Siamo abituati a valutare la filosofia e la teologia bizantina in base ad antichissimi pregiudizi per i quali i dotti di Costantinopoli del XIV secolo si preoccupavano di discettare sul sesso degli angeli e su altre questioni "bizantine" mentre i Turchi erano alle porte della città e l'Impero Romano d'Oriente sull'orlo del tracollo. La pubblicazione presso Bompiani delle opere di Gregorio Palamas, tradotto per la prima volta in una lingua occidentale, ci offre uno squarcio prezioso del dibattito che negli anni fra il 1336 e il 1347 animava le Chiese d'Oriente e le Chiese d'Occidente, soprattutto sull'annosa questione del Filioque e cancella in un sol colpo questi pregiudizi. Palamas (1296-1359) è una delle più grandi figure della Chiesa ortodossa, accostato ai grandi Padri greci che ne pensarono e ispirarono la struttura, ovvero Basilio di Cesarea, Giovanni Crisostomo e Gregorio di Nazianzo. Perché questo accostamento, dopo che sono passati molti secoli? Proprio perché l'epoca in cui Palamas visse somiglia a quella protocristiana, tesa alla definizione della dottrina, dunque attraversata da feroci dibattiti; e poi perché, come nei primi secoli della Chiesa latina, lo sfaldarsi dell'Impero creava un grande disordine politico. Insomma un'epoca che, dopo un terremoto, cerca assestamento. Il giovane Gregorio, rampollo di una famiglia senatoria di Costantinopoli, esordisce con delle lezioni, pare di grande successo, su Aristotele. Intanto entra in contatto col controverso movimento esicasta, per cui soltanto tramite precisi metodi di postura e di rilassamento corporale si può raggiungere la reale contemplazione fino all'unione mistica con Dio. Così matura in Gregorio la volontà di farsi monaco e si ritira nel santuario del Monte Athos. Dopo tre anni di eremitaggio, torna nel mondo, a Tessalonica, dove prende i voti, per tornare nel 1335 sul Monte Athos. A Costantinopoli intanto giunge una commissione papale da Roma, per discutere per l'ennesima volta la riunificazione delle due Chiese, dopo il clamoroso fallimento del concilio di Lione nel 1274. L'imperatore bizantino Andronico III incarica Barlaam, un monaco greco nato e vissuto in Italia, di redigere un documento di difesa delle posizioni ortodosse. Barlaam sostiene che né le tesi ortodosse, secondo cui nella Trinità lo Spirito Santo procede solo dal Padre, né quelle occidentali, per cui la processione avviene sia dal Padre sia dal Figlio (come del resto recitiamo nel Credo) possono essere filosoficamente dimostrate: l'Assoluto è inafferrabile e non se ne dà dimostrazione, quindi le dispute in atto sono insensate. Con i Turchi che minacciano i confini dell'Impero Bizantino, l'unificazione fra cattolici e ortodossi non deriva solo da preoccupazioni di carattere dottrinale, ma anche politiche perché garantirebbe la protezione delle potenze occidentali. Intorno a Barlaam si raccoglierà tutta l'ala occidentalizzante del mondo greco-orientale. La risposta dell'ala rigorista sarà invece affidata a Palamas e segnerà l'esordio della sua immensa produzione: a partire dalla tradizione della Scrittura e dai Padri è possibile articolare sillogismi dimostrativi sulle realtà divine; egli difende la processione dello Spirito soltanto dal Padre. Il volume raccoglie questi testi ed è così composto: dopo la ricca introduzione del curatore Ettore Perrella (psicanalista versato in filosofia e teologia) vengono significativamente riprodotte due lettere: una del Patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli, e l'altra del Cardinal Carlo Maria Martini, Arcivescovo emerito di Milano; esse attestano che oggi l'unione delle due Chiese, Cattolica e Ortodossa, ormai è matura e che l'occasione storica della prossima unità politica dell'Europa non può che facilitare questo cammino; del resto anche Giovanni Paolo II ha spesso ricordato che il Cristianesimo europeo respira con due polmoni, l'Oriente e l'Occidente. Seguono i testi di Palamas: nei Discorsi dimostrativi sulla processione dello Spirito Santo c'è il nucleo della disputa teologica trinitaria. Nei Discorsi in difesa dei santi esicasti Palamas respinge la stravagante accusa di onfalopsichia, vale a dire di considerare l'ombelico come sede dell'anima, accusa che Barlaam aveva rivolto ai monaci di Oriente travisando i loro esercizi spirituali uniti anche a metodi corporali di meditazione. Seguono Triadi, Difesa da Barlaam ed Acindino, Atti divini, La partecipazione divina e deificante, Verso la riconciliazione (Dialogo di un ortodosso con un barlaamita), Teofane, Sono Barlaam ed Acindino a dividere davvero in modo errato ed ateo la deità una in due deità di non pari livello. Il volume si conclude con la Vita di Palamas di Filoteo Konkinos. Abbiamo ricordato che Palamas fu studioso di Aristotele; ma la sua teologia fa riferimento piuttosto a Platone e al neoplatonismo: non è un caso che, nel fortunato volume Plato Christianus, E. von Ivanka pone gli scritti dello pseudo-Dionigi Areopagita e quelli di Palamas rispettivamente come punto di partenza e punto di arrivo del platonismo cristiano di lingua greca.
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