Ricca, sottile e storicamente influente è l'opera dello scienziato e filosofo Ernst Mach (1838-1916), grande esponente di rilievo del movimento empiriocriticista e, insieme, uno dei principali pensatori della cultura tardo-ottocentesca. Professore a Vienna dal 1895, vi svolse attività che costituirà uno dei principali termini di riferimento dell'indirizzo neo-positivistico. Le sue principali opere sono La meccanica nel suo sviluppo storico-critico (1883), L'analisi delle sensazioni (1886), Conoscenza ed errore (1905). Il punto di partenza di Mach è analogo a quello di un suo contemporaneo: Avenarius. Anch'egli intende escludere dall'ambito della riflessione tutto quanto non può essere riportato alla diretta esperienza empirica. Bisogna rinunciare, scrive in un'ispirazione che sarà più tardi quella del neopositivistico Circolo di Vienna, " a rispondere a domande riconosciute prive di senso "; e il "senso" manca dove non è possibile mostrare i dati sensibili che potrebbero confermare una determinata asserzione. Insensata o addirittura mitica (e questo è uno degli aspetti della diretta polemica machiana contro il positivismo) appare a Mach l'odierna fede " nel potere magico della scienza ": una fede, appunto, magica (ossia non razionale e non verificabile) nella misura in cui si manifesta come pretesa di " giungere fino al fondo dello sconfinato abisso della natura, nel quale ai nostri sensi non è dato penetrare ". In realtà, là dove i sensi non possono giungere non v'è per Mach, propriamente parlando, nulla.
Ma anche per quanto riguarda i corpi empirici (che pure sembrerebbero oggetto di esperienza sensibile) bisogna evitare pericolosi fraintendimenti, derivanti da presupposti realistici e fattualistici che Mach combatte con ancor maggior radicalità di Avenarius. Considerati con rigore, i corpi empirici non esistono come tali, non hanno alcuna consistenza di tipo sostanzialistico. Ciò che esiste è solo una serie di sensazioni semplici, irriducibili, tra loro intimamente congiunte in una sorta di flusso continuo. Spesso anche Mach preferisce chiamare queste sensazioni "elementi", per cercare (ma lo sforzo è parso ad alcuni non del tutto riuscito) di non dare una connotazione soggettivo-psicologica al suo pensiero. La sua tesi principale è, in ogni caso, che " non sono i corpi che generano le sensazioni, ma sono i complessi di sensazioni che formano i corpi ". Le sensazioni - aggiunge Mach - non sono i simboli delle cose. Piuttosto è la cosa un simbolo mentale per un complesso di sensazioni relativamente stabili". E ancora: " Non le cose, ma i colori, i suoni, le pressioni, gli spazi, i tempi (ciò che noi ordinariamente chiamiamo sensazioni) , sono i veri elementi dell'universo ".
Non bisogna peraltro interpretare queste tesi come ritorno puro e semplice a un vecchio sensismo fenomenistico di tipo berkeleyano. Nell' Analisi delle sensazioni lo stesso Mach, pur non tacendo la sua simpatia per Berkeley (e per Hume), respinge esplicitamente un avvicinamento delle sue posizioni a quelle del filosofo irlandese. In effetti egli considera la realtà come qualcosa di più complesso che la mera risultante di un insieme di sensazioni: egli scrive a questo proposito "devo osservare che neppure per me il mondo è una semplice somma di sensazioni. Io parlo piuttosto, espressamente , di relazioni funzionali degli elementi ". Dove lo sforzo machiano, come si è detto sopra, è di sottolineare il contenuto non meramente psico-soggettivo dei fenomeni costituenti il mondo. D'altronde anche la sensazione in sé e per sé tende in Mach a sganciarsi da un troppo immediato riferimento all'io, al soggetto. La sua oggettività è garantita dall'oggettività delle sue matrici fisiologiche e dall'elaborazione scientifica cui è sottoposta.
In effetti, uno degli aspetti più significativi del pensiero machiano è proprio il tentativo di autonomizzare i fenomeni, e la riflessione su di essi, dalla soggettività. Non può, egli scrive, interpretare correttamente il mondo chi " non è in grado di abbandonare l'idea dell'io considerato come una realtà che sta alla base di tutto ". La modernità del pensiero machiano sta, tra l'altro, proprio in questa sua concezione di un mondo senza "base", senza fondamento; cioè un mondo dove semplicemente avvengono certi fenomeni che si tratta di spiegare nel modo più immediato e sobrio possibile, attraverso l'uso di quelle osservazioni empirico-sensoriali e di quelle misurazioni fisico-matematiche che saranno di lì a poco privilegiate dai neo-positivisti del Circolo di Vienna.
Un altro aspetto del machismo sul quale occorre richiamare l'attenzione è l'efficacia con cui l'autore dell' Analisi delle sensazioni si è saputo sbarazzare di tutta una serie di categorie e principi gnoseologici (la sostanza, l'accidente, lo stesso assetto categoriale Kantiano) che apparivano non più attuali. Di altre nozioni - lo spazio, il tempo, il movimento - Mach dà una nuova versione in chiave empiristica, che eserciterà una notevole influenza sulla riflessione epistemologica tra Otto e Novecento. In sede più propriamente scientifica Mach, che aveva una rilevante competenza nel campo delle scienze fisiche, è uno dei filosofi i tardo-ottocenteschi che meglio comprendono certe radicali trasformazioni teoriche del sapere (scientifico) dell'epoca. Nella Meccanica nel suo sviluppo storico egli dà anzi un importante contributo a tale trasformazione rivedendo criticamente i concetti di forza o di causa, ridimensionando il prestigio paradigmatico della meccanica classica, storicizzando le pretese verità "universali" della scienza, delineando una concezione non più assoluta ma 'funzionale' (cioè relativa a determinati presupposti e contesti) della legge scientifica. Con molta - e molto moderna- lucidità egli assegna al sapere il compito non già di cogliere improbabili (e comunque meta-empiriche) "essenze" naturali, bensì di comprendere le strutture e i comportamenti dei dati fenomenici. " Nella ricerca scientifica importa solo la conoscenza della connessione dei fenomeni " egli scrive. In conformità al principio dell'"economicità" della conoscenza egli aggiunge che le connessioni più importanti sono quelle più semplici, più rapide e più controllabili. D'altra parte a Mach sta a cuore, insieme alla semplicità, anche il graduale allargamento del sapere: " le idee sono tanto più scientifiche quanto più esteso è il dominio in cui hanno validità e più ricco è il mondo in cui completano l'esperienza " egli sottolinea:
accanto a questa concezione del sapere comune crescita oggettiva delle cognizioni intorno ai fenomeni, v'è in Mach anche un filone in qualche misura convenzionalistico-pragmatistico, che si sviluppa in sintonia con quanto l'epistemologia più avanzata del tempo andava elaborando. Per Mach la scienza è costruzione di "simboli", ossia di concetti e di leggi che devono non già "riflettere" specularmente il reale, bensì organizzarlo in rapporto agli interessi umani. Da questo punto di vista, Mach non esita ad affermare che la scienza produce " finzioni provvisorie ", " espedienti utili all'orientamento provvisorio e per determinati fini pratici ". E' su questi fondamenti che acquista nuova attendibilità la riproposizione machiana della natura 'economica' della conoscenza . Il compito primario del sapere scientifico è quello di " esporre il più completamente possibile i fatti col minore impiego di pensieri ". I costrutti teorici della scienza servono solo a raggruppare o ad 'abbreviare' in modo efficace i fenomeni o a prevederli con il minor dispendio di energie.
Per quanto riguarda la realtà del soggetto umano, Mach non riserva ad essa alcun trattamento privilegiato. Così come le 'cose' sono solo insiemi di sensazioni (o di "elementi"), anche l'io deve essere privato di qualsiasi particolare consistenza ontologica. Esso è composto degli stessi "elementi" che si ritrovano sia nelle 'cose' che negli altri soggetti: ciò consente, fra l'altro, di garantire la relazione io-mondo nonché la comunicazione intersoggettiva. Certo, " non si può considerare esaurito l'io quando, in modo del tutto provvisorio, si dice che consiste in una connessione peculiare degli elementi ". Occorre, in effetti, approfondire la natura di questa connessione, sollecitare " psicologi, fisiologi e psichiatri " ad un'analisi più sistematica di questo ente. Ma fondamentalmente Mach ribadisce il suo rifiuto di considerare l'io come qualcosa di 'consistente', di 'oggettivo', di 'sostanziale'. L'io, per lui, è solo un complesso di " ricordi, disposizioni, sentimenti "; esso è " così poco persistente in assoluto, come i corpi ". Non può non colpire il fatto che questa radicale demitizzazione dell'io avvenga negli stessi anni in cui tanti esponenti della cultura europea d'avanguardia (da Nietzsche, a Strindberg, a Freud) andavano anch'essi 'de-costruendo' in più modi la soggettività umana.
Tra le critiche suscitate dalle dottrine degli empirocraticisti la più famosa è quella delineata da Lenin nel suo noto saggio Materialismo ed empiriocriticismo (1909). E' interessante che Lenin accusò Mach (e ancor più i suoi seguaci tedeschi e russi) di minare la consistenza della realtà.
Riportiamo ora un passo estrapolato dal capitolo conclusivo dell'opera Conoscenza ed errore (1905):
Si parla spesso di leggi di natura. Cosa significa questa espressione? Avviene spesso di imbattersi nell' opinione che le leggi di natura sono regole secondo le quali devono muoversi i processi naturali, in modo simile alle leggi civili, secondo le quali devono orientarsi le azioni del cittadino. In genere se ne vede una distinzione nel fatto che le leggi civili possono anche essere trasgredite, mentre si ritiene impossibile che i fenomeni naturali deviino dalle loro leggi. Ma questa concezione della legge di natura viene scossa se riflettiamo che prendiamo, astraiamo le leggi di natura dai fenomeni stessi e che nel far questo non siamo affatto garantiti contro gli errori. Ovviamente ogni violazione delle leggi, di natura è spiegabile con l'erroneità della nostra interpretazione, e l'idea della loro inviolabilità perde di senso e di valore. Se invece si enfatizza il lato soggettivo dell'interpretazione della natura si arriva facilmente all'idea estrema che sono solo la nostra intuizione e i nostri concetti a prescrivere leggi alla natura.[...]
Le leggi di natura, come noi le interpretiamo, sono un prodotto del nostro bisogno psicologico di orientarci nella natura, di non assumere una posizione di estraneità e di disordine di fronte ai suoi processi. Tutto questo si esprime chiaramente nelle motivazioni di tali leggi, che corrispondono sempre a un bisogno siffatto, ma anche alla situazione culturale contemporanea. I primi, rudimentali tentativi di orientamento sono di tipo mitologico, demonologico, poetico. Nell'epoca della rinascita delle scienze, nel periodo copernicano-galileiano, che tende a un orientamento provvisorio, prevalentemente qualitativo, la facilità, semplicità e bellezza è la motivazione che guida l'individuazione delle regole per la ricostruzione mentale della fattualità. L'indagine quantitativa tende ad una determinazione il più possibile compiuta, a una determinazione univoca, quale si manifesta già nella storia piú antica della meccanica. Quando le conoscenze particolari si accumulano, si fa valere con maggior forza l'esigenza di diminuire lo sforzo psichico, l'esigenza di economia, continuità, stabilità, applicabilità più generale possibile e utilizzabilità delle regole istituite. Basta menzionare la storia successiva della meccanica e pensare a qualche parte piú progredita della fisica.
Ma allora le leggi di natura, intese come mere prescrizioni soggettive per l'aspettativa dell'osservatore e alle quali non è connessa realtà, sono forse prive di valore? Assolutamente no! Perché se anche la realtà sensibile corrisponde all'aspettativa solo entro certi limiti, la giustezza dell'aspettativa si è confermata più volte, e si conferma ogni giorno di più. Postulando l'uniformità della natura, dunque, non abbiamo fatto un passo falso, anche se l'inesauribilità dell'esperienza non consentirà mai l'applicabilità assoluta del postulato in modo rigoroso, spazialmente e temporalmente illimitato: come ogni strumento ausiliario della scienza, resterà sempre un ideale. Oltre a ciò, il postulato si riferisce solo all'uniformità in generale, ma non dichiara nulla sulla loro specifica modalità. Nel caso che l'aspettativa venga disattesa, si è sempre liberi di cercare nuove uniformità, anziché quelle che ci si aspettava.