KARL JASPERS


"L'esistenza é ciò che non diventa mai oggetto, l'origine partendo dalla quale penso e agisco, quel che si rapporta a se stessa e, in ciò, alla sua trascendenza. "



KARL JASPERSKarl Jaspers nacque a Oldenburg, in Germania. Iniziò gli studi in giurisprudenza, poi li abbandonò in favore di medicina, studiò quindi a Berlino, Gottinga e Heidelberg laureandosi nel 1908. Fino al 1915 lavorò presso la clinica psichiatrica di Heidelberg grazie alla specializzazione in psicologia e psichiatria. Nel 1916 gli venne assegnata la cattedra di professore straordinario di psicologia presso l'Università di Heidelberg, nel 1921 quella di filosofia. Nel 1932, con l'avvento del nazismo, gli venne tolta la cattedra e gli venne proibito di pubblicare i suoi scritti. Nel 1945, finita la guerra, gli fu restituita la cattedra e nel 1948 si trasferì a Basilea dove svolse attività di insegnamento fino al 1961. Opere principali: Psicopatologia generale (1913); Psicologia delle visioni del mondo (1919); Filosofia (1932); Ragione ed esistenza (1935); Nietzsche (1936); La filosofia dell'esistenza (1938); La fede filosofica (1947); Sulla verità (1948); La fede filosofica davanti alla rivelazione (1970); Cifre della trascendenza (1970). La filosofia di Karl Jaspers si inserisce nel filone della riflessione esistenzialista sull'essere e ha senz'altro punti in comune con l'ontologia di Heidegger. Jaspers giunge alla filosofia dalla psicologia, e questo influenza necessariamente il modo in cui viene considerato L'essere, non un ente immutabile che risponde a rigide leggi logiche oggettive e deterministiche, ma un'ulteriorità, un qualcosa che sempre si arricchisce di significati, che si mostra, ma nel mostrarsi comunque si allontana dalla possibilità di una definizione definitiva. Jaspers nota subito come l'essere, nella forma del "Tutto che avvolge" (ovvero della totalità della manifestazione degli enti) è nominato e compreso storicamente da diverse culture: in Occidente il "Tutto che avvolge" è L'essere di Parmenide, L'apeiron di Anassimandro, il logos di Eraclito, in oriente questo concetto trova invece forma, ad esempio, nel Nirvana del buddhismo o nel Tao del taoismo. Nel corso dello sviluppo della filosofia occidentale, l'essere è diventato però simile agli enti, non è più ciò che comprende la totalità degli enti, ma è l'ente eterno e immutabile posto in posizione di privilegio rispetto agli enti terreni corruttibili (le idee di Platone, Dio stesso). La scienza moderna non si occupa dell'essere in quanto "Tutto avvolgente", essa si rivolge solamente al meccanismo che determina il "gioco" degli enti entro il mondo, ma il "Tutto che avvolge" rimane come distante, non abbracciato nella sua totalità. Solo la filosofia può abbracciare l'essere avvolgente, ovvero abbracciare non solo il meccanismo che determina il funzionamento oggettivo della realtà (è il compito che spetta alla scienza moderna), ma anche ogni aspetto ulteriore che sfugge all'oggettività, una comprensione trasversale, spirituale ed esistenziale della totalità. L'essere, mentre "ci si rivela, mentre ci viene incontro in ogni oggetto e in ogni orizzonte", pure "sempre indietreggia e si allontana". L'essere sfugge a qualsiasi definizione oggettiva e definitiva, rappresenta il fondo oscuro da cui ogni ente sembra emergere inspiegabilmente e venirci incontro nella forma degli oggetti, dei concetti e di tutto ciò che il mondo esprime, sia oggettivamente che soggettivamente. Se l'essere sfugge a qualsiasi definizione oggettiva, rappresentando il fondo oscuro che sempre si affaccia alla comprensione ma sempre sfugge, l'essere stesso è Trascendenza. Ovvero, l'essere rappresenta ciò che l'uomo non può mai abbracciare totalmente, ma solo avvicinare, come alla ricerca di qualcosa che giustifichi e chiarisca lo spettacolo del mondo, ma che non potrà mai darsi alla conoscenza dell'uomo nella sua totalità. Proprio per questo, per questa "inarrivabilità", l'essere è Trascendenza, ovvero totale "Altro" dal mondo. La Trascendenza è quindi sottoposta all'illogico, proprio perché non può essere compresa come presenza oggettiva e deterministica. Il mondo è quindi principalmente divenire, lo scaturire illogico e senza alcun senso apparente di ogni cosa dal fondo oscuro dell'essere che trascende ogni possibilità di comprensione definitiva. In questo senso, il mondo intero (il mondo dei fenomeni) è un naufragio, ovvero non un navigare certo nell'immutabile che da sempre è per la filosofia consolazione, ma un continuo essere in balia delle onde della Trascendenza, imprevedibili e non determinabili. ll naufragio è la figura filosofica che Jaspers usa per definire il senso ultimo dell'esistenza umana: l'esistenza è il divenire, ovvero il naufragio (il tentativo fallito) di concepire qualcosa di immutabile, mentre tutto è mutevole e diveniente. Il tentativo di concepire l'immutabile è certamente quel sentimento di riparo, quel rimedio, che ogni uomo cerca di instaurare per sentirsi salvo dal naufragio ultimo e supremo della morte. Al naufragio non si può sfuggire: anche se l'uomo si libera di quegli stessi apparati intellettuali che gli permettono di concepire il naufragio, ovvero si libera, nell'affermazione della sua libertà, della conoscenza scientifica e filosofico-metafisica, anche in questa condizione (e soprattutto in questa), il naufragio si ripresenta al suo culmine, poiché la negazione di ogni apparato scientifico e filosofico porta necessariamente a concepire la vita come divenire supremo, come mancanza certa di senso e immutabilità. Il naufragio è quindi "naufragio nel tempo", "annientamento di tutte le cose e di tutte le certezze, di ogni stabilità e immutabilità". Proprio per questo la condizione della vita dell'uomo è scacco, ovvero impossibilità di andare oltre il suo annientamento. L'uomo non può diventare assolutamente padrone di sé e della realtà, proprio perché vi è quella Trascendenza che sfugge a qualsiasi oggettivazione e ad ogni logica dalla quale scaturiscono tutti gli enti, e lo stesso uomo è un ente, non è l'essere (ovvero la Trascendenza), l'uomo è un "esserci". L'esserci è la situazione propria dell'uomo e di ogni cosa di essere "situati" entro una determinata realtà, "situazioni come quella di dover essere sempre in una situazione, di non poter vivere senza lotta e dolore, di dover assumere inevitabilmente la propria colpa, di dover morire". Queste situazioni sono "situazioni limite", ovvero un muro contro cui l'uomo ed ogni cosa sbattono inevitabilmente senza possibilità di attuare un superamento, il muro della realtà, infatti, è invalicabile. Infine, per concludere, la verità dell'essere, secondo Jaspers, risiede nella stessa condizione del naufragio infinito, ovvero è proprio il naufragare certo di ogni verità e di ogni immutabilità a garantire quella libertà del divenire che è la condizione stessa di ogni cosa, ovvero la verità che rende possibile il mutamento e l'annientamento di ogni cosa, come si mostra evidente nella realtà dell'uomo e del mondo. Il naufragio non conduce al "sì" alla vita di cui parla Nietzsche: naufragare è una condizione inalterabile che non si può evitare in alcun modo. Anche nel "sì" alla vita o nel "sì" all'annientamento (che siano pronunciati da Nietzsche o da quelle forme di nichilismo che intendono affermare la nullificazione di tutto come principio rilevante) vi è una sorta di "perversione", ovvero la volontà di voltare le spalle alla Trascendenza come possibilità aperta che "grava" sull'uomo necessariamente. Nel nichilismo, nella sua forma più radicale e non solo morale, l'uomo afferma il nulla, ma il nulla non è cosa di questo mondo, perché comunque l'uomo, naufragando, vive, e il rapporto con il naufragio non si può evitare, perché l'esistenza stessa dell'uomo è un rapportarsi necessario con il naufragio. In sostanza, anche il dire "sì" alla vita si o il vedere in essa "solamente" l'annientamento di tutto, costituisce, secondo Jaspers, pur sempre un tentativo di permanere entro la vita e negare la condizione radicale dell'esistenza, che è mutamento e divenire. Si può notare quindi come la vita dell'uomo sia "volontà di eternare", ovvero allontanare il più possibile il naufragio, il "deperirsi" e il mutare radicale di ogni cosa. La durata e l'oggettività sono una condizione imprescindibile dall'esistenza degli uomini: in sostanza, da un lato la vita è mutare radicale, dall'altro, l'uomo non può esimersi nel dare un minimo di durata a ciò che pensa e ciò che vive, e in quest'ottica che anche il "sì" o il "no" alla vita rientrano nel percorso della durata e non del puro divenire, impossibile per l'uomo. Alla luce di quanto scritto, quale comportamento esistenziale risulta più autentico in rapporto alla necessità del divenire? L'essere si rivela solo nel naufragio dell'esserci, ovvero dell'ente, quindi anche nell'uomo. L'uomo può solo giungere al silenzio di fronte alla domanda sulle ragioni dell'essere, l'angoscia che produce in noi il sentimento del percepire l'essere solamente nel naufragio ("nel finire") della nostra vita, trova soluzione solo nel silenzio che considera l'essere per ciò che è, senza alcuna possibilità di dire nulla e senza possibilità di trovare un'autentica soluzione a questo scacco. Tuttavia, dopo il silenzio, può anche subentrare la pace della rassegnazione, ma non un rassegnazione passiva. La rassegnazione è quella condizione di pace della coscienza che finalmente abbraccia l'essere per ciò che è, ovvero quella condizione in cui percepiamo che non vi è alcuna soluzione e mai potremmo comprendere l'oscurità dell'essere trascendente da cui tutto deriva come dal fondo di un abisso. Anche la rassegnazione e la pace sono condizioni transitorie per la coscienza inquieta dell'uomo, ma quando vi è questo stato egli è sicuramente nel rapporto più autentico con l'essere. La rassegnazione quieta e pacifica concepisce finalmente l'essere per ciò che è e non si pone alcuna domanda sul senso, vivendo l'esserci e nulla più. Alla luce di tutto questo, per Jaspers la filosofia autentica non è quella che intende matematizzare ed oggettivizzare un qualsiasi aspetto della realtà, sia fisicamente che metafisicamente, ma è la filosofia che si pone nei confronti della realtà come apertura alla possibilità dell'essere trascendente, ovvero apertura al divenire radicale e ad ogni accadimento del mondo, i quali non hanno alcun significato determinato, eterno, immutabile e prevedibile. La scienza, come funzione propria, prepara in definitiva solo la struttura oggettiva entro la quale ogni fenomeno verrà "ingabbiato" in senso deterministico. La metafisica, dal canto suo, continuerà ad indagare l'eterno come riflesso della volontà propria dell'uomo di eternare la sua vita e allontanare quanto più possibile il suo naufragio, la religione continuerà nel solco della metafisica a concepire Dio come essere immutabile nel quale si cerca la salvezza. Ma, in definitiva e come più volte ribadito, per Jaspers l'essere è pura trascendenza, ovvero il puro essere "altro" dagli enti e dalle cose, per cui mai l'uomo potrà afferrare nulla di definitivo, ogni oggettivazione dell'essere è, per contro, tentativo fallimentare e inautentico di proporre una qualche forma di anticipazione o di previsione sugli accadimenti del mondo, il quale è, radicalmente e assolutamente, puro divenire, pura imprevedibilità.

" Insensibile, né benevolo, né spietato, sottomesso a leggi rigorose o affidato al caso, il mondo non sa di sé. Non lo si può capire perché si presenta impersonalmente, se lo si riesce a chiarire in qualche particolare, resta comunque incomprensibile nella sua totalità. Ciò non toglie che io conosca il mondo anche in un altro modo. Un modo che me lo rende affine e che mi consente di sentirmi, in esso, a casa mia, al sicuro. Le sue leggi sono quelle della ragione, per cui, sistemandomi in esso, mi sento tranquillo, costruisco i miei strumenti e li conosco. Mi è familiare nelle piccole cose e in quelle che mi sono presenti, mentre mi affascina nella sua grandezza; la sua vicinanza mi disarma, la sua lontananza mi attira. Non segue i sentieri che attendo, ma anche quando mi sorprende con insospettate realizzazioni o inconcepibili fallimenti, alla fine conservo, anche nel naufragio, un'indefettibile fiducia in esso. " (Jaspers, "Filosofia", libro II, cap.1)

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