Karl Raimund Popper:

Scienza e filosofia

 

 

A cura di Enrico Rubetti

 

 

“Tutta la conoscenza rimane fallibile, congetturale. Non esiste nessuna giustificazione, compresa, beninteso, nessuna giustificazione definitiva di una confutazione. Tuttavia, noi impariamo attraverso confutazioni, cioè attraverso l'eliminazione di errori [...]. La scienza è fallibile perché la scienza è umana”.

(Karl R. Popper)

 

 

 

L’opera Scienza e filosofia (1969), che conclude la ricerca iniziata con Logica della scoperta scientifica (1934), rappresenta la sintesi del pensiero epistemologico di Karl R. Popper, all’interno del dibattito sui criteri di validità della scienza. L’autore tratta degli scopi e delle responsabilità della scienza, dell’accrescimento del sapere scientifico e del processo di costruzione e verifica delle teorie. Il suo discorso verte sulla scienza più come processo e dinamica che come attività che muove da problemi e cerca, per risolverli, di creare teorie sottoponibili a verifica: un tentativo di «spiegare il noto mediante l’ignoto». Lo scritto più complesso contiene la critica all’essenzialismo (per es. cosa è la “gravità” in sé) e allo strumentalismo (per es. l’impiego di formule che usano l’accelerazione di gravità descrivono esattamente i fenomeni) ed espone la tesi dell’autore secondo la quale le teorie sono congetture sottoponibili a severi controlli critici.

 

 

1.    Un punto di vista della conoscenza umana: le teorie come strumenti.

 

Il punto di vista strumentalistico esercita una grande attrazione: è modesto e molto semplice, se lo si paragona con l’essenzialismo.

Secondo l’essenzialismo, dobbiamo distinguere tra:

1.     l’universo della realtà esistenziale

2.     l’universo dei fenomeni osservabili

3.     l’universo del linguaggio descrittivo (o della rappresentazione simbolica)

 

La funzione della teoria può essere descritta con la rappresentazione di ciascuno di questi tre universi mediante un quadrato.

·        TEOREMA: a, b sono fenomeni; A, B sono le realtà corrispondenti, che stanno dietro queste apparenze, e α, β le descrizioni, o rappresentazioni simboliche, di queste realtà. E rappresenta le proprietà essenziali di A, B, ed ε è la teoria che descrive E. Ora, da ε a α possiamo dedurre β: ciò significa che possiamo spiegare, con l’aiuto della nostra teoria, perché a conduce (o è la causa di) b.

 

·        DIMOSTRAZIONE: da questo schema si può ottenere una rappresentazione dello strumentalismo limitandoci semplicemente ad omettere I, cioè l’universo delle realtà che stanno dietro le varie apparenze. Allora α descriverà direttamente a, e β descriverà direttamente b, mentre ε non descrive nulla: è semplicemente uno strumento che ci aiuta a dedurre β da α.

 

·        CONCLUSIONE: questo si può esprimere dicendo che una legge universale, o una teoria, non è un’asserzione vera e propria, ma piuttosto una regola, o un insieme di istruzioni, per derivare asserzioni singolari da altre asserzioni singolari.

 

Questo è il punto di vista strumentalistico. Un argomento a favore dello strumentalismo venne formulato da Berkeley che si basò sulla sua filosofia nominalistica del linguaggio, prendendo in esame la dinamica newtoniana. Secondo il filosofo l’espressione “forza d’attrazione” doveva necessariamente essere un’espressione priva di significato, dal momento che nessuno sarà mai in grado di osservare una forza d’attrazione. Ciò che possiamo osservare sono i movimenti, non le loro supposte “cause” occulte. Dal punto di vista della teoria berkeleyana del linguaggio, ciò è sufficiente a mostrare che la teoria di Newton non può avere alcun contenuto informativo o descrittivo. Coerentemente applicata, questa teoria equivale alla tesi che tutti i termini disposizionali sono privi di significato. Ciò induce a considerare, secondo l’ottica strumentalistica, che la discussione scientifica non si fonda su “oggetti” quali sistemi fisici sensibilmente certi e verificabili, ma solo sui risultati di osservazioni possibili.

 

 

2.    Congetture, verità e realtà.

 

È sempre difficile interpretare le ultimissime teorie, e qualche volta queste ultime lasciano perplessi anche i loro stessi creatori, come accadde a Newton. Lo strumentalismo, secondo Popper, non è più accettabile di quanto non lo sia l’essenzialismo. A questo proposito il filosofo propone un “terzo punto di vista” – oltre all’essenzialismo e allo strumentalismo – del tutto singolare. Il nuovo punto di vista mantiene ferma la dottrina galileana, secondo cui lo scienziato tende a una descrizione vera del mondo o di qualcuno dei suoi aspetti e a una spiegazione vera dei fatti osservabili, e combina questa dottrina con la prospettiva, non-galileana, che, sebbene questo rimanga lo scopo dello scienziato, quest’ultimo non può mai sapere con certezza se le sue scoperte sono vere – anche se qualche volta può stabilire con ragionevole certezza che una teoria è falsa, o il suo grado di falsificabilità.

Secondo il “terzo punto di vista” le teorie scientifiche sono vere e proprie congetture: tentativi di indovinare altamente informativi riguardanti il mondo, i quali, pur non essendo verificabili possono essere sottoposti a severi controlli critici.

L’essenzialismo guarda al nostro mondo ordinario come una semplice e pura apparenza, dietro la quale esso scopre il mondo reale. Tuttavia questa teoria cade nel momento in cui sorge la consapevolezza del fatto che il mondo di ciascuna delle nostre teorie può essere spiegato, a sua volta, da mondi ulteriori, descritti da ulteriori teorie: da teorie situate a un livello più alto di astrazione, di universalità e di controllabilità. La dottrina di una realtà essenziale o ultima crolla insieme con quella di una spiegazione ultima.

Poiché le nuove teorie scientifiche sono, come le vecchie, vere e proprie congetture, esse sono veri e propri tentativi di descrivere questi mondi ulteriori. Così, siamo indotti «a considerare tutti questi mondi, compreso il nostro mondo di tutti i giorni, come egualmente reali, o, forse meglio ancora, come aspetti o strati egualmente reali del mondo reale».

Tutti i molteplici livelli di questa stratificazione sono egualmente reali, anche se potremmo definire i livelli più alti e più congetturali (cioè più stabili, più permanenti e con un più alto grado di astrazione e di invariabilità) come i più reali, proprio a dispetto del fatto che sono i più congetturali. Conseguentemente al ragionamento, Popper si domanda se «non dovremmo chiamare reali solo quegli strati di cose che sono descritti da asserzioni vere, e non da congetture che possono rivelarsi false». Solo controllando una congettura, e riuscendo a falsificarla, è possibile notare chiaramente che c’era una realtà, qualcosa con cui essa poteva collidere. Le falsificazioni permettono di stabilire dei punti di contatto con la realtà. E l’ultima e migliore teoria è sempre un tentativo di incorporare tutte le falsificazioni che siano mai state trovate in un determinato campo d’indagine, spiegandole in termini semplici, cioè controllabili.

«Ma se una teoria è controllabile, implica che eventi di un certo tipo non possono accadere, e così asserisce qualcosa intorno alla realtà». Le congetture controllabili, o tentativi di indovinare, sono dunque congetture intorno alla realtà; dal loro carattere incerto o congetturale segue soltanto che la nostra conoscenza circa la realtà che descrivono è incerta e congetturale. È un errore pensare che sia reale solo ciò che conosciamo con certezza come tale; e, scremata l’ipotesi strumentalistica, Popper ripropone il classico errore berkeleyano, nella forma di «essere è essere conosciuto».

Esiste allora un criterio di verità?

Le teorie sono pure invenzioni, idee che nascono dall’uomo: non si impongono sull’uomo, ma sono gli strumenti di pensiero che egli stesso si è creato, e questo è il punto di vista degli idealisti. Ma alcune di queste teorie possono scontrarsi con la realtà; e quando è possibile definire questo impatto, è possibile anche ammettere l’esistenza di qualcosa, di una realtà, a rammentare il fatto che le nostre idee possono essere errate: non siamo in grado di dare una descrizione “vera” della realtà, ma affermiamo che essa c’è, perché in alcuni casi la descrizione che ne diamo risulta “falsa”. In questo senso, Popper appoggia la tesi realista. Il suo è un realismo critico, che allo stesso tempo si avvicina al punto di vista dell’essenzialismo, secondo cui la scienza è capace di scoperte reali, e che, nello scoprire nuovi mondi, l’intelletto trionfa sulle esperienze sensibili.

Tuttavia la verità, nella scienza, non è mai un possesso, ma un ideale che guida il cammino della ricerca. Non c’è alcun criterio di verità che consenta di dire se una teoria è vera. Infatti, «una teoria è il suo contenuto e il contenuto di una teoria sono le sue infinite conseguenze». Ma i controlli effettivi sulle conseguenze di una teoria saranno sempre in numero limitato, per cui – afferma Popper in modo quasi paradossale – «anche se avessimo avuto la fortuna di trovare una teoria vera, noi questo non potremmo saperlo».

Bisogna abbandonare la convinzione che la scienza sia il campo di conoscenze certe e definitive. Noi possiamo avvicinarci alla verità, non raggiungerla e possederla stabilmente.

 

 

3.    Verificabilità e falsificabilità.

 

Popper distingue due punti di vista, o due sfere di pensiero principali: filosofi verificazionisti o giustificazionismi della conoscenza (o della credenza) e filosofi falsificazionisti, o fallibilisti o filosofi critici della conoscenza (o delle congetture).

I membri del primo gruppo – i verificazionisti o giustificazionisti – sostengono, approssimativamente, che tutto ciò che non può essere sostenuto da ragioni positive non è degno di essere creduto, e neppure di essere preso in seria considerazione.

D’altra parte, i membri del secondo gruppo – i falsificazionisti o fallibilisti – sostengono, approssimativamente, che in linea di principio ciò che non può (per il momento) essere demolito dalle critiche è (per il momento) indegno di essere preso in seria considerazione, mentre ciò che, in linea di principio, può essere demolito dalle critiche, ed è in grado di resistere a qualsiasi sforzo critico, può essere falso, ma non è indegno di essere considerato e forse anche creduto, sia pure solo in via di tentativo.

 

·        I verificazionisti, sostenendo la tradizionale lotta del razionalismo contro la superstizione e l’autorità arbitraria, esigono che una credenza si accetti solo se può essere giustificata da prove positive, cioè solo se si può mostrare che è vera o, almeno, che è altamente probabile. Una credenza può dunque essere accettata solo se è possibile verificarla o confermarla probabilisticamente.

 

·        I falsificazionisti (il gruppo di fallibilisti a cui lo stesso Popper dichiara di appartenere), appoggiando le tesi degli irrazionalisti, credono di aver scoperto argomenti logici che mostrano che il programma del primo gruppo non può essere realizzato, che non si può mai dare ragioni positive che giustifichino la credenza che una teoria è vera. Ma, a differenza degli irrazionalisti, i falsificazionisti credono di aver anche scoperto un modo per realizzare il vecchio ideale dei razionalisti, riconoscendo che la razionalità della scienza non consiste nell’abito di fare appello a prove empiriche a sostegno dei suoi dogmi ma soltanto nell’approccio critico, o confutazione delle prove empiriche. Fondare la sicurezza, la certezza o la probabilità delle teorie scientifiche acquista scarso interesse per i falsificazionisti, che, consapevoli della fallibilità di tali teorie, cercano di criticarle, imparando dagli errori a procedere forse a teorie migliori, perché la conoscenza, infatti, «si accresce nella misura in cui impariamo dagli errori».

 

Considerando i loro punti di vista intorno alla funzione negativa o positiva delle prove, gli appartenenti al primo gruppo – i giustificazionisti – possono essere denominati «positivisti», mentre gli appartenenti al secondo gruppo – i fallibilisti – possono essere denominati critici o «negativisti», anch’essi, come i primi, interessati alla ricerca della verità, ma più concentrati ad attuare tale ricerca mediante la critica, talvolta distruttiva, di punti di vista che appaiono “chiaramente” paradossali. Il fallibilismo, pertanto, si configura come una sorta di non-sapere socratico, basato sulla consapevolezza di essere costantemente esposti all’errore e di non poter cogliere la verità con certezza.

 

 

4.    Il principio di falsificazione.

 

Verità e contenuto si fondano sulla stretta relazione tra verisimilitudine e probabilità.

La probabilità logica rappresenta l’idea dell’avvicinamento alla certezza logica (o verità tautologica), attraverso una diminuzione graduale del contenuto informativo. Per l’altro verso, la verisimilitudine rappresenta l’idea dell’avvicinamento alla verità comprensiva: essa combina così verità e contenuto, mentre la probabilità combina verità e mancanza di contenuto.

Se ne deduce che lo scopo della scienza non è dunque la ricerca pura della verità, ma più propriamente la ricerca di una verità che sia dotata di una considerevole tendenza alla probabilità, o di un alto grado probabilistico.

Su tali presupposti Popper fonda la sua serrata critica dell’induttivismo – il principio metodologico sul quale si basava la tradizione empirista –, riprendendo le tesi di un empirista radicale come Hume, che aveva negato la possibilità di giungere legittimamente ad asserzioni generali, universali, procedendo da asserzioni singolari o particolari.

Ne consegue la critica del principio di verificazione, in quanto non applicabile alle leggi universali della scienza. Tale principio è solo un’utopia, poiché né le leggi scientifiche né «le teorie sono mai verificate empiricamente». Queste, pertanto, si configurano sempre come ipotesi. Ad esempio, per quanto siano numerose le verifiche a sostegno di una determinata ipotesi, basterebbe una ed una sola dimostrazione (o verifica) accettabile a sostenere il contrario (o la negazione) di tale ipotesi, per far crollare l’intera struttura della teoria stessa. Qualsiasi ipotesi, dunque, è potenzialmente falsificabile, in quanto in futuro potrebbe sempre dimostrarsi falsa. In quest’ottica il filosofo è portato a considerare le teorie – e la loro instabile struttura – come «assunzioni provvisorie, anticipazioni infondate» che non possono essere dimostrate.

La scienza è innanzitutto elaborazione di ipotesi. Popper sostiene con decisione il primato della teoria sull’esperienza, della struttura ipotetico-deduttiva della scienza su quella induttiva, e considera assurda l’opinione che essa possa partire da pure osservazioni senza alcun tipo di teoria. L’induzione è accettabile solo quando si muove all’interno di un ben preciso orizzonte teorico e non viene più considerata come un procedimento fondante.

Il filosofo introduce quindi uno dei concetti portanti del suo pensiero: il problema della demarcazione. Tale criterio di “demarcazione” fra ciò che chiamiamo scienza e ciò che definiamo non-scienza si fonda sul principio di falsificazione.

Le ipotesi generali in campo scientifico, frutto di elaborazione razionale, sono falsificabili, cioè «tali da poter esser smentite dall’esperienza». Pertanto, viene considerato “scientifico” un sistema di proposizioni che dispone di sistemi di controllo empirico che possano confutarlo. In altri termini, dato che una teoria o un’asserzione è falsificabile se esiste almeno un “falsificatore potenziale”, cioè un asserto di base che possa entrare in contrasto con la teoria, tale teoria, per essere considerata scientifica, deve prestarsi a controlli che possano – eventualmente – dimostrarne la falsità.

L’impostazione induttivista viene rovesciata: l’esperienza non serve a fondare una teoria, ma serve a confutarla. Mentre, sulla base del principio di verificazione, occorrerebbero infinite prove per “verificare” una legge, per il principio di falsificazione è sufficiente una sola prova per accertare che un’ipotesi scientifica è falsa («basta un solo cigno nero per smentire l’asserzione “tutti i cigni sono bianchi”»).

 

 

5.    Scienza e metafisica.

 

La «demarcazione» fra la scienza e la metafisica sta nel fatto che le proposizioni di quest’ultima pretendono di collocarsi al di sopra di qualunque possibile smentita, si ritengono, cioè, incondizionatamente vere, oppure, come dice Popper, non sono falsificabili, sono cioè disposte in modo da non poter essere sottoposte a prove e a smentite da parte dell’esperienza. Questa caratteristica è comune anche alla psicoanalisi e al marxismo.

Pur demarcando la scienza dalla metafisica, Popper si differenzia dai neopositivisti per il fatto di non considerare – come questi – del tutto «prive di significato» le proposizioni della metafisica. Egli ritiene quindi innegabile il ruolo che le idee della metafisica hanno avuto nella storia e nello sviluppo della scienza, in quanto ipotesi speculative ma capaci di dare una visione ordinata del mondo, di fornire concetti in grado di orientare nella ricerca.


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