THOMAS ROBERT MALTHUS
Figlio cadetto di un gentiluomo amico di Hume e di Rousseau, Thomas Robert Malthus compì gli studi a Cambridge e divenne pastore anglicano ad Albury (Surrey). Nel 1798 pubblicò anonimo il Saggio sul principio di popolazione di cui diede la versione definitiva nel 1803. Nel 1805 fu nominato professore di economia politica nel collegio di Haileybury. Le altre sue opere fra cui Ricerca sulla natura e sul progresso della rendita (1815), Principi di economia politica considerati dal punto di vista della loro applicazione pratica (1820), La misura del valore(1823) e Definizioni di economia politica (1827) sono meno famose del Saggio, ma non meno importanti. Infatti Malthus ha legato il suo nome oltre che alla controversa teoria della popolazione anche all'analisi monetaria, allo studio della rendita fondiaria e alla cosiddetta teoria degli "ingorghi generali" (in base alla quale le depressioni economiche sarebbero dovute, da una parte, all'eccessivo aumento del risparmio e degli investimenti e, quindi, dell'offerta di prodotti; dall'altra, all'insufficiente aumento della domanda di beni di consumo). Malthus identifica la causa principale della miseria nel fatto che la popolazione tende ad aumentare più rapidamente dei mezzi di sussistenza. In particolare, mentre la popolazione tende ad aumentare in progressione geometrica, i mezzi di sussistenza tendono ad aumentare in progressione aritmetica. L'incremento demografico può tuttavia essere ritardato da freni repressivi come guerre, epidemie, carestie o da freni preventivi come la restrizione morale. Quest'ultima, a cui Malthus esorta tutti gli uomini e soprattutto i poveri, consiste in una limitazione volontaria delle nascite attraverso l'astensione dal matrimonio. Malthus propone quindi di adottare ogni misura atta a scoraggiare la natalità e di abolire la "legge sui poveri", poiché la carità è un incentivo all'incremento di popolazione. Malthus mette in luce il crescente divario tra la crescita demografica e quella delle risorse per la sussistenza. La popolazione - egli asserisce - cresce secondo una proporzione geometrica (1-2-4-8, ecc), per cui ogni singolo aumento è principio di moltiplicazione degli aumenti successivi. Al contrario, le risorse per la sussistenza aumentano solamente in proporzione aritmetica (1-2-3-4, ecc): ne segue che l'aumento delle risorse non riesce a tenere il passo con la crescita della popolazione; vi saranno sempre più esseri umani e, proporzionalmente, sempre meno risorse sufficienti a sfamarli. Come soluzione, Malthus propone un rigoroso controllo delle nascite, ossia un ritegno morale consistente nell'astenersi dal matrimonio e dalle pratiche sessuali. In questa maniera, dopo aver sostenuto il crescente divario in atto tra la crescita demografica e quella delle risorse per la sussistenza, Malthus si fa portavoce di un liberalismo radicale e sfrenato, secondo cui ogni singolo individuo è e deve essere libero e privo di assistenza sociale e solidarietà, in modo tale che a prevalere siano i più forti, a soccombere i più deboli.
PASSI DALLE OPERE
[Th. R. Malthus, Saggio sul principio della popolazione]
In una indagine sui futuri progressi della società, il modo naturale di condursi sarebbe quello d’investigare:
1° – le cause che hanno finora impedito i progressi del genere umano verso il suo benessere;
2° – le probabilità di rimuovere, in tutto o in parte, queste cause.
Entrare pienamente in questo esame, ed enumerare tutte le cause che hanno finora ostacolato i progressi umani, sarebbe cosa superiore alle forze di un solo uomo. Lo scopo principale del presente saggio è di esaminare gli effetti di una sola gran causa, intimamente legata alla natura dell’uomo, la quale, quantunque abbia costantemente ed energicamente operato fin dalle origini sociali, pure ha attirato poco l’attenzione degli autori che si sono occupati di questa materia [...]
La causa a cui alludo è la costante tendenza, che hanno tutti gli esseri viventi a moltiplicarsi piú di quanto permettano i mezzi di sussistenza di cui possano disporre [...]
Nel regno animale e vegetale, la natura ha profuso i germi della vita, ma è stata comparativamente avara dello spazio e degli alimenti necessari al loro moltiplicarsi. I germi esistenti in un piccolo angolo di terra, se avessero con loro abbondanza di cibo e di spazio, nel corso di poche migliaia d’anni avrebbero occupato milioni di mondi. La necessità, legge universale e prepotente in natura, li reprime entro i limiti prescritti. Le piante e gli animali son costretti a piegare sotto l’impero di questa legge; e la razza umana, qualunque sforzo facesse, sarebbe sempre, come ogni altra, costretta ad ubbidirle.
Per le piante e per gli animali, la cosa procede in modo ben semplice. Sono tutti portati da un poderoso istinto a moltiplicare la loro specie; istinto che non viene frenato da alcun ragionamento o dubbio sul modo di provvedere all’esistenza delle loro generazioni. Perciò spiegano la loro forza di procreazione dovunque possono, e tutto il sovrappiú viene eliminato in un secondo momento per mancanza di spazio e di viveri; e fra gli animali, inoltre, per la voracità che li fa preda gli uni degli altri.
Nell’uomo, gli effetti di questa legge sono molto piú complicati. Mosso dal medesimo istinto di procreazione, la ragione lo arresta, e gli propone il quesito se gli sia lecito far sorgere esseri nuovi nel mondo, per i quali egli non possa provvedere sufficienti mezzi di sussistenza. Se egli cede a questo ragionevole dubbio, il suo astenersi si converte spesso in causa di vizi. Se non vi bada, la razza umana si vedrà di continuo tendente ad accrescersi al di là dei suoi mezzi di sussistenza. Ma siccome, per quella legge della nostra natura che fa dipendere la vita dal cibo, la popolazione non può moltiplicarsi piú di quanto permetta il piú limitato nutrimento capace di sostenerla, cosí s’incontra sempre un forte ostacolo al suo incremento nella difficoltà di nutrirsi; difficoltà che di tanto in tanto deve necessariamente apparire, e deve risentirsi nella maggior parte del genere umano, sotto l’una o l’altra fra le varie forme della miseria, o della paura della miseria [...]
Si può con tutta franchezza asserire che la popolazione, quando non è arrestata da alcun ostacolo, si raddoppia ad ogni periodo di 25 anni, crescendo cosí in progressione geometrica.
La ragione secondo cui si possa credere che aumentino le produzioni della terra non è altrettanto agevole a determinarsi. D’una cosa, tuttavia, siamo ben certi, che questa ragione dev’essere affatto diversa da quella secondo cui procede l’aumento della popolazione [...]
L’Europa non è di certo popolata quanto potrebbe. È in Europa che esistono le migliori speranze di vedere ben diretta l’industria. La scienza agraria si è molto studiata nell’Inghilterra e nella Scozia; e nondimeno vi sono ancora molte terre incolte. Esaminiamo con quale progressione il prodotto di quest’isola potrebbe accrescersi sotto le piú propizie circostanze.
Se supponiamo che, con il miglior governo e i migliori incoraggiamenti all’agricoltura, il prodotto medio dell’isola si raddoppi nei primi 25 anni, faremo la piú generosa ipotesi che si possa.
Nel periodo seguente, è impossibile immaginare che il prodotto si troverà quadruplicato. Ciò sarebbe in opposizione con quanto conosciamo sulle attitudini produttive del suolo. Il miglioramento delle terre sterili è opera che richiede tempo e lavoro; ed è evidente per chiunque abbia le minime nozioni agricole che, quanto piú la coltivazione si estende, tanto piú diminuisce l’aumento possibile del prodotto [...]
Immaginiamo che l’incremento annuo di prodotto, invece di decrescere, come certo fa, rimanga sempre costante; e la produzione dell’isola si accresca, ad ogni periodo di 25 anni, di una quantità eguale a quella del prodotto attuale: il piú esagerato speculatore non potrebbe immaginare di piú. In pochi secoli, ogni palmo di terreno in questo paese sarebbe divenuto un giardino.
Se la medesima ipotesi si applicasse a tutta la terra, e se si ammettesse che la sussistenza agli uomini fornita dalla terra si potesse aumentare ad ogni 25 anni di tanto quanto se ne produce oggi, ciò sarebbe un supporre una progressione molto superiore a quanto sia dato sperare da qualsiasi sforzo dell’industria umana.
Perciò possiamo dire che, considerando lo stato presente della terra, i mezzi di sussistenza, nelle circostanze piú favorevoli all’industria umana, non potrebbero crescere che in proporzione aritmetica.
La conseguenza inevitabile di codeste differenti progressioni è palpabile [...] Posto che la popolazione attuale ascenda a 1000 milioni, la razza umana crescerebbe secondo i numeri 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, e i viveri secondo i numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. In due secoli la popolazione si troverebbe, rispetto ai viveri, come 256 a 9; in tre secoli, come 4096 a 13; in duemila anni la differenza sarebbe quasi impossibile a calcolarsi.
In questa ipotesi non si suppone alcun ostacolo all’incremento dei prodotti della terra. Possono sempre aumentarsi indefinitamente; e, tuttavia, la forza generativa supera talmente la produzione dei viveri che, per mantenerla ad uno stesso livello in modo che la popolazione esistente trovi sempre gli alimenti indispensabili, è necessario che ad ogni momento una legge superiore formi ostacolo ai suoi progressi; che la dura necessità la soggioghi; in una parola, che quello, fra i due princípi contrari, la cui azione è preponderante, sia contenuto entro certi confini.
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