HERBERT MARCUSE:

L'uomo a una dimensione

"Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico". Con questa frase significativa inizia la lucida analisi di Herbert Marcuse della società nella quale viviamo, in perenne bilico tra la pace e la guerra: la società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore mano a mano che aumenta il pericolo.

La struttura della difesa rende la vita più facile ad un numero crescente di persone ed estende il dominio dell’uomo sulla natura; in queste circostanze, i nostri mezzi di comunicazione di massa trovano poche difficoltà nel vendere interessi particolari come se fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni ed aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, ed entrambi appaiono come la personificazione stessa della ragione. D’altro canto, la sua produttività tende a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani, la sua pace è mantenuta da una costante minaccia di guerra, la sua crescita si fonda sulla repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l’esistenza.

Le capacità intellettuali e materiali della società contemporanea sono smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata del dominio della società sull’individuo è smisuratamente più grande di quanto sia mai stata. Il modo vigente di organizzare una società è posto quindi a confronto con altri modi possibili, che si ritiene offrano migliori opportunità per alleviare la lotta dell’uomo per l’esistenza: una specifica pratica storica è posta a confronto con le sue alternative storiche.

Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. Gli uomini devono trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale. È possibile far questo solamente se si avverte il bisogno di mutare modo di vita, di negare il positivo e di rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di "distribuire dei beni" su scala sempre più ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo.

Nella società industriale avanzata, l’apparato tecnico di produzione e di distribuzione funziona non come la somma di semplici strumenti, che possono essere isolati dai loro effetti sociali e politici, ma piuttosto come un sistema che determina a priori il prodotto dell’apparato produttivo, tendente quindi a diventare totalitario in quanto determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. In tale modo esso dissolve l’opposizione tra esistenza privata ed esistenza pubblica, tra i bisogni individuali e quelli sociali.

Di fronte ai tratti totalitari di questa società, la nozione tradizionale della "neutralità" della tecnologia non può più essere sostenuta. La tecnologia come tale non può essere isolata dall’uso cui è adibita; la società tecnologica è un sistema di dominio che prende ad operare sin dal momento in cui le tecniche sono concepite ed elaborate. L’analisi di Marcuse è centrata su tendenze che operano nelle società contemporanee più sviluppate, all’interno ed all’esterno delle quali vi sono larghe zone nelle quali queste ancora non prevalgono.

Il Sessantotto e L’uomo a una dimensione

Il '68 fu l'anno della contestazione in tutto il mondo e al riguardo un importante ruolo fu svolto dagli studenti. La ribellione giovanile che ebbe origine negli USA per poi dilagare nell'Europa occidentale e in alcuni paesi dell'est europeo fu l'effetto di una crisi che si era andata preparando negli anni precedenti il 1968. L'intervento dell'URSS in Cecoslovacchia con il crollo del mito dell'Unione Sovietica, guida del socialismo reale, l'aspro conflitto tra l'URSS e Cina, la guerra USA nel Vietnam, le dubbie prospettive di uno sviluppo indefinito anche delle economie più ricche, i movimenti di liberazione dell'Africa nera, le lotte contro i regimi dittatoriali dell'America latina furono altrettanti detonatori della protesta giovanile, e nella particolare situazione italiana, la disoccupazione giovanile, la burocratizzazione del sistema universitario, l'affermazione di un potere studentesco.

In Italia e all'estero l'irrequietezza degli studenti, il rigetto dell'ordine costituito, lo smarrimento intellettuale assunsero una carica che può essere definita di carattere rivoluzionario e la loro contestazione, attraverso vari stadi, diventò globale.

Essa cominciava nell'ambito della scuola: le condizioni arretrate in cui si svolgevano, in molti nostri atenei, la vita universitaria e la ricerca scientifica, la rigidità della organizzazione degli studi poco aderente alle esigenze di una società in sviluppo, le sempre auspicate ma sempre rinviate riforme degli studi, avevano offerto più di un motivo alla protesta studentesca.

La prima bandiera della contestazione fu la denuncia dell'autoritarismo; molti ragazzi contestavano un certo modo di esercitare l'autorità in modo sbrigativo, perentorio, assoluto che corrispondeva a modelli culturali ormai respinti, si diffondeva l'utopia dell'uguaglianza assoluta di una società in cui nessuno avrebbe comandato: l'orizzonte della contestazione si allargava, le vibrazioni del movimento studentesco entravano in sintonia con atre vibrazioni in Italia e fuori, maturava la sollevazione sindacale in una lunga vigilia dell'autunno caldo. Il movimento studentesco diventava un movimento di estrema sinistra, infiammato dalle speranze di rivoluzione. Dalla scuola la contestazione si era estesa all'intera società, una società da cui tutto discendeva, non solo la scuola stessa, vecchia, corrotta, inutile, ma tutto quanto di male esisteva nel mondo, secondo la mentalità di ogni rivoluzionario che attribuisce all'ordinamento vigente ogni ingiustizia dell'Universo.

Si voleva, quindi, trasformare il mondo del futuro, cambiare il sistema nel suo insieme.

La realtà studentesca italiana, partita dalla prima occupazione di Pisa l'8 febbraio 1967 visse momenti di duri scontri con la polizia come la famosa "battaglia" di Valle Giulia a Roma, primo maggio tra gli studenti e forze dell'ordine. Gli studenti, che non si limitavano più a semplici rivendicazioni sugli esami, accusati di pigrizia, di volere esami più facili per essere promossi senza fatica, esigevano ormai obiettivi più importanti e tentarono di coinvolgere le fabbriche e i sindacati ma questi non si lasciarono coinvolgere e così lo Stato vinse e gli studenti ottennero ben poco. La scuola rimase quella che era, eppure come ci dice Francesco Alberoni, che visse appieno questi anni, "con il '68 l'italiano ha scoperto a fondo i suoi diritti, il gusto della libertà, ha perso la riverenza verso le tradizioni oppressive, ha rotto col passato per poter evolvere". Il '68 è stato visto quindi come un momento positivo, un passo importante per lo sviluppo degli italiani, una presa di coscienza delle proprie potenzialità, ma c'è anche chi ha voluto porre l'accento, come Piero Ottone, giornalista dal cui articolo abbiamo tratto riferimento, sulla frustrazione della sconfitta che potrebbe essere una delle reazioni del nascente terrorismo che insanguinò il nostro paese negli anni che seguirono il '68. Questi moti sessantottini non furono né improvvisati né tantomeno nacquero spontanei, ma come ogni movimento ebbero una base ideologica. Tale base fu fornita dalla "Scuola di Francoforte" e soprattutto dai testi di H. Marcuse (Eros e Civiltà, edito nel 1955 e "L'Uomo a una dimensione", edito nel 1964).

La scuola di Francoforte, formatasi a partire dal 1922 presso il celebre "Istituto per la ricerca sociale", sul piano filosofico è sostanzialmente una teoria critica della società presente alla luce dell'ideale rivoluzionario di un'umanità futura, libera e disalienata. Essa intende porsi come pensiero critico e negativo nei confronti dell'esistente, teso a smascherarne le contraddizioni profonde e nascoste mediante un modello utopico in grado di fornire un'incitazione rivoluzionaria per un suo mutamento radicale. Marcuse, uno dei maggiori esponenti della scuola di Francoforte polemizza, appunto, contro la società repressiva in difesa dell'individuo e della sua felicità, e con le sue opere fomenta quindi e dà la base razionale, filosofica al movimento del '68. Già in "Eros e Civiltà" Marcuse ritiene che la società di classe si sia sviluppata reprimendo gli istinti e la ricerca del piacere degli uomini impedendo agli uomini la libera soddisfazione dei suoi bisogni, delle sue passioni. L'istintività, il piacere sono stati asserviti da ciò che lui chiama "principio della prestazione" cioè la direttiva di impiegare tutte le energie psico-fisiche dell'individuo per scopi produttivi e lavorativi. Ma la civiltà della prestazione non può far tacere del tutto gli impulsi primordiali verso il piacere, la cui memoria è conservata dall'inconscio e dalle sue fantasie.

Inoltre Marcuse ritiene che tale principio di prestazione abbia creato "le precondizioni storiche per la sua stessa abolizione" poiché lo sviluppo tecnologico e l'automatismo hanno posto le premesse per una diminuzione radicale della quantità di energia investita nel lavoro, a tutto vantaggio dell'eros e di un lavoro quale attività libera e creatrice.

L'Utopia di Marcuse è, in sostanza, il desiderio di un paradiso ricreato in base alla conquista della civiltà. Nell'Uomo a una dimensione Marcuse riprende e radicalizza i vari motivi di critica della società tecnologica avanzata.

L'uomo a una sola dimensione è l'individuo alienato della società attuale, è colui per il quale la ragione è identificata con la realtà. Per lui non c'è più distacco tra ciò che è e ciò che deve essere, per cui al di fuori del sistema in cui vive non ci sono altri possibili modi di essere. Il sistema tecnologico ha, infatti, la capacità di far apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire l'individuo in un frenetico universo cosmico in cui possa mimetizzarsi. Il sistema si ammanta di forme pluralistiche e democratiche che però sono puramente illusorie perché le decisioni in realtà sono sempre nelle mani di pochi. "Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà – egli afferma - prevale nella civiltà industriale avanzata segno di progresso tecnico"; la stessa tolleranza di cui si vanta tale società è repressiva perché è valida soltanto riguardo a ciò che non mette in discussione il sistema stesso. Tuttavia la società tecnologica non riesce ad imbavagliare tutti i problemi e soprattutto la contraddizione di fondo che la costituisce, quella tra il potenziale possesso dei mezzi atti a soddisfare i bisogni umani e l'indirizzo conservatore di una politica che nega a taluni gruppi l'appagamento dei bisogni primari e stordisce il resto della popolazione con l'appagamento dei bisogni fittizi. Tale situazione fa sì che il soggetto rivoluzionario non sia più quello individuato dal marxismo classico, cioè la classe operaia, in quanto questa si è completamente integrata nel sistema, bensì quello rappresentato dai gruppi esclusi dalla benestante società, quello che Marcuse in un passo chiave del suo libro descrive come: "il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico, la loro presenza prova quanto sia immediato e reale il bisogno di porre fine a condizioni e istituzioni intollerabili. Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. Perciò la loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola la regola del gioco e così facendo mostra che è un gioco truccato". Questi gruppi possono incarnare il Grande Rifiuto, l'opposizione totale al sistema e porre le basi per la traduzione dell'utopia in realtà, anche se le capacità economiche e tecniche degli Stati sono abbastanza ampie da permettere aggiustamenti e concessioni a favore dei sottoproletari e le loro forze armate sono abbastanza addestrate ed equipaggiate per far fronte alle situazioni di emergenza. Tuttavia lo spettro è di nuovo presente dentro e fuori i confini delle società avanzate. In uno scritto del 1967 Marcuse ha parlato di una fine dell'utopia, alludendo al fatto che esistessero le precondizioni materiali e tecniche, i "luoghi" dove le utopie potessero finalmente abbandonare i "non luoghi" dell'astrazione e concretizzarsi nella realtà; tuttavia, dobbiamo ribadirlo, ciò era soltanto una possibilità e per questa possibilità, per il grande rifiuto, molti hanno dato e danno la loro vita.

Parlando dell'"Uomo a una dimensione" il sociologo Luciano Gallino afferma che "esso anticipa i termini delle questioni odierne e ciò lo fa apparire moderno. Esso può sembrare un libro scomodo, irritante, poiché non privo dell'arroganza di chi presume di possedere un intelletto dalle capacità diagnostiche quasi infallibili, come d'altronde appaiono la maggior parte delle opere della scuola di Francoforte. Ma è anche un libro che obbliga a riflettere su ciò che dobbiamo decidere e fare, qui e ora al fine di trasformare noi stessi e la società in cui viviamo, in direzione di un'esistenza che non sia come l'attuale, il regno di un'abile e previggente applicazione di mezzi efficienti per scopi presi alla cieca, ma un'esistenza in cui la ragione oggettiva, con la sua capacità di individuare l'essenza della realtà suggerisca i nostri scopi e le correlative azioni, stabilendo e interiorizzando nuovi rapporti con società fino ad ora sottoprivilegiate che non sono più disposte ad accettare l'attuale disuguaglianza dei privilegi, prima che sia la storia, se non domani, ma forse domani l'altro, a trasformare brutalmente noi in strumenti dei suoi scopi più ciechi".

 

Passi tratti da L’uomo a una dimensione

"La borghesia e il proletariato, nel mondo capitalista, sono ancora le classi fondamentali, tuttavia lo sviluppo capitalista ha alterato la struttura e la funzione di queste due classi rendendole inefficaci come agenti di trasformazione storica. Un interesse prepotente per la conservazione ed il miglioramento dello status quo istituzionale unisce gli antagonisti d’un tempo nelle aree più avanzate della società contemporanea"…..

"La lotta per la soluzione ha superato le forme tradizionali. Le tendenze totalitarie della società unidimensionale rendono inefficaci le vie ed i mezzi tradizionali di protesta"….

"Al di sotto della base popolare conservatrice vi è il sostrato dei reietti e degli stranieri. Essi permangono al di fuori del processo democratico. Le loro condizioni e situazioni sono intollerabili. La loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori; è una forza elementare che viola le regole del gioco, così facendo mostra che è un gioco truccato. La loro forza si avverte dietro ogni dimostrazione politica per le vittime della legge e dell’ordine. Il fatto che essi incomincino a rifiutare di prendere parte al gioco può essere il fatto che segna l’inizio della fine di un periodo "….

I MEDIA E L’ILLIBERTA’ (L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1967, pagg. 253-255)

Alla negazione della libertà, e perfino della possibilità della libertà, corrisponde la concessione di libertà atte a rafforzare la repressione. È spaventoso il modo in cui si permette alla popolazione di distruggere la pace ovunque vi sia ancora pace e silenzio, di essere laidi e rendere laide le cose, di lordare l’intimità, di offendere la buona creanza. È spaventoso perché rivela lo sforzo legittimo e persino organizzato di conculcare l’Altro nel suo proprio diritto, di prevenire l’autonomia anche in una piccola, riservata sfera dell’esistenza. Nei paesi supersviluppati, una parte sempre piú larga della popolazione diventa un immenso uditorio di prigionieri, catturati non da un regime totalitario ma dalle libertà dei concittadini i cui media di divertimento e di elevazione costringono l’Altro a condividere ciò che essi sentono, vedono e odorano.

Come può una società ch’è incapace di proteggere la sfera privata dell’individuo persino tra i quattro muri di casa sua asserire legittimamente di rispettare l’individuo e di essere una società libera? È ovvio che una società vien definita libera da ben altri fondamentali risultati, oltre che dall’autonomia dei privati. Eppure, l’assenza di quest’ultima vizia anche le maggiori istituzioni della libertà economica e politica, negando la libertà alle sue nascoste radici. La socializzazione di massa comincia nella casa ed arresta lo sviluppo della consapevolezza e della coscienza. Per giungere all’autonomia si richiedono condizioni in cui le dimensioni represse dell’esperienza possano tornare di nuovo alla vita; la loro liberazione richiede la repressione delle soddisfazioni e dei bisogni eteronomi che organizzano la vita in questa società. Quanto piú essi son diventati le soddisfazioni ed i bisogni propri dell’individuo, tanto piú la loro repressione apparirebbe come una privazione davvero fatale. Ma proprio in virtú di tale carattere fatale essa può produrre il requisito soggettivo primario per un mutamento qualitativo, vale a dire la ridefinizione dei bisogni.

Si prenda un esempio (sfortunatamente fantastico): la semplice assenza di ogni pubblicità e di ogni mezzo indottrinante di informazione e di trattenimento precipiterebbe l’individuo in un vuoto traumatico in cui egli avrebbe la possibilità di farsi delle domande e di pensare, di conoscere se stesso (o piuttosto la negazione di se stesso) e la sua società. Privato dei suoi falsi padri, dei capi, degli amici, e dei rappresentanti, egli dovrebbe imparare di bel nuovo il suo ABC. Ma le parole e le frasi che egli formerebbe potrebbero venir fuori in modo affatto diverso, e cosí dicasi delle sue aspirazioni e paure.

È certo che una situazione simile sarebbe un incubo insopportabile. Mentre la gente può sopportare la produzione continua di armi nucleari, di pioggia radioattiva, e di alimenti discutibili, essa non può (proprio per questa ragione!) tollerare di essere privata del trattenimento e dell’educazione che la rende capace di riprodurre i meccanismi predisposti per la sua difesa o per la sua distruzione. L’arresto della televisione e degli altri media che l’affiancano potrebbe quindi contribuire a provocare ciò che le contraddizioni inerenti del capitalismo non provocarono – la disintegrazione del sistema. La creazione di bisogni repressivi è diventata da lungo tempo parte del lavoro socialmente necessario – necessario nel senso che senza di esso il modo stabilito di produzione non potrebbe reggersi. Qui non sono in gioco né problemi di psicologia né problemi di estetica, ma piuttosto la base materiale del dominio.

IRRAZIONALITA’ NELLA RAGIONE (L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1964, pagg. 11-13)

Nell’impossibilità di indicare in concreto quali agenti ed enti di mutamento sociale sono disponibili, la critica è costretta ad arretrare verso un alto livello di astrazione. Non v’è alcun terreno su cui la teoria e la pratica, il pensiero e l’azione si incontrino. Persino l’analisi strettamente empirica delle alternative storiche sembra essere una speculazione irrealistica, e il farle proprie sembra essere un fatto di preferenza personale (o di gruppo).

Ma l’assenza di agenti di mutamento confuta forse la teoria? Dinanzi a fatti apparentemente contraddittori, l’analisi critica continua ad insistere che il bisogno di un mutamento qualitativo non è mai stato cosí urgente. Ma chi ne ha bisogno? La risposta è pur sempre la stessa: è la società come un tutto ad averne bisogno, per ciascuno dei suoi membri. L’unione di una produttività crescente e di una crescente capacità di distruzione; la politica condotta sull’orlo dell’annientamento; la resa del pensiero, della speranza, della paura alle decisioni delle potenze in atto; il perdurare della povertà in presenza di una ricchezza senza precedenti costituiscono la piú imparziale delle accuse, anche se non sono la raison d’être di questa società ma solamente il suo sottoprodotto: la sua razionalità travolgente, motore di efficienza e di sviluppo, è essa stessa irrazionale.

Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. La distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il bisogno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di "distribuire dei beni" su scala sempre piú ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo.

Posto dinanzi al carattere totale delle realizzazioni della società industriale avanzata, la teoria critica si trova priva di argomenti razionali per trascendere la società stessa. Il vuoto giunge a svuotare la stessa struttura della teoria, posto che le categorie di una teoria sociale critica sono state sviluppate nel periodo in cui il bisogno di respingere e sovvertire era incorporato nell’azione di forze sociali efficaci. Tali categorie erano in essenza dei concetti negativi, dei concetti d’opposizione, i quali definivano le contraddizioni realmente esistenti nella società europea dell’Ottocento. Perfino la categoria "società" esprimeva l’acuto conflitto esistente tra la sfera sociale e quella politica – la società era antagonista rispetto allo Stato. Del pari, termini come individuo, classe, privato, famiglia, denotavano sfere e forze non ancora integrate con le condizioni vigenti, erano sfere di tensione e di contraddizione. Con la crescente integrazione della società industriale, queste categorie vanno perdendo la loro connotazione critica e tendono a diventare termini descrittivi, ingannevoli od operativi.

Un tentativo di riprendere l’intento critico di queste categorie, e di comprendere come l’intento sia stato soppresso dalla realtà sociale, si configura in partenza come una regressione da una teoria congiunta con la pratica storica ad un pensiero astratto, speculativo: dalla critica dell’economia politica alla filosofia. Tale carattere ideologico della critica deriva dal fatto che l’analisi è costretta a procedere da una posizione "esterna" rispetto alla tendenze positive come a quelle negative, alle tendenze produttive come a quelle distruttive nella società. La società industriale moderna rappresenta l’identità diffusa di questi opposti – è il tutto che è in questione. Al tempo stesso la teoria non può assumere una posizione meramente speculativa; deve essere una posizione storica, nel senso che deve essere fondata sulle capacità di una data società.

Questa situazione ambigua implica una ambiguità ancora piú fondamentale. L’uomo a una dimensione oscillerà da capo a fondo tra due ipotesi contraddittorie: 1) che la società industriale avanzata sia capace di reprimere ogni mutamento qualitativo per il futuro che si può prevedere; 2) che esistano oggi forze e tendenze capaci di interrompere tale operazione repressiva e fare esplodere la società. Io non credo si possa dare una risposta netta; ambedue le tendenze sono tra noi, fianco a fianco, ed anzi avviene che una includa l’altra. La prima tendenza predomina e qualsiasi condizione possa darsi per rovesciare la situazione viene usata per impedire che ciò avvenga. La situazione potrebbe essere modificata da un incidente, ma, a meno che il riconoscimento di quanto viene fatto e di quanto viene impedito sovverta la coscienza e il comportamento dell’uomo, nemmeno una catastrofe produrrà il mutamento.

LA RAZIONALITA’ SCIENTIFICA NON E’ UN SAPERE NEUTRO

A mo’ di sommario, possiamo ora cercare di identificare piú chiaramente il soggetto occulto della razionalità scientifica ed i fini nascosti nella sua forma pura. Il concetto scientifico di una natura universalmente controllabile configurò la natura come materia-in-funzione senza fine, mero oggetto di teoria e di pratica. In questa forma, il mondo-oggetto entrò a far parte della costruzione di un universo tecnologico – un universo di strumenti mentali e fisici, di mezzi in sé. Si tratta quindi di un sistema veramente "ipotetico", che dipende da un soggetto verificante e validante.

I processi di validazione e di verifica possono essere puramente teorici ma non avvengono mai nel vuoto, e mai hanno termine in una mente privata, individuale. Il sistema ipotetico di forme e funzioni viene a dipendere da un altro sistema – un universo di scopi prestabilito, nel quale e per il quale esso si sviluppa. Ciò che appariva estraneo, alieno al progetto teoretico, si mostra come parte della sua stessa struttura (metodo e concetti); l’oggettività pura si rivela quale oggetto per una soggettività che provvede il Telos, i fini. Nella costruzione della realtà tecnologica non c’è nulla di simile ad un ordine scientifico puramente razionale; il processo della razionalità tecnologica è un processo politico.

Soltanto nel medium della tecnologia l’uomo e la natura diventano oggetti fungibili di un’organizzazione. L’efficacia e la produttività universali dell’apparato nel quale essi sono inclusi occultano gli interessi particolari che organizzano l’apparato. In altre parole, la tecnologia è diventata il maggior veicolo di reificazione – di reificazione nella sua forma piú matura ed efficace. Non soltanto la posizione sociale dell’individuo e la sua relazione con gli altri appaiono determinate da qualità e da leggi oggettive, ma queste sembrano perdere il loro carattere misterioso ed incontrollabile, e appaiono come manifestazioni calcolabili della razionalità (scientifica). Il mondo tende a diventare materia di amministrazione totale, che assorbe in sé anche gli amministratori. La tela di ragno del dominio è diventata la tela della Ragione stessa, e la società presente è fatalmente invischiata in essa. Ed i modi trascendenti del pensiero appaiono trascendere la stessa Ragione.

In queste condizioni, il pensiero scientifico (scientifico nel senso piú lato, in quanto opposto al pensiero confuso, metafisico, emotivo ed illogico) assume, al di fuori delle scienze fisiche, la veste di un formalismo puro e in sé conchiuso (simbolismo) da un lato, e dall’altro lato quella di un empirismo totale. (Il contrasto non è un conflitto. Si osservi l’applicazione empirica della matematica e della logica simbolica nelle industrie elettroniche). In relazione all’universo stabilito di discorso e di comportamento, la non-contraddizione e la non-trascendenza sono il denominatore comune. L’empirismo totale rivela la sua funzione ideologica nella filosofia contemporanea.

LA SPERANZA E’ NEI GIOVANI

Il vecchio detto americano "sediamoci a ragionare" è giustamente diventato una battuta. È possibile ragionare con il Pentagono di qualcosa che non sia l’efficienza relativa delle macchine per uccidere e il loro prezzo? Il ministro degli Interni può ben ragionare con il ministro e con i suoi consiglieri, e tutti insieme con i membri del consiglio delle grandi industrie. Ma è un ragionare incestuoso, perché sono tutti d’accordo sul punto fondamentale: il rafforzamento della struttura del potere costituito. Pensare di ragionare "dall’esterno" di questa struttura è ingenuo. Loro staranno a sentire solo nella misura in cui le voci si possono tradurre in voti, che forse potranno mettere sul cadreghino un altro gruppo della stessa struttura che ha lo stesso interesse di base.

È un argomento schiacciante. Beltolt Brecht osservava che viviamo in un tempo in cui parlare di un albero sembra un delitto, e da allora le cose sono peggiorate. Oggi sembra un crimine il solo parlare di cambiamenti, mentre la società si sta trasformando in un’istituzione di violenza, e in Asia sta compiendosi il genocidio iniziato con l’eliminazione degli indiani d’America. Il semplice potere di questa brutalità non è forse invulnerabile alle parole, pronunciate o scritte, che lo mettono sotto accusa? E le parole dirette contro chi pratica questo potere non sono forse le stesse che vengono usate in sua difesa? Vi è un livello a cui sembra giustificata anche l’azione assurda: l’azione infatti colpisce, anche se solo per un momento, l’universo chiuso dell’oppressione. Il sistema ha in sé il meccanismo dell’escalation e se non la si ferma in tempo essa accelera la controrivoluzione.

Eppure anche in questo sistema vi è un tempo per le parole e un tempo per l’azione, tempi scanditi (segnati) dallo schieramento concreto delle forze sociali. Dove manca l’azione rivoluzionaria di massa e la sinistra è tanto piú debole, le sue azioni devono autolimitarsi. Ciò che alla ribellione è imposto dalla repressione sempre piú dura e dalle forze distruttive sempre piú concentrate nelle mani della struttura di potere, deve diventare il terreno su cui ricomporsi e impostare le nuove analisi. Occorre sviluppare strategie adatte a combattere la controrivoluzione. Il risultato della lotta dipenderà in larga misura dalla capacità dei giovani, non di integrarsi né di escludersi dalla società, ma di imparare a ricomporsi dopo la sconfitta, a sviluppare una nuova razionalità insieme con la nuova sensibilità, a reggere il lungo processo educativo – indispensabile condizione per il passaggio a un’azione politica di vasta portata. La prossima rivoluzione terrà infatti occupate generazioni e generazioni, e la "crisi finale del capitalismo" potrà durare anche un secolo.

 


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