Breve “ introduzione “ a Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer
a cura di Jonathan Fanesi.
<< C’è solo un errore innato, ed è quello di credere che noi esistiamo per essere felici. Esso è in noi innato perché coincide con la nostra stessa esistenza, e tutto il nostro essere altro non è che la sua parafrasi, e anzi il nostro corpo è il suo monogramma: se altro non siamo che volontà di vivere, la successiva soddisfazione di ogni nostro volere è poi ciò che si pensa col concetto di felicità. >>[1].
Nota introduttiva.
È cosa singolare, realizzare una nota introduttiva ad un testo, che ha la pretesa di fare da introduzione ad un altro libro, e se poi, come in questo caso, si tratta di un testo filosofico, e ancor di più di un’opera, che come quella di Schopenhauer, è il dono che il suo genio fece all’ umanità intera, si cade nell’ assurdo.
La filosofia introduce se stessa, non necessita di mediazioni altre, che non di rado, allontanano colui che si avventura per i sentieri del pensiero, con l’ inganno di scorciatoie, che invece di portare alla meta ultima, sempre che vi sia, radicalizzano ulteriormente la differenza ermeneutica.
E dunque benevolo lettore, le tue perplessità sono giustificate, se dopo questa breve nota introduttiva, ti imbatterai in qualcosa, che forse non avrebbe ragione d’ essere.
Se poi, tra coloro che si soffermeranno su queste pagine, vi fosse un nero cherubino, pronto a sentenziarmi “ Forse non pensavi ch’ io loico fossi “, gli replicherò che il mio scritto, per certi versi, è un ventaglio di pseudoproposizioni alla maniera del primo Wittgenstein, poiché bisogna trascendere quanto dico, e cercare di vedere correttamente, il mondo come volontà e rappresentazione.
Se come lo stesso Schopenhauer ha detto, la sua filosofia è come una Tebe dalle mille porte, tale introduzione, è la scala, che una volta ascesi, deve essere gettata via.
Questo breve scritto introduttivo a Il mondo come volontà e rappresentazione, è stato realizzato, a partire da una essenziale sintesi dei risultati a cui Schopenhauer pervenne, nel testo del 1813 Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, senza il quale, risulta pressoché impossibile, comprendere l’ originale gnoseologia che sta alla base dell’ intero discorso filosofico dell’ autore.
Ciò del resto, è in perfetta sintonia con quanto Schopenhauer scrive, dicendo ai lettori della sua opera, di aver prima compreso i suoi testi precedenti, Sulla vista e sui colori e il Saggio sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente.
Il sottoscritto nonostante si tenga fedele alla raccomandazione di Schopenhauer, auspica che il suo breve scrittarello, non sia destinato come le prime edizioni del Mondo, al macero.
Si raccomanda pertanto, a chiunque voglia intraprendere lo studio dell’ autore, di leggere con dovizia ed attenzione, quell’ efficace e lucido trattato, in cui Schopenhauer, considera la storia della filosofia, in guisa teoretica, per poi ri – strutturare, quel saldo principio, con notevoli precisazioni ed ampliamenti, al fine di trovare il fondamento del mondo come rappresentazione.
Lo scritto del 1813, insieme all’ appendice Critica della filosofia kantiana, rappresenta la conditio sin qua non, per comprendere la filosofia di Schopenhauer, che si rende intelligibile, nel momento in cui si illumina criticamente, la lettura che egli in generale dà della storia della filosofia, in particolar modo circa il divino Platone e il grande Kant. È dunque importante, riconoscere una priorità ermeneutica, nello Schopenhauer lettore, piuttosto che nel geniale filosofo che è stato. Proprio per questo, almeno attraverso linee generali, le questioni più salienti, sono state trattate, ponendo in luce, le profonde differenze, che intercorrono tra la gnoseologia kantiana e quella schopenhaueriana, soprattutto in relazione al fenomeno. L’ introduzione, è ricca di citazioni con le corrispettive note, non solo tratte dall’ opera in questione, ma da altre dello stesso autore, quali ad esempio i fondamentali Supplementi, il Saggio sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, i Frammenti postumi ( 1818 – 1830 ), e da pensatori altri, della storia della filosofia.
STRUTTURA DEL LIBRO:
LIBRO PRIMO.
Il mondo come rappresentazione.
PRIMA CONSIDERAZIONE.
La rappresentazione soggetta al principio di ragione: l’ oggetto dell’ esperienza e della scienza.
LIBRO SECONDO.
Il mondo come volontà.
PRIMA CONSIDERAZIONE.
L’ oggettivazione della volontà.
LIBRO TERZO.
Il mondo come rappresentazione.
SECONDA CONSIDERAZIONE.
La rappresentazione indipendente dal principio di ragione. L’ idea platonica. L’ oggetto dell’ arte.
LIBRO QUARTO.
Il mondo come volontà.
SECONDA CONSIDERAZIONE.
Con il raggiungimento della conoscenza di sé, affermazione e negazione della volontà di vivere.
APPENDICE.
Critica della filosofia kantiana.
Nella prefazione prima al testo, Schopenhauer afferma di voler comunicare << un unico pensiero >>[2], dotato di una struttura architettonica ed organica, la cui divisione in parti non deve tradire la compattezza originaria.
Purtroppo – nota amaramente l’ autore – il libro non riesce a trattenere tale coesa totalità, nella quale le parti sono correlate e non pensabili senza l’ unità in cui risiedono; ciò è dovuto al fatto che vi è sempre una prima e ultima riga, e proprio per tale ragione andrebbe letto due volte.
La costituzione organico – architettonica, non ha permesso la divisione in capitoli e paragrafi, bensì soltanto quella in quattro libri, il cui studio deve procedere in senso cronologico.
Schopenhauer, in una prefazione intesa come guida ad un’ attenta lettura, pone come clausole per una corretta comprensione, la conoscenza dei suoi scritti precedenti, quali Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente e Sulla vista e i colori e delle opere principali di Kant, del “ divino Platone “ ed infine dei testi Veda.
Nello scritto Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, dichiara che << tutte le nostre rappresentazioni sono oggetti per il soggetto >>[3], e subito dopo che: << tutte le nostre rappresentazioni stanno tra loro in una connessione regolare e, quanto alla forma, determinabile a priori, in virtù della quale niente di sussistente in sé e di indipendente, e niente anche di singolo e di isolato può diventare oggetto per noi. È questo collegamento che il principio di ragion sufficiente esprime nella sua universalità. >>[4]
Il principio di ragion sufficiente ha una quadruplice radice; in primis, vi è il principio di ragion sufficiente del divenire, principium rationis sufficientis fiendi, che riguarda le rappresentazioni intuitive, complete ed empiriche [ le loro forme sono tempo e spazio ], e si presenta come legge di causalità: << Se subentra un nuovo stato di uno o più oggetti reali, bisogna che un altro l’ abbia preceduto, al quale segue regolarmente il nuovo, cioè ogni volta che ricompare il primo. >>[5].
Come scriverà ne Il mondo come volontà e rappresentazione: << Qualunque cosa sia la cosa in sé, Kant concluse giustamente che tempo, spazio e causalità ( che noi abbiamo in seguito conosciuto come forme del principio di ragione, e questo come espressione generale delle forme del fenomeno ) non potevano essere determinazioni di essa ( … ) >>[6].
Schopenhauer, precisa che si commette un abuso quando si applica la legge di causalità a << qualcosa di diverso delle modificazioni nel mondo materiale a noi empiricamente dato, per esempio alla forze naturali in virtù delle quali soltanto tali modificazioni sono in genere possibili, o alla materia in cui avvengono, o all’ universo intero, al quale a tal fine si deve attribuire un’ esistenza assolutamente oggettiva, non condizionata dal nostro intelletto, e anche a molte altre cose. >>[7]
Il principio di ragion sufficiente del conoscere, principium rationis sufficientis cognoscendi, significa << che quando deve esprimere una conoscenza, un giudizio deve avere una ragione sufficiente. Per questa qualità riceve il predicato vero. >>[8]
Al di là della distinzione che opera tra verità logica [ un giudizio ha come ragione un altro giudizio ], empirica [ quando la ragione è da rintracciare in una rappresentazione intuitiva ], trascendentale [ le forme della conoscenza intuitiva come ragioni di un giudizio ], metalogica [ condizioni formali di ogni pensare come ragioni di un giudizio ], è bene tener presente, che il principio di ragion sufficiente del conoscere, trovi il suo ambito nell’ insieme delle rappresentazioni astratte, che possono essere definite come << rappresentazioni tratte da rappresentazioni >>[9], dominio della ragione.
La prima classe di oggetti erano le rappresentazioni intuitive, la seconda era costituita dalle rappresentazioni astratte, la terza invece è composta << dalla parte formale delle rappresentazioni complete, cioè dalle intuizioni date a priori delle forme del senso esterno e interno, dello spazio e del tempo. >>[10].
Il rapporto istituito dal principio di ragione dell’ essere, è diverso da quello tra causa ed effetto [principium rationis sufficientis fiendi ] e da quello tra ragione e conseguenza [principium rationis sufficientis cognoscendi ], per cui la << condizione può essere chiamata ragione dell’ essere, ratio essendi. >>[11].
La legge mediante la quale si determinano i rapporti tra spazio e tempo, è definita << ragione sufficiente dell’ essere, principium sufficientis essendi >>[12]
Infine la quarta classe di oggetti, comprende << per ognuno soltanto un oggetto, cioè l’ oggetto immediato del senso interno, il soggetto del volere, che è oggetto per il soggetto conoscente ed è dato soltanto al senso interno, per cui appare solo nel tempo, e non nello spazio, e anche nel tempo con una importante limitazione ( … ) >>[13].
Se la << motivazione è la causalità vista dal di dentro >>[14], alla quarta classe di oggetti, spetterà il principio di ragion sufficiente dell’ agire, il principium rationis sufficientis agendi.
La causalità è una delle forme espresse dal principio di ragione, ma non l’ unica; questo significa, che vi sono diverse classi di oggetti in cui operano le quattro forme del principio di ragione.
Benché, l’ analisi dei quattro libri che compongono il Mondo, non sia stata ancora realizzata, ci è parso opportuno, fare una piccola anticipazione riguardante la relazione tra le forme del principio di ragione sufficiente e la volontà.
Nel capitolo quattordicesimo dei Supplementi, intitolato Sull’ associazione di idee, dopo aver mostrato come l’ occasione mediante la quale un pensiero possa entrare nella coscienza, sia esterna [ sensazione ] o interna o per associazione, distinguendo tre tipologie associazionali, quali quella per deduzione, analogia e contemporaneità della prima impressione, Schopenhauer dichiara che ciò che attiva l’ associazione di idee, non è altro che la volontà stessa, di cui l’ intelletto è servitore.
Se la volontà è il fulcro che mette in atto l’ attività associativa, significa che la forma del principio di ragione, che << domina e mantiene attiva l’ associazione di idee, è in ultima analisi la legge di motivazione >>[15], in quanto ciò che guida il sensorio, facendogli seguire una particolare analogia o associazione, è << la volontà del soggetto pensante >>[16].
Il mondo è una mia rappresentazione, ma nello stesso tempo l’ orizzonte di tale rappresentazione è costituito da sotto – insiemi, in cui sussistono elementi correlabili e spiegabili, mediante una precisa forma del principium rationis sufficientis.
Verso la fine del secondo libro interno a Il mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer evidenzia con grande chiarezza tale problematica, dicendo che il << principio di ragione, di cui tempo, spazio e causalità sono le forme riferentisi alla conoscenza intuitiva ( … ) >>[17].
Il nono capitolo dei Supplementi al Mondo, è illuminante circa il rapporto che intercorre tra il principio di ragion sufficiente e i principi fondamentali della logica; si dice infatti, che il principio del terzo escluso, secondo cui ad ogni soggetto ogni predicato è da attribuire o negare, racchiude in sé ed esprime, sia il principio di identità che quello di non contraddizione. Se in base a tale principio, un giudizio è pensabile, mediante il principio di ragion sufficiente, è vero.
Soffermandosi sulla lettura delle pagine interne alla prima prefazione de Il mondo come volontà e rappresentazione, si comprende come il filosofo di Danzica, fosse ben conscio dell’ inattualità del suo pensiero, in un’ epoca imbevuta di idealismo e pronta a strombazzare il << calibano intellettuale >>[18], tanto da rivolgersi al futuro, alla << speranza ristoratrice della posterità >>[19], consegnando così la sua opera << all’ umanità >>[20] intera.
Un secolo asservito totalmente ai bisogni materiali non ha tempo per coltivare la verità, e la filosofia è così resa serva non di quella << bella tanto ritrosa, che persino chi le sacrifica tutto non può essere ancora sicuro dei suoi favori >>[21], bensì degli interessi economico – politici.
Dinanzi all’ idealismo ed in particolar modo all’ hegelismo, così proclive a giustificare sul piano filosofico – concettuale lo status quo, Schopenhauer dichiara di esser sempre stato guidato dalla << stella polare >>[22] della verità, al di là del cielo borghese.
Nietzsche, dedicherà la terza inattuale a Schopenhauer [ Schopenhauer come educatore ]; il filosofo di Danzica rappresenta il genio che proprio in quanto inattuale [Un – zeit – gemäß ], non trova il plauso dei contemporanei – intendendo come << danno, colpa e difetto dell’ epoca qualcosa di cui l’ epoca va a buon diritto fiera >>[23] - contro il tempo, sul tempo e speriamo a favore di un tempo venturo.
Schopenhauer – appare al giovane Nietzsche – colui che insieme a Wagner, è dotato di quell’ antidoto atto a debellare l’ insana culturalità dei moderni, a favore della Kultur, della cultura autentica, che non sorge dall’ ossificazione della vita, ma la presuppone le più intense energie vitali.
A partire da Umano troppo umano, Nietzsche terrà un atteggiamento fortemente critico nei confronti dell’ autore de Il Mondo, negando le fondamenta metafisiche del discorso schopenhaueriano [ in particolar modo gli esiti del quarto libro ], ritenendo inammissibile l’ etica della compassione, poiché – come hanno insegnato i raffinati moralisti francesi – depotenzia la vita.
Ne Il crepuscolo degli idoli, nell’ aforisma 35 interno alla sezione Cosa manca ai tedeschi, Nietzsche filosofando a colpi di martello, scrive che la menzogna morale, invece di dire “ io non valgo più nulla “, sostiene che non c’è niente che valga e che la stessa vita in fondo nulla vale.
In questo modo però la vita viene avvelenata per millenni, da tale vegetazione di tossicodendri sorta dalla putredine; è interessante notare come il giudizio décadent sulla nullità del mondo, tessa un filo rosso passante per il cristianesimo [ religione ] e per la filosofia [ Schopenhauer ].
Se – come presto si vedrà – l’ esito ultimo della riflessione del pensatore di Danzica, sfocia nella negazione del mondo, nell’ affrancarsi dai ceppi della voluntas, attraverso i sentieri della mortificazione e della castità, che portano l’ asceta alla redenzione; Nietzsche, con lo Zarathustra e gli scritti successivi, dice sì all’ esistenza, in un’ accettazione dionisiaca dell’ orizzonte mondano – terrestre, in tutta la sua problematicità, tanto da sancire la fedeltà alla terra, con l’ atto dell’ eterno ritorno dell’ uguale.
In un frammento collocabile tra autunno del 1885 e la primavera del 1886, il numero 194 nell’ edizione critica Colli – Montinari, Nietzsche scorge nel pessimismo moderno l’ espressione << dell’ inutilità del mondo moderno – non già del mondo e dell’ esistenza. >>[24], sostenendo – come si vedrà in altri frammenti – che il pessimismo è un sintomo della decadenza.
In Schopenhauer – nascere è una colpa – come Calderon insegna ne La vita è un sogno e la stessa teoria del peccato originale, proprio per questo, l’ unica via di redenzione è la negazione totale della voluntas [ è bene ricordarsi come Nietzsche, sia un acerrimo nemico del concetto di colpa introdotto dalla tradizione giudaico cristiana, sostenendo l’ innocenza del divenire ].
Nietzsche, non sosta sul gradino del nichilismo passivo, una volta che il mondo vero e quello apparente, scompaiono come ultima eredità umana troppo umana, solo la volontà di potenza, intesa come atto poli – ermeneutico può creare parvenze altre, conscio della tesi sostenuta ne La nascita della tragedia, dell’ alto valore dell’ arte che sopperisce alla miseria del mondo, alla fiacchezza ontologica del reale.
Il sì alla vita nietzscheano, è una forma di gioioso fatalismo, di accettazione dell’ esistenza per ciò che ha di più inquietante, menzognero e terribile, un pessimismo imbevuto dell’ essenza stessa del dionisiaco, che al di là del bene e del male, rende il mondo sopportabile solo come fenomeno estetico.
Nell’ ottica nietzscheana, la conoscenza intuitiva di cui parla Schopenhauer, è una mera chimera ed errore, proprio perché non c’è buco nel mantello, che ci permetta di scrutare l’ essenza del mondo.
La stessa compassione è una debolezza, e se questa dominasse si giungerebbe alla morte dell’ intera umanità; in Nietzsche inoltre, la rappresentazione del dolore e il soffrilo, sono atti di carattere differente, con la conseguenza che l’ etica della compassione, non si rende possibile.
Non c’è nessun in – sé e nessun mondo vero dietro il mondo apparente, togliendo il mondo vero << abbiamo eliminato anche quello apparente >>[25], ragion per cui risultano inammissibili le premesse del discorso schopenhaueriano, sia per quanto concerne il mondo, sia per l’ uomo e la presenza in questo, di un presunto carattere intelligibile al di là di quello empirico.
Se viene meno il carattere intelligibile, considerato come errore, non c’è libertà del volere, e la stessa etica di Schopenhauer, non trova più nessun appiglio.
Al di là della critica che Nietzsche muove a Schopenhauer, il concetto di volontà di potenza, già a livello terminologico richiama alla memoria la voluntas schopenhaueriana, questo a testimonianza del fatto, che anche dopo la rottura sancita con Umano troppo umano, Nietzsche tenga Schopenhauer come uno dei riferimenti privilegiati della sua ricerca filosofica.
Se Schopenhauer aveva colto l’ in sé del cosmo nella volontà di vivere, Nietzsche introduce in seno della volontà di potenza la molteplicità, parlando dei quanta di volontà di potenza.
In un frammento risalente alla primavera del 1888, Nietzsche si chiede se la volontà di potenza, sia una specie di volontà o sia identica al concetto stesso di volontà e inoltre, se possa essere assimilata alla volontà di cui parla Schopenhauer. Egli risponde dicendo: << La mia tesi è questa: la volontà finora ammessa dalla psicologia è una generalizzazione ingiustificata, questa volontà, non esiste: invece di immaginare la configurazione di un’ unica volontà determinata in varie forme, si è cancellato il carattere della volontà sottraendolo il suo contenuto, il suo “ a che scopo? “; questo avviene al massimo grado in Schopenhauer: ciò che lui chiama “ volontà “ è una parola vuota. Ancor meno si può parlare di una “ volontà di vita “: infatti la vita non è altro che un caso particolare della volontà di potenza; è del tutto arbitrario sostenere che tutto tenda ad assumere quella forma della volontà di potenza. >>[26].
In questo frammento, due tesi sono le tesi sostenute da Nietzsche: 1) sussiste un’ unica volontà determinata in varie forme, 2) la vita è una particolare forma della volontà di potenza. Se la vita è una delle forme che la volontà di potenza può assumere, Schopenhauer ha parlato erroneamente della volontà, poiché è arbitrario pensare che questa possa essere ridotta volontà di vita.
C’è stato chi, come Colli, ha scorto una parentale tra la volontà di vivere schopenhaueriana e la volontà di potenza nietzscheana, affermando in conclusione, che la differenza sostanziale tra i due autori, risieda nel fatto che Nietzsche la afferma mentre Schopenhauer la nega.
Heidegger invece, dando un giudizio negativo circa Schopenhauer, considerato come un grossolano lettore di Kant, sostiene che l’ essenza della volontà di cui Nietzsche parla, sia la potenza, ragione per cui l’ autore dello Zarathustra è propenso a chiamarla volontà di potenza.
Il ribelle aristocratico Nietzsche, non poteva accettare l’ etica della compassione di matrice schopenhaueriana, poiché ogni ossificazione [ storicismo ], indebolimento [ etica della compassione ] era un’ obiezione troppo grande per l’ autentica Kultur.
Schopenhauer, ha mostrato a Nietzsche l’ insania dei moderni, avendo un effetto demistificatorio, proprio perché era inattuale, lanciando così i suoi dardi critici contro i professori delle università, in virtù di una filosofia, concepita come attività elitaria e non asservibile agli interessi dei miseri spiriti.
Nello scritto Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente dice infatti: << Allora non bastono più la vuota chiacchiera e i conati impotenti dei castrati mentali, ma c’è bisogno di una filosofia fatta sul serio, cioè che miri alla verità e non agli stipendi e onorari, che quindi non stia a domandarsi se sia gradita a ministri o consiglieri, o se vada a genio a questo o a quel partito clericale dell’ epoca, ma metta in luce che il compito della filosofia è ben diverso dall’ essere una fonte di guadagno per i poveri di spirito. >>[27]
È notevole, come l’ autore de Il mondo come volontà e rappresentazione, critichi aspramente il filosofar del suo tempo, dicendo che bisognerebbe prescrivere una << medicina mentis >>, per ripristinare la sanità dei suoi contemporanei.
La stessa lettura di Kant, deve esser svolta senza nessun tipo di mediazione, perché solo i bambini impararono da altri bambini, ed inoltre gli scritti introduttivi al pensiero kantiano, sono di gran lunga prossimi alla favola.
Nell’ Appendice al Mondo, intitolata Critica della filosofia kantiana, si dice che per quanto l’ epoca sia stata colta e ricca, il genio è simile alla palma, poiché << si eleva al di sopra del terreno in cui affonda le sue radici. >>[28].
Lo spirito geniale di Kant e i risultati a cui giunse, non possono divenire subito patrimonio dell’ intera umanità, in quanto questa << non ha neanche tanta forza per ricevere, quanto quegli per dare. >>[29].
Inoltre, non vi sono solo gli << indegni avversari >>[30] che, contrastano la vita a questi grandi spiriti, ma anche interpretazioni fuorvianti ed errate, che ne rallentano la comprensione delle loro opere immortali.
Schopenhauer, è conscio di rappresentare quella << generazione nuova e libera da prevenzioni >>[31], tanto più che tra Kant e << me >>[32] - scrive l’ autore del Mondo, non è << accaduto >>[33] niente di rilevante nell’ orizzonte della filosofia: << Kant non è andato fino in fondo al suo pensiero: io ho semplicemente portato a termine la sua impresa. >>[34].
Solo il tempo, potrà permette un’ autentica comprensione delle opere di Kant, dinanzi al quale Schopenhauer – pur rinascendone il genio e la conditio sine qua non della sua filosofia -, vuole condurre una << spietata guerra di sterminio >>[35] contro gli errori che lo stesso Kant commise, perché il rispetto verso quel grande spirito, non si estende anche per << le sue debolezze e manchevolezze >>[36].
Un atteggiamento polemico, che prende avvio dal postulato primo, che le opere kantiane, siano << ancora molto nuove >>[37], e solo estirpando << l’ errore che inerisce alla dottrina >>[38], si possa rendere tributo al suo genio.
Il merito che ha reso immortale Kant, è la distinzione tra fenomeno e cosa in sé, distinzione a cui fu avviato dalle riflessioni di Locke, che vanno concepite come << un preludio giovanile >>[39] rispetto alla filosofia kantiana.
Nel primo capitolo dei Supplementi al Mondo intitolato Sulla concezione idealistica fondamentale, Schopenhauer scrive che se quella di Locke era << la critica delle funzioni sensoriali >>[40], Kant << ha fornito la critica delle funzioni celebrali >>[41].
La differenziazione tra fenomeno e noumeno, fu possibile grazie alla divisione della conoscenza in a – priori e a – posteriori, binomio che prima di Kant non era stato fatto né il dovuto rigore né con la dovuta compiutezza.
Kant – scrive Schopenhauer – nutre un << triplice rapporto >>[42] con i suoi predecessori: in primis, nei confronti di Locke, opera un processo di conferma e di ampliamento; in secundis, si rapporta a Hume in guisa correttiva e strumentale; infine, tiene un atteggiamento polemico e distruttivo dinanzi alla filosofia leibinziano – wolffiana.
È necessario conoscere le tre filosofie che fungono da punto di riferimento – seppur in maniera diversa – dell’ intero discorso kantiano; la sua distinzione [ fenomeno e noumeno ] fu rivoluzionaria, avendo straordinarie conseguenze, sia in positivo che in negativo [ il grossolano Hegel, prese spunto da questa premessa per costruire la sua grande mistificazione ].
L’ essenza stessa della filosofia kantiana, fu colta sotto forma di intuizione del mondo, sia da Platone [ Schopenhauer fa riferimento al mito della caverna con cui si apre il settimo libro della Repubblica ] che dalla tradizione indiana dei Veda: il mondo che appare ai nostri sensi, è un continuo divenire, non ha un vero essere ed è il velo Maya, inteso come una mutevole parvenza che inganna i mortali.
Kant, avrebbe così tradotto in linguaggio filosofico, quelle intuizioni poetiche e mitiche sulle quali si fondavano le verità platoniche e dei testi Veda; Schopenhauer infatti scrive: << Tale perspicua conoscenza e calma, ponderata esposizione di questa conformazione come di sogno di tutto il mondo, è propriamente la base di tutta la filosofia kantiana, né è l’ anima e il merito massimo. >>[43].
La lettura di Schopenhauer circa la gnoseologia kantiana, soprattutto in questo punto, pur essendo brillante per chi desideri condurre ricerche teoretiche, è problematica – se concepita come interpretazione storico – critica -, poiché Kant non volle mai – in ambito gnoseologico – lasciare l’ isola, per avventurarsi in quel periglioso oceano, dove i ghiacci sciogliendosi simulano nuove terre che ingannano il navigante.
Nel terzo capitolo intitolato Sul fondamento della distinzione di tutti gli oggetti in generale in fenomeni e noumeni, del libro secondo dell’ Analitica trascendentale, l’ Analitica dei principi, Kant scrive: << Ora non abbiamo solo attraversata interamente la terra dell’ intelletto puro prendendo accuratamente visione di ogni sua parte, ma inoltre l’ abbiamo misurata e abbiamo determinata la posizione di ogni cosa su di essa. Ma questa terra è un’ isola, che la natura stessa ha rinchiusa entro immutabili confini. È la terra della verità ( nome attraente ), circondata da un vasto e tempestoso oceano, propriamente sede dell’ apparenza [ Schein ], dove qualche banco di nebbia e qualche ghiacciaio prossimo a sciogliersi simulano nuove terre, e, incessantemente ingannano con nuove speranze il navigante in cerca di illusorie scoperte, lo coinvolgono in avventure da cui non si può mai desistere, senza tuttavia poterle mai terminare. Ma, prima di avventurarci in questo mare per esplorarlo in tutta la sua distesa e accertare se qualcosa vi sia da sperare, ebbene, vogliamo appunto abbandonare, e chiedere due cose: in primo luogo, se non potremmo comunque accontentarci di ciò che contiene in sé , o se anche lo dovremmo per forza, qualora non ci fosse in alcun’ altra parte un terreno sul quale noi potessimo edificare; in secondo luogo, con quale titolo noi possediamo questa terra stessa, e possiamo assicurarcela contro tutte le pretese ostili. >>[44].
Questo passo, è fondamentale, per comprendere i limiti dell’ interpretazione schopenhaueriana, che al di là dello statuto teoretico, presenta alcuni errori di fondo, dovuti ad un’ insania seppur raffinata ed erudita teleologia insita nella lettura delle opere kantiane.
Se Kant, contrappone alla terra della verità intesa come la sede del corretto conoscere fenomenico, l’ oceano dell’ apparenza, dei ghiacciai dell’ uso dialettico dell’ idea della ragione, dell’ inganno e della fatale attrazione; Schopenhauer, nutrito dal latte del divin Platone e dall’ antica sapienza indiana, ha reso quell’ isola sui cui Kant aveva edificato il conoscere e costruito la struttura fondazionale della scienza newtoniana, dominio dello Schein, scorgendo la verità [die Wahrheit ], al di là di una terra, abitata dalla Maya ingannatrice.
Kant, era stato il figlio più illustre dell’ Illuminismo, e aveva fondato il conoscere in un solco di finitudine, abbandonando – in ambito gnoseologico – ogni vana pretesa di parlare del mondo, dell’ anima e di Dio; la metafisica specialis alla maniera leibinziano – wolffiana, trovava il suo più radicale rifiuto, nella stessa divisione tra fenomeno e noumeno.
Schopenhauer, pur affermando che il gran merito di Kant, sia stato quello di distinguere il mondo fenomenico da quello della cosa in sé, quando elabora il suo apparato gnoseologico, che trova dimora nello scritto Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, tende a ridurre la monumentale costruzione kantiana [ è bene tener presente che Schopenhauer, ammette di non concordare con la filosofia kantiana ], fondando l’ intero orizzonte del jainomenon sul principium rationis sufficientis e sul principium individuationis, proprio perché ritiene l’ analitica trascendentale oscura e colma di errori.
L’ opera kantiana appare – agli occhi di Schopenhauer – come la traduzione filosofica, di quell’ intuizione generale del mondo avuta in precedenza da Platone e dalla sapienza indiana, intuizione che sancisce l’ evanescenza dei fenomeni.
Ma lo stesso Platone, con la dialettica dell’ anabasiz e della katabasiz , così magistralmente espressa nella Repubblica, pensava ad un ritorno nell’ oscurità della caverna dove il conoscere umano è incatenato dai ceppi dell’ ignoranza, una ridiscesa difficile e irta di pericoli, primo fra tutti gli altri uomini, tutti coloro quindi che non comprendono chi ha visto la luce del Sole.
Schopenhauer, accetta la tesi platonica che non sia dia conoscenza autentica [ episthmh ] che della realtà che sempre è, ma allo stesso tempo, l’anabasiz suprema, impedisce al Socrate schopenhaueriano – mi si conceda quest’ espressione -, di scendere nel Pireo dei fenomeni, poiché questa si realizza nel momento in cui si nega la voluntas stessa.
Schopenhauer, lettore di Platone e Kant, è geniale sul fronte teoretico, la sua interpretazione di Kant in particolare, si sottrae alla monotonia ermeneutica dell’ idealismo tedesco, bisogna però scovarne i limiti storico – filosofici, affinché si possa comprendere meglio lo stesso pensiero schopenhaueriano.
Dopo questa brevissima premessa, riguardante il rapporto che Schopenhauer nutre con il pensiero di Platone, è necessario continuare nell’ analisi critica del filosofo di Danzica sull’ opera kantiana.
Kant, con i suoi scritti, ha mirabilmente mostrato << tutto il meccanismo della nostra facoltà conoscitiva, per mezzo della quale ha luogo la fantasmagoria del mondo >>[45]; il criticismo ha svegliato la filosofia occidentale dal suo secolare sonno, mostrando come le leggi che operano nel mondo e nell’ esistenza, non possano spiegare il mondo stessa e l’ esistenza: << Si può dire che la dottrina di Kant fa capire che la fine e il principio del mondo non sono da cercare fuori, ma dentro di noi. >>[46].
Le leggi del mondo, che di dogmatici hanno scambiato per veritates aeternae, dipendono solo dal soggetto; Kant, ha inaugurato un nuovo modo di far filosofia, la filosofia critica o trascendentale, contrapposta all’ insulso indirizzo dogmatico – realistica, di cui il De rerum originatione radicali di Leibinz ne è il più importante manifesto.
È proprio nel cervello – come Kant ha mostrato – che, c’è << la cava di pietra che fornisce il materiale per quella superba costruzione dogmatica >>[47]; il mondo fenomenico dipende quindi, da quelle forme pure che si trovano nell’ intelletto umano.
Schopenhauer identifica l’ intelletto trascendentale con il cervello, dando uno spiccato tono materialistico – fisiologico alla sede dell’ apparato trascendentale, in questo modo egli rivela come nella sua formazione, vi siano notevoli influssi illuministici di matrice sensistica e materialistica.
Kant, commise l’ errore nel dedurre la cosa in sé, che non identificata con la volontà, doveva scaturire dall’ impossibilità che l’ agire morale, seguisse la necessità dell’ orizzonte fenomenico; ciò era corretto, ma apriva la strada a incongruenze di fondo.
Per quanto concerne la lotta contro i dogmi della tradizione teologica, fu Kant, a liberare il sapere da quelle mortifere zone d’ ombra, e non Cartesio, che con la sua scepsi mancante ancora del << giusto rigore >>[48], riprese quei dogmi per tenerli più saldamente di prima: << Kant dunque osò provare in base alla sua dottrina l’ indimostrabilità di tutti quei dogmi che si pretendevano così spesso dimostrati. La teologia speculativa e la psicologia razionale che viveva insieme con essa riceverono da lui il colpo di grazia. >>[49].
I cambiamenti che sorsero, dalla rivoluzione kantiana, furono sorprendenti nell’ ambito delle scienze naturali; Schopenhauer, può acutamente scrivere: << Prima di Kant dunque eravamo noi nel tempo; ora il tempo in noi e così via. >>[50].
Kant, anche sul fronte morale, estirpò il problema della perfezione sui cui tanti spiriti dei secoli precedenti avevo dibattuto.
Kant pose fise alla scolastica, inaugurando la grande stagione della filosofia, ma la sua mancanza di sistematicità gli fu deleteria, in quanto vi furono schiere di professori, che si diedero a vani e insulsi tentativi di comprensione.
Schopenhauer scrive, che il primo punto dell’ argomentazione kantiana, secondo il quale la metafisica è la scienza di ciò che si trova al di là della possibilità di ogni esperienza, è da ritenere una petitio principi, poiché questo argomento si fonda sulla coscienza dell’ etimologia della parola metafisica; bisognerebbe quindi, considerare la metafisica, come un tentativo di comprendere da cima a fondo il mondo stesso, e non un mero sorvolarlo. Solo in questo modo, si può risolvere l’ enigma del mondo, per quanto è possibile alla natura finita dell’ uomo.
Kant, è dotato di quell’ asciuttezza brillante, mediante la quale può rivoltare i concetti suscitando lo stupore del lettore; la stessa asciuttezza si trova nello stile di Aristotele, nonostante questo sia molto più semplice.
Nonostante la sua asciuttezza brillante, il modo di esporre di Kant, è di sovente oscuro ed indeterminato, il più grave danno che l’ esposizione ha arrecato, è stato quello di essere interpretato come exemplar vitiis imitabile: << Il pubblico era stato costretto a vedere che l’ oscurità non era sempre priva di senso, e subito l’ insensatezza si rifugiò dietro l’ esposizione oscura. Fichte fu il primo a ghermire e a sfruttare abbondantemente questo nuovo privilegio; Schelling lo fece anch’ egli in modo almeno pari a Fichte, e tosto un esercito di famelici scribacchini senza spirito e senza onestà li sopravanzò entrambi. Tuttavia la massima impudenza nell’ ammannire pure assurdità, nell’ abborracciare vacue e furibonde combinazioni di parole, quali fino allora si erano udite solo nei manicomi, si manifestò solo con Hegel, divenendo lo strumento della più goffa mistificazione universale che vi sia mai stata, con un successo che apparirà ai posteri favoloso e rimarrà un momento della scempiaggine tedesca. >>[51].
A Kant, manca la grandiosità semplicità e il candore degli antichi, la sua filosofia non ha nessuna analogia con l’ architettura greca, bensì con quella gotica, per il suo amore per la simmetria, che di sovente forza la verità.
Nella Critica della ragion pura, seguendo il suo intento simmetrico, Kant perviene ad errori e deficienze esplicative, come quando non dà mai una spiegazione esauriente e completa della ragione, giungendo a definizioni sempre sommarie.
Schopenhauer, afferma che Kant, prima di trattare in maniera così superficiale la distinzione tra intelletto e ragione, avrebbe dovuto indagare << che cosa sia in genere un concetto >>[52]; l’ errore fondamentale del pensatore prussiano – sarebbe insito per Schopenhauer – nel perseguire il suo sistema simmetrico logico, senza riflettere sufficientemente sull’ oggetto trattato.
È sorprendente che Kant, pur essendo giunto alla distinzione tra fenomeno e noumeno, non abbia dedotto l’ esistenza relativa del primo termine da quell’ innegabile verità: Nessun oggetto senza soggetto.
Schopenhauer nota, come solo nella prima edizione della Critica della ragione pura, si trovi formulata – seppur non in maniera esplicita – la tesi che non sia dia oggetto senza soggetto; nell’edizioni successive, a partire da quella del 1787, il testo dell’ opera appare << sfigurato e corrotto >>[53], Schopenhauer così avverte chiunque voglia comprendere Kant: << Ma nessuno si immagini di conoscere la Critica della ragion pura e di avere un chiaro concetto della dottrina di Kant, se l’ ha letta solo nella seconda edizione o in una di quelle seguenti; ciò è assolutamente impossibile, giacché ha letto solo un testo mutilato, corrotto, per così non autentico. È mio dovere esprimere ciò qui con decisione e come avvertimento per tutti. >>[54].
Kant oltre a dedurre erroneamente la cosa in sé, mediante un assurdo ragionamento circa l’ intuizione e la realtà esterna, confonde la conoscenza intuitiva con quella astratta, aprendo la strada all’ idealismo tedesco.
L’ Estetica trascendentale, non merita nessuna correzione, è la parte più luminosa della prima critica; il criticismo kantiano, in sede gnoseologica, commette l’ errore di considerare:1) la rappresentazione [ cosa della sensibilità ]; 2) l’oggetto rappresentazione [ cosa dell’ intelletto ]; 3) la cosa in sé.
Inserendo l’ ibrido dell’ oggetto della rappresentazione, tra la rappresentazione e la cosa in sé [ bisogna tener presente che per Schopenhauer l’ intuizione è solo intellettuale ], nascono le grandi controversie del sistema kantiano.
Se si elimina l’ oggetto della rappresentazione – nota Schopenhauer – scompare anche la tavola delle dodici categorie, la cui stessa esposizione è un segno di infondatezza, munendo così l’ intelletto della sola causalità [ è bene tener presente come Schopenhauer in più punti ribadisca, l’ errore di Kant di non aver distinto la conoscenza intuitiva da quella astratta, cadendo in una dimensione di mediazione del tutto assurda ].
Kant quindi, non espone il processo di formazione dell’ intuizione, limitandosi a dire che ci è data; ma in questo, non può darsi rappresentazione, perché l’ intelletto può solo pensare e non entrare nel dominio dell’ intuizione.
L’ estetica trascendentale e l’ analitica trascendentale, sono separate da una grande distanza; se nella prima, sussiste una profonda chiarezza, determinatezza e sicurezza infallibile, nella seconda, tutto è << oscuro, confuso, vacillante, insicuro >>[55], favorendo un’ esposizione esitante.
Nell’ ambito della deduzione dei concetti, si può scorgere lo sforzo kantiano di superare quei grovigli problematici, rimasti insolubili nonostante la seconda edizione della Critica della ragion pura.
Se nell’ estetica trascendentale, ogni tesi è argomenta in maniera impeccabile, nell’ analitica invece, si trovano mere asserzioni, che rendono problematica l’ intera argomentazione filosofica [ l’ azione reciproca e il permanere della sostanza sono erronee ].
Schopenhauer nota, come Kant nel momento in cui voglia dare esempi specifici, scelga sempre la categoria di causalità, proprio perché la causalità è << la sola forma dell’ intelletto, e le altre categorie sono soltanto finestre cieche. >>[56].
Deduzione e schematismo trascendentali, sono i punti più oscuri e problematici dell’ impostazione kantiana; dopo aver scoperto le due forme a – priori dell’ intuizione – scrive Schopenhauer -, Kant per amore della simmetria, giunse mediante un procedimento analogico, a realizzare << per ogni determinazione della nostra conoscenza empirica, un analogo a priori ( … ) >>[57], dove la difficoltà dell’ esposizione maschera al lettore, ragionamenti del tutto arbitrari e non dimostrabili.
Il problema dell’ Io penso, è mal formulato, questo al di là della nebulosità dell’ esposizione kantiana, non è altro che il soggetto del conoscere di cui Schopenhauer stesso ha parlato nel secondo volume del Mondo.
Se il metodo di Kant, prende avvio dalla conoscenza mediata, quello schopenhaueriano da quella immediata ed intuitiva; il primo può essere paragonato a quello di colui che misura l’ altezza di una torre dalla sua ombra, il secondo invece, a quello che vi applica direttamente il metro; se in Kant, la filosofia è scienza tratta da concetti, per Schopenhauer è una scienza in concetti, attinta dal conoscere intuitivo.
Sempre per quel gran amore per la simmetria, Kant ha postulato che un giudizio affermativo, categorico e assertorio, siano cose differenti, tanto da << autorizzare l’ ammissione, per ciascuno di essi, di una funzione tutta speciale dell’ intelletto. >>[58].
Sia Kant che Aristotele, cercavano sotto il nome di categorie << i concetti generalissimi, sotto i quali si dovessero sussumere tutte le cose per quanto diverse, e con i quali dunque venisse infine pensato tutto l’ esistente. >>[59].
Dopo aver ribadito che per Kant, le categorie sono << le forme di ogni pensare >>[60], e che la grammatica << sta alla logica, come l’ abito al corpo >>[61], si chiede quali siano le forme del pensare.
In primis, << il pensiero consiste interamente in giudizi >>[62], e ogni volta che usiamo un verbo, giudichiamo; in secundis, la grammatica esplica solo il << rivestimento delle forme del pensiero >>[63], e in ogni giudizio [ che consiste nella conoscenza del rapporto tra soggetto e oggetto ], si devono trovare soggetto, predicato e copula, anche quando qualcuna di queste cose non sia designata; infine, le forme << reali, immutabili e originarie del pensiero >>[64] sono la tavola dei giudizi di Kant, con la sola differenza che in quest’ ultimo sono << finestre cieche >>[65].
La qualità, intesa come affermazione o negazione di concetti, è legata dalla copula; la quantità, fa sì che il concetto del soggetto venga espresso interamente o in parte, o come totalità o come pluralità, essendo legata al soggetto; la modalità, è legata alla copula, e determina la qualità, come necessaria, reale o accidentale.
Qualità, quantità e modalità, scaturiscono dal principio di contraddizione e di identità, dal principio di ragione e dal principio del terzo escluso, sorge la relazione, che lega più giudizi, unendoli nel periodo ipotetico o in quello disgiuntivo.
Il preciso meccanismo di espressione delle forme del pensiero, lo insegna la grammatica filosofica, le operazioni con le forme del pensiero, la logica.
La lingua, si riferisce immediatamente al pensiero, ovvero ai concetti astratti, e solo mediante questi ultimi, all’ intuizione; il materiale del pensiero sono i concetti, a cui si riferiscono le forme della logica.
Per quanto concerne la dialettica trascendentale, dopo aver ribadito che la ragione come facoltà di principi non sia possibile, poiché non si può ammettere << una conoscenza in base a concetti e tuttavia sintetica >>[66]; Schopenhauer riguardo all’ Assoluto, dice che è assurdo che << la nostra ricerca di ragioni di conoscenza superiori, di verità generali, scaturisca dalla presupposizione di un oggetto incondizionato nella sua esistenza, o che abbia con ciò anche qualcosa in comune. >>[67].
Kant, non ha compreso come il principio di ragion sufficiente, richieda sempre e solo << la completezza della condizione prossima, mai la completezza di una serie >>[68]; inoltre, l’ esigenza di una ragione sufficiente va << solo fino alla completezza delle determinazioni della causa prossima, non fino alla completezza di una serie. >>[69].
Attraverso una corretta analisi, si comprende come l’ essenza della ragione non consista << nell’esigere un incondizionato >>[70], dato che, avendo sempre a che fare con oggetti, questi sono assoggettati al principio di ragion sufficiente, << tanto a parte ante quanto a parte post >>[71]; in un passo illuminante, Schopenhauer scrive: << La validità del principio di ragione risiede a tal punto nella forma della coscienza, che assolutamente non ci si può rappresentare oggettivamente niente di cui non si possa pretendere un perché, cioè nessun Assoluto, salvo ad avere i paraocchi. >>[72].
Schopenhauer pone in rilievo, come dietro l’ Assoluto, si celi sempre la prova cosmologica, che rispunta sotto ogni generi di vesti; la materia è il vero Assoluto, poiché non è mai cominciata e non trapassa mai.
Kant, ha fatto scaturire dalla tre categorie di relazione tre specie di sillogismi, << ciascuna delle quali fornisce il filo conduttore per la ricerca di un particolare incondizionato >>[73]: anima, mondo e Dio.
Il pensatore prussiano cade – ad avviso di Schopenhauer – in un grossolano errore, dato che anima e mondo, dipendono da Dio che è la loro causa efficiente, quindi i primi due incondizionati, sarebbero a loro volta condizionati dal prius, ovvero Dio, ma questa è una palese contraddizione.
Tali incondizionati, appaiono nello stesso argomentare kantiano deleteri, in quanto rendono sofistica la stessa ragione; inoltre Kant, fa un cattivo uso del termine idea per riferirsi alla trilogia della dialettica trascendentale, destituendolo dell’ originario significato platonico, che rimase intatto fino all’ ingiustificato utilizzo del padre del criticismo.
Kant formulò il concetto di anima [ psicologia ], applicando il principio di ragion sufficiente, che può solo operare sugli oggetti, al soggetto del conoscere e del volere; in verità, la contrapposizione tra due sostanze, anima e corpo, è l’ opposizione tra oggettivo e soggettivo.
Schopenhauer, mostra in maniera acuta, come Kant considerò la conoscenza, il pensiero e la volontà effetti, di cui poi cercò una causa, che non potendo essere rintracciata nel corpo, lo spinse ad assumere una causa non fisica; in questo modo, dimostrarono l’ esistenza dell’ anima, il primo e l’ ultimo dogmatico: Platone e Wolff.
La sostanza, nacque come artificio, per giustificare quella causa, non riscontrabile nella dimensione materiale; ma tale sostanza, è solo << un’ astrazione, conseguentemente un genus superiore >>[74], sorto dal concetto di materia, che rimase dotato del solo predicato della permanenza, lasciando cadere gli altri [ impenetrabilità, divisibilità, estensione ect ].
Proprio grazie alla formulazione illegittima del concetto superiore di sostanza, si poté introdurre in maniera surrettizia una sostanza immateriale.
Schopenhauer si esprime dicendo: << Così dunque il concetto di sostanza fu foggiato solo per essere il veicolo dell’ introduzione surrettizia del concetto di sostanza immateriale. >>[75].
Se le categorie in Kant, sono un << letto di Procuste per ogni cosa possibile, mentre le tre specie di sillogismi lo sono soltanto per le tre cosiddette idee. >>[76].
Dopo la psicologia, Kant ha trattato all’ interno della dialettica trascendentale la cosmologia, in questo caso, dato che le idee cosmologiche sono dedotte dal principio di ragione, << non c’è bisogno questa volta a tal fine di sofismi >>[77].
Le idee cosmologiche riguardo al tempo e allo spazio [ i limiti del mondo ], sono considerate erroneamente come determinate dalla categoria della quantità; le idee trascendenti della materia invece, vengono collegate << ancor più arditamente >>[78] alla qualità.
Per quanto concerne la relazione, Kant parla del concetto di libertà, con cui però in questo caso si intende solo l’ idea; infine, all’ ambito della modalità connette l’ idea di causa prima del mondo.
In tutte e quattro le antinomie – dice Schopenhauer – la dimostrazione della tesi è un sofisma, mentre quella dell’ antitesi si raggiunge mediante le leggi a priori, del mondo come rappresentazione.
La soluzione della terza antinomia, << il cui oggetto era l’ idea della libertà >>[79], merita una particolare attenzione, poiché – come scrive lo stesso autore – è il punto dove la filosofia di Kant << porta alla mia, o dove questa viene fuori da quella come dal suo tronco. >>[80].
Kant non è stato in grado, di dedurre o trattare adeguatamente la cosa in sé; bisogna però tener presente, che attraverso la rappresentazione non si potrà mai andare oltre alla rappresentazione, e quindi se fossimo dotati di sole rappresentazioni, non la << via alla cosa in sé ci sarebbe totalmente preclusa. >>[81].
Schopenhauer, asserisce che Kant, aveva qualche attenuante, poiché non pose l’ oggetto condizionato dal soggetto e viceversa, bensì solo il modo << dell’ apparire dell’ oggetto come condizionato dalla forme di conoscenza del soggetto ( … ) >>[82]; questo è l’ unica spiegazione, che ci consente di comprendere, il perché a Kant sfuggì che << già l’ essere oggetto appartiene in genere alla forma del fenomeno >>[83], e pertanto, che la cosa in sé, non può essere oggetto.
La dottrine della cosa in sé e dell’ a – priorità della legge di causalità, sono entrambe giuste, è la dimostrazione ad essere falsa.
L’ ideale trascendentale della ragione [ Dio ], ci riporta in piena scolastica, sembra di sentire parlare lo stesso Anselmo di Canterbury; Schopenhauer avanza l’ ipotesi, che Kant per il suo per la simmetria, dopo aver ricavato l’ anima dal giudizio categorico, il mondo dal giudizio ipotetico, e l’ ideale dalla premessa maggiore disgiuntiva.
Le analisi condotte da Kant riguardanti l’ idea di Dio, hanno fatto che si venisse a creare un mondo alla rovescia, dove i concetti non sono più pensieri astratti delle cose, bensì quest’ ultime divengono solo << concetti concreti >>[84].
La dialettica trascendentale, pur essendo il fine ultimo dell’ intera opera, risulta avere << un interesse locale e temporaneo >>[85], nutrendo un particolare rapporto con i momenti principali della filosofia europea pre – kantiana; a Kant, si deve riconoscere il merito, di aver estirpato il teismo dalla riflessione filosofica, da quella filosofia che ha di mira soltanto la verità, e non la << la filosofia per burla delle università >>[86], dove la teologia svolge un ruolo centrale.
Schopenhauer, come in altri punti dell’ opera, si scaglia criticamente contro la filosofia dei professori delle università, qui però, si nota un radicale autobiografismo in ciò che scrive: << Perché essa è la filosofia corredata di stipendi e onorari, e anzi perfino di titoli di consigliere aulico, la quale, guardando dalla sua altezza superbamente in basso, per quarant’ anni non si accorge affatto di genterella come me, e molto volentieri si libererebbe del grande Kant con le sue critiche, per gridare con tutto fiato evviva a Leibinz. >>[87].
La confutazione della prova ontologica, non abbisogna nemmeno dell’estetica e dell’ analitica trascendentale, è un mero gioco sofistico di concetti; già nell’ Organon aristotelico, si trova un capitolo che confuta alla radice la prova ontologica.
Nelle confutazioni della prova ontologica, cosmologica e fisicoteologica, Kant si << limita alla scuola >>[88]; se invece avesse voluto tener presente << la vita e la teologia popolare >>[89], avrebbe dovuto introdurre una quarta prova, quella cheraunologica, che si fonda sull’ idea che dinanzi a immense forze naturali, l’ uomo abbia personificato tutto ciò che lo circonda, con la speranza di riuscire ad ottenere qualcosa attraverso doni e preghiere.
Il grande merito di Kant in ambito etico, al di là delle incongruenze sull’ essenza della ragione e della contraddittorietà del dovere assoluto, è l’ aver liberato l’ etica << dai principi del mondo dell’ esperienza >> e da ogni dottrina della felicità.
Infine, nonostante gli elogi per la riflessione estetica kantiana, a Kant << l’ arte è rimasta certamente molto estranea >>[90], il quale << non ha avuto probabilmente mai occasione di vedere un’ opera d’ arte importante ( … ) >>[91]; l’ unico tributo che gli si può rendere, è l’ aver abbozzato un metodo per l’ orizzonte estetico.
Schopenhauer, asserisce di non voler procedere nemmeno nella confutazione del discorso kantiano, limitandosi a dire che la teoria del sublime è << di gran lunga più ingegnosa della critica del giudizio estetico del bello >>[92]; nonostante l’ esposizione prolissa [ Schopenhauer denuncia qualche limite anche sul piano teorico ], la parte sulla teleologia è eccellente, in quanto mostra come la natura organica non possa essere spiegata in base a cause meccaniche: << Egli nega cioè la possibilità di una tale spiegazione solo riguardo alla finalità e apparente intenzionalità dei corpi organici. >>[93].
Dopo questa breve premessa, riguardante l’ appendice Critica della filosofia kantiana e Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, è possibile addentrarci nella sua opera maggiore: Il mondo come volontà e rappresentazione.
Schopenhauer esordisce dicendo che << il mondo è la mia rappresentazione >>[94], una verità generale che gode di uno statuto a priori; la rappresentazione è qui intesa come il mondo in quanto oggetto rapportato al soggetto.
Le categorie di spazio, tempo e causalità, sono tali solo in virtù della rappresentazione, che pone come imprescindibilmente legati il soggetto e l’ oggetto, intendendo il primo come << ciò che tutto conosce e da nessuno è conosciuto >>[95].
Se a Berkeley, al di là dei suoi gravi errori, bisogna tributare un immortale onore per aver pensato questo principio, a Kant, si deve riconoscere il limite di averlo << trascurato >>[96].
Il corpo è un oggetto tra gli oggetti, che soggiace quindi << come tutti gli oggetti dell’ intuizione, nelle forme di ogni conoscere, il tempo e lo spazio >>[97], il soggetto invece, oltre a non essere conosciuto, non si trova in queste forme, << da cui anzi viene già presupposto >>[98], non avendo né pluralità né unità.
L’ assioma, secondo cui il mondo è una mia rappresentazione, soffre limiti evidenti, in quanto da un lato il mondo è << molto altro ancora >>[99], e dall’ altro, esprime solo il condizionamento dell’ oggetto da parte del soggetto, senza mostrare come il soggetto sia anch’ esso condizionato dall’ oggetto.
I due poli del mondo come rappresentazione, sono il soggetto privato delle forme del suo conoscere, e la materia senza forma e qualità; entrambi sono inconoscibili e condizioni fondamentali di ogni intuizione empirica. Il soggetto non è nel tempo e la materia [ pura e non specifica ] che gli si contrappone, è eterna e imperitura; soggetto e materia, appartengono al fenomeno, venendo però ricavati solo per astrazione.
Schopenhauer, nel capitolo quarto dei Supplementi scrive: << In realtà, per materia pura noi pensiamo il mero agire in astratto, prescindendo del tutto dalla specie di questo agire, ossia la pura causalità stessa: e come tale essa non oggetto, bensì condizione dell’ esperienza, appunto come spazio e tempo. >>[100].
Nella tavola dei Praedicabilia a priori, nel capitolo quarto del primo libro dei Supplementi al Mondo, nella sezione sulla materia, al punto 7, si dice: << La materia non ha origine né fine: ogni nascere e perire è in essa >>[101].
La verità da non misconoscere, è che l’ intelletto e la materia siano correlati, essendo l’ unica cosa ( fenomeno ) vista da due punti vista diversi. La materia come << capacità di produrre effetti >>[102], è un’ astrazione e un oggetto per il solo pensiero; come materia determinata, da forme e qualità, è oggetto dell’ intuizione.
Il soggetto e l’ oggetto, sono metà << inseparabili >>[103], che hanno senso solo nella loro correlazione reciproca; la comunanza dei limiti che intercorre tra i due membri, si comprende alla luce di quelle forme essenziali dell’ oggetto, il tempo, lo spazio e la causalità, che mediante l’ insegnamento kantiano possono essere rinvenute a – priori nel soggetto stesso.
Le nostre rappresentazioni – scrive Schopenhauer – si distinguono in intuitive ed astratte, di cui sole le ultime sono patrimonio esclusivo dell’ uomo e comprende la classe dei concetti, forgiati dalla ragione.
Le rappresentazioni intuitive invece, abbracciano << tutto il mondo visibile >>[104], come l’ intera esperienza, connessa con le condizioni della sua possibilità, tempo e spazio.
Il mondo come rappresentazione, soggiace alle categorie dello spazio, del tempo e della causalità; il principio di ragione sufficiente, la cui struttura è quadruplice, si può riscontrare nel tempo come successione, inoltre esso domina lo spazio, che non è nient’ altro se non << la possibilità delle determinazioni scambievoli delle sue parti fra loro >>[105].
Schopenhauer poche righe prima, infatti aveva parlato il principio di ragion dell’ essere: << è nel tempo la successione dei suoi momenti e nello spazio la posizione delle sue parti determinatesi reciprocamente all’ infinito. >>[106].
La causalità quindi, esaurisce la materia, il suo essere è il suo agire scrive Schopenhauer, notando peraltro che in tedesco “ l’ insieme di tutto ciò che è materiale “ è stato detto Wirklichkeit “[107].
Risulta però necessario, che spazio e tempo, non sussistano per sé, bensì in un legame di correlazione e connessione reciproca, tale da rendere possibile la causalità, che diversamente non ci sarebbe, facendo venire a mancare la materia stessa: << Ciò che viene determinato dalla legge di causalità non è dunque la successione degli stati nel solo tempo, bensì questa successione in relazione a un determinato spazio, e non l’ esistenza degli stati in un determinato luogo, bensì in questo luogo in questo tempo. >> [108].
Se il tempo è onnipresente, in quanto ogni sua parte è dappertutto, in tutto lo spazio e quindi simultaneamente, lo spazio è eterno.
Se nel mero spazio tutto sarebbe << rigido e immobile >>[109], nel mero tempo tutto sarebbe << fuggevole >>[110], è nella duplice correlazione, che si può parlare di simultaneità, durata e cambiamento della materia: << Viceversa ogni causalità, cioè ogni materia, e per conseguenza tutta la realtà è solo per l’ intelletto, grazie all’ intelletto e nell’ intelletto. >>[111].
Schopenhauer dopo aver parlato delle forme pure spazio e tempo, riferendosi all’ intelletto puro, così scrive: << Ma come all’ apparire del sole rifulge il mondo visibile, così l’ intelletto trasforma d’ un colpo, con la sua unica, semplice funzione, la sensazione letargica, che non dice nulla, in intuizione. Ciò che l’ occhio, l’ orecchio, la mano sentono, non è l’ intuizione: sono meri dati. Solo in quanto l’ intelletto passa dall’ effetto alla causa il mondo esiste, esteso nello spazio come intuizione, mutevole quanto alla forma, persistente in ogni tempo quanto alla materia; giacché unisce spazio e tempo nella rappresentazione della materia, ossia dell’attività. Questo mondo come rappresentazione esiste, come solo grazie all’ intelletto, anche solo per l’ intelletto. >>[112].
Si evince che ogni intuizione, non è << meramente sensuale >>[113], ma intellettuale, nella misura in cui è gnoseologia della causa dall’ effetto, solo in questo modo si possono superare quelle che sono le critiche di Hume.
Schopenhauer invita il lettore, a guardarsi bene dal cadere nell’ equivoco, che il rapporto causale sussista tra il soggetto e l’ oggetto; tale nesso si presenta solo e sempre tra l’ oggetto immediato e quello mediato, proprio da tale fraintendimento sono sorte le sterili polemiche tra il realismo, lo scetticismo e l’ idealismo.
Se il realismo << pone l’ oggetto come causa >>[114], l’ idealismo fichtiano << fa dell’ oggetto un effetto del soggetto >>[115], lo scetticismo appare come l’ unica risposta possibile, a controversie la cui risoluzione si annuncia al di là di queste errate tesi filosofiche.
Tra soggetto ed oggetto, non può essere concepito nessun rapporto secondo il principio di ragion sufficiente; le obiezioni dei dogmatici e degli scettici, non hanno uno statuto di validità, in quanto: << Tutto il mondo degli oggetti è e rimane rappresentazione, e proprio perciò sempre e per tutta l’ eternità condizionato dal soggetto: cioè ha idealità trascendentale. >>[116].
Il problema della realtà mondo esterno, si ricollega ad una problematica di notevole rilievo: il legame che intercorre tra il sogno e la veglia.
Schopenhauer, cita Kant, il quale sosteneva che la linea di demarcazione tra il sogno e realtà, è da trovarsi nel fatto che i sogni sono brevi concatenazioni causali, la vita invece è una lunga concatenazione di cause, e quindi si distingue dai sogni.
L’ argomento kantiano – nota Schopenhauer – è difficile da dimostrare, in quanto non abbiamo la possibilità di controllare singolarmente ogni anello della catena; Hobbes invece, aveva sostenuto che è il destarci e l’ addormentarci, che ci offrono un criterio di demarcazione.
Entrambe le soluzioni, appaiono agli occhi di Schopenhauer – come non valide; dopo aver constatato le debolezze di ambedue le tesi, l’ autore si sofferma su un verso di Pindaro, nel quale si diceva che l’ uomo è il sogno di un’ ombra, per poi citare i famosi versi della Tempesta di Shakespeare, Sofocle, e La vita è sogno di Calderon.
Infine si esprime egli stesso mediante un paragone: << La vita e i sogni sono pagine di uno stesso, identico libro. La lettura fatta di seguito si chiama vita reale. Ma quando la normale ora di lettura ( il giorno ) è finita ed è venuto il momento del riposo, spesso noi sfogliamo ancora oziosamente, aprendo il libro, senza ordine e connessione, ora a una pagina ora a un’ altra: talvolta è una pagina già letta, talvolta una pagina non ancora conosciuta, ma sempre dello stesso libro.
Così una pagina letta isolatamente è in verità senza connessione con la lettura completa fatta ordinatamente; non per questo tuttavia essa differisce troppo da quest’ultima, se si pensa che anche l’ intera lettura ordinata comincia e finisce del pari improvvisamente ed è quindi da considerare solo come una pagina isolata più lunga. >>[117].
Gli errori riguardo al problema della realtà del mondo esterno, sono dovuti all’ applicazione del principio di ragione nei rapporti tra soggetto ed oggetto, e nell’utilizzo del principio di ragione del conoscere, nell’ambito di quello del divenire.
All’ interno del primo libro, Il mondo come rappresentazione, la trattazione deve soggiacere ad uno statuto di unilateralità, finché non si attingerà << la piena conoscenza dell’ essenza del mondo. >>[118]; ciò significa, che il corpo, come << oggetto immediato >>[119] è la rappresentazione che si situa come punto di partenza della conoscenza del soggetto stesso.
La conoscenza del mondo intuitivo, risiede in due condizioni, la prima espressa oggettivamente, che consiste nell’ attitudine dei corpi ad agire gli uni sugli altri, la seconda resa manifesta soggettivamente, insita nella tesi che è << l’ intelletto che rende possibile l’ intuizione >>[120].
Se il conoscere e il muoversi sono il << vero carattere dell’ animalità >>[121], in tutti gli animali e in tutti gli uomini, l’ intelletto ha la stessa forma [ la conoscenza della causalità ], ma gradi assai diversi.
La stessa concatenazione di cause ed effetti nella natura, appartiene all’ intelletto e non alla << ragione, i cui concetti astratti possono servire solo ad accogliere, fissare e collegare quelle cose che sono state immediatamente comprese >>[122].
Le scoperte di Lavoisier dell’ ossigeno, quella di Goethe sul modo di formarsi dei colori fisici, sono dovute ad un immediato ed esatto risalire dall’ effetto alla causa, una manifestazione quindi di quell’ intelletto che posseggono gli stessi animali, e non il << prodotto di lunghe deduzioni in abstracto >>[123] tipiche del procedere della ragione.
L’ acutezza, l’ acume e la sagacia dell’ intelletto nell’ orizzonte conoscitivo, diviene << avvedutezza >>[124] nella vita pratica, dell’ intelletto al servizio della volontà; la mancanza di intelletto, nei suoi vari ambiti applicativi si chiama << stupidità >>[125], lo stupido è colui che non comprende in nessi causali in natura, e quelli che vengono istituiti tra individui, cadendo così vittima dei raggiri e delle truffe.
Se negli animali possiamo misurare il loro intelletto, negli uomini, ciò non può avvenire in quanto l’ intelletto e la ragione intesa come << conoscenza astratta per concetti >>[126] si sostengono in maniera reciproca.
La non applicazione della ragione alla vita pratica è la << stoltezza >>[127], la deficienza di giudizio << scempiaggine >>[128], la mancanza di memoria << follia >>[129]; ciò che conosce la ragione si chiama << verità >>[130] [ un giudizio astratto con ragion sufficiente ], all’ intelletto spetta invece la << realtà >>[131], il contrario della verità è l’<< errore >>[132], alla realtà si contrappone invece la << parvenza >>[133]: << La ragione può sempre e solo sapere: l’ intuire è riservato al solo intelletto ed é libero dall’ influsso di quella. >>[134].
A differenza delle altre modalità di fare filosofia, Schopenhauer pone in rilievo la totale mancanza dell’ applicazione del principio di ragione, a quelli che sono i rapporti tra soggetto ed oggetto, la stessa filosofia dell’ intuizione, presenta entrambe gli errori analizzati nelle battute precedenti.
Il procedimento oggettivo, può trovare una sua applicazione ampia e generale, all’ interno del materialismo, che concepisce la materia, lo spazio e il tempo come << semplicemente esistenti >>[135], per saltare << la relazione con il soggetto >>[136] ed assumere infine la causalità come << veritas aeterna >>[137], in questo modo però si giunge ad una petitio principi, dimostrando in maniera fallace – il conoscere – quando già dall’ inizio lo si aveva postulato: << Il materialismo è quindi il tentativo di spiegare ciò che ci è dato immediatamente con ciò che ci è dato mediatamente. >>[138].
Schopenhauer, tracciando tali premesse, può concludere che l’ ideale e il fine di ogni scienza è l’ approdo al materialismo, ma allo stesso tempo, la scienza stessa non potrà mai conoscere << l’ intima essenza del mondo, né potrà andare oltre la rappresentazione >> perché è condannata ad insegnare il rapporto vigente tra le varie rappresentazioni.
Contrapposto al procedimento che partendo dall’ oggetto giunge al soggetto, sta la << pseudo filosofia >>[139] di Fichte, un falso filosofo, che ha provato meraviglia e perplessità non nella << stessa visione del mondo >>[140], ma da << un libro >>[141], che nel caso specifico di Fich