Jean-Francois Lyotard:
La condizione postmoderna (1979)
A cura di Alberto Rossignoli
Cos’è il postmoderno?
Nell’introduzione al testo, l’autore afferma che questo termine “designa lo stato della cultura dopo le trasformazioni subite dalle regole dei giochi della scienza, della letteratura e delle arti a partire dalla fine del XIX secolo”;più nello specifico, si parla dell’epoca che va dalla fine degli anni Cinquanta sino ai giorni nostri, in cui centrale diviene il ruolo della tecnologia (e in particolare dell’informatica) nel creare in particolar modo una mentalità nella quale il sapere diviene merce…che dovrà poi essere venduta, con tutte le implicazioni economico-politico-sociali che seguono.
Particolare rilevanza verrà dunque ad assumere il discorso relativo alla “legittimazione”, definita come “il processo che autorizza un legislatore che interviene nel discorso scientifico a prescrivere le suddette condizioni (in generale, si tratta di condizioni di consistenza interna e di verificabilità sperimentale) che garantiscono che l’enunciato appartenga al discorso scientifico, e possa essere preso in considerazione dalla comunità scientifica”.
Fondamentale, a livello di metodo scientifico, viene ad essere il concetto di “gioco linguistico”, non foss’altro che, su esso, si impernia tutto il lavoro sul sapere postmoderno.
Wittgenstein, nella sua analisi del linguaggio, definisce i giochi linguistici come tutti quegli enunciati che devono poter essere determinati mediante regole che specifichino le loro proprietà e il loro possibile utilizzo, proprio come un gioco..!
Riguardo poi al legame sociale, Lyotard osserva che , in epoca postmoderna, gli Stati-nazione perdono il loro potere di centralizzazione, per cui l’individuo si ritrova in una condizione di inevitabile piazzamento, pur non ritrovandosi tuttavia completamente isolato, in quanto sono pur sempre dati i rapporti sociali, la componente fondamentale è data dai giochi linguistici.
Una delle componenti del sapere postmoderno è data dalla narrazione, dalla forma narrativa, dal sapere narrativo che può raccogliere in sé una pluralità di giochi linguistici;diverso è il discorso scientifico, il quale, per sussistere, deve obbedire a due regole di base:
1)”referente è ciò che può costituire oggetto di prova, supporto di convinzione nel dibattito”;
2)”lo stesso referente non può fornire una pluralità di prove contraddittorie o inconsistenti”.
Tuttavia, le due tipologia di sapere sono strettamente collegate, in quanto il discorso scientifico non può autopresupporsi (altrimenti incorrerebbe nella petizione di principio e nel pregiudizio, proprio da essa condannato) e ha dunque bisogno dell’apporto del discorso narrativo, benché sia considerato come un non-sapere…
Una tematica di grande importanza (nonché di grande attualità) all’interno dell’opera è quella circa il rapporto tra il sapere scientifico, il potere centrale e i luoghi di insegnamento…
In base ad un processo iniziato già dalla prima rivoluzione industriale, la conoscenza tecnico-scientifica non avrebbe mai dovuto essere disgiunta dal profitto materiale…cosa che ha avuto notevoli ripercussioni nel sapere contemporaneo, benché la subordinazione del sapere all’investimento tecnologico non sia attualmente immediata, ma passi attraverso la mediazione della performatività, mentre il capitalismo, per parte sua, finanzia i dipartimenti di ricerca nelle imprese o crea fondazioni di ricerca collegate alle università o a gruppi di ricercatori indipendenti (che poi tanto indipendenti non sono…), senza tuttavia aspettarsi dei profitti immediati, ma finanziando ricerche a fondo perduto “per aumentare le probabilità di ottenere una innovazione decisiva, dunque, altamente redditizia”.
Ciò dunque crea una situazione in virtù della quale si penalizzano gli studi ad indirizzo umanistico.
Comunque, e questo è il punto fondamentale, la performatività fa sì che il sapere si subordini inequivocabilmente alle istituzioni, al potere centrale, creando tra l’altro una mercificazione del sapere e (perché no?) facendo tornare alla ribalta l’utilitarismo di un Jeremy Bentham che tanto caro fu nella prima rivoluzione industriale.
Attualmente, le istituzioni deputate al sapere e alla ricerca si stanno orientando verso una dissociazione dei due aspetti della didattica:”…dissociare questi due aspetti della didattica, quello della riproduzione semplice e quello della riproduzione allargata applicando la distinzione ad entità di ogni tipo, che si tratti di istituzioni, di livelli o di cicli interni alle istituzioni, di raggruppamenti di istituzioni, di raggruppamenti di discipline, di cui alcuni vengono votati alla selezione e alla riproduzione delle competenze professionali, gli altri alla promozione e alla incentivazione degli spiriti immaginativi.I canali di trasmissione messe a disposizione dei primi potranno essere semplificati e massificati;i secondi hanno diritto ad una struttura di piccoli gruppi retti da un egualitarismo aristocratico”.
Che dire, in conclusione?
La scienza ha precipuamente il compito di scoprire a che gioco gioca la natura, alla luce delle recenti ricerche sulla meccanica quantistica, sull’astronomia e sulle recentissime questioni circa l’esobiologia…è una scienza che insegue l’instabile e l’ignoto e tenta, se non altro, di analizzarlo…
Dunque, quale fonte di legittimazione per il sapere scientifico? Il consenso universale? Certamente no, dal momento che presuppone una unitarietà di accordo su delle regole e su delle metaprescrizioni che siano universalmente valide per tutti i giochi linguistici, e presuppone inoltre che la finalità del dialogare sia il consenso stesso…mentre invece il consenso non è un fine, come asserisce Lyotard, bensì uno stato di cose…
Secondo l’autore, in definitiva, due passi in avanti possono essere fatti, relativamente a questa questione:
1)”riconoscimento dell’eteromorfia dei giochi linguistici”;
2)”Il secondo passo è il principio in base al quale, se esiste consenso sulle regole che definiscono ciascun gioco e sulle mosse che vengono in esso effettuate, tale consenso deve essere locale…”.
Dunque non ha nessun senso cercare a tutti i costi l’universalità del consenso nell’ambito del discorso scientifico…del resto, come può darsi universalità in un mondo in cui le grandi metanarrazioni sono irreversibilmente e irrimediabilmente cadute?