LUIGI PAREYSON
INDICE
Nato a Piasco (Cuneo) il 4 febbraio 1918, Luigi Pareyson si laurea in filosofia all'università di Torino nel 1939 e segue i corsi di Karl Jaspers ad Heidelberg. Professore a Cuneo, durante la guerra partecipa alla Resistenza insieme a Pietro Chiodi. Nel 1950 diviene professore ordinario prima a Pavia e poi, dal 1952 al 1988 , a Torino, dove insegna Estetica e Filosofia teoretica, succedendo ad Augusto Guzzo . A Torino sono stati suoi allievi Valerio Verra, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Sergio Givone e numerosi altri studiosi italiani. E' stato accademico dei Lincei, membro delll'Institut international de philosophie e direttore della Rivista di estetica. E' morto a Rapallo l'8 settembre 1991. Pareyson è indubbiamente uno dei maggiori filosofi italiani del XX secolo: egli sviluppa l'
Personalismo ontologico, espressione e rivelazione, interpretazione
: Il panorama filosofico in cui si muove Luigi Pareyson (Piasco 1918, Milano 1991) è l' esistenzialismo (o, forse più propriamente, la filosofia dell'esistenza); non però un esistenzialismo vittimistico, né materialistico o immanentistico, né spiritualistico, né nichilistico. Pareyson adotta il termine di personalismo ontologico : l'uomo, da un lato, è costitutivamente apertura verso l'essere, rapporto ontologico; dall'altro, non è né individuo singolo né funzione della società, bensì propriamente persona, ovvero fusione di apertura ontologica (aspetto universale) e di carattere storico (aspetto particolare). Non unicamente trascendenza (perderemmo la ricchezza e l'unicità della singola esistenza concreta), non unicamente storicità (perderemmo la speranza del dialogo alla luce di un qualche principio universale). L'uomo è persona, e la persona è rapporto verso l'essere, ed ha storia (non ha l'essere, non lo possiede interamente; non è storia, non si riduce alla storicità dell'esistenza). La stessa filosofia non può essere semplice pensiero espressivo , portavoce unicamente dell'aspetto storico e particolare dell'esistenza umana, ma deve essere invece pensiero rivelativo , al tempo stesso ascolto dell'essere e considerazione della storicità umana. Dimentico della verità dell'essere, il pensiero espressivo distorce la natura dell'uomo e diviene pensiero strumentale, vuota ideologia, occasione per la volontà di potenza. Come può essere conosciuta la verità ? Non la si può possedere interamente, in quanto trascendente; ma non siamo neppure condannati all'assoluto silenzio, poiché è la verità stessa che si offre al nostro ascolto. D'altro canto, non è che la conoscenza della verità sia talmente ardua da divenire sostanzialmente vana ed impossibile: nel conoscerla, la possediamo davvero, per quanto non la esauriamo, così come ad una sorgente inesauribile ci si abbevera davvero, ma non la si finisce. La verità si dona a noi, ma nessuno può dire di possederla del tutto, né di essere l'unico a possederla; la verità si nasconde, ma nessuno deve scoraggiarsi dal cercarla ponendosi in ascolto. Una tale forma di conoscenza è l' interpretazione . E' interpretazione della verità, non arbitraria espressione del soggetto; è sempre personale, cioè accompagna l'aspetto rivelativo con quello espressivo, per cui la storicità del soggetto, lungi dal corrompere la conoscenza o dal farci cadere nel relativismo, è piuttosto lo strumento prezioso con cui possiamo penetrare la verità; è dialettica di presenza e nascondimento della verità; è rispettosa delle altrui interpretazioni, essendo il dialogo possibile (unica è la verità) e necessario (come strumento della sociabilità umana); è testimonianza personale, richiedendo che il soggetto scelga, scommetta, metta in gioco se stesso, senza sufficienza, presunzione, scetticismo. Una siffatta conoscenza interpretativa mette capo ad una teoria ermeneutica dal carattere insieme ontologico e personalistico (sulla quale Pareyson ha modellato anche una originale teoria estetica della formatività , su cui non ci soffermiamo). Probabilmente, il rischio costante di tale impostazione è quello del relativismo; ma non si deve chiedere alla filosofia di essere ricetta univoca e sistematica per risolvere le controversie, altrimenti cadremmo di nuovo in un pensiero strumentale, tecnico, ideologico. Ogni interpretazione è un impegno personale, e il dialogo fra gli uomini è cosa ardua senza soluzioni precostituite, con il costante rischio della sconfitta. La risposta va cercata di continuo, questa è la responsabilità dell'esistenza.Filosofia della libertà ed ermeneutica dell'esperienza religiosa
: Ora, alla luce di quanto detto a proposito di personalismo ontologico, di pensiero rivelativo e di ermeneutica, qual è la filosofia possibile? Innanzitutto una filosofia che sia universalizzante e rivelativa, e non solo storicistica ed espressiva dei tempi che cambiano; e ciò è possibile, ammettendo la presenza non muta della verità. In secondo luogo, la filosofia non può più ambire ad essere oggettivante, assolutamente razionalistica, astratta. Non oggettivante perché l'essere e la verità non possono venire rinchiusi nelle definizioni e nelle categorie umane; l'uomo partecipa dell'essere, è rapporto con l'essere, benché non sia l'essere, da cui invece è sempre trasceso, e incommensurabilmente distanziato. Non razionalistica, in senso assoluto ad acritico, perché di nuovo l'essere non può essere limitato negli angusti recinti della ragione umana; e non si può muovere a tal proposito l'accusa di irrazionalismo o superstizione, giacché è semmai il razionalismo acritico a peccare irrimediabilmente di cecità, nel momento in cui non vuole, anzi non può riconoscere la premessa gratuita e non razionale che ne sta alla base, ovvero il principio che tutto sia conoscibile razionalmente (se non ora, in futuro). Non astratta, poiché la filosofia deve in primo luogo rendere conto dell'esistenza concreta dell'uomo, senza perdersi in fantasiosi sistemi totalizzanti che pretendono di spiegare l'universo e Dio, mentre finiscono per dimenticare chi è l'uomo, con le sue speranze e i suoi drammi. Soprattutto, per poter sperare di capire la natura delle vicende dell'intero universo e della storia umana in particolare, la filosofia non può più essere necessitaristica. La necessità è uno strumento comodo per imbrigliare la realtà e l'essere stesso in un qualche principio di ragione, per alleggerire la coscienza morale affidandosi all'inevitabilità del fato, per eludere l'incombente problema del male, per giustificare azioni prepotenti. E' un peso legato al collo di Dio, del cosmo e dell'uomo. Ciò che invece va riscoperta - e Pareyson lo fa rileggendo e correggendo l'ultimo Schelling e Heidegger - è la libertà . Libero è l'agire di Dio, le cui azioni arbitrarie l'uomo non è degno di giudicare; libertà è l'essenza di Dio, che fu libero di scegliere il suo stesso essere, senza essere vincolato da alcuna legge di necessità; libertà è il cuore del reale, senza alcun fondamento metafisico, a cui si oppone semmai il nulla, non in senso nichilistico, ma come abisso assoluto che precede il primo atto libero di Dio, la sua autooriginazione (così come dire che Dio è il nostro nulla, cioè è totalmente altro dall'uomo, non implica alcuna caduta nichilistica); libera è la caduta dell'uomo, e tutta dell'uomo la responsabilità del peccato e del male reale; libero è il sacrificio di Cristo per assumere su di sè il peccato e la sofferenza dell'uomo e per redimerli; libero è ogni atto umano, nella scelta per l'essere o contro l'essere; libero è ogni evento, e cioè irruzione nella realtà, non prevista da alcuna possibilità e non schiava di alcuna necessità; la stessa situazione storica in cui l'uomo vive va pensata non tanto come prigione ed impedimento, quanto come occasione, spunto, suggerimento, appello alla libertà, punto di partenza e non di arrivo; la realtà non è com'è perché così deve essere, ma deve essere com'è perché così è. Naturalmente è evidente la natura tragica della libertà, della costante scelta fra le alternative, dell'inevitabile responsabilità delle proprie azioni, dell'incombente rischio del fallimento. E la stessa rinuncia alla libertà, è già una presa di posizione, una scelta, un atto di libertà. Siamo allora non in una ontologia della necessità, e nemmeno in una ontologia del nulla, ma in una ontologia della libertà , più agile e più fedele alla tragicità dell'esistenza umana del necessitarismo, più costruttiva del nichilismo. Se la libertà è il cuore del reale, allora la filosofia non può essere dimostrativa, non deve cercare leggi necessarie che spieghino alcun determinismo. La realtà, divina ed umana, è costituita di fatti, di eventi, è una storia libera di cui non si può teorizzare, ma di cui invece si deve narrare. E quando ci si avvicina all'agire divino e alla sua relazione con l'uomo, il compito di narrare gli eventi è affidato al mito . Mito non inteso come espressione irrazionale, arbitraria, superstiziosa: invece come unico modo di parlare di fatti che sfuggono alla ragione umana, senza però disperderne la carica rivelativa. Come nell'interpretazione, il mito fonde armonicamente la verità rivelata e l'espressione storica, artistica, fantastica. Il mito non fa violenza alla ragione, ma diventa l'unica via di accesso ad una verità che non può essere dimostrata, pena fare violenza alla verità. E senza ancora uscire dalla filosofia, che resta pensiero razionale e rigoroso, possiamo indagare la rivelatività del mito cercando di interpretarlo, cercando di attingere alla verità non già per trasformarla in dimostrazione scientifica, bensì per problematizzarla, interrogarla, universalizzarla. Questo è quanto si propone di fare Pareyson negli ultimi scritti, attraverso l' ermeneutica dell'esperienza religiosa (del cristianesimo in particolare).Il problema del male in Dio, nell'uomo e nel mondo
: Questa filosofia, che chiaramente si contrappone alla tradizione metafisica culminata in Hegel, porta in dote la capacità di ammettere l'esistenza del male, di comprenderlo, di darne ragione. Finché il pensiero è ancorato all'idea della necessità, e dell'essere come qualcosa di oggettivo a cui affibbiare le varie idee umane di perfezione, il male non può esistere: tutto è razionale, tutto è previsto, tutto è necessario alla storia, tutto è giustificato, tutto è com'è perché così deve essere. Al più il male è semplice sofferenza, al più è privazione dell'essere. Ma il male che si presenta nel mondo quale forza negativa e distruttrice, che non dovrebbe essere ma è, non viene e non può venire ammesso. Ciò che avviene invece nell'ontologia della libertà: ogni atto è atto di libertà, è scelta, e la scelta può avvenire per l'essere, o contro l'essere. Ecco il male reale : non come semplice privazione dell'essere, ma come consapevole rivolta contro l'essere. Il male compare a livello di pura possibilità già nell'autooriginazione divina: scegliendo di esistere Dio sceglie il bene, e scarta il male (non esistere); Dio esclude per sempre la possibilità del male che gli si presenta; Dio vince per sempre il male. Ma questo male possibile è come un'ombra in Dio, nel senso che è una possibilità sopita pronta ad essere ridestata (Pareyson usa l'espressione efficace ma ambigua di "male in Dio", rischiando di far credere in un Dio demonizzato). Sarà l'uomo, liberamente, a cogliere questa possibilità, a ribellarsi a Dio, a realizzare realmente il male, finora solo possibile; e con la caduta dell'uomo fallisce la creazione, subentrano la storia e la morte, il male si insedia nel cuore della realtà. Il male si accumula sempre più, travolgendo il mondo, e l'umanità intera ne è responsabile, è solidale nel peccato. Ma il male può essere vinto. Da parte dell'uomo, l'unica opposizione al male è data dalla sofferenza : che non è solo punizione per il peccato commesso, ma diviene strumento di espiazione, al di là della logica retributiva per cui ogni uomo dovrebbe soffrire solo per le colpe individuali e determinate commesse da lui stesso. Invece nessuno è innocente, e ciascuno deve soffrire per lavare la colpa dell'umanità intera. Ma l'uomo da solo non potrebbe compensare il male commesso ed accumulato con la sofferenza patita; occorre che addirittura Dio si faccia carico del male destato dall'uomo, assuma su di sè il peccato, divenga sofferente, si faccia mortale e patisca sulla croce; e qui, al culmine del sacrificio divino, il Cristo grida, chiede ragione al Padre, e ottiene solo silenzio: Dio abbandonato da Dio , Dio contro Dio. E' qui che la sofferenza, di per sè negativa, viene completamente ribaltata e diventa strumento per fare il bene, per riscattare il male, per tornare all'essere. E' la sofferenza di Dio stesso, è la passione di Cristo a rendere sopportabile la sofferenza umana, altrimenti disperata e vana. Così, il solo modo per dare ragione del male e della tragedia umana (e divina) è nel cristianesimo (altre filosofie negano il male; altre religioni negano non solo il male ma l'intera realtà, che sarebbe illusoria); e il cristianesimo trova una vera risposta positiva al problema del male, e pure un autentico rapporto con Dio, solo attraverso la cristologia , e non tramite una metafisica oggettivante. Il cristianesimo indicato da Pareyson è quello arricchito dalle meditazioni di Pascal e Kierkegaard e dalla sensibilità di Dostoevskij; è un cristianesimo attuale e problematico, che deve capire i problemi dell'uomo moderno per dare loro la risposta più convincente; è un cristianesimo della sofferenza, ma non masochistico o lamentoso, in contrapposizione a certo spiritualismo annacquato; è un cristianesimo consapevole della tragicità dell'esistenza, in contrapposizione a certo facile ed ingenuo ottimismo; è un cristianesimo che si rende conto della scelta sofferta e continua che richiede la testimonianza di fede, in contrapposizione ai molti cristiani nominali per abitudine; è un cristianesimo dialettico, non nel senso hegeliano, per cui ci sarebbe sempre una sintesi pronta a dissolvere lo scontro dei contrari, ma nel senso del dualismo pascaliano, per cui permane la tensione dei contrari, ciascuno dei quali è veritativo solo se accostato al proprio opposto (così la sofferenza e il sacrificio di Cristo sono inseparabili dalla redenzione e dalla resurrezione); è un cristianesimo non fatalistico, e quindi necessitaristico, ma consapevole della libertà di Dio e dell'uomo, e delle conseguenze che derivano dalle libere scelte (Dio ha vinto il male per sempre, l'uomo ha scelto il male); è un cristianesimo che si oppone con forza al tentativo di essere secolarizzato e ridotto ad una morale e ad una espressione storica.Cristianesimo e pensiero tragico
: Siamo quindi all'interno di un pensiero tragico , nel senso che non risolve le contraddizioni radicate nella realtà (anzi si ispira al paradosso kierkegaardiano come categoria logica della verità rivelata), ammette l'esistenza sia di Dio sia del male, e vede nella sofferenza, umana e divina, il solo modo per riscattare e vincere il male. Questo pensiero tragico si oppone alla teodicea, sistema filosofico tradizionale che cerca di conciliare l'onnipotenza di Dio con la sua infinita bontà, tramite la concezione del male come semplice privazione dell'essere; la teodicea ha un duro avversario in quell'ateismo che arriva a negare Dio in forza dell'esistenza del male, un male reale, che sarebbe incompatibile con l'esistenza di Dio. Ma il fatto è che l'esistenza di Dio non è incompatibile con quella del male, anzi ne è imprescindibile: il male reale esiste in quanto rivolta contro Dio; e il Dio-libertà e non necessario, il Dio vivente, prevede la possibilità (scartata da lui, accolta dall'uomo) della trasgressione e quindi del male. Allora, combinando i termini "esistenza di Dio" ed "esistenza del male" nelle varie possibilità, otteniamo quattro tipiche correnti di pensiero: nel cristianesimo esiste Dio ed esiste il male; nella teodicea esiste Dio ma non esiste il male (reale); nel nichilismo classico esiste il male ma non esiste Dio (termini che come visto sopra sono in realtà inseparabili); infine, c'e' la possibilità dell'inesistenza tanto di Dio quanto del male. Quest'ultima è la via del nichilismo consolatorio, dell'ateismo confortevole: non più tragicità, non più sofferenza, non più negatività. Resta da vedere quanto questa visione del mondo possa realmente essere compatibile con l'esperienza concreta dell'uomo. A meno di invocare l'illusorietà del dolore e infine della realtà stessa, come in molte religioni orientali; o di degradare il peccato a semplice senso di colpa, come nello psicologismo; o di sostituire la responsabilità con la necessità del fato, come nel paganesimo; o di dissolvere la tragicità in un disincantato naturalismo secondo cui la morte e il dolore sono eventi semplicemente naturali e necessari. Non così nel cristianesimo, il quale non nega la realtà tragica, ma la accetta, e le offre una soluzione grazie alla salvezza in Cristo; e non rifiuta la sofferenza, ma la assume, senza evitarla, e senza tentare di annullarla in una rassegnazione stoica in fondo più facile della sopportazione e della accettazione della propria condizione di peccatori sofferenti.Schema riassuntivo delle Lezioni tenute da Pareyson presso l'
Istituto italiano per gli studi filosofici dal 26 al 30 aprile 1988, sul tema "Filosofia della libertà". Queste lezioni sono significative in quanto costituiscono un denso ma chiaro compendio del principale nucleo speculativo del pensiero pareysoniano, quello facente capo all'ontologia della libertà."... qui non si tratta d'un'indagine di storia della cultura, ma d'un'ermeneutica esistenziale ... se fossimo in Asia cominceremmo col non parlare di fallimento della filosofia e di necessario ricorso al mito, perché queste due operazioni sono pensabili solo all'interno della nostra tradizione cristiana né avrebbero alcun senso all'interno dell'induismo o del buddismo ... l'ermeneutica della coscienza religiosa qui proposta suppone che la riflessione sia portata non su una scena culturale oggettivabile e astratta, ma su un'esperienza esistenziale, concreta e personalmente vissuta ... fa parte dell'essenza stessa della religione il suo nesso esistenziale con chi la professa. Per prospettarla nella sua vera natura bisogna vederla come assunta all'interno d'una tradizione storica e d'una situazione personale, come adottata con una scelta esistenziale inseparabile dalla nostra sostanza personale e storica ...".
I riferimenti di sapore gnostico che hanno fatto pensare a Pareyson quale pensatore non molto ortodosso (rispetto al Cattolicesimo in particolare) sono quelli del
La filosofia della libertà inizia con Cartesio, restando però legata ad idee necessitaristiche (meccanicistiche, oppure razionalistiche e monistiche, ad esempio con Spinoza ed Hegel). Dopo Hegel, la filosofia della libertà segue le orme dei prehegeliani Kant e Fichte da un lato, e dei dissolutori dell'hegelismo Kierkegaard e Feuerbach dall'altro; Schelling riassume entrambe le posizioni.
Uomo vs Essere:
(non conosco mai l'essere direttamente, ma sempre attraverso l'uomo: per Jaspers conosco la trascendenza solo attraverso la mia esistenza; per Marcel l'essere non è "problema" ma "mistero" che mette in questione noi stessi)
Due interpretazioni:
Ma la passività è solo un diaframma tra l'atto di libertà come donazione e l'appello alla libertà donata: c'è comunque solo libertà nell'esistenza, non necessità.
Libertà ed Essere:
(la libertà non è puro agire abbandonato a se stesso, ma è legata all'essere: suo consenso o suo rifiuto; l'essere si affida alla libertà, non perché le si abbandoni, ma perché le fa appello per essere accettato o rifiutato; ma questa libertà è sempre illimitata, è rischio costante di negarsi: non c'è alcuna legge o garanzia razionalistica; solo la libertà precede la libertà)
Fin qui giunge la filosofia. Per andare oltre si deve ricorrere all'ermeneutica del mito, ovvero alla riflessione sull'esperienza religiosa, per trarne non contenuti, ma significati da universalizzare; non sostituendo il logos al mito: il mito dice cose che solo così si possono dire, cose di cui si può solo narrare; la filosofia ne trae solo spunto per problematizzare.
Esperienza religiosa:
è tutta una vicenda di libertà, umana e divina, indivisibili
Libertà (in Dio e nell'uomo):
Libertà originaria:
Libertà (in Dio e nell'uomo):
Libertà come scelta:
Problema: come conciliare eternità e tempo storico?
Tempo storico:
Eternità:
Dialettica eterna:
Dio è dialettico nel senso della libera scelta, della opposizione bene-male
Dialettica temporale:
tensione, lotta fra bene e male, non distinti ma confusi fra loro (non la dialettica triadica hegeliana della conciliazione, bensì la dialettica diadica pascaliana della contraddizione)
Legame fra le due dialettiche:
Epoche eterne:
Conclusioni: