A cura di
Epist. dedicatoria
1
EPISTOLA DEDICATORIA SOPRA
LA SEGUENTE CABALA AL REVERENDISSIMO SIGNOR DON SAPATINO, abbate successor di
San Quintino e vescovo di Casamarciano.
2 Reverendissime in
Christo Pater, Non altrimente che accader suole a un figolo, il qual gionto
al termine del suo lavoro (che non tanto per trasmigrazion de la luce, quanto
per difetto e mancamento della materia spacciata è gionto al fine) e tenendo in
mano un poco di vetro, o di legno, o di cera, o altro che non è sufficiente per
farne un vase, rimane un pezzo senza sapersi né potersi risolvere, pensoso di
quel che n'abbia fare, non avendolo a gittar via disutilmente, e volendo al
dispetto del mondo che serva a qualche cosa; ecco che a l'ultimo il mostra
predestinato ad essere una terza manica, un orlo, un coperchio di fiasco, una
forzaglia, un empiastro, o una intacconata, che risalde, empia o ricuopra
qualche fessura pertuggio o crepatura; è avvenuto a me, dopo aver dato spaccio
non a tutti miei pensieri, ma a un certo fascio de scritture solamente, che al
fine, non avendo altro da ispedire, più per caso che per consiglio, ho volti gli
occhi ad un cartaccio che avevo altre volte spreggiato e messo per copertura di
que' scritti: trovai che conteneva in parte quel tanto che vi vederete
presentato.
3 Questo prima pensai di donarlo a un cavalliero; il quale
avendovi aperti gli occhi, disse che non avea tanto studiato che potesse
intendere gli misterii, e per tanto non gli possea piacere. L'offersi appresso
ad un di questi ministri verbi Dei; e disse che era amico della lettera,
e che non si delettava de simili esposizioni proprie a Origene, accettate da
scolastici ed altri nemici della lor professione. Il misi avanti ad una dama; e
disse che non gli aggradava per non esser tanto grande quanto conviene al
suggetto d'un cavallo ed un asino. Il presentai ad un'altra; la quale,
quantunque gustandolo gli piacesse, avendolo gustato, disse che ci volea pensar
su per qualche giorno. Viddi se vi potesse accoraggiar una pizocchera; e la me
disse: Non lo accetto, se parla d'altro che di rosario, della vertù de granelli
benedetti e de l'agnusdei.
4
Accostailo al naso d'un pedante, il qual,
avendo torciuto il viso in altra parte, mi disse che aboliva ogni altro studio e
materia eccetto che qualche annotazione, scolia ed interpretazione sopra
Vergilio, Terenzio e Marco Tullio. Udivi da un versificante che non lo volea, se
non era qualche copia d'ottave rime o de sonetti. Altri dicevano che gli meglior
trattati erano stati dedicati a persone che non erano megliori che essi loro.
Altri co' l'altre raggioni mi parevan disposti a dovermene ringraziar o poco o
niente, se io gli l'avesse dedicato; e questo non senza caggione, perché, a dir
il vero, ogni trattato e considerazione deve essere speso, dispensato e messo
avanti a quel tale che è de.la suggetta professione o grado.
5 Stando
dunque io con gli occhi affissi su la raggion della materia enciclopedica, mi
ricordai dell'enciclopedico vostro ingegno, il qual non tanto per fecondità e
ricchezza par che abbraccie il tutto, quanto per certa pelegrina eccellenza par
ch'abbia il tutto e meglio ch'il tutto. Certo nessun potrà più espressamente che
voi comprendere il tutto, perché siete fuor del tutto; possete entrar per tutto,
perché non è cosa che vi tegna rinchiuso; possete aver il tutto, perché non è
cosa che abbiate. (Non so se mi dechiararò meglio co' descrivere il vostro
ineffabile intelletto). Io non so se siete teologo, o filosofo, o cabalista; ma
so ben che siete tutti, se non per essenza, per partecipazione; se non in atto,
in potenza; se non d'appresso, da lontano. In ogni modo credo che siate cossì
sufficiente nell'uno come nell'altro. E però eccovi cabala, teologia e
filosofia: dico una cabala di teologica filosofia, una filosofia di teologia
cabalistica, una teologia di cabala filosofica, di sorte ancora che non so se
queste tre cose avete o come tutto, o come parte, o come niente; ma questo so
ben certo che avete tutto del niente in parte, parte del tutto nel niente,
niente de la parte in tutto.
6
Or per venire a noi, mi dimandarete: che cosa è
questa che m'inviate? quale è il suggetto di questo libro? di che presente
m'avete fatto degno? Ed io vi rispondo, che vi porgo il dono d'un Asino, vi si
presenta l'Asino il quale vi farà onore, vi aumentarà dignità, vi metterà nel
libro de l'eternità. Non vi costa niente per ottenerlo da me ed averlo per
vostro; non vi costarà altro per mantenerlo, perché non mangia, non beve, non
imbratta la casa; e sarà eternamente vostro, e duraràvi più che la vostra mitra,
croccia, piovale, mula e vita; come, senza molto discorrere, possete voi
medesimo ed altri comprendere. Qua non dubito, reverendissimo monsignor mio, che
il dono de l'asino non sarà ingrato alla vostra prudenza e pietà: e questo non
dico per caggione che deriva dalla consuetudine di presentar a gran maestri non
solamente una gemma, un diamante, un rubino, una perla, un cavallo perfetto, un
vase eccellente; ma ancora una scimia, un papagallo, un gattomammone, un asino;
e questo, allora che è necessario, è raro, è dottrinale; e non è de gli
ordinarii. L'asino indico è precioso e duono papale in Roma; l'asino d'Otranto è
duono imperiale in Costantinopoli; l'asino di Sardegna è duono regale in Napoli;
e l'asino cabalistico, il qual è ideale e per consequenza celeste, volete voi
che debba esser men caro in qualsivoglia parte de la terra a qualsivoglia
principal personaggio che per certa benigna ed alta repromissione sappiamo che
si trova in cielo il terrestre? Son certo dunque che verrà accettato da voi con
quell'animo, con quale da me vi vien donato.
7 Prendetelo, o padre, se
vi piace, per ucello, perché è alato ed il più gentil e gaio che si possa tener
in gabbia. Prendetelo, se 'l volete, per fiera, perché è unico, raro e pelegrino
da un canto, e non è cosa più brava che possiate tener ferma in un antro o
caverna. Trattatelo, se vi piace, come domestico; perché è ossequioso, comite e
servile, ed è il meglior compagno che possiate aver in casa. Vedete che non vi
scampe di mano; perché è il meglior destriero che possiate pascere, o, per dir
meglio, vi possa pascere in stalla; meglior familiare che vi possa esser
contubernale e trattenimento in camera. Maneggiatelo come una gioia e cosa
preciosa; perché non possete aver tesoro più eccellente nel vostro ripostiglio.
Toccatelo come cosa sacra, e miratelo come cosa da gran considerazione; perché
non possete aver meglior libro, meglior imagine e meglior specchio nel vostro
cabinetto. Tandem, se per tutte queste raggioni non fa per il vostro
stomaco, lo potrete donar ad alcun altro che non ve ne debba essere ingrato. Se
l'avete per cosa ludicra, donatelo ad qualche buon cavalliero, perché lo metta
in mano de suoi paggi, per tenerlo caro tra le scimie e cercopitechi. Se lo
passate per cosa armentale, ad un contadino che li done ricetto tra il suo
cavallo e bue. Se 'l stimate cosa ferina, concedetelo a qualche Atteone che lo
faccia vagar con gli capri e gli cervi. Se vi par ch'abbia del mignone, fatene
copia a qualche damigella che lo tegna in luogo di martora e cagnuola. Se
finalmente vi par ch'abbia del matematico, fatene grazia ad un cosmografo,
perché gli vada rependo e salticchiando tra il polo artico ed antartico de una
di queste sfere armillari, alle quali non men comodamente potrà dar il moto
continuo, ch'abbia possuto donar l'infuso mercurio a quella d'Archimede, ad
esser più efficacemente tipo del megacosmo, in cui da l'anima intrinseca pende
la concordanza ed armonia del moto retto e circolare.
8 Ma se siete, come vi
stimo, sapiente, e con maturo giudicio considerate, lo terrete per voi, non
stimando a voi presentata da me cosa men degna, che abbia possuto presentar a
papa Pio quinto, a cui consecrai l'Arca di Noè; al re Errico terzo di Francia,
il quale immortaleggio con l'Ombre de le Idee; al suo legato in Inghilterra, a
cui ho conceduti Trenta sigilli; al cavallier Sidneo, al quale ho dedicata la
Bestia trionfante. Perché qua avete non solamente la bestia trionfante viva; ma,
ed oltre, gli trenta sigilli aperti, la beatitudine perfetta, le ombre chiarite
e l'arca governata; dove l'asino (che non invidia alla vita delle ruote del
tempo, all'ampiezza de l'universo, alla felicità de l'intelligenze, alla luce
del sole, al baldachino di Giove) è moderatore, dechiaratore, consolatore,
aperitore e presidente. Non è, non è asino da stalla o da armento, ma di que'
che possono comparir per tutto, andar per tutto, entrar per tutto, seder per
tutto, comunicar, capir, consegliar, definir e far tutto. Atteso che se lo
veggio zappar, inaffiar ed inacquare, perché non volete ch'il dica ortolano?
S'ei solca, pianta e semina, perché non sarà agricoltore? Per qual caggione non
sarà fabro, s'ei è manipolo, mastro ed architettore? Chi m'impedisce che non lo
dica artista, se è tanto inventivo, attivo e reparativo? Se è tanto esquisito
argumentore, dissertore ed apologetico, perché non vi piacerà che lo dica
scolastico? Essendo tanto eccellente formator di costumi, institutor di dottrine
e riformator de religioni, chi si farà scrupolo de dirlo academico, e stimarlo
archimandrita di qualche archididascalia? Perché non sarà monastico, stante
ch'egli sia corale, capitolare e dormitoriale? S'egli è per voto povero, casto
ed ubediente, mi biasimarete se lo dirò conventuale? Mi impedirete voi che non
possa chiamarlo conclavistico, stante ch'egli sia per voce attiva e passiva
graduabile, eligibile, prelatibile? Se è dottor sottile, irrefragabile ed
illuminato, con qual conscienza non vorrete che lo stime e tegna per degno
consegliero? Mi terrete voi la lingua, perché non possa bandirlo per domestico,
essendo che in quel capo sia piantata tutta la moralità politica ed economica?
Potrà far la potenza de canonica autoritade ch'io non lo tegna ecclesiastica
colonna, se mi si mostra di tal maniera pio, devoto e continente? Se lo veggo
tanto alto, beato e trionfante, potrà far il cielo e mondo tutto che non lo
nomine divino, olimpico, celeste? In conclusione (per non più rompere il capo a
me ed a voi) mi par che sia l'istessa anima del mondo, tutto in tutto, e tutto
in qualsivoglia parte. Or vedete, dunque, quale e quanta sia la importanza di
questo venerabile suggetto, circa il quale noi facciamo il presente discorso e
dialogi: nelli quali se vi par vedere un gran capo o senza busto o con una
picciola coda, non vi sgomentate, non vi sdegnate, non vi maravigliate; perché
si trovano nella natura molte specie d'animali che non hanno altri membri che
testa, o par che siano tutto testa, avendo questa cossì grande e l'altre parti
come insensibili; e per ciò non manca che siano perfettissime nel suo geno. E se
questa raggione non vi sodisfa, dovete considerar oltre, che questa operetta
contiene una descrizione, una pittura; e che ne gli ritratti suol bastar il più
de le volte d'aver ripresentata la testa sola senza il resto. Lascio che tal
volta si mostra eccellente artificio in far una sola mano, un piede, una gamba,
un occhio, una svelta orecchia, un mezo volto che si spicca da dietro un arbore,
o dal cantoncello d'una fenestra, o sta come sculpito al ventre d'una tazza, la
qual abbia per base un piè d'oca, o d'aquila, o di qualch'altro animale; non
però si danna, né però si spreggia, ma più viene accettata ed approvata la
manifattura. Cossì mi persuado, anzi son certo, che voi accettarete questo dono
come cosa cossì perfetta, come con perfettissimo cuore vi vien offerta. Vale.
Sonetto de l'Asino
SONETTO IN LODE DE L'ASINO.
1 O sant'asinità, sant'ignoranza,
2 Santa stolticia e pia
divozione,
3 Qual sola puoi far l'anime sì buone,
4 Ch'uman
ingegno e studio non l'avanza;
5 Non gionge faticosa vigilanza
6 D'arte qualunque sia, o 'nvenzione,
7 Né de
sofossi contemplazione
8
Al ciel dove t'edifichi la stanza.
9 Che vi
val, curiosi, il studiare,
10
Voler saper quel che fa la natura,
11 Se gli
astri son pur terra, fuoco e mare?
12 La santa asinità di ciò non cura;
13 Ma con man gionte e 'n ginocchion vuol stare,
14 Aspettando da Dio la sua ventura.
15 Nessuna cosa dura,
16 Eccetto il frutto de l'eterna requie,
17 La qual
ne done Dio dopo l'essequie.
Declamazione
DECLAMAZIONE AL STUDIOSO, DEVOTO E PIO LETTORE.
1
Oimè, auditor mio, che senza
focoso suspiro, lubrico pianto e tragica querela, con l'affetto, con gli occhi e
le raggioni non può rammentar il mio ingegno, intonar la voce e dechiarar gli
argumenti, quanto sia fallace il senso, turbido il pensiero ed imperito il
giudicio, che con atto di perversa, iniqua e pregiudiciosa sentenza non vede,
non considera, non definisce secondo il debito di natura, verità di raggione e
diritto di giustizia circa la pura bontade, regia sinceritade e magnifica
maestade della santa ignoranza, dotta pecoragine e divina asinitade! Lasso! a
quanto gran torto da alcuni è sì fieramente essagitata quest'eccellenza celeste
tra gli uomini viventi, contra la quale altri con larghe narici si fan censori,
altri con aperte sanne si fan mordaci, altri con comici cachini si rendono
beffeggiatori. Mentre ovunque spreggiano, burlano e vilipendeno qualche cosa,
non gli odi dir altro che: Costui è un asino, quest'azione è asinesca, questa è
una asinitade; - stante che ciò absolutamente convegna dire dove son più maturi
discorsi, più saldi proponimenti e più trutinate sentenze. Lasso! perché con
ramarico del mio core, cordoglio del spirito ed aggravio de l'alma mi si
presenta a gli occhi questa imperita, stolta e profana moltitudine che sì
falsamente pensa, sì mordacemente parla, sì temerariamente scrive per parturir
que' scelerati discorsi de tanti monumenti che vanno per le stampe, per le
librarie, per tutto, oltre gli espressi ludibrii, dispreggi e biasimi: l'asino
d'oro, le lodi de l'asino, l'encomio de l'asino; dove non si pensa altro che con
ironiche sentenze prendere la gloriosa asinitade in gioco, spasso e scherno? Or
chi terrà il mondo che non pensi ch'io faccia il simile? Chi potrà donar freno
alle lingue che non mi mettano nel medesimo predicamento, come colui che corre
appo gli vestigii de gli altri che circa cotal suggetto democriteggiano? Chi
potrà contenerli che non credano, affermino e confermino che io non intendo vera
e seriosamente lodar l'asino ed asinitade, ma più tosto procuro di aggionger
oglio a quella lucerna la quale è stata da gli altri accesa? Ma, o miei protervi
e temerarii giodici, o neghittosi e ribaldi calunniatori, o foschi ed
appassionati detrattori, fermate il passo, voltate gli occhi, prendete la mira;
vedete, penetrate, considerate se gli concetti semplici, le sentenze enunciative
e gli discorsi sillogistici ch'apporto in favor di questo sacro, impolluto e
santo animale, son puri, veri e demostrativi, o pur son finti, impossibili ed
apparenti. Se le vedrete in effetto fondati su le basi de fondamenti fortissimi,
se son belli, se son buoni, non le schivate, non le fuggite, non le rigettate;
ma accettatele, seguitele, abbracciatele, e non siate oltre legati dalla
consuetudine del credere, vinti dalla sufficienza del pensare e guidati dalla
vanità del dire, se altro vi mostra la luce de l'intelletto, altro la voce della
dottrina intona ed altro l'atto de l'esperienza conferma.
2 L'asino
ideale e cabalistico, che ne vien proposto nel corpo de le sacre lettere, che
credete voi che sia? Che pensate voi essere il cavallo pegaseo che vien trattato
in figura de gli poetici figmenti? De l'asino cillenico degno d'esser messo
in croceis nelle più onorate academie che v'imaginate? Or lasciando il
pensier del secondo e terzo da canto, e dando sul campo del primo, platonico
parimente e teologale, voglio che conosciate che non manca testimonio dalle
divine ed umane lettere, dettate da sacri e profani dottori, che parlano con
l'ombra de scienze e lume della fede. Saprà, dico, ch'io non mentisco colui ch'è
anco mediocremente perito in queste dottrine, quando avien ch'io dica l'asino
ideale esser principio prodottivo, formativo e perfettivo sopranaturalmente
della specie asinina; la quale quantunque nel capacissimo seno della natura si
vede ed è dall'altre specie distinta, e nelle menti seconde è messa in numero, e
con diverso concetto appresa, e non quel medesimo con cui l'altre forme
s'apprendeno; nulla di meno (quel ch'importa tutto) nella prima mente è medesima
che la idea de la specie umana, medesima che la specie de la terra, della luna,
del sole, medesima che la specie dell'intelligenze, de gli demoni, de gli dei,
de gli mondi, de l'universo; anzi è quella specie da cui non solamente gli
asini, ma e gli uomini e le stelle e gli mondi e gli mondani animali tutti han
dependenza: quella dico, nella quale non è differenza di forma e suggetto, di
cosa e cosa; ma è semplicissima ed una. Vedete, vedete dunque, d'onde derive la
caggione che senza biasimo alcuno il santo de santi or è nominato non solamente
leone, monocorno, rinoceronte, vento, tempesta, aquila, pellicano, ma e non
uomo, opprobrio de gli uomini, abiezion di plebe, pecora, agnello, verme,
similitudine di colpa, sin ad esser detto peccato e peggio. Considerate il
principio della causa, per cui gli cristiani e giudei non s'adirano, ma più
tosto con glorioso trionfo si congratulano insieme, quando con le metaforiche
allusioni della santa scrittura son figurati per titoli e definizioni asini, son
appellati asini, son definiti per asini: di sorte che, dovunque si tratta di
quel benedetto animale, per moralità di lettera, allegoria di senso ed anagogia
di proposito s'intende l'uomo giusto, l'uomo santo, l'uomo de Dio.
3 Però,
quando ne l'Exodo si fa menzione della redenzione e mutazion dell'uomo, in
compagnia di quello vien fatta la menzion de l'asino. Il primogenito dell'asino
dice, cangiarai con la pecora; il primogenito dell'uomo redimerai col prezzo.
Quando nel medesimo libro è donata legge al desiderio dell'uomo che non si
stenda alla moglie, alla servente, vedi nel medesimo numero messo il bue e
l'asino: come che non meno importe proporsi materia di peccato l'uno che l'altro
appetibile. Però quando nel libro de Giudici cantò Debora e Barac, figlio
d'Abinoen, dicendo: Udite, o regi, porgete l'orecchie, o principi, li quali
montate su gli asini nitenti e sedete in giudicio, interpretano gli santi
rabini: O governatori de la terra, li quali siete superiori a gli generosi
popoli, e con la sacra sferza le governate, castigando gli rei, premiando gli
buoni e dispensando giustamente le cose. - Quando ordina il Pentateuco che devi
ridur ed addirizzar al suo camino l'asino e bue errante del prossimo tuo,
intendeno moralmente gli dottori, che l'uomo del nostro prossimo Idio, il quale
è dentro di noi ed in noi, s'aviene che prevariche dalla via della giustizia,
debba essere da noi corretto ed avertito. Quando l'archisinagogo riprese il
Signor che curava nel sabbato, ed egli rispose che non è uomo da bene che in
qualunque giorno non vegna a cavar l'asino o bue dal pozzo dove è cascato;
intendeno gli divini scrittori che l'asino è l'uomo semplice, il bue è l'uomo
che sta sul naturale, il pozzo è il peccato mortale, quel che cava l'asino dal
pozzo è la divina grazia e ministero che redime gli suoi diletti da
quell'abisso. Ecco, dunque, qualmente il popolo redemuto, preggiato, bramato,
governato, addirizzato, avertito, corretto, liberato e finalmente predestinato,
è significato per l'asino, è nominato asino. E che gli asini son quelli per gli
quali la divina benedizione e grazia piove sopra gli uomini, di maniera che guai
a color che vegnon privi del suo asino, certamente molto ben si può veder
nell'importanza di quella maledizione che impiomba nel Deuteronomio, quando
minacciò Dio dicendo: L'asino tuo ti sia tolto d'avanti, e non ti sia reso!
4 Maladetto il regno, sfortunata la republica, desolata la
cità, desolata la casa, onde è bandito, distolto ed allontanato l'asino! Guai al
senso, conscienza ed anima dove non è participazion d'asinità! Ed è pur trito
adagio: ab asino excidere, per significar l'esser destrutto, sfatto,
spacciato. Origene Adamanzio, accettato tra gli ortodoxi e sacri dottori, vuole
che il frutto de la predicazione de' settanta doi discepoli è significato per li
settanta doi milia asini che il popolo israleita guadagnò contra gli Moabiti:
atteso che de quei settanta doi ciascuno guadagnò mille, cioè un numero
perfetto, d'anime predestinate, traendole da le mani de Moab, cioè liberandole
dalla tirannia de Satan. Giongasi a questo che gli uomini più divoti e santi,
amatori ed exequitori dell'antiqua e nova legge, absolutamente e per particolar
privilegio son stati chiamati asini. E se non me 'l credete, andate a studiar
quel ch'è scritto sopra quell'Evangelico: L'asina ed il pulledro sciogliete, e
menateli a me. Andate a contemplar su gli discorsi che fanno gli teologi ebrei,
greci e latini sopra quel passo che è scritto nel libro de Numeri: Aperuit
Dominus os asinae, et locuta est. E vedete come concordano tanti altri
luoghi delle sacrate lettere, dove sovente è introdotto il providente Dio aprir
la bocca de diversi divini e profetici suggetti, come di quel che disse: Oh oh
oh, Signor, ch'io non so dire. E là dove dice: Aperse il Signor la sua bocca.
Oltre tante volte ch'è detto: Ego ero in ore tuo; tante volte che gli è
priegato: Signor, apri le mie labra, e la mia bocca ti lo darà. Oltre nel
testamento novo: Li muti parlano, li poveri evangelizano.
5 Tutto è
figurato per quello che il Signor aperse la bocca de l'asina, ed ella parlò. Per
l'autorità di questa, per la bocca, voce e paroli di questa è domata, vinta e
calpestrata la gonfia, superba e temeraria scienza secolare; ed è ispianata al
basso ogni altezza che ardisce di levar il capo verso il cielo: perché Dio
av'elette le cose inferme per confondere le forze del mondo; le cose stolte ave
messe in riputazione; atteso che quello, che per la sapienza non posseva essere
restituito, per la santa stoltizia ed ignoranza è stato riparato: però è
riprovata la sapienza de sapienti e la prudenza de prudenti è rigettata. Stolti
del mondo son stati quelli ch'han formata la religione, gli ceremoni, la legge,
la fede, la regola di vita; gli maggiori asini del mondo (che son quei che,
privi d'ogni altro senso e dottrina, e voti d'ogni vita e costume civile,
marciti sono nella perpetua pedanteria) son quelli che per grazia del cielo
riformano la temerata e corrotta fede, medicano le ferite de l'impiagata
religione, e togliendo gli abusi de le superstizioni, risaldano le scissure
della sua veste; non son quelli che con empia curiosità vanno, o pur mai andâro
perseguitando gli arcani della natura, computaro le vicissitudini de le stelle.
Vedete se sono o furon giamai solleciti circa le cause secrete de le cose; se
perdonano a dissipazion qualunque de regni, dispersion de popoli, incendii,
sangui, ruine ed esterminii; se curano che perisca il mondo tutto per essi loro:
purché la povera anima sia salva, purché si faccia l'edificio in cielo, purché
si ripona il tesoro in quella beata patria, niente curando della fama e comodità
e gloria di questa frale ed incerta vita, per quell'altra certissima ed eterna.
Questi son stati significati per l'allegoria de gli antiqui sapienti (alli quali
non ha voluto mancar il divino spirito di revelar qualche cosa, almeno per farli
inescusabili) in quello sentenzioso apologo de gli dei che combattirono contra
gli rubelli giganti, figli de la terra ed arditi predatori del cielo; che con la
voce de gli asini confusero, atterrirono, spaventâro, vinsero e domorno. Il
medesimo è sufficientemente espresso dove, alzando il velo de la sacrata figura,
s'affigono gli occhi all'anagogico senso di quel divin Sansone, che con
l'asinina mascella tolse la vita a mille Filistei; perché dicono gli santi
interpreti, che nella mascella de l'asina, cioè de gli predicatori de la legge e
ministri della sinagoga, e nella mascella del pulledro de gli asini, cioè de'
predicatori della nova legge e ministri de l'ecclesia militante, delevit
eos, cioè scancellò, spinse que' mille, quel numero compito, que' tutti,
secondo che è scritto: Cascarono dal tuo lato mille, e dalla tu a destra diece
milia; ed è chiamato il luogo Ramath-lechi, cioè exaltazion de la mascella.
Dalla quale per frutto di predicazione non solo è seguita la ruina delle
avversarie ed odiose potestadi, ma anco la salute de regenerati: perché dalla
medesima mascella, cioè per virtù di medesima predicazione, son uscite e
comparse quelle acqui, che promulgando la divina sapienza, diffondeno la grazia
celeste e fanno gli suoi abbeverati capaci de vita eterna.
6 O dunque
forte, vittoriosa e trionfatrice mascella d'un asino morto, o diva, graziosa e
santa mascella d'un polledro defunto, or che deve essere della santità, grazia e
divinità, fortezza, vittoria e trionfo dell'asino tutto, intiero e vivente, -
asino, pullo e madre, - se di quest'osso e sacrosanta reliquia la gloria ed
exaltazion è tanta? E mi volto a voi, o dilettissimi ascoltatori; a voi, a voi
mi rivolto, o amici lettori de mia scrittura ed ascoltatori de mia voce; e vi
dico, e vi avertisco, e vi esorto, e vi scongiuro, che ritorniate a voi
medesimi. Datemi scampo dal vostro male, prendete partito del vostro bene,
banditevi dalla mortal magnificenza del core, ritiratevi alla povertà del
spirito, siate umili di mente, abrenunziate alla raggione, estinguete quella
focosa luce de l'intelletto che vi accende, vi bruggia e vi consuma; fuggite
que' gradi de scienza che per certo aggrandiscono i vostri dolori; abnegate ogni
senso, fatevi cattivi alla santa fede, siate quella benedetta asina, riducetevi
a quel glorioso pulledro, per li quali soli il redentor del mondo disse a gli
ministri suoi: Andate al castello ch'avete a l'incontro; cioè andate per
l'universo mondo sensibile e corporeo il quale come simulacro è opposto e
supposto al mondo intelligibile ed incorporeo. Trovarete l'asina ed il pulledro
legati: v'occorrerà il popolo ebreo e gentile, sottomesso e tiranneggiato dalla
captività di Belial.
7
Dice ancora: Scioglietele: levateli de la
cattività, per la predicazion dell'Evangelio ed effusion de l'acqua battismale;
e menatele a me, perché mi servano, perché siano miei: perché portando il peso
del mio corpo, cioè della mia santa instituzione e legge sopra le spalli, ed
essendo guidati dal freno delli miei divini consegli, sian fatti degni e
capabili d'entrar meco nella trionfante Ierusalem, nella città celeste. Qua
vedete chi son li redemuti, chi son gli chiamati, chi son gli predestinati, chi
son gli salvi: l'asina, l'asinello, gli semplici, gli poveri d'argumento, gli
pargoletti, quelli ch'han discorso de fanciulli; quelli, quelli entrano nel
regno de' cieli; quelli, per dispreggio del mondo e de le sue pompe, calpestrano
gli vestimenti, hanno bandita da sé ogni cura del corpo, de la carne che sta
avolta circa quest'anima, se l'han messa sotto gli piedi, l'hanno gittata via a
terra, per far più gloriosa- e trionfalmente passar l'asina ed il suo caro
asinello.
8 Pregate, pregate Dio, o carissimi, se non siete ancora
asini, che vi faccia dovenir asini. Vogliate solamente; perché certo certo,
facilissimamente vi sarà conceduta la grazia: perché, benché naturalmente siate
asini, e la disciplina commune non sia altro che una asinitade, dovete avertire
e considerar molto bene se siate asini secondo Dio; dico, se siate quei
sfortunati che rimagnono legati avanti la porta, o pur quegli altri felici li
quali entran dentro. Ricordatevi, o fideli, che gli nostri primi parenti a quel
tempo piacquero a Dio, ed erano in sua grazia, in sua salvaguardia, contenti nel
terrestre paradiso, nel quale erano asini, cioè semplici ed ignoranti del bene e
male; quando posseano esser titillati dal desiderio di sapere bene e male, e per
consequenza non ne posseano aver notizia alcuna; quando possean credere una
buggia che gli venesse detta dal serpente; quando se gli possea donar ad
intendere sin a questo: che, benché Dio avesse detto che morrebono, ne potesse
essere il contrario: in cotal disposizione erano grati, erano accetti, fuor
d'ogni dolor, cura e molestia. Sovvegnavi ancora ch'amò Dio il popolo ebreo,
quando era afflitto, servo, vile, oppresso, ignorante, onerario, portator de
còfini, somarro, che non gli possea mancar altro che la coda ad esser asino
naturale sotto il domìno de l'Egitto: allora fu detto da Dio suo popolo, sua
gente, sua scelta generazione. Perverso, scelerato, reprobo, adultero fu detto
quando fu sotto le discipline, le dignitadi, le grandezze e similitudine de gli
altri popoli e regni onorati secondo il mondo. Non è chi non loda l'età de
l'oro, quando gli uomini erano asini, non sapean lavorar la terra, non sapean
l'un dominar a l'altro, intender più de l'altro, avean per tetto gli antri e le
caverne, si donavano a dosso come fan le bestie, non eran tante coperte e
gelosie e condimenti de libidine e gola; ogni cosa era commune, il pasto eran le
poma, le castagne, le ghiande in quella forma che son prodotte dalla madre
natura. Non è chi non sappia qualmente non solamente nella specie umana, ma ed
in tutti gli geni d'animali la madre ama più, accarezza più, mantien contento
più ed ocioso, senza sollecitudine e fatica, abbraccia, bacia, stringe,
custodisce il figlio minore, come quello che non sa male e bene, ha
dell'agnello, ha de la bestia, è un asino, non sa cossì parlare, non può tanto
discorrere; e come gli va crescendo il senno e la prudenza, sempre a mano a mano
se gli va scemando l'amore, la cura, la pia affezione che gli vien portata da
gli suoi parenti. Non è nemico che non compatisca, abblandisca, favorisca a
quella età, a quella persona che non ha del virile, non ha del demonio, non ha
de l'uomo, non ha del maschio, non ha de l'accorto, non ha del barbuto, non ha
del sodo, non ha del maturo. Però quando si vuol mover Dio a pietà e
comiserazione il suo Signore, disse quel profeta: Ah ah ah, Domine, quia
nescio loqui; dove, col ragghiare e sentenza, mostra esser asino. Ed in un
altro luogo dice: Quia puer sum. Però quando si brama la remission della
colpa, molte volte si presenta la causa nelli divini libri, con dire: Quia
stulte egimus, stulte egerunt, quia nesciunt quid faciant, ignoramus, non
intellexerunt. Quando si vuol impetrar da lui maggior favore ed acquistar
tra gli uomini maggior fede, grazia ed autorità, si dice in un loco, che li
apostoli eran stimati imbreachi; in un altro loco, che non sapean quel che
dicevano, perché non erano essi che parlavano: ed un de più eccellenti, per
mostrar quanto avesse del semplice, disse che era stato rapito al terzo cielo,
uditi arcani ineffabili, e che non sapea s'era morto o vivo, se era in corpo o
fuor di quello. Un altro disse che vedeva gli cieli aperti, e tanti e tanti
altri propositi che tegnono gli diletti de Dio, alli quali è revelato quello che
è occolto a la sapienza umana, ed è asinità esquisita a gli occhi del discorso
razionale: perché queste pazzie, asinitadi e bestialitadi son sapienze, atti
eroici ed intelligenze appresso il nostro Dio; il qual chiama li suoi pulcini,
il suo grege, le sue pecore, li suoi parvuli, li suoi stolti, il suo pulledro,
la sua asina que' tali che li credeno, l'amano, il siegueno. Non è, non è, dico,
meglior specchio messo avanti gli occhi umani che l'asinitade ed asino, il qual
più esplicatamente secondo tutti gli numeri dimostre qual esser debba colui, che
faticandosi nella vigna del Signore deve aspettar la retribuzion del danaio
diurno, il gusto della beatifica cena, il riposo che segue il corso di questa
transitoria vita. Non è conformità megliore o simile che ne amene, guide e
conduca alla salute eterna più attamente che far possa questa vera sapienza
approvata dalla divina voce: come, per il contrario, non è cosa che ne faccia
più efficacemente impiombar al centro ed al baratro tartareo, che le filosofiche
e razionali contemplazioni, quali nascono da gli sensi, crescono nella facultà
discorsiva e si maturano nell'intelletto umano. Forzatevi, forzatevi dunque ad
esser asini, o voi, che siete uomini. E voi, che siete già asini, studiate,
procurate, adattatevi a proceder sempre da bene in meglio, a fin che perveniate
a quel termine, a quella dignità, la quale, non per scienze ed opre, quantunque
grandi, ma per fede s'acquista; non per ignoranza e misfatti, quantunque enormi,
ma per la incredulità (come dicono, secondo l'Apostolo) si perde. Se cossì vi
disporrete, se tali sarete e talmente vi governarete, vi trovarete scritti nel
libro de la vita, impetrarete la grazia in questa militante, ed otterrete la
gloria in quella trionfante ecclesia, nella quale vive e regna Dio per tutti
secoli de secoli. Cossì sia!
Sonetto de l'Asina
UN MOLTO PIO SONETTO CIRCA LA SIGNIFICAZIONE DE L'ASINA E PULLEDRO.
1 - Ite al castello ch'avete d'avanti,
2 E
trovarete l'asina col figlio:
3
Quelli sciogliete, e dandogli de piglio,
4 L'amenarete a me, servi miei santi.
5 S'alcun,
per impedir misterii tanti,
6
Contra di voi farà qualche bisbiglio,
7 Risponderete lui con alto ciglio,
8 Ch'il gran Signor le
vuol far trionfanti.
-9
Dice cossì la divina scrittura,
10 Per
notar la salute de' credenti
11
Al redentor dell'umana natura.
12 Gli
fideli di Giuda e de le genti
13 Con vita parimente sempia e pura
14 Potran montar a que' scanni eminenti.
15 Divoti e
pazienti
16 Vegnon a fars'il pullo con la madre
17 Contubernali a l'angeliche squadre.
Dialogo 1
Interlocutori: Sebasto, Saulino, Coribante.
1
\ SEB.\ È il peggio che
diranno che metti avanti metaffore, narri favole, raggioni in parabola, intessi
enigmi, accozzi similitudini, tratti misterii, mastichi tropologie.
2 \ SAUL.\
Ma io dico la cosa a punto come la passa; e come la è propriamente, la metto
avanti gli occhi.
3
\ COR.\ Id est, sine fuco, plane,
candide; ma vorrei che fusse cossì, come dite, da dovero.
4 \ SAUL.\
Cossì piacesse alli dei, che fessi tu altro che fuco con questa tua gestuazione,
toga, barba e supercilio: come, anco quanto a l'ingegno, candide, plane et
sine fuco, mostri a gli occhi nostri la idea della pedantaria.
5 \ COR.\
Hactenus haec? Tanto che Sofia loco per loco, sedia per sedia vi
condusse?
6 \ SAUL.\ Sì.
7 \ SEB.\ Occórrevi de dir altro
circa la provisione di queste sedie?
8 \ SAUL.\ Non per ora, se voi non
siete pronto a donarmi occasione di chiarirvi de più punti circa esse col
dimandarmi e destarmi la memoria, la quale non può avermi suggerito la terza
parte de notabili propositi degni di considerazione.
9 \ SEB.\ Io, a dir il
vero, rimagno sì suspeso dal desio de saper qual cosa sia quella ch'il gran
padre de gli dei ha fatto succedere in quelle due sedie, l'una Boreale e l'altra
Australe, che m'ha parso il tempo de mill'anni per veder il fine del vostro
filo, quantunque curioso, utile e degno: perché quel proposito tanto più mi vien
a spronar il desio d'esserne fatto capace, quanto voi più l'avete differito a
farlo udire.
10 \ COR.\ Spes etenim dilata affligit animum, vel animam,
ut melius dicam; haec enim mage significat naturam passibilem.
11 \ SAUL.\
Bene. Dunque, perché non più vi tormentiate su l'aspettar della risoluzione,
sappiate che nella sedia prossima immediata e gionta al luogo dove era l'Orsa
minore, e nel quale sapete essere exaltata la Veritade, essendone tolta via
l'Orsa maggiore nella forma ch'avete inteso, per providenza del prefato
consiglio vi ha succeduto l'Asinità in abstratto: e là dove ancora vedete in
fantasia il fiume Eridano, piace a gli medesimi che vi si trove l'Asinità in
concreto, a fine che da tutte tre le celesti reggioni possiamo contemplare
l'Asinità, la quale in due facelle era come occolta nella via de' pianeti, dov'è
la coccia del Cancro.
12
\ COR.\ Procul, o procul este, profani!
Questo è un sacrilegio, un profanismo, di voler fingere (poscia che non è
possibile che cossì sia in fatto) vicino a l'onorata ed eminente sedia de la
Verità essere l'idea de sì immonda e vituperosa specie, la quale è stata da gli
sapienti Egizii ne gli lor ieroglifici presa per tipo de l'ignoranza, come ne
rende testimonio Oro Apolline, più volte replicando: qualmente gli Babiloni
sacerdoti con l'asinino capo compiuto al busto e cervice umana volsero designar
un uomo imperito ed indisciplinabile.
13 \ SEB.\ Non è necessario andar al
tempo e luogo d'Egizii, se non è né fu mai generazione, che con l'usato modo di
parlare non conferme quel che dice Coribante.
14 \ SAUL.\ Questa è la
raggione, per cui ho differito al fine di raggionar circa queste due sedie:
atteso che dalla consuetudine del dire e credere m'areste creduto parabolano, e
con minor fede ed attenzione arreste perseverato ad ascoltarmi nella descrizione
della riforma de l'altre sedie celesti, se prima con prolissa infilacciata de
propositi non v'avesse resi capaci di quella verità; stante che queste due sedie
da per esse meritano almeno altretanto de considerazione, quanto vedete aver
ricchezza di tal suggetta materia. Or non avete voi unqua udito, che la pazzia,
ignoranza ed asinità di questo mondo è sapienza, dottrina e divinità in
quell'altro?
15 \ SEB.\ Cossì è stato riferito da primi e principali
teologi; ma giamai è stato usato un cossì largo modo de dire, come è il vostro.
16 \ SAUL.\ E perché giamai la cosa è stata chiarita ed
esplicata cossì, come io son per esplicarvela e chiarirvela al presente.
17 \ COR.\ Or dite, perché staremo attenti ad ascoltarvi.
18 \ SAUL.\ Perché non vi spantiate, quando udite il nome
d'asino, asinità, bestialità, ignoranza, pazzia, prima voglio proporvi avanti
gli occhi della considerazione, e rimenarvi a mente il luogo de gl'illuminati
cabalisti, che con altri lumi che di Linceo, con altri occhi che di Argo,
profondorno, non dico sin al terzo cielo, ma nel profondo abisso del
sopramondano ed ensofico universo: per la contemplazione di quelle diece
Sephiroth che chiamiamo in nostra lingua membri ed indumenti, penetrorno,
veddero, concepirno quantum fas est homini loqui. Ivi son le 3 dimensioni
Ceter, Hocma, Bina, Hesed, Geburah, Tipheret, Nezah, Hod, Iesod, Malchuth; de
quali la prima da noi è detta Corona, la seconda Sapienza, la terza Providenza,
la quarta Bontà, la quinta Fortezza, la sesta Bellezza, la settima Vittoria, la
ottava Lode, la nona Stabilimento, la decima Regno. Dove dicono rispondere diece
ordini d'intelligenze; de quali il primo vien da essi chiamato Haioth heccados,
il secondo Ophanim, il terzo Aralin, il quarto Hasmalin, il quinto Choachin, il
sesto Malachim, il settimo Elohim, l'ottavo Benelohim, il nono Maleachim, il
decimo Issim; che noi nominiamo il primo Animali santi o Serafini, il secondo
Ruote formanti o Cherubini, il terzo Angeli robusti o Troni, il quarto
Effigiatori, il quinto Potestadi, il sesto Virtudi, il settimo Principati o dei,
l'ottavo Arcangeli o figli de dei, il nono Angeli o Imbasciatori, il decimo
Anime separate o Eroi. Onde nel mondo sensibile derivano le diece sfere: 1. il
primo mobile, 2. il cielo stellato o ottava sfera o firmamento, 3. il cielo di
Saturno, 4. di Giove, 5. di Marte, 6. del Sole, 7. di Venere, 8. di Mercurio, 9.
della Luna, 10. del Chaos sublunare diviso in quattro elementi. Alli quali sono
assistenti diece motori, o insite diece anime: la prima Metattron o principe de
faccie, la seconda Raziel, la terza Zaphciel, la quarta Zadkiel, la quinta
Camael, la sesta Raphael, la settima Aniel, l'ottava Michael, la nona Gabriel,
la decima Samael; sotto il quale son quattro terribili principi, de quali il
primo domina nel fuoco ed è chiamato da Iob Behemoth, il secondo domina
nell'aria ed è nomato da cabalisti e comunmente Beelzebub, cioè principe de
mosche, idest de volanti immondi, il terzo domina nell'acqui ed è nomato
da Iob Leviathan, il quarto è presidente ne la terra, la qual spasseggia e
circuisse tutta, ed è chiamato da Iob Sathan. Or contemplate qua, che secondo la
cabalistica revelazione Hocma, a cui rispondeno le forme o ruote, nomate
Cherubini, che influiscono nell'ottava sfera, dove consta la virtù
dell'intelligenza de Raziele, l'asino o asinità è simbolo della sapienza.
19 \ COR.\ Parturient montes.
20 \ SAUL.\ Alcuni
thalmutisti apportano ia raggione morale di cotale influsso, arbore, scala o
dependenza, dicendo che però l'asino è simbolo della sapienza nelli divini
Sephiroth, perché a colui che vuol penetrare entro gli secreti ed occolti
ricetti di quella, sia necessariamente de mistiero d'esser sobrio e paziente,
avendo mustaccio, testa e schena d'asino; deve aver l'animo umile, ripremuto e
basso, ed il senso che non faccia differenza tra gli cardi e le lattuche.
21 \ SEB.\ Io crederei più tosto, che gli Ebrei abbiano tolti
questi misterii da gli Egizii; li quali per cuoprir certa ignominia loro hanno
voluto in tal maniera esaltar al cielo l'asino e l'asinità.
22 \ COR.\
Declara.
23 \ SEB.\ Oco, re de Persi, essendo notato da gli Egizi, suoi
nemici, per il simulacro d'asino, ed appresso essendo lui vittorioso sopra de
loro, ed avendoseli fatti cattivi, le costrinse ad adorar l'imagine de l'asino e
sacrificargli il bove già tanto adorato da essi, con rimproverargli che a
l'asino il lor bove Opin o Apin verrebbe immolato. Questi dunque, per onorar
quel loro vituperoso culto, e cuoprir quella machia, hanno voluto fingere
raggioni sopra il culto de l'asino; il quale da quel che gli fu materia di
biasimo e burla, gli venne ad esser materia di riverenza. E cossì poi, in
materia d'adorazione, admirazione, contemplazione, onore e gloria, se l'hanno
fatto cabalistico, archetipo, sephirotico, metafisico, ideale, divino. Oltre,
essendo l'asino animal de Saturno e della Luna, e gli Ebrei di natura, ingegno e
fortuna saturnini e lunari, gente sempre vile, servile, mercenaria, solitaria,
incomunicabile ed inconversabile con l'altre generazioni, le quali bestialmente
spregiano, e da le quali per ogni raggione son degnamente dispreggiate; or
questi si trovâro nella cattività e servizio de l'Egitto, dove erano destinati
ad esser compagni a gli asini con portar le some e servire alle fabriche; e là
parte per esserno leprosi, parte perché intesero gli Egizii, che in essi
pestilanziati regnava l'impression saturnia ed asinina, per la conversazione
ch'aveano con questa razza; vogliono alcuni che le discacciassero dagli lor
confini con lasciargli l'idolo dell'asino d'oro alle mani; il quale tra tutti li
dei se mostrava più propisiabile a questa gente, cossì a tutte l'altre nemica e
ritrosa, come Saturno a tutti gli pianeti. Onde rimanendo con il proprio culto,
lasciando da canto l'altre feste egiziane, celebravano per il lor Saturno,
demostrato nell'idolo de l'asino, gli sabbati, e per la lor Luna le neomenie, di
sorte che non solamente uno, ma, ed oltre, tutti gli sephiroti possono essere
asinini ai cabalisti giudei.
24
\ SAUL.\ Voi dite molte cose autentiche, molte
vicine all'autentiche, altre simili a l'autentiche, alcune contrarie a
l'autentiche ed approvate istorie. Onde dite alcuni propositi veri e boni, ma
nulla dite bene e veramente, spreggiando e burlandovi di questa santa
generazione, dalla quale è proceduta tutta quella luce che si trova sin oggi al
mondo, e che promette de donar per tanti secoli. Cossì perseveri nel tuo
pensiero ad aver l'asino ed asinità per cosa ludibriosa; quale, qualunque sia
stata appresso Persi, Greci e Latini, non fu però cosa vile appresso gli Egizii
ed Ebrei. Là onde è falsità ed impostura questa tra l'altre, cioè che quel culto
asinino e divino abbia avuto origine dalla forza e violenza, e non più tosto
ordinato dalla raggione, e tolto principio dalla elezione.
25 \ SEB.\
Verbi gratia, forza, violenza, raggion ed elezione di Oco.
26 \ SAUL.\
Io dico divina inspirazione, natural bontade ed umana intelligenza. Ma prima che
vengamo al compimento di questa demostrazione, considerate un poco se mai
ebbero, o denno aver avuto, o tener a vile la idea ed influenza de gli asini
questi Ebrei ed altri partecipi e consorti de la lor santimonia. Il patriarca
Iacob, celebrando la natività e sangue della sua prole, e padri de le dodici
tribù con la figura de le dodici bestie, vedete se ebbe ardimento di lasciar
l'asino. Non avete notato che come fe' Ruben montone, Simone orso, Levi cavallo,
Giuda leone, Zabulon balena, Dan serpente, Gad volpe, Aser bove, Nettalim
cervio, Gioseffo pecora, Beniamin lupo, cossì fece il sesto genito Isachar
asino, insoffiandoli per testamento quella bella nuova e misteriosa profezia
nell'orecchio: Isachar, asino forte, che poggia tra gli termini, ha trovato il
riposo buono ed il fertilissimo terreno; ha sottoposte le robuste spalli al
peso, ed èssi destinato al tributario serviggio. Queste sacrate dodici
generazioni rispondeno da qua basso a gli alti dodici segni del zodiaco, che son
nel cingolo del firmamento, come vedde e dechiarò il profeta Balaam, quando dal
luogo eminente d'un colle le scòrse disposte e distinte in dodici
castramentazioni alla pianura, dicendo: - Beato e benedetto popolo d'Israele,
voi sète stelle, voi li dodici segni messi in sì bell'ordine di tanti generosi
greggi. Cossì promese il vostro Giova che moltiplicarebbe il seme del vostro
gran padre Abraamo come le stelle del cielo, cioè secondo la raggione delli
dodici segni del zodiaco, li quali venite a significar per li nomi de dodici
bestie. - Qua vedete qualmente quel profeta illuminato, dovendole benedire in
terra, andò a presentarseli montato sopra l'asino, per la voce de l'asino venne
instrutto della divina volontà, con la forza de l'asino vi pervenne, da sopra
l'asino stese le mani alle tende, e benedisse quel popolo de Dio santo e
benedetto, per far evidente che quelli asini saturnini ed altre bestie, che
hanno influsso dalle dette sephiroth, da l'asino archetipo, per mezzo de l'asino
naturale e profetico, doveano esser partecipi de tanta benedizione.
27 \ COR.\
Multa igitur asinorum genera: aureo, archetipo, indumentale, celeste,
intelligenziale, angelico, animale, profetico, umano, bestiale, gentile, etico,
civile ed economico; vel essenziale, subsistenziale, metafisico, fisico,
ipostatico, nozionale, matematico, logico e morale; vel superno, medio ed
inferno; vel intelligibile, sensibile e fantastico; vel ideale,
naturale e nozionale; vel ante multa, in multis et post multa. Or
seguìte, perché paulatim, gradatim atque pedetentim, più chiaro, alto e
profondo venite a riuscirmi.
28
\ SAUL.\ Per venir dunque a noi, non vi deve
parer strano che la asinità sia messa in sedia celeste nella distribuzione delle
catedre, che sono nella parte superna di questo mondo ed universo corporeo;
atteso che esso deve esser corrispondente e riconoscere in se stesso certa
analogia al mondo superiore.
29
\ COR.\ Ita contiguus hic illi mundus, ut
omnis eius virtus inde gubernetur, come oltre promulgò il prencipe de'
peripatetici nel principio del primo della Metorologica contemplazione.
30 \ SEB.\ O che ampolle, o che parole sesquipedali son le
vostre, o dottissimo ed altritonante messer Coribante!
31 \ COR.\
Ut libet.
32
\ SEB.\ Ma permettiate che si proceda al
proposito, e non ne interrompete!
33 \ COR.\ Proh!
34 \ SAUL.\
A la verità nulla cosa è più prossima e cognata che la scienza; la quale si deve
distinguere, come è distinta in sé, in due maniere: cioè in superiore ed
inferiore. La prima è sopra la creata verità, ed è l'istessa verità increata, ed
è causa del tutto; atteso che per essa le cose vere son vere, e tutto quel che
è, è veramente quel tanto che è. La seconda è verità inferiore, la quale né fa
le cose vere né è le cose vere, ma pende, è prodotta, formata ed informata da le
cose vere, ed apprende quelle non in verità, ma in specie e similitudine: perché
nella mente nostra, dove è la scienza dell'oro, non si trova l'oro in verità, ma
solamente in specie e similitudine. Sì che è una sorte de verità, la quale è
causa delle cose, e si trova sopra tutte le cose; un'altra sorte che si trova
nelle cose ed è delle cose; ed è un'altra terza ed ultima, la quale è dopo le
cose e dalle cose. La prima ha nome di causa, la seconda ha nome di cosa, la
terza ha nome di cognizione. La verità nel primo modo è nel mondo archetipo
ideale significata per un de' sephiroth; nel secondo modo è nella prima sedia
dove è il cardine del cielo a noi supremo; nel terzo modo è nella detta sedia
che prossimamente da questo corporeo cielo influisce ne gli cervelli nostri,
dove è l'ignoranza, stoltizia, asinità, ed onde è stata discacciata l'Orsa
maggiore. Come dunque la verità reale e naturale è essaminata per la verità
nozionale, e questa ha quella per oggetto, e quella mediante la sua specie ha
questa per suggetto, cossì è bisogno che a quella abitazione questa sia vicina e
congionta.
35 \ SEB.\ Voi dite bene, che secondo l'ordine della natura
sono prossimi la verità e l'ignoranza o asinità: come sono talvolta uniti
l'oggetto, l'atto e la potenza. Ma fate ora chiaro, perché più tosto volete far
gionta e vicina l'ignoranza o asinità, che la scienza o cognizione: atteso che
tanto manca che l'ignoranza e pazzia debbano esser prossime e come coabitatrici
della verità, che ne denno essere a tutta distanza lontane, perché denno esser
gionte alla falsità, come cose appartenenti ad ordine contrario.
36 \ SAUL.\
Perché la sofia creata senza l'ignoranza o pazzia, e per conseguenza senza
l'asinità che le significa ed è medesima con esse, non può apprendere la verità;
e però bisogna che sia mediatrice; perché come nell'atto mediante concorreno gli
estremi o i termini, oggetto e potenza, cossì nell'asinità concorreno la verità
e la cognizione, detta da noi sofia.
37 \ SEB.\ Dite brevemente la
caggione.
38 \ SAUL.\ Perché il saper nostro è ignorare, o perché non è
scienza di cosa alcuna e non è apprensione di verità nessuna, o perché se pur a
quella è qualche entrata, non è se non per la porta che ne viene aperta da
l'ignoranza, la quale è l'istesso camino, portinaio e porta. Or se la sofia
scorge la verità per l'ignoranza, la scorge per la stoltizia consequentemente, e
consequentemente per l'asinità. Là onde chi ha tal cognizione, ha de l'asino, ed
è partecipe di quella idea.
39
\ SEB.\ Or mostrate come siano vere le vostre
assumpzioni: perché voglio concedere le illazioni tutte; perché non ho per
inconveniente che chi è ignorante, per quanto è ignorante, è stolto; e chi è
stolto, per quanto è stolto, è asino: e però ogni ignoranza è asinità.
40 \ SAUL.\ Alla contemplazion de la verità altri si promuoveno
per via di dottrina e cognizione razionale, per forza de l'intelletto agente che
s'intrude nell'animo, excitandovi il lume interiore. E questi son rari; onde
dice il poeta:
Pauci, quos ardens evexit ad aethera virtus.
Altri
per via d'ignoranza vi si voltano e forzansi di pervenirvi. E di questi alcuni
sono affetti di quella che è detta ignoranza di semplice negazione: e costoro né
sanno, né presumeno di sapere; altri di quella che è detta ignoranza di prava
disposizione: e tali, quanto men sanno e sono imbibiti de false informazioni,
tanto più pensano di sapere: quali, per informarsi del vero, richiedeno doppia
fatica, cioè de dismettere l'uno abito contrario e di apprender l'altro. Altri
di quella ch'è celebrata come divina acquisizione; ed in questa son color che né
dicendo, né pensando di sapere, ed oltre essendo creduti da altri
ignorantissimi, son veramente dotti, per ridursi a quella gloriosissima
asinitade e pazzia. E di questi alcuni sono naturali, come quei che caminano con
il lume suo razionale, con cui negano col lume del senso e della raggione ogni
lume di raggione e senso; alcuni altri caminano, o per dir meglio si fanno
guidare con la lanterna della fede, cattivando l'intelletto a colui che gli
monta sopra ed a sua bella posta l'addirizza e guida. E questi veramente son
quelli che non possono essi errare, perché non caminano col proprio fallace
intendimento, ma con infallibil lume di superna intelligenza. Questi, questi son
veramente atti e predestinati per arrivare alla Ierusalem della beatitudine e
vision aperta della verità divina: perché gli sopramonta quello, senza il qual
sopramontante non è chi condurvesi vaglia.
41 \ SEB.\ Or ecco come si
distingueno le specie dell'ignoranza ed asinitade, e come vegno a mano a mano a
condescendere per concedere l'asinitade essere una virtù necessaria e divina,
senza la quale sarrebe perso il mondo, e per la quale il mondo tutto è salvo.
42 \ SAUL.\ Odi a questo proposito un principio per un'altra
più particular distinzione. Quello ch'unisce l'intelletto nostro, il qual è
nella sofia, alla verità, la quale è l'oggetto intelligibile, è una specie
d'ignoranza, secondo gli cabalisti e certi mistici teologi; un'altra specie,
secondo gli pirroniani, efettici ed altri simili; un'altra, secondo teologi
cristiani, tra' quali il Tarsense la viene tanto più a magnificare, quanto a
giudicio di tutt'il mondo è passata per maggior pazzia. Per la prima specie
sempre si niega; onde vien detta ignoranza negativa, che mai ardisce affirmare.
Per la seconda specie sempre si dubita, e mai ardisce determinare o definire.
Per la terza specie gli principii tutti s'hanno per conosciuti, approvati e con
certo argumento manifesti, senza ogni demostrazione ed apparenza. La prima è
denotata per l'asino pullo, fugace ed errabondo; la seconda per un'asina, che
sta fitta tra due vie, dal mezo de quali mai si parte, non possendosi risolvere
per quale delle due più tosto debba muovere i passi; la terza per l'asina con il
suo pulledro, che portano su la schena il redentor del mondo: dove l'asina,
secondo che gli sacri dottori insegnano, è tipo del popolo giudaico, ed il pullo
del popolo gentile, che, come figlia ecclesia, è parturito dalla madre sinagoga;
appartenendo cossì questi come quelli alla medesima generazione, procedente dal
padre de' credenti, Abraamo. Queste tre specie d'ignoranza, come tre rami, si
riducono ad un stipe, nel quale da l'archetipo influisce l'asinità, e che è
fermo e piantato su le radici delli diece sephiroth.
43 \ COR.\ O bel senso!
Queste non sono retorice persuasioni, né elenchici sofismi, né topice
probabilitadi, ma apodiptice demostrazioni; per le quali l'asino non è sì vile
animale come comunmente si crede, ma di tanto più eroica e divina condizione.
44 \ SEB.\ Non è d'uopo ch'oltre t'affatichi, o Saulino, per
venir a conchiudere quel tanto che io dimandavo che da te mi fusse definito: sì
perché avete sodisfatto a Coribante, sì anco perché da li posti mezi termini ad
ogni buono intenditore può esser facilmente sodisfatto. Ma di grazia, fatemi ora
intendere le raggioni della sapienza, che consiste nell'ignoranza ed asinitade
iuxta il secondo modo: cioè con qual raggione siano partecipi
dell'asinità gli pirroniani, efettici ed altri academici filosofi; perché non
dubito della prima e terza specie, che medesime sono altissime e remotissime da'
sensi e chiarissime, di sorte che non è occhio che non le possa conoscere.
45 \ SAUL.\ Presto verrò al proposito della vostra dimanda; ma
voglio che prima notiate il primo e terzo modo di stoltizia ed asinitade
concorrere in certa maniera in uno; e però medesimamente pendeno da principio
incomprensibile ed ineffabile, a constituir quella cognizione, ch'è disciplina
delle discipline, dottrina delle dottrine ed arte de le arti. Della quale voglio
dirvi in che maniera con poco o nullo studio e senza fatica alcuna ognun che
vuole e volse, ne ha possuto e può esser capace. Veddero e considerorno que'
santi dottori e rabini illuminati, che gli superbi e presumptuosi sapienti del
mondo, quali ebbero fiducia nel proprio ingegno, e con temeraria e gonfia
presunzione hanno avuto ardire d'alzarsi alla scienza de secreti divini e que'
penetrali della deitade, non altrimente che coloro ch'edificâro la torre di
Babelle, son stati confusi e messi in dispersione, avendosi essi medesimi
serrato il passo, onde meno fussero abili alla sapienza divina e visione della
veritade eterna. Che fêro? qual partito presero? Fermâro i passi, piegâro o
dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandîro ogni propria attenzione e
studio, riprovâro qualsivoglia uman pensiero, riniegâro ogni sentimento
naturale: ed in fine si tennero asini. E quei che non erano, si transformâro in
questo animale: alzâro, distesero, acuminâro, ingrossâro e magnificorno
l'orecchie; e tutte le potenze de l'anima riportorno e uniro nell'udire, con
ascoltare solamente e credere: come quello, di cui si dice: In auditu auris
obedivit mihi. Là concentrandosi e cattivandosi la vegetativa, sensitiva ed
intellettiva facultade, hanno inceppate le cinque dita in un'unghia, perché non
potessero, come l'Adamo stender le mani ad apprendere il frutto vietato
dall'arbore della scienza, per cui venessero ad essere privi de frutti de
l'arbore della vita, o come Prometeo (che è metafora di medesimo proposito),
stender le mani a suffurar il fuoco di Giove, per accendere il lume nella
potenza razionale. Cossì li nostri divi asini, privi del proprio sentimento ed
affetto, vegnono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato a
l'orecchie dalle revelazioni o de gli dei o de' vicarii loro; e per consequenza
a governarsi non secondo altra legge che di que' medesimi. Quindi non si volgono
a destra o a sinistra, se non secondo la lezione e raggione che gli dona il
capestro o freno che le tien per la gola o per la bocca, non caminano se non
come son toccati. Hanno ingrossate le labbra, insolidate le mascelle,
incotennuti gli denti, a fin che, per duro, spinoso, aspro e forte a digerir che
sia il pasto che gli vien posto avante, non manche d'essere accomodato al suo
palato. Indi si pascono de più grossi e materialacci appositorii, che altra
qualsivoglia bestia che si pasca sul dorso de la terra; e tutto ciò per venire a
quella vilissima bassezza, per cui fiano capaci de più magnifica exaltazione,
iuxta quello: Omnis qui se humiliat exaltabitur.
46 \ SEB.\
Ma vorrei intendere come questa bestiaccia potrà distinguere che colui che gli
monta sopra, è Dio o diavolo, è un uomo o un'altra bestia non molto maggiore o
minore, se la più certa cosa ch'egli deve avere, è che lui è un asino e vuole
essere asino, e non può far meglior vita ed aver costumi megliori che di asino,
e non deve aspettar meglior fine che di asino, né è possibile, congruo e
condigno ch'abbia altra gloria che d'asino?
47 \ SAUL.\ Fidele colui
che non permette che siano tentati sopra quel che possono: lui conosce li suoi,
lui tiene e mantiene gli suoi per suoi, e non gli possono esser tolti. O santa
ignoranza, o divina pazzia, o sopraumana asinità! Quel rapto, profondo e
contemplativo Areopagita, scrivendo a Caio, afferma che la ignoranza è una
perfettissima scienza; come per l'equivalente volesse dire che l'asinità è una
divinità. Il dotto Agostino, molto inebriato di questo divino nettare, nelli
suoi Soliloquii testifica che la ignoranza più tosto che la scienza ne conduce a
Dio, e la scienza più tosto che l'ignoranza ne mette in perdizione. In figura di
ciò vuole ch'il redentor del mondo con le gambe e piedi de gli asini fusse
entrato in Gerusalemme, significando anagogicamente in questa militante quello
che si verifica nella trionfante cittade; come dice il profeta salmeggiante:
Non in fortitudine equi voluntatem habebit, neque in tibiis viri beneplacitum
erit ei.
48 \ COR.\ Supple tu: Sed in fortitudine et tibiis asinae et
pulli filii coniugalis.
49
\ SAUL.\ Or, per venire a mostrarvi come non è
altro che l'asinità quello con cui possiamo tendere ed avvicinarci a quell'alta
specola, voglio che comprendiate e sappiate non esser possibile al mondo meglior
contemplazione che quella che niega ogni scienza ed ogni apprension e giudicio
di vero; di maniera che la somma cognizione è certa stima che non si può saper
nulla e non si sa nulla, e per consequenza di conoscersi di non posser esser
altro che asino e non esser altro che asino; allo qual scopo giunsero gli
socratici, platonici, efettici, pirroniani ed altri simili, che non ebbero
l'orecchie tanto picciole, e le labbra tanto delicate, e la coda tanto corta,
che non le potessero lor medesimi vedere.
50 \ SEB.\ Priegoti, Saulino, non
procedere oggi ad altro per confirmazion e dechiarazion di questo: perché assai
per il presente abbiamo inteso; oltre che vedi esser tempo di cena, e la materia
richiede più lungo discorso. Per tanto piacciavi (se così pare anco al
Coribante) di rivederci domani per la elucidazione di questo proposito; ed io
menarò meco Onorio, il quale si ricorda d'esser stato asino, e però è a tutta
divozione pitagorico; oltre che ha de grandi proprii discorsi con gli quali
forse ne potrà far capaci di qualche proposito.
51 \ SAUL.\ Sarà bene, e
lo desidero; perché lui alleviarà la mia fatica.
52 \ COR.\ Ego quoque
huic adstipulor sententiae, ed è gionta l'ora, in cui debbo licenziar gli
miei discepoli, a fin che propria revisant hospitia, proprios lares.
Anzi, si lubet, per sin tanto che questa materia fia compita,
quotidianamente io m'offero pronto in queste ore medesime farmi qua vosco
presente.
53 \ SAUL.\ Ed io non mancarò di far il medesimo.
54 \ SEB.\
Usciamo dunque.
Dial. 2, parte 1
Interlocutori: Sebasto, Onorio, Coribante, Saulino.
Prima parte del dialogo.
1
\ SEB.\ E tu ti ricordi
d'aver portata la soma?
2
\ ONOR.\ La soma, la carga, e tirato il
manganello qualche volta. Fui prima in serviggio d'un ortolano, aggiutandolo a
portar lettame dalla cittade di Tebe a l'orto vicino le mura, ed a riportar poi
cauli, lattuche, cipolle, cocumeri, pastinache, ravanelli ed altre cose simili
dall'orto alla cittade. Appresso ad un carbonaio, che mi comprò da quello, ed il
qual pochissimi giorni mi ritenne vivo.
3 \ SEB.\ Come è possibile ch'abbi
memoria di questo?
4
\ ONOR.\ Ti dirò poi. Pascendo io sopra certa
precipitosa e sassosa ripa, tratto dall'avidità d'addentar un cardo ch'era
cresciuto alquanto più giù verso il precipizio, che io senza periglio potesse
stendere il collo, volsi al dispetto d'ogni rimorso di conscienza ed instinto di
raggion naturale più del dovero rampegarvi; e caddi da l'alta rupe; onde il mio
signore s'accorse d'avermi comprato per gli corvi. Io privo de l'ergastulo
corporeo dovenni vagante spirto senza membra; e venni a considerare come io,
secondo la spiritual sustanza, non ero differente in geno, né in specie da tutti
gli altri spiriti che dalla dissoluzione de altri animali e composti corpi
transmigravano; e viddi come la Parca non solamente nel geno della materia
corporale fa indifferente il corpo dell'uomo da quel de l'asino ed il corpo de
gli animali dal corpo di cose stimate senz'anima; ma ancora nel geno della
materia spirituale fa rimaner indifferente l'anima asinina da l'umana, e l'anima
che constituisce gli detti animali, da quella che si trova in tutte le cose:
come tutti gli umori sono uno umore in sustanza, tutte le parti aeree son un
aere in sustanza, tutti gli spiriti sono dall'Anfitrite d'un spirito, ed a
quello ritornan tutti. Or dopo che qualche tempo fui trattenuto in cotal stato,
ecco che
Lethaeum ad fluvium Deus evocat agmine magno,
Scilicet
immemores supera ut convexa revisant,
Rursus et incipiant in corpora velle
reverti.
5 Allora, scampando io da' fortunati campi, senza sorbir de
l'onde del rapido Lete, tra quella moltitudine di cui era principal guida
Mercurio, io feci finta de bevere di quell'umore in compagnia de gli altri: ma
non feci altro ch'accostarvi e toccarvi con le labbra, a fin che venessero
ingannati gli soprastanti a' quali poté bastare di vedermi la bocca e 'l mento
bagnato. Presi il camino verso l'aria più puro per la porta Cornea, e
lasciandomi a le spalli e sotto gli piedi il profondo, venni a ritrovarmi nel
Parnasio monte, il qual non è favola che per il suo fonte Caballino sia cosa dal
padre Apolline consecrata alle Muse sue figlie. Ivi per forza ed ordine del fato
tornai ad essere asino, ma senza perdere le specie intelligibili, delle quali
non rimase vedovo e casso il spirito animale, per forza della cui virtude
m'uscirno da l'uno e l'altro lato la forma e sustanza de due ali
sufficientissime ad inalzar in sino a gli astri il mio corporeo pondo. Apparvi e
fui nomato non asino già semplicemente, ma o asino volante, o ver cavallo
Pegaseo. Indi fui fatto exequitor de molti ordini del provido Giove, servii a
Bellerofonte, passai molte celebri ed onoratissime fortune, ed alla fine fui
assumpto in cielo circa gli confini d'Andromeda ed il Cigno d'un canto, e gli
Pesci ed Aquario da l'altro.
6
\ SEB.\ Di grazia, rispondetemi alquanto, prima
che mi facciate intendere queste cose più per il minuto. Dunque, per esperienza
e memoria del fatto estimate vera l'opinion de' Pitagorici, Druidi, Saduchimi ed
altri simili, circa quella continua metamfisicosi, cioè transformazione e
transcorporazione de tutte l'anime?
Spiritus eque feris humana in corpora
transit,
Inque feras noster, nec tempore deperit ullo.
7 \ ONOR.\
Messer sì, cossì è certissimamente.
8 \ SEB.\ Dunque, constantemente
vuoi che non sia altro in sustanza l'anima de l'uomo e quella de le bestie? e
non differiscano se non in figurazione?
9 \ ONOR.\ Quella de l'uomo è
medesima in essenza specifica e generica con quella de le mosche, ostreche
marine e piante, e di qualsivoglia cosa che si trove animata o abbia anima: come
non è corpo che non abbia o più o meno vivace- e perfettamente communicazion di
spirito in se stesso. Or cotal spirito, secondo il fato o providenza, ordine o
fortuna, viene a giongersi or ad una specie di corpo, or ad un'altra; e secondo
la raggione della diversità di complessioni e membri, viene ad avere diversi
gradi e perfezioni d'ingegno ed operazioni. Là onde quel spirito o anima che era
nell'aragna, e vi avea quell'industria e quelli artigli e membra in tal numero,
quantità e forma; medesimo, gionto alla prolificazione umana, acquista altra
intelligenza, altri instrumenti, attitudini ed atti. Giongo a questo che, se
fusse possibile, o in fatto si trovasse che d'un serpente il capo si formasse e
stornasse in figura d'una testa umana, ed il busto crescesse in tanta quantità
quanta può contenersi nel periodo di cotal specie, se gli allargasse la lingua,
ampiassero le spalli, se gli ramificassero le braccia e mani, ed al luogo dove è
terminata coda, andassero ad ingeminarsi le gambe; intenderebbe, apparirebbe,
spirarebbe, parlarebbe, oprarebbe e caminarebbe non altrimente che l'uomo;
perché non sarebbe altro che uomo. Come, per il contrario, l'uomo non sarebbe
altro che serpente, se venisse a contraere, come dentro un ceppo, le braccia e
gambe, e l'ossa tutte concorressero alla formazion d'una spina, s'incolubrasse e
prendesse tutte quelle figure de membri ed abiti de complessioni. Allora arrebe
più o men vivace ingegno; in luogo di parlar, sibilarebbe; in luogo di caminare,
serperebbe; in luogo d'edificarsi palaggio, si cavarebbe un pertuggio; e non gli
converrebe la stanza, ma la buca; e come già era sotto quelle, ora è sotto
queste membra, instrumenti, potenze ed atti: come dal medesimo artefice
diversamente inebriato dalla contrazion di materia e da diversi organi armato,
appaiono exercizii de diverso ingegno e pendeno execuzioni diverse. Quindi
possete capire esser possibile che molti animali possono aver più ingegno e
molto maggior lume d'intelletto che l'uomo (come non è burla quel che proferì
Mosè del serpe, ehe nominò sapientissimo tra tutte l'altre bestie de la terra);
ma per penuria d'instrumenti gli viene ad essere inferiore, come quello per
ricchezza e dono de medesimi gli è tanto superiore. E che ciò sia la verità,
considera un poco al sottile, ed essamina entro a te stesso quel che sarrebe,
se, posto che l'uomo avesse al doppio d'ingegno che non ave, e l'intelletto
agente gli splendesse tanto più chiaro che non gli splende, e con tutto ciò le
mani gli venesser transformate in forma de doi piedi, rimanendogli tutto l'altro
nel suo ordinario intiero; dimmi, dove potrebbe impune esser la
conversazion de gli uomini? Come potrebero instituirsi e durar le fameglie ed
unioni di costoro parimente, o più, che de cavalli, cervii, porci, senza esserno
devorati da innumerabili specie de bestie, per essere in tal maniera suggetti a
maggiore e più certa ruina? E per conseguenza dove sarrebono le instituzioni de
dottrine, le invenzioni de discipline, le congregazioni de cittadini, le
strutture de gli edificii ed altre cose assai che significano la grandezza ed
eccellenza umana, e fanno l'uomo trionfator veramente invitto sopra l'altre
specie? Tutto questo, se oculatamente guardi, si referisce non tanto
principalmente al dettato de l'ingegno, quanto a quello della mano, organo de
gli organi.
10 \ SEB.\ Che dirai de le scimie ed orsi che, se non vuoi dir
ch'hanno mano, non hanno peggior instrumento che la mano?
11 \ ONOR.\
Non hanno tal complessione che possa esser capace di tale ingegno; perché
l'universale intelligenza in simili e molti altri animali per la grossezza o
lubricità della material complessione non può imprimere tal forza di sentimento
in cotali spiriti. Però la comparazion fatta si deve intendere nel geno de' più
ingegnosi animali.
12
\ SEB.\ Il papagallo non ha egli l'organo
attissimo a proferir qualsivoglia voce articulata? O perché è tanto duro e con
tanta fatica può parlar sì poco, senza oltre intendere quel che dice?
13 \ ONOR.\ Perché non ha apprensiva, retentiva adequabile e
congenea a quella de l'uomo, ma tal quale conviene alla sua specie; in raggion
della quale non ha bisogno ch'altri gl'insegne di volare, cercare il vitto,
distinguere il nutrimento dal veleno, generare, nidificare, mutar abitazioni, e
riparar alle ingiurie del tempo, e provedere alle necessitadi della vita non men
bene, e tal volta meglior- e più facilmente che l'uomo.
14 \ SEB.\
Questo dicono li dotti non esser per intelletto o per discorso, ma per istinto
naturale.
15 \ ONOR.\ Fatevi dire da cotesti dotti: cotal instinto
naturale è senso o intelletto? Se è senso, è interno o esterno? Or non essendo
esterno, come è manifesto, dicano secondo qual senso interno hanno le
providenze, tecne, arti, precauzioni ed ispedizioni circa l'occasioni non
solamente presenti, ma ancora future, megliormente che l'uomo..
16 \ SEB.\
Son mossi da l'intelligenza non errante.
17 \ ONOR.\ Questa, se è principio
naturale e prossimo applicabile all'operazione prossima ed individuale, non può
essere universale ed estrinseco, ma particolare ed intrinseco, e per consequenza
potenza dell'anima e presidente nella poppa di quella.
18 \ SEB.\
Non volete dunque che sia l'intelligenza universale che muove?
19 \ ONOR.\
Dico che la intelligenza efficiente universale è una de tutti; e quella muove e
fa intendere; ma, oltre, in tutti è l'intelligenza particulare, in cui son
mossi, illuminati ed intendono; e questa è moltiplicata secondo il numero de gli
individui. Come la potenza visiva è moltiplicata secondo il numero de gli occhi,
mossa ed illuminata generalmente da un fuoco, da un lume, da un sole: cossì la
potenza intellettiva è moltiplicata secondo il numero de suggetti partecipi
d'anima, alli quali tutti sopra splende un sole intellettuale. Cossì dunque
sopra tutti gli animali è un senso agente, cioè quello che fa sentir tutti, e
per cui tutti son sensitivi in atto; ed uno intelletto agente, cioè quello che
fa intender tutti, e per cui tutti sono intellettivi in atto; ed appresso son
tanti sensi e tanti particolari intelletti passivi o possibili, quanti son
suggetti: e sono secondo tanti specifici e numerali gradi di complessioni,
quante sono le specifice e numerali figure e complessioni di corpo.
20 \ SEB.\
Dite quel che vi piace, ed intendetela come volete; ché io negli animali non
voglio usar di chiamar quello instinto raggionevole intelletto.
21 \ ONOR.\
Or se non lo puoi chiamar senso, bisogna che ne gli animali, oltre la potenza
sensitiva ed intellettiva, fingi qualch'altra potenza cognoscitiva.
22 \ SEB.\
Dirò ch'è un'efficacia de sensi interiori.
23 \ ONOR.\ Tal efficacia possiamo
ancor dire che sia lo intelletto umano; onde naturalmente discorre l'uomo, ed è
in nostra libertà di nominar come ci piace e limitar le diffinizioni e nomi a
nostra posta, come fe' Averroe. Ed anco è in mia libertà de dire che il vostro
intendere non è intendere, e qualunque cosa che facciate, pensare che non sia
per intelletto, ma per instinto; poiché l'operazioni de altri animali più degne
che le vostre (come quelle dell'api e de le formiche) non hanno nome
d'intelletto ma d'instinto. O pur dirò che l'instinto di quelle bestiole è più
degno che l'intelletto vostro.
24 \ SEB.\ Lasciamo per ora de
discorrere più ampiamente circa questo, e torniamo a noi. Vuoi dunque che come
d'una medesima cera o altra materia si formano diverse e contrarie figure, cossì
di medesima materia corporale si fanno tutti gli corpi, e di medesima sustanza
spirituale sono tutti gli spiriti?
25 \ ONOR.\ Cossì certo; e giongi a
questo che per diverse raggioni, abitudini, ordini, misure e numeri di corpo e
spirito sono diversi temperamenti, complessioni, si producono diversi organi ed
appaiono diversi geni de cose.
26 \ SEB.\ Mi par che non è molto
lontano, né abborrisce da.questo parere quel profetico dogma, quando dice il
tutto essere in mano dell'universale efficiente, come la medesima luta in mano
del medesimo figolo, che con la ruota di questa vertigine de gli astri viene ad
esser fatto e disfatto secondo le vicissitudini della generazione e corrozione
delle cose, or vase onorato, or vase contumelioso di medesima pezza.
27 \ ONOR.\ Cossì hanno inteso e dechiarato molti de più savii
tra gli rabini. Cossì par ch'intendesse colui che disse: uomini e giumenti
salverai secondo che moltiplicarai la misericordia; cossì si fa chiaro nella
metamorfose di Nabuchodonosor. Quindi dubitorno alcuni Saduchimi del Battista,
se lui fusse Elia, non già per medesimo corpo, ma per medesimo spirito in un
altro corpo. In cotal modo di resuscitazione alcuni si prometteno l'execuzione
della giustizia divina secondo gli affetti ed atti ch'hanno exercitati in un
altro corpo.
28 \ SEB.\ Di grazia, non raggioniamo più di questo, perché pur
troppo mi comincia a piacere e parermi più che verisimile la vostra opinione; ed
io voglio mantenermi in quella fede nella quale son stato instrutto da miei
progenitori e maestri. E però parliate de successi istorici, o favoleschi, o
metaforici, e lasciate star le demostrazioni ed autoritadi, le quali credo che
sono più tosto storciute da voi che da gli altri.
29 \ ONOR.\ Hai buona
raggione, fratel mio. Oltre che conviene ch'io torne a compire quel ch'avevo
cominciato a dirti, se non dubiti che con ciò medesimamente non ti vegna a
sobvertere l'ingegno e perturbar la conscienza intemerata.
30 \ SEB.\
Non non, certo, questo ascolto più volentiera che mai posso aver ascoltata
favola alcuna.
31 \ ONOR.\ Se dunque non m'ascolti sotto specie di dottrina e
disciplina, ascoltami per spasso.
Dial. 2, parte 2
Seconda parte del dialogo.
1
\ SEB.\ Ma non vedete
Saulino e Coribante che vegnono?
2 \ ONOR.\ E ora che doveano esser
venuti. Meglio il tardi che mai, Saulino.
3 \ COR.\ Si tardus adventus,
citior expeditio.
4
\ SEB.\ Col vostro tardare avete persi de bei
propositi, quali desidero che siano replicati da Onorio.
5 \ ONOR.\
Non, di grazia, perché mi rincrescerebbe; ma seguitiamo il nostro proposito,
perché quanto a quello che sarà bisogno de riportar oltre, ne raggionarremo
privatamente con essi a meglior comodità, perché ora non vorrei interrompere il
filo del mio riporto.
6
\ SAUL.\ Sì, sì; cossì sia. Andate pur
seguitando.
7 \ ONOR.\ Or essendo io, come ho già detto, nella region
celeste in titolo di cavallo Pegaseo, mi è avvenuto per ordine del fato, che per
la conversione alle cose inferiori (causa di certo affetto, ch'io indi venevo ad
acquistare, la qual molto bene vien descritta dal platonico Plotino), come
inebriato di nettare, venea bandito ad esser or un filosofo, or un poeta, or un
pedante, lasciando la mia imagine in cielo; alla cui sedia a tempi a tempi delle
trasmigrazioni ritornavo, riportandovi la memoria delle specie le quali
nell'abitazion corporale avevo acquistate; e quelle medesime, come in una
biblioteca, lasciavo là quando accadeva ch'io dovesse ritornar a qualch'altra
terrestre abitazione. Delle quali specie memorabili le ultime son quelle ch'ho
cominciate a imbibire a tempo della vita de Filippo macedone, dopo che fui
ingenerato dal seme de Nicomaco, come si crede. Qua, appresso esser stato
discepolo d'Aristarco, Platone ed altri, fui promosso col favor di mio padre,
ch'era consegliero di Filippo, ad esser pedante d'Alexandro Magno: sotto il
quale, benché erudito molto bene nelle umanistiche scienze, nelle quali ero più
illustre che tutti li miei predecessori, entrai in presunzione d'esser filosofo
naturale, come è ordinario nelli pedanti d'esser sempre temerarii e presuntuosi;
e con ciò, per esser estinta la cognizione della filosofia, morto Socrate,
bandito Platone, ed altri in altre maniere dispersi, rimasi io solo lusco intra
gli ciechi; e facilmente possevi aver riputazion non sol di retorico, politico,
logico, ma ancora de filosofo. Cossì malamente e scioccamente riportando le
opinioni de gli antiqui, e de maniera tal sconcia, che né manco gli fanciulli e
le insensate vecchie parlarebono ed intenderebono come io introduco quelli
galant'uomini intendere e parlare, mi venni ad intrudere come riformator di
quella disciplina della quale io non avevo notizia alcuna. Mi dissi principe de'
peripatetici: insegnai in Atene nel sottoportico Liceo: dove, secondo il lume, e
per dir il vero, secondo le tenebre che regnavano in me, intesi ed insegnai
perversamente circa la natura de li principii e sustanza delle cose, delirai più
che l'istessa delirazione circa l'essenza de l'anima, nulla possevi comprendere
per dritto circa la natura del moto e de l'universo; ed in conclusione son fatto
quello per cui la scienza naturale e divina è stinta nel bassissimo della ruota,
come in tempo de gli Caldei e Pitagorici è stata in exaltazione.
8 \ SEB.\
Ma pur ti veggiamo esser stato tanto tempo in admirazion del mondo; e tra
l'altre maraviglie è trovato un certo Arabo ch'ha detto la natura nella tua
produzione aver fatto l'ultimo sforzo, per manifestar quanto più terso, puro,
alto e verace ingegno potesse stampare; e generalmente sei detto demonio della
natura.
9 \ ONOR.\ Non sarebbono gli ignoranti, se non fusse la fede;
e se non la fusse, non sarebbono le vicissitudini delle scienze e virtudi,
bestialitadi ed inerzie ed altre succedenze de contrarie impressioni, come son
de la notte ed il giorno, del fervor de l'estade e rigor de l'inverno.
10 \ SEB.\ Or per venire a quel ch'appartiene alla notizia de
l'anima (mettendo per ora gli altri propositi da canto), ho letti e considerati
que' tuoi tre libri nelli quali parli più balbamente, che possi mai da altro
balbo essere inteso; come ben ti puoi accorgere di tanti diversi pareri ed
estravaganti intenzioni e questionarii, massime circa il dislacciar e
disimbrogliar quel che ti vogli dire in que' confusi e leggieri propositi, gli
quali se pur ascondono qualche cosa, non può esser altro che pedantesca o
peripatetica levitade.
11
\ ONOR.\ Non è maraviglia, fratello; atteso che
non può in conto alcuno essere, che essi loro possano apprendere il mio
intelletto circa quelle cose nelle quali io non ebbi intelletto: o che vagliano
trovar construtto o argumento circa quel ch'io vi voglia dire, se io medesimo
non sapevo quel che mi volesse dire. Qual differenza credete voi essere tra
costoro e quei che cercano le corna del gatto e gambe de l'anguilla? Nulla
certo. Della qual cosa precavendo ch'altri non s'accorgesse, ed io con ciò
venesse ad perdere la riputazion di protosofosso, volsi far de maniera, che
chiunque mi studiasse nella natural filosofia (nella qual fui e mi sentivi a
fatto ignorantissimo), per inconveniente o confusion che vi scorgesse, se non
avea qualche lume d'ingegno, dovesse pensare e credere ciò non essere la mia
intenzion profonda, ma più tosto quel tanto che lui, secondo la sua capacità,
posseva da gli miei sensi superficialmente comprendere. Là onde feci che venesse
publicata quella Lettera ad Alexandro, dove protestavo gli libri fisicali esser
messi in luce, come non messi in luce.
12 \ SEB.\ E per tanto voi mi parete
aver isgravata la vostra conscienza; ed hanno torto questi tanti asinoni a
disporsi di lamentarsi di voi nel giorno del giudicio, come di quel che l'hai
ingannati e sedutti, e con sofistici apparati divertiti dal camino di qualche
veritade che per altri principii e metodi arrebono possuta racquistarsi. Tu
l'hai pure insegnato quel tanto ch'a diritto doveano pensare: che se tu hai
publicato, come non publicato, essi, dopo averti letto, denno pensare di non
averti letto, come tu avevi cossì scritto, come non avessi scritto: talmente
quei cotali ch'insegnano la tua dottrina, non altrimente denno essere ascoltati
che un che parla come non parlasse. E finalmente né a voi deve più essere
atteso, che come ad un che raggiona e getta sentenza di quel che mai intese.
13 \ ONOR.\ Cossì è certo, per dirti ingenuamente come
l'intendo al presente. Perché nessuno deve essere inteso più ch'egli medesimo
mostra di volersi far intendere; e non doviamo andar perseguitando con
l'intelletto color che fuggono il nostro intelletto, con quel dir che parlano
certi per enigma o per metafora, altri perché vuolen che non l'intendano
gl'ignoranti, altri perché la moltitudine non le spreggie, altri perché le
margarite non sieno calpestrate da porci; siamo dovenuti a tale ch'ogni satiro,
fauno, malenconico, embreaco ed infetto d'atra bile, in contar sogni e dir de
pappolate senza construzione e senso alcuno, ne vogliono render suspetti ed
profezia grande, de recondito misterio, de alti secreti ed arcani divini da
risuscitar morti, da pietre filosofali ed altre poltronarie da donar volta a
quei ch'han poco cervello, a farli dovenir al tutto pazzi con giocarsi il tempo,
l'intelletto, la fama e la robba, e spendere sì misera- ed ignobilmente il corso
di sua vita.
14 \ SEB.\ La intese bene un certo mio amico; il quale, avendo
non so se un certo libro de profeta enigmatico o d'altro, dopo avervisi su
lambiccato alquanto dell'umor del capo, con una grazia e bella leggiadria andò a
gittarlo nel cesso, dicendogli: - Fratello, tu non voi esser inteso; io non ti
voglio intendere; - e soggionse ch'andasse con cento diavoli, e lo lasciasse
star con fatti suoi in pace.
15
\ ONOR.\ E quel ch'è degno di compassione e
riso, è che su questi editi libelli e trattati pecoreschi vedi dovenir attonito
Salvio, Ortensio melanconico, smagrito Serafino, impallidito Cammaroto,
invecchiato Ambruogio, impazzito Gregorio, abstratto Reginaldo, gonfio
Bonifacio; ed il molto reverendo Don Cocchiarone, pien d'infinita e nobil
maraviglia, sen va per il largo della sua sala, dove, rimosso dal rude ed
ignobil volgo, se la spasseggia; e rimenando or quinci, or quindi de la
litteraria sua toga le fimbrie, rimenando or questo, or quell'altro piede,
rigettando or vers'il destro, or vers'il sinistro fianco il petto, con il texto
commento sotto l'ascella, e con gesto di voler buttar quel pulce, ch'ha tra le
due prime dita, in terra, con la rugata fronte cogitabondo, con erte ciglia ed
occhi arrotondati, in gesto d'un uomo fortemente maravigliato, conchiudendola
con un grave ed emfatico suspiro, farà pervenir a l'orecchio de circonstanti
questa sentenza: Huc usque alii philosophi non pervenerunt. Se si trova
in proposito di lezion di qualche libro composto da qualche energumeno o
inspiritato, dove non è espresso e donde non si può premere più sentimento che
possa ritrovarsi in un spirito cavallino, allora per mostrar d'aver dato sul
chiodo, exclamarà: - O magnum mysterium! - Se per avventura si trovasse
un libro de...
16 \ SEB.\ Non più, di grazia, di questi propositi delli quali
siamo pur troppo informati; e torniamo al nostro proposito.
17 \ COR.\
Ita ita, sodes. Fatene intendere con qual ordine e.maniera avete
repigliata la memoria la qual perdeste nel supposito peripatetico ed altre
ipostatiche sussistenze.
18
\ ONOR.\ Credo aver detto a Sebasto, che quante
volte io migravo dal corpo, prima che m'investisse d'un altro, ritornavo a quel
mio vestigio dell'asinina idea (che per l'onor e facultà de l'ali non ha
piaciuto ad alcuni, che tegnono tal animale in opprobrio, di chiamarlo asino, ma
cavallo Pegaseo): e da là, dopo avervi descritti gli atti e le fortune ch'avevo
passate, sempre fui destinato a ritornar più tosto uomo che altra cosa, per
privilegio che mi guadagnai per aver avuto astuzia e continenza quella volta con
non mandar giù per il gorgazuolo de l'umor de l'onde letee. Oltre, per la
giurisdizione di quella piazza celeste, è avvenuto che, partendo io da corpi,
mai oltre ho preso il camino verso il plutonio regno per riveder gli campi
Elisii, ma vêr l'illustre ed augusto imperio di Giove.
19 \ COR.\
Alla stanza dell'aligero quadrupede.
20 \ ONOR.\ Sin tanto che a questi
tempi, piacendo al senato de gli dei, m'ha convenuto de transmigrar con l'altre
bestie a basso, lasciando solamente l'impression de mia virtude in alto; onde,
per grazia e degno favor de gli dei, ne vegno ornato e cinto de mia biblioteca,
portando non solamente la memoria delle specie opinabili, sofistiche, apparenti,
probabili e demostrative, ma, ed oltre, il giudicio distintivo di quelle che son
vere, da l'altre che son false. Ed oltre de quelle cose che in diversamente
complessionati diversi corpi per varie sorti de discipline ho concepute, ritegno
ancora l'abito, e de molte altre veritadi alle quali, senza ministerio de sensi,
con puro occhio intellettuale vien aperto il camino; e non mi fuggono,
quantumque mi trove sotto questa pelle e pareti rinchiuso, onde per le porte de'
sensi, come per certi strettissimi buchi, ordinariamente possiamo contemplar
qualche specie di enti: sì come altrimente ne vien lecito di veder chiaro ed
aperto l'orizonte tutto de le forme naturali, ritrovandoci fuor de la priggione.
21 \ SEB.\ Tanto che restate di tutto sì fattamente informato,
che ottenete più che l'abito di tante filosofie, di tanti suppositi filosofici,
ch'avete presentati al mondo, ottenendo oltre il giudicio superiore a quelle
tenebre e quella luce sotto le quali avete vegetato, sentito, inteso, o in atto
o in potenza, abitando or nelle terrene, or nell'inferne, or nelle stanze
celesti.
22 \ ONOR.\ Vero: e da tal retentiva vegno a posser considerar,
e conoscer meglio che come in specchio, quel tanto ch'è vero dell'essenza e
sustanza de l'anima.
Dial. 2, parte 3
Terza parte del dialogo.
1
\ SEB.\ Soprasediamo circa
questo per ora, e venemo a sentir il vostro parere circa la questione qual ieri
fu mossa tra me e Saulino qua presente; il quale referisce l'opinion d'alcune
sette le quali vogliono non esser scienza alcuna appo noi.
2 \ SAUL.\
Feci a certa bastanza aperto, che sotto l'eminenza de la verità non abbiam noi
cosa più eminente che l'ignoranza ed asinitade: perciò che questa è il mezzo per
cui la sofia si congionge e si domestica con essa; e non è altra virtude che sia
capace ad aver la stanza gionta muro a muro con quella. Atteso che l'umano
intelletto ha qualch'accesso a la verità; il quale accesso se non è per la
scienza e cognizione, necessariamente bisogna che sia per l'ignoranza ed
asinità.
3 \ COR.\ Nego sequelam.
4 \ SAUL.\ La consequenza
è manifesta da quel che nell'intelletto razionale non è mezzo tra l'ignoranza e
scienza; perché bisogna che vi sia l'una de due, essendo doi oppositi circa tal
suggetto, come privazione ed abito.
5 \ COR.\ Quid de assumptione,
sive antecedente?
6
\ SAUL.\ Quella, come dissi, è messa avanti da
tanti famosissimi filosofi e teologi.
7 \ COR.\ Debilissimo è l'argumento
ab humana authoritate.
8
\ SAUL.\ Cotali asserzioni non son senza
demostrativi discorsi.
9
\ SEB.\ Dunque, se tal opinione è vera, è vera
per demostrazione; la demostrazione è un sillogismo scientifico; dunque, secondo
quei medesimi che negano la scienza ed apprension di verità, viene ad esser
posta l'apprension di verità e discorso scienziale; e consequentemente sono dal
suo medesimo senso e paroli redarguiti. Giongo a questo che se non si sa verità
alcuna, essi medesimi non sanno quel che dicono, e non possono esser certi se
parlano o ragghiano, se son omini o asini.
10 \ SAUL.\ La risoluzion di questo
la potrete attendere da quel che vi farò udire appresso; perché prima fia
mistiero intendere la cosa, e poi il modo e maniera di quella.
11 \ COR.\
Bene. Modus enim rei rem praesupponat oportet.
12 \ SEB.\ Or fatene
intendere le cose con quell'ordine che vi piace.
13 \ SAUL.\ Farò. Son
trovati tra le sette de filosofi alcuni nomati generalmente academici, e più
propriamente sceptici o ver efettici, li quali dubitavano determinar di cosa
veruna; bandito ogni enunciazione, non osavano affirmare o negare, ma si faceano
chiamare inquisitori, investigatori e scrutatori de le cose.
14 \ SEB.\
Perché queste vane bestie inquirevano, investigavano e scrutavano senza speranza
di ritrovar cosa alcuna? Or questi son de quei che s'affaticano senza proposito.
15 \ COR.\ Per far buggiarda quella vulgata sentenza: Omne
agens est propter finem. Ma edepol, mehercle, io mi.persuado che come
Onorio ha dependenza da l'influsso de l'asino Pegaseo, o pur è il Pegaseo
istesso, talmente cotai filosofi sieno stati le Belide istesse, se almeno quelle
non gl'influivano nel capo.
16
\ SAUL.\ Lasciatemi compire. Or costoro non
porgean fede a quel che vedeano, né a quel ch'udivano: perché stimavano la
verità cosa confusa ed incomprensibile, e posta nella natura e composizione
d'ogni varietà, diversità e contrarietà; ogni cosa essere una mistura, nulla
costar di sé, niente esser di propria natura e virtude, e gli oggetti
presentarsi alle potenze apprensive non in quella maniera con cui sono in se
medesimi, ma secondo la relazione ch'acquistano per le lor specie, che in certo
modo partendosi da questa e quella materia vegnono a giuntarsi e crear nuove
forme ne gli nostri sensi.
17
\ SEB.\ Oh in verità costoro con non troppa
fatica in pochissimo tempo possono esser filosofi e mostrarsi più savii de gli
altri.
18 \ SAUL.\ A questi succesero gli pirroni, molto più scarsi in
donar fede al proprio senso ed intelletto, che gli efettici; perché, dove quelli
altri credeno aver compresa qualche cosa ed esser fatti partecipi di qualche
giudicio per aver informazion di questa verità, cioè che cosa alcuna non può
esser compresa né determinata, questi anco di cotal giudicio se stimâro privi,
dicendo che né men possono esser certi di questo, cioè che cosa alcuna non si
possa determinare.
19
\ SEB.\ Guardate l'industria di quest'altra
Academia, ch'avendo visto il modello de l'ingegno e notato l'industria di quella
che con facilità ed atto di poltronaria volea dar de calci, per versar a terra
l'altre filosofie, essa armata di maggior pecoraggine, con giongere un poco più
di sale della sua insipidezza, vuol donar la spinta ed a quelle tutte ed a
cotesta insieme, con farsi tanto più savia de tutte generalmente, quanto con
manco spesa e lambiccamento di cervello in essa s'intogano ed addottorano. Via
via, andiam più oltre. Or che debbo far io, essendo ambizioso di formar nuova
setta, e parer più savio de tutti, e di costoro ancora che sono oltre gli tutti?
Farò qua un terzo tabernaculo, piantarò un'Academia più dotta, con stringermi
alquanto la cintura. Ma vorrò forse tanto raffrenar la voce con gli efettici, e
stringere il fiato con gli pirroni, che per me poi non exali spirito e crepi?
20 \ SAUL.\ Che volete dir per questo?
21 \ SEB.\
Questi poltroni per scampar la fatica di dar raggioni delle cose, e per non
accusar la loro inerzia, ed invidia ch'hanno all'industria altrui, volendo parer
megliori, e non bastandoli d'occultar la propria viltade, non possendoli passar
avanti né correre al pari né aver modo di far qualche cosa del suo, per non
pregiudicar alla lor vana presunzione confessando l'imbecillità del proprio
ingegno, grossezza di senso e privazion d'intelletto, e per far parer gli altri
senza lume di giudicio della propria cecitade, donano la colpa alla natura, alle
cose che mal si rapresentano, e non principalmente alla mala apprensione de gli
dogmatici; perché con questo modo di procedere sarrebono stati costretti di
porre in campo al paragone la lor buona apprensione, la quale avesse parturito
meglior fede, dopo aver generato meglior concetto ne gli animi de quel che si
delettano delle contemplazioni de cose naturali. Or dunque essi, volendo con
minor fatica ed intelletto, e manco rischio de perdere il credito, parer più
savii che gli altri, dissero, gli efettici, che nulla si può determinare, perché
nulla si conosce: onde quelli che stimano d'intendere e parlano assertivamente,
delirano più in grosso che quei che non intendeno e non parlano. Gli secondi
poi, detti pirroni, per parer essi archisapienti, dissero che né tampoco questo
si può intendere (il che si credeano intendere gli efettici): che cosa alcuna
non possa esser determinata o conosciuta. Sì che dove gli efettici intesero che
gli altri, che pensavano d'intendere, non intendevano, ora gli pirroni intesero
che gli efettici non intendevano, se gli altri, che si pensavano d'intendere,
intendessero o non. Or quel che ne resta per giongere di vantaggio alla sapienza
di costoro, è che noi sappiamo che gli pirroni non sapevano, che gli efettici
non sapevano, che gli dogmatici, che pensavano di sapere, non sapevano; e cossì,
con aggevolezza, sempre più e più vegna a prendere aumento questa nobil scala de
filosofie, sin tanto che demostrativamente si conchiuda l'ultimo grado della
somma filosofia ed ottima contemplazione essere di quei che non solamente non
affermano né niegano di sapere o ignorare, ma né manco possono affirmare né
negare; di sorte che gli asini sono li più divini animali, e l'asinitade sua
sorella è la compagna e secretaria della veritade.
22 \ SAUL.\ Se questo che
dici improperativamente ed in còlera, lo dicessi da buon senno ed
assertivamente, direi che la vostra deduzione è eccellentissima ed egregiamente
divina; e che sei pervenuto a quel scopo, al quale gli tanti dogmatici e tanti
academici hanno concorso, con rimanerti di gran lunga a dietro tanti quanti
sono.
23 \ SEB.\ Vi priego (poi che siamo venuti sin a questo) che mi
facciate intendere con qual persuasione gli academici niegano la possibilità di
detta apprensione.
24
\ SAUL.\ Questa vorrei che ne fusse riferita da
Onorio, percioché, per esser egli stato in ipostasi de sì molti e gran notomisti
de le viscere de la natura, non è fuor di raggione che tal volta si sia trovato
academico.
25 \ ONOR.\ Anzi io son stato quel Xenofane Colofonio, che
disse in tutte e de tutte le cose non esser altro che opinione. Ma, lasciando
ora que' miei proprii pensieri da canto, dico, circa il proposito, essere
raggion trita quella de' pirroni, li quali dicevano che per apprendere la verità
bisogna la dottrina; e per mettere in effetto la dottrina, è necessario quel che
insegna, quel ch'è insegnato e la cosa la quale è per insegnarsi: cioè il
mastro, il discepolo, l'arte; ma di queste tre non è cosa che si trove in
effetto; dunque non è dottrina e non è apprension di veritade.
26 \ SEB.\
Con qual raggione dicono prima, non esser cosa de cui fia dottrina o disciplina?
27 \ ONOR.\ Con questa. Quella cosa, dicono, o devrà esser
vera.o falsa. Se è falsa, non può essere insegnata, perché del falso non può
esser dottrina né disciplina: atteso che a quel che non è, non può accader cosa
alcuna, e perciò non può accader anco d'essere insegnato. Se è vera, non può
pure più che tanto essere insegnata: perché o è cosa la quale equalmente appare
a tutti, e cossì di lei non può esser dottrina, e per consequenza non può
esserne alcun dottore, come né del bianco che sia bianco, del cavallo che sia
cavallo, de l'arbore che sia arbore; o è cosa, che altrimente ed inequalmente ad
altri ed altri appare, e cossì in sé non può aver altro che opinabilità, e sopra
lei non si può formar altro che opinione. Oltre, s'è vero quel che deve essere
insegnato e notificato, bisogna che sia insegnato per qualche causa o mezzo: la
qual causa e mezzo o bisogna che sia occolta o conosciuta. S'ella è occolta, non
può notificar altro. Se la è conosciuta è necessario che sia per causa o mezzo;
e cossì, oltre ed oltre procedendo, verremo ad accorgerci che non si gionge al
principio de scienza, se ogni scienza è per causa.
28 Oltre, dicono, essendo
che de le cose che sono, altre sieno corpi, altre incorporali, bisogna che de
cose, quai vegnono insegnate, altre appartegnano a l'uno, altre a l'altro geno.
Or il corpo non può esser insegnato, percioché non può esser sotto giudicio di
senso né d'intelletto. Non certo a giudicio di senso: stante che, secondo tutte
le dottrine e sette, il corpo consta de più dimensioni, raggioni, differenze e
circonstanze; e non solamente non è un definito accidente per esser cosa
obiettabile a un senso particolare o al commune, ma è una composizione e
congregazione de proprietadi ed individui innumerabili. E concesso, se cossì
piace, ch'il corpo sia cosa sensibile, non per questo sarà cosa da dottrina o
disciplina; perché non bisogna che vi si trove il discepolo ed il maestro per
far sapere ch'il bianco è bianco, ed il caldo è caldo. Non può essere anco il
corpo sotto il giudicio d'intelligenza, perché è assai conceduto appresso tutti
dogmatici ed academici, che l'oggetto de l'intelletto non può esser altro che
cosa incorporea. Da qua s'inferisce secondariamente che non può essere chi
insegne; né, terzo, chi possa essere insegnato; perché, come è veduto, questo
non ha che apprendere o concipere, e quello non ha che insegnare ed imprimere.
29 Giongono un'altra raggione. Se avien che s'insegne, o uno
senz'arte insegna un altro senz'arte: e questo non è possibile, perché non men
l'uno che l'altro ha bisogno di essere insegnato; o uno artista insegna un altro
artista: e ciò verrebe ad essere una baia, perché né l'uno né l'altro ha
mestiero del mastro; o quello che non sa insegna colui che sa: e questo verrebe
ad essere come se un cieco volesse guidare colui che vede. Se nessuno di questi
modi è possibile, rimarrà dunque che quel che sa, insegne colui che non sa: e
ciò è più inconveniente che tutto quel che si può imaginare in ciascuno de gli
altri tre modi de fingere; perché quello ch'è senz'arte, non può esser fatto
artefice quando non ha l'arte, atteso che accaderia che potesse esser artefice
quando non è artefice. (Oltre che costui è simile ad un nato sordo e cieco, il
qual mai può venire ad aver pensiero de voci e di colori. Lascio quel che si
dice nel Mennone con l'essempio del servo fugitivo, il qual, fatto presente, non
può esser conosciuto che sia lui, se non era noto prima. Onde vogliono per ugual
e medesima raggione non posser esser nova scienza o dottrina de specie
conoscibili, ma una ricordanza). Né tampoco può esser fatto artefice, quando ha
l'arte; perché allora non si può dir che si faccia o possa essere fatto
artefice, ma che sia artefice.
30 \ SEB.\ Che pare a voi, Onorio,
di queste raggioni?
31
\ ONOR.\ Dico che in examinar cotai discorsi
non fia mistiero d'intrattenerci. Basta che dico esser buoni, come certe erbe
son buone per certi gusti.
32
\ SEB.\ Ma vorrei saper da Saulino (che
magnifica tanto l'asinitate, quanto non può esser magnificata la scienza e
speculazione, dottrina e disciplina alcuna) se l'asinitade può aver luogo in
altri che ne gli asini; come è dire, se alcuno da quel che non era asino, possa
doventar asino per dottrina e disciplina. Perché bisogna che di questi quel che
insegna o quel che è insegnato, o cossì l'uno come l'altro, o né l'uno né
l'altro, siano asini. Dicono se sarà asino quello solo che insegna, o quel solo
ch'è insegnato, o né quello né questo, o questo e quello insieme. Perché qua col
medesimo ordine si può vedere che in nessun modo si possa inasinire. Dunque
dell'asinitade non può essere apprension alcuna, come non è de arti e de
scienze.
33 \ ONOR.\ Di questo ne raggionaremo a tavola dopo cena.
Andiamo dunque, ch'è ora.
34
\ COR.\ Propere eamus.
35 \ SAUL.\
Su!
Dial. 3
Interlocutori: Saulino, Alvaro.
1
\ SAUL.\ Ho pur gran pezzo spasseggiato
aspettando, e m'accorgo esser passata l'ora del cominciamento de' nostri
colloquii, e costoro non son venuti. Oh, veggio il servitor di Sebasto.
2 \ ALV.\ Ben trovato Saulino! Vegno per avisarvi da parte del
mio padrone, che per una settimana al meno non potrete convenir un'altra volta.
A lui è morta la moglie, e sta su l'apparecchi de l'execuzion del testamento,
per esser libero di quest'altro pensiero ancora. Coribante è assalito da le
podagre, ed Onorio è andato a' bagni. A dio.
3 \ SAUL.\ Va in pace. Or
credo che passarà l'occasione de far molti altri raggionamenti sopra la cabala
del detto cavallo. Perché qualmente veggio, l'ordine de l'universo vuole che,
come questo cavallo divino nella celeste regione non si mostra se non sin
all'umbilico (dove quella stella che v'è terminante, è messa in lite e questione
se appartiene alla testa d'Andromeda o pur al tronco di questo egregio bruto),
cossì analogicamente accade che questo cavallo descrittorio non possa venire a
perfezione:
Cossì Fortuna va cangiando stile.
4 Ma non
per ciò noi doviamo desperarci; perché, s'avverrà che questi tornino ad
cominciar d'accoppiars'insieme un'altra volta, le rinchiuderò tutti tre dentro
del conclave, d'onde non possano uscire sin tanto ch'abbiano spacciata la
creazion d'una Cabala magna del cavallo Pegaseo. Interim, questi doi
dialogi vagliano per una Cabala parva, tironica, isagogica, microcosmica. E per
non passar ociosamente il presente tempo che mi supera da spasseggiarmi in
questo atrio, voglio leggere questo dialogo che tegno in mano.
Sonetto a l'Asino cillenico
A L'ASINO CILLENICO.
1
Oh beato quel ventr'e le mammelle,
2 Che t'ha portato e 'n terra ti lattaro,
3 Animalaccio divo, al mondo caro,
4 Che qua fai residenza e
tra le stelle!
5 Mai più preman tuo dorso basti e selle,
6 E
contr'il mondo ingrato e ciel avaro
7 Ti faccia sort'e natura riparo
8 Con sì felice ingegno e buona pelle.
9 Mostra la
testa tua buon naturale,
10
Come le nari quel giudicio sodo,
11 L'orecchie lunghe un udito regale,
12 Le dense
labbra di gran gusto il modo,
13 Da far invidia a' dei quel
genitale;
14 Cervice tal la constanza ch'io lodo.
15 Sol
lodandoti godo:
16 Ma, lasso, cercan tue condizioni
17 Non un sonetto, ma
mille sermoni.
L'asino cillenico
Interlocutori: L'Asino, Micco Pitagorico, Mercurio.
1
\ ASINO\ Or perché derrò io
abusar de l'alto, raro e pelegrino tuo dono, o folgorante Giove? Perché tanto
talento, porgiutomi da te, che con sì particular occhio me miraste (indicante
fato), sotto la nera e tenebrosa terra d'un ingratissimo silenzio terrò
sepolto? suffrirò più a lungo l'esser sollecitato a dire, per non far uscir da
la mia bocca quell'estraordinario ribombo, che la largità tua, in questo
confusissimo secolo, nell'interno mio spirito (perché si producesse fuora) ha
seminato? Aprisi aprisi, dunque, con la chiave de l'occasione l'asinin palato,
sciolgasi per l'industria del supposito la lingua, raccolgansi per mano de
l'attenzione, drizzata dal braccio de l'intenzione, i frutti de gli arbori e
fiori de l'erbe, che sono nel giardino de l'asinina memoria.
2 \ MICCO\
O portento insolito, o prodigio stupendo, o maraviglia incredibile, o miracoloso
successo! Avertano gli dii qualche sciagura! Parla l'asino? l'asino parla? O
Muse, o Apolline, o Ercule, da cotal testa esceno voci articulate? Taci, Micco,
forse t'inganni; forse sotto questa pelle qualch'uomo stassi mascherato, per
burlarsi di noi.
3 \ ASINO\ Pensa pur, Micco, ch'io non sia sofistico, ma che
son naturalissimo asino che parlo; e cossì mi ricordo aver avuti altre volte
umani, come ora mi vedi aver bestiali membri.
4 \ MICCO\ Appresso, o
demonio incarnato, dimandarotti chi, quale e come sei. Per ora, e per la prima,
vorrei saper che cosa dimandi da qua? che augurio ne ameni? qual ordine porti da
gli dei? a che si terminarà questa scena? a qual fine hai messi gli piedi a
partitamente mostrarti vocale in questo nostro sottoportico?
5 \ ASINO\
Per la prima voglio che sappi, ch'io cerco d'esser membro e dechiararmi dottore
di qualche colleggio o academia, perché la mia sufficienza sia autenticata, a
fin che non siano attesi gli miei concetti, e ponderate le mie paroli, e
riputata la mia dottrina con minor fede, che...
6 \ MICCO\ O Giove! è
possibile che ab aeterno abbi giamai registrato un fatto, un successo, un
caso simile a questo?
7
\ ASINO\ Lascia le maraviglie per ora; e
rispondetemi presto, o tu o uno de questi altri, che attoniti concorreno ad
ascoltarmi. O togati, annulati, pileati didascali, archididascali e de la
sapienza eroi e semidei: volete, piacevi, evvi a core d'accettar nel vostro
consorzio, società, contubernio, e sotto la banda e vessillo de la vostra
communione questo asino che vedete ed udite? Perché di voi, altri ridendo si
maravigliano, altri maravigliando si ridono, altri attoniti (che son la maggior
parte) si mordeno le labbia; e nessun risponde?
8 \ MICCO\ Vedi che per
stupore non parlano, e tutti con esser volti a me, mi fan segno ch'io ti
risponda; al qual, come presidente, ancora tocca di donarti risoluzione, e da
cui,.come da tutti, devi aspettar l'ispedizione.
9 \ ASINO\ Che academia è
questa, che tien scritto sopra la porta: Lineam ne pertransito?
10 \ MICCO\ La è una scuola de pitagorici.
11 \ ASINO\
Potravis'entrare?
12
\ MICCO\ Per academico non senza difficili e
molte condizioni.
13
\ ASINO\ Or quali son queste condizioni?
14 \ MICCO\ Son pur assai.
15 \ ASINO\ Quali,
dimandai, non quante.
16
\ MICCO\ Ti risponderò al meglio, riportando le
principali. Prima, che offrendosi alcuno per essere ricevuto, avante che sia
accettato, debba esser squadrato nella disposizion del corpo, fisionomia ed
ingegno, per la gran consequenza relativa che conoscemo aver il corpo da l'anima
e con l'anima.
17 \ ASINO\ Ab Iove principium, Musae, s'egli si vuol
maritare.
18 \ MICCO\ Secondo, ricevuto ch'egli è, se gli dona termine di
tempo (che non è men che di doi anni), nel quale deve tacere e non gli è lecito
d'ardire in punto alcuno de dimandar, anco di cose non intese, non sol che di
disputare ed examinar propositi; ed in quel tempo si chiama acustico. Terzo,
passato questo tempo, gli è lecito di parlare, dimandare, scrivere le cose
udite, ed esplicar le proprie opinioni; ed in questo mentre si appella
matematico o caldeo. Quarto, informato de cose simili, ed ornato di que' studii,
si volta alla considerazion de l'opre del mondo e principii della natura; e qua
ferma il passo, chiamandosi fisico.
19 \ ASINO\ Non procede oltre?
20 \ MICCO\ Più che fisico non può essere: perché delle cose
sopranaturali non si possono aver raggioni, eccetto in quanto riluceno nelle
cose naturali; percioché non accade ad altro intelletto che al purgato e
superiore di considerarle in sé.
21 \ ASINO\ Non si trova appo voi
metafisica?
22 \ MICCO\ No; e quello che gli altri vantano per metafisica,
non è altro che parte di logica. Ma lasciamo questo che non fa al proposito.
Tali, in conclusione, son le condizioni e regole di nostra academia.
23 \ ASINO\ Queste?
24 \ MICCO\ Messer sì.
25 \ ASINO\
O scola onorata, studio egregio, setta formosa, collegio venerando, gimnasio
clarissimo, ludo invitto ed academia tra le principali principalissima! L'asino
errante, come sitibondo cervio, a voi, come a limpidissime e freschissime acqui;
l'asino umile e supplicante, a voi,