor parte possibile dei cittadini va lasciata all'educazione privata.La dottrina di Vico delle tre età e dei corsi e ricorsi storici è ripresa nello spirito dell'Illuminismo da Mario Pagano (1748-1799) nei Saggi politici dei principi, progressi e decadenza della società (1783-1785). Ma a Pagano è estranea completamente quella problematicità della storia che domina l'opera di Vico. Il corso e ricorso delle nazioni è per lui un ordine fatale, dovuto più a cause fisiche che a cause morali. Pagano considera il mondo della storia come un mondo naturale, le cui leggi non sono diverse da quello fisico. L'altro centro dell'Illuminismo italiano fu Milano dove una schiera di scrittori si riunì intorno a un periodico, Il Caffè, che ebbe vita breve ed intensa (1764-1765). Il giornale, concepito sul modello dello Spectator inglese, fu diretto dai fratelli Verri, Pietro e Alessandro, e vi collaborò fra gli altri Cesare Beccaria. Alessandro Verri (1741-1816) fu letterato e storico. Pietro Verri (1728-1797) fu filosofo ed economista. In un Discorso sull'indole del piacere e del dolore (1773) Pietro Verri sostiene il principio che tutte le sensazioni, piacevoli o dolorose, dipendono, oltre che dall'azione immediata degli oggetti sugli organi corporei, dalla speranza e dal timore. La dimostrazione di questa tesi è fatta dapprima per ciò che riguarda il piacere e il dolore morale, riportati a un impulso dell'anima verso l'avvenire. Il piacere del matematico che ha scoperto un teorema deriva, per esempio, dalla speranza dei piaceri che lo aspettano in avvenire, dalla stima e dai benefici che la sua scoperta gli apporterà. Il dolore per una disgrazia è similmente il timore dei dolori e delle difficoltà future. Ora poiché la speranza è per l'uomo la probabilità di vivere nel futuro meglio che nel presente, essa suppone sempre la mancanza di un bene ed è per ciò il risultato di un difetto, di un dolore, di un male. Il piacere morale non è che la rapida cessazione del dolore ed è tanto più intenso quanto maggiore fu il dolore della privazione o del bisogno. Il Verri estende poi la sua dottrina anche ai piaceri e ai dolori fisici, facendo vedere come molte volte il piacere fisico non è che la cessazione di una privazione naturale o artificiale dell'uomo. All'obiezione che la tesi si può invertire, sostenendo con eguale verisimiglianza che ogni dolore consiste nella rapida cessazione del piacere, il Verri risponde che una simile generazione reciproca non si può dare, perché "l'uomo non potrebbe cominciare mai a sentire né piacere né dolore; altrimenti la prima delle due sensazioni di questo genere sarebbe e non sarebbe la prima in questa ipotesi, il che è un assurdo" (Discorso, 6). Verri giunge a confermare la conclusione che Maupertuís aveva tratto dal suo calcolo, e cioè che la somma totale dei dolori è superiore a quella dei piaceri. Difatti la quantità del piacere non può mai essere superiore a quella del dolore perché il piacere non è che la cessazione del dolore. " Ma tutti i dolori'che non terminano rapidamente sono una quantità di male che nella sensibilità umana non trova compenso e in ogni uomo si dànno delle sensazioni dolorose che cedono lentamente" (ivi, 6). Anche i piaceri delle belle arti hanno la stessa origine: a loro fondamento ci sono quelli che Verri chiama dolori innominati. L'arte non dice nulla agli uomini che sono tutti presi dalla gioia e parla invece a coloro che sono occupati dal dolore o dalla tristezza. Il magistero dell'arte consiste anzi nello " spargere le bellezze consolatrici dell'arte in modo che ci sia intervallo bastante tra l'una e l'altra per ritornare. alla sensazione di qualche dolore innominato, ovvero di tempo in tempo di far nascere delle sensazioni dolorose espressamente, e immediatamente soggiungervi un'idea ridente, che dolcemente sorprenda e rapidamente faccia cessare il dolore" (ivi, 8). La conclusione è che "il dolore è il principio motore di tutto l'uman genere". Da questi presupposti muove l'altro discorso di Verri Sulla felicità. Per l'uomo è impossibile la felicità pura e costante, ed invece è possibile la miseria e l'infelicità. L'eccesso dei desideri sulle nostre capacità è la misura dell'infelicità. L'assenza dei desideri è piuttosto vegetazione che vita, mentre la violenza dei desideri può essere provata da ognuno ed è talvolta uno stato durevole. La saggezza consiste nel commisurare in ogni campo i desideri alle possibilità e perciò la felicità non è fatta che per l'uomo illuminato e virtuoso.