Il tuo desiderio di sapere e i tuoi sforzi, mio caro Temisone, per
conseguire l'eccellenza e una vita felice, mi sono noti per sentito dire, ed io
sono convinto (B1) che nessuno è in condizioni più propizie delle tue per
accostarsi alla filosofia, dal momento che tu sei ricco, sicchè puoi prodigare
del denaro a questo scopo, e la tue posizione è eminente. Ora la maggioranza
delle persone pensa che una vita felice si fondi sul possesso dei beni esterni,
e non del tutto senza ragione, perchè vediamo che ad alcuni tutto procede per il
meglio, e il successo arride, sebbene siano stolti. Ma certamente tu hai anche
sperimentato dei casi in cui accade il contrario. Sia, quindi, dalla tua
conoscenza del passato, che per la tua personale esperienza ti verranno in mente
molti casi in cui l'orgogliosa grandezza è caduta in rovina; tu hai conosciuto
degli uomini che riponevano troppa fiducia nella ricchezza, nella felicità e nel
potere, e che quindi dovettero provare una repentina caduta nell'infelicità.
Quanto maggiore fu il loro successo, tanto più grave sentono l'insuccesso e
l'infelicità, e si vergognano perchè la loro attuale posizione (B2) impedisce
loro di prendere l'iniziativa di compiere ciò che considerano il loro dovere. E
poichè vediamo le disgrazie di queste persone, dovremmo evitare una sorte
simile, e tenere presente che la felicità della vita non consiste nel possesso
di grandi sostanze, quanto piuttosto nel trovarsi in una buona condizione
dell'anima. Anche per quanto riguarda il corpo, nessuno dirà che è favorito
perchè è avvolto in abiti magnifici, ma piuttosto si dice così di quello che è
dotato di buona salute e si trova in buona condizione, dovessero pure mancargli
tutti quegli ornamenti esterni. Allo stesso modo, si può chiamare felice
soltanto quell'anima che sia educata, e soltanto l'uomo educato, non colui che è
ornato di splendidi beni esterni, ma che personalmente non vale nulla. Così è
anche per un cavallo; può portare un morso d'oro e finimenti preziosi, ma se per
il resto non vale nulla, non lo apprezziamo affatto, e diamo invece la
preferenza a quello che possiede delle buone qualità. (B3) Inoltre accade che,
quando gente dappoco giunge in possesso di grandi sostanze, spesso apprezzi
queste proprietà perfino più dei beni dell'anima, che è la cosa fra tutte più
vergognosa. Se un signore apparisse da meno del suo servo, sarebbe oggetto di
derisione; allo stesso modo, bisogna considerare uomini meschini coloro per i
quali l'acquisizione di qualche ricchezza è più importante del loro carattere.
(B4) Così è in realtà; poichè, come dice il proverbio, sazietà genera insolenza;
e quando la mancanza di educazione si accompagna al potere, ne nasce la
megalomania. A coloro la cui anima è mal disposta, nè la ricchezza, nè la forza,
nè la bellezza sono utili, ma invece quanto più abbondantemente essi posseggono
queste cose, tanto più profondamente e per modi più numerosi questo possesso li
danneggia, se non è accompagnato da saggezza. Il detto " al bambino non dare un
coltello" significa " non dare potere alle persone da poco". (B5) La saggezza
filosofica per contro - su questo punto tutti concorderanno - è il risultato del
proprio più serio impegno e della ricerca di quelle cose che la filosofia ci
pone in grado di cercare; perciò dobbiamo dedicarci alla ricerca filosofica
senza cercar scampo in pretesti. (B6) L'espressione "filosofare" significa da un
lato chiedersi se bisogna dedicarsi alla filosofia, e dall'altro dedicarsi alla
filosofia. (B7) Poichè ci rivolgiamo a uomini, e non a quegli esseri la cui vita
è divina, allora dobbiamo aggiungere a quelle anche altre esortazioni che siano
di utilità pratica nella vita sociale. Si dirà dunque così. (B8) Ciò che abbiamo
a disposizione per vivere, cioè il corpo, e ciò che serve al corpo, costituisce
per noi come una sorta di strumento. L'uso di questi strumenti è esposto a
pericolo: per le persone che non li sanno usare nel modo retto, essi producono
per lo più l'effetto opposto. Noi dobbiamo dunque aspirare a quella forma di
sapere che ci possa aiutare ad adoperare nel modo migliore tutti questi
strumenti, dobbiamo conseguirla ed usarla in modo appropriato. Dobbiamo
diventare filosofi, se vogliamo attendere rettamente agli affari dello stato e
ordinare utilmente la nostra vita privata. (B9) Esistono, ora diversi tipi di
conoscenza; quella conoscenza che produce i beni della vita, e quella che se ne
serve. Un'altra partizione è questa: ci sono tipi di conoscenza subordinati, ed
altri che impongono l'ordine. Questi ultimi occupano il posto più elevato, e
presso di loro si trova il bene in senso autentico. Se ora soltanto quella sorta
di sapere che è capace di esprimere un giudizio esatto, che usa la ragione ed ha
di mira il bene nella sua totalità, vale a dire la filosofia, sa servirsi di
tutti gli altri tipi di conoscenza e dirigerli in accordo ai princìpi della
natura, questo è un ulteriore argomento che indica che dobbiamo dedicarci alla
filosofia. Infatti soltanto la filosofia include in sè l'esattezza di giudizio e
l'infallibile saggezza, la quale ha la capacità di determinare con i suoi ordini
che cosa bisogna fare e che cosa no. (B10) Cerchiamo ora di penetrare più
addentro nel nostro problema, e consideriamolo da un punto di vista teleologico,
per arrivare alla stessa esortazione. (B11) Fra le cose che si generano, alcune
devono la loro esistenza a una riflessione e a una capacità "degli uomini", per
esempio una casa o una nave - presupposto di entrambe sono una capacità e un
progetto - mentre altre non nascono in grazia di una capacità degli uomini,
bensì per natura: la natura infatti è l'autrice degli animali e delle piante, e
tutte le cose di questa specie si generano per natura. Ma ci sono anche cose che
avvengono per caso. Nulla di ciò che si produce per caso esiste in vista di un
qualsiasi scopo, nè ha un proprio fine; le cose, invece, che sono prodotte da
una capacità umana hanno un fine ed uno scopo (perchè la persona che possiede la
capacità ti saprà sempre spiegare perchè ha scritto una cosa e in vista di quale
scopo), e questo scopo è migliore di ciò che si genera in vista di quello. Parlo
di cose la cui causa è la capacità per sè, e non soltanto in via accidentale;
perchè la medicina è certamente l'autrice della salute piuttosto che della
malattia, e così l'architettura è causa della casa piuttosto che della sua
demolizione. Dunque, tutto ciò che si genera grazie ad una capacità umana si
genera per un certo scopo, e questo scopo costituisce il suo fine e l'ottimo.
Invece ciò che si realizza per caso nasce senza un proprio scopo. Qualche cosa
di buono può per altro generarsi in seguito a un caso, tuttavia questa cosa non
è buona grazie al caso ed in quanto si genera per caso, perchè tutto ciò che
avviene per caso è comunque indeterminato. (B13) Ciò che si genera secondo
natura, si genera in vista di un certo scopo, e una cosa prodotta dalla natura
ha sempre uno scopo migliore di un'altra prodotta da un'arte. Infatti non è la
natura che imita le capacità umane, ma queste imitano la natura, e la capacità
esiste per aiutare la natura e completare ciò che essa ha lasciato incompiuto.
Infatti alcune cose la natura sembra in grado di compierle da sola, senza aver
bisogno di aiuto; altre invece riesce compierle soltanto con sforzo, oppure ne è
del tutto incapace. Qualcosa di simile si vede nella generazione degli esseri
viventi: alcuni semi germinano senza la minima cura, in qualsiasi terreno siano
caduti, altri invece richiedono anche l'abilità dell'agricoltore. Allo stesso
modo, alcuni esseri viventi riescono a svilupparsi e a raggiungere la loro
maturità completamente da soli, mentre l'uomo richiede tutta una serie di arti
per la sua conservazione, a cominciare già dalla sua nascita, e in seguito per
la sua nutrizione. (B14) Se dunque le capacità umane imitano la natura, allora è
evidente che anche la caratteristica dei prodotti dell'arte umana di avere uno
scopo dipende dalla natura; dovremmo cioè dire che tutto ciò che si genera
rettamente nasce in vista di uno scopo. Infatti tutto ciò che produce qualcosa
di bello è rettamente generato, e tutto ciò che si genera o si è generato
produce, se il processo naturale si svolge normalmente qualcosa di bello. Ciò
che è contrario alla natura, invece, è brutto, ed è opposto a ciò che è conforme
a natura. La generazione normale e conforme a natura, dunque, si compie in vista
di uno scopo. (B15) Ciò si può osservare in ogni singola parte del nostro corpo;
se per esempio osservi la palpebra, noti subito che non è nata senza ragione, ma
per riparare gli occhi, per assicurare ad essi il riposo e impedire che oggetti
esterni possano penetrare in essi. Intendiamo la stessa cosa quando diciamo
delle cose naturali che esse sono nate in vista di uno scopo, come anche quando
diciamo che le cose prodotte dall'arte sono state fabbricate per un determinato
fine. Quando si tratta per esempio di costruire una nave da carico per trasporti
sul mare, ecco con questo indicato lo scopo in vista del quale è prodotta. (B16)
Ora gli esseri viventi appartengono, o tutti in generale o almeno o migliori e
più nobili, a ciò che è generato dalla natura e in accordo con essa; e non
significa nulla se qualcuno invece asserisce che la maggior parte degli animali
sarebbe generata contro natura, cioè per far male e provocare danno. Il più
nobile degli animali esistenti sulla terra è l'uomo, sicchè risulta chiaro che
l'uomo è generato per natura e conformemente a natura. (B17) Se dunque 1) il
fine è sempre migliore della cosa (perchè tutto si genera in vista dello scopo e
il "ciò per cui" è sempre migliore e il meglio di tutto), se poi 2) il fine
conforme a natura è ciò che viene raggiunto per ultimo nel processo del
divenire, quando questo si sviluppi con continuità fino al compimento; se
inoltre assumiamo 3) che nell'uomo prima giunge a compimento il corpo, e
soltanto in seguito ciò che concerne l'anima, e che il compimento di ciò che è
migliore è sempre successivo alla sua generazione; se dunque assumiamo che 4)
l'anima viene all'essere sempre dopo il corpo, e che a sua volta all'interno
dell'anima la facoltà della mente viene all'essere per ultima (poichè vediamo
che questa per natura è l'ultima che si origina nell'uomo, e questa è la ragione
per cui l'unico bene il cui possesso la vecchiaia reclami); 5) ammesso tutto
questo, allora la facoltà della mente è per natura il nostro fine, ed il suo
esercizio costituisce lo scopo ultimo in vista di cui siamo nati. Posto che noi
siamo stati generati conformemente a natura, è allora anche chiaro che esistiamo
per pensare ed imparare. (B18) Ed ora domandiamoci per quale fra gli oggetti di
pensiero esistenti il dio ci ha prodotti. Quando a Pitagora fu posta questa
domanda dagli abitanti di Fliunte, egli rispose: "per osservare il cielo." Egli
usava definirsi un osservatore della natura, e diceva di essere nato per questo
scopo. (B19) Di Anassagora, poi, si racconta che così abbia risposto alla
domanda per quale scopo l'uomo potrebbe augurarsi di nascere e di vivere: "per
osservare il cielo, e le stelle in esso, e la luna e il sole", come se per nulla
altro valesse la pena. (B20) In accordo con questo argomento, Pitagora avrebbe
dunque a ragion veduta affermato che ogni uomo è stato formato dal dio per
conoscere e meditare. Se poi l'oggetto di questa conoscenza sia l'ordine del
mondo oppure una qualche altra natura, sarà forse da esaminare in seguito; per
il momento ci basta, come base, ciò che abbiamo detto. Se cioè conformemente a
natura il fine è la facoltà della mente, allora non v'è dubbio che la cosa
migliore è di esercitarla. (B21) E dunque bisogna fare ogni altra cosa in vista
del bene che è presente nell'uomo stesso; e, fra queste cose a loro volta,
quelle corporee in vista di quelle dell'anima, e la virtù in vista della facoltà
della mente, perchè questa è la cosa più alta. (B22) Alla stessa meta ci porta
quest'altra argomentazione. (B23) Dal momento che nella natura tutta domina
l'ordine, essa non fa nulla a caso, ma tutto subordina a uno scopo. In quanto
essa esclude il caso, si adopera per la realizzazione dello scopo in grado ancor
maggiore di ogni arte umana, perchè, come già sappiamo, le capacità umane
prendono a modello la natura. Poichè per natura l'uomo consta di anima e corpo,
e l'anima vale più del corpo, e inoltre ciò che vale meno è sempre subordinato a
ciò che è migliore in vista di uno scopo, così il corpo esiste in vista
dell'anima. Già sappiamo che l'anima è in parte razionale, in parte invece
irrazionale, e che la parte irrazionale ha minor valore; se ne ricava che la
parte irrazionale esiste in vista di quella razionale. Alla parte razionale
appartiene l'intelligenza; la dimostrazione dunque porta inevitabilmente alla
conclusione che tutto esiste in vista dell'intelligenza. (B24) L'attività
dell'intelligenza è quella di pensare, e il pensare consiste nella
contemplazione degli oggetti del pensiero, così come l'attività dell'organo
della vista è di vedere gli oggetti visibili. Sono quindi il pensiero e
l'intelligenza che rendono ogni altra cosa desiderabile per l'uomo, perchè le
altre cose sono desiderabili in vista dell'anima, e nell'anima l'intelligenza è
ciò che vale di più, e in vista di cui esiste tutto il resto. (B25) Fra gli atti
del pensiero, alcuni sono completamente liberi, quelli cioè che vengono compiuti
per se stessi. Quegli atti del pensiero che producono una conoscenza in vista di
qualcos'altro, sono simili a servitori. Ciò che viene fatto per se stesso, ha
sempre maggior pregio di ciò che viene fatto come mezzo per qualcos'altro; e
così anche ciò che è libero è superiore a ciò che non lo è. (B26) Quando nelle
nostre azioni ci serviamo della riflessione, seguiamo la guida di questa anche
se colui che riflette ha di mira la propria utilità, e determina la sua azione
da questo punto di vista. Costui usa il proprio corpo come un servitore, e deve
lasciare perfino uno spazio notevole al caso; in generale egli compie bene
quelle azioni in cui la riflessione ha un ruolo dominante, anche se nella
maggioranza delle azioni egli deve usare il proprio corpo come uno strumento.
(B27) Dunque, il pensiero puro e non subordinato ad alcuno scopo ha maggiore
nobiltà e maggiore pregio del pensiero che serve per mirare a qualcosa d'altro.
Il pensiero puro è nobile per se stesso, e desiderabile è in esso la sapienza
dell'intelletto, così come la saggezza pratica è desiderabile in vista
dell'azione. Il bene ed il valore più nobile si trovano dunque, innanzi tutto,
nel pensiero filosofico, ma in verità, non in qualsiasi pensiero di tal sorta;
[perchè non ogni idea semplicemente è nobile; soltanto del pensiero di un
maestro di filosofia, quando contempla il principio che domina in tutto
l'universo, si può supporre che sia prossimo alla sapienza, e sia sapienza in
senso proprio] (B28) Privato della percezione e dell'intelligenza, l'uomo
diventa simile ad una pianta; se gli si sottrae l'intelligenza soltanto, si
trasforma in un animale; se è liberato, invece, dall'irrazionale, ma persiste
nell'intelletto, diventa simile a dio. (B29) Perchè nell'intelligenza, che è ciò
che ci differenzia dagli altri esseri viventi, si manifesta con pieno diritto
soltanto in quella forma di vita che non conosce il caso e ciò che è privo di
valore. Certo anche negli animali ci sono piccole scintille di saggezza e di
intelligenza, ma tuttavia essi non hanno minimamente parte della sapienza
filosofica. Questa infatti tocca solo agli dei e all'intelletto negli uomini.
Per altro aspetto, l'uomo è largamente superato da diversi animali quanto ad
acutezza di percezioni sensoriali e istinti naturali. (B30) La vita
dell'intelligenza è in realtà l'unica che non può essere separata dal bene, e
generalmente si riconosce che essa è inclusa nella concezione del bene. Infatti
l'uomo eccellente, che nella sua vita segue la ragione, non cade vittima del
caso, ma invece, più di tutti gli altri uomini, sa liberarsi da ciò che è
sottomesso al caso. Se dai la tua adesione a questo tipo di vita con piena
convinzione, puoi avere buona fiducia. (B31) Noi tutti scegliamo ciò che
contemporaneamente è raggiungibile e utile; bisogna dunque che sia riconosciuto
che la filosofia possiede entrambe queste qualità, e che la difficoltà di
conseguirla è minore dell'utilità che essa procura, perchè tutti facciamo più
volentieri uno sforzo per ciò che è più facile. (B32) E' facile addurre la prova
che noi siamo capaci di conseguire la scienza del giusto e del conveniente, come
anche la scienza della natura e dell'altra realtà che veramente è. (B33) Ciò che
è primario e semplice è sempre meglio noto di ciò che è secondario e consta di
esso; allo stesso modo, ciò che è superiore nella naturale scala di priorità è
meglio noto di ciò che è inferiore. Il sapere si occupa piuttosto di ciò che è
logicamente determinato e ordinato che del suo contrario, e piuttosto dei
fattori fondamentali che di ciò che risulta da essi. Ora, le cose buone sono
determinate ed ordinate in misura maggiore delle cose cattive, per esempio un
uomo eccellente a paragone di persone dappoco; contrari come questi debbono
avere le stesse differenze. Ciò che è primario ha il carattere di una causa più
di ciò che è secondario; perchè se si toglie quello, si toglie anche ciò che da
quello ha avuto il suo essere: le linee, se si tolgono i numeri, i piani, se si
tolgono le linee, i corpi, se si tolgono i piani; e anche la parola, se si
tolgono le sillabe, e le sillabe se si tolgono le lettere. (B34) Quindi, se
l'anima vale più del corpo (perchè per sua natura l'anima è l'elemento che
comanda) e se esistono delle capacità umane e delle scienze in relazione al
corpo, come ad esempio la medicina e la ginnastica (noi le chiamiamo rami della
scienza e riteniamo che esistano degli uomini che ne sono padroni), allora è
chiaro che deve esserci anche in relazione all'anima e alla sua virtù una
qualche cura ed un'arte, e che noi siamo in grado di conseguirla; perchè ci
possiamo appunto impadronire della scienza di cose nelle quali la nostra
ignoranza è ancora maggiore, e che sono più ardue da conoscere. (B35) Lo stesso
vale anche per la scienza della natura; è di gran lunga più necessario aver
conoscenza dei fattori fondamentali e degli elementi più semplici in natura che
di ciò che ne risulta secondariamente. Infatti ciò che è di questo genere non
appartiene alle cose fondamentalmente prime, nè da esso ciò che è primario
deriva dalla sua stessa esistenza, ma è invece evidente che il resto nasce da
ciò che è primario ed esiste grazie a quello. (B36) Siano dunque il fuoco, o
l'aria, o il numero, o una qualche altra natura i fattori fondamentali, primari
in relazione al resto, in ogni caso è escluso che si possa conoscere alcunchè
delle altre cose se prima non si conoscono quelli. Giacchè, come si potrebbero
capire le parole che si dicono, se non si conoscono le sillabe, o le sillabe se
non si sa nulla delle lettere? (B37) Sull'esistenza di una scienza della verità,
e di una eccellenza dell'anima, e sulla nostra capacità di acquisirle entrambe,
basti quel che si è detto. (B38) Che poi questa conoscenza dei princìpi sia il
più grande dei beni e più utile di ogni altra cosa, risulta da quanto segue.
Siamo tutti concordi nel riconoscere che l'uomo eticamente superiore e per
natura sua più capace deve governare, e inoltre che la legge soltanto è
reggitrice e sovrana, quella legge, intendo, che nel suo dettato è espressione
di un pensiero saggio. (B39) Inoltre: chi può costituire una misura ed un punto
di riferimento più preciso, per noi, dell'uomo dotato di intelligenza morale? Le
cose per cui egli si decide, quando fa la sua scelta sulla base della
riflessione e del suo sapere, sono buone, e cattivo è il loro contrario. (B40)
Tutti gli uomini decidono a favore di ciò che ha maggiore consonanza con il loro
carattere, così per esempio il giusto sceglie la vita giusta, il valoroso la
vita valorosa, l'uomo temperato la vita secondo la temperanza. Similmente è
chiaro che l'uomo dotato di capacità intellettuali si deciderà per la filosofia,
perchè il filosofare è compito di quella capacità. Da questo giudizio, espresso
con la maggiore sicurezza possibile, risulta chiaramente che la capacità
dell'intelletto è il più alto di tutti i beni. (B41) Con ancora maggiore
chiarezza la verità di questa tesi risulta dai seguenti argomenti. La
riflessione e la conoscenza sono desiderabili dagli uomini di per sè, in quanto
senza di esse non è possibile vivere una vita degna di un uomo. Ma esse sono
anche utili per la vita pratica, perchè nulla ci appare buono, se non è portato
a compimento con la riflessione e mediante un'attività avveduta. Ora, la vita
felice, può consistere nella gioia e nel benessere, o nel possesso
dell'eccellenza morale, o nell'esercizio della capacità intellettuale: in ognuno
di questi casi, comunque, bisogna dedicarsi alla filosofia, perchè un giudizio
chiaro su queste cose si può conseguire soltanto mediante la filosofia. (B42)
Chi cerca da ogni forma di scienza un risultato diverso da essa ed esige che
ogni scienza debba essere utile, ignora completamente quale fondamentale
differenza ci sia tra ciò che è buono e ciò che è necessario; è, infatti, una
differenza straordinariamente grande. Perchè quelle cose che noi desideriamo in
vista di qualcos'altro, e senza le quali non è possibile vivere, le chiamiamo
necessarie e concause; ciò , invece, che desideriamo per se stesso, anche se non
ci procura null'altro, lo chiamiamo bene in senso proprio. Infatti una cosa non
è desiderabile sempre in vista dell'altra, e così avanti all'infinito: da
qualche parte ci deve essere un punto fermo. E', di fatto, completamente
ridicolo cercare ovunque un'utilità che sia diversa dalla cosa stessa, e
chiedersi: "quale vantaggio ne abbiamo?", e "a cosa può servire?". Chi parla
così, in nessun modo, come s'è detto, risulta simile a colui che conosce il
bello ed il bene e sa distinguere tra causa e concausa. (B43) La verità di
quanto dico risulterebbe nel modo più chiaro se qualcuno ci portasse con il
pensiero nelle isole dei beati. Là non avremmo alcun bisogno, e nessuna delle
altre cose ci procurerebbe alcuna utilità; rimarrebbero unicamente il pensiero e
la filosofia, quindi ciò che appunto ora chiamiamo la vita libera. Se questo è
vero, come sarebbe possibile non vergognarsi a ragione, se, quando si ha la
possibilità di trasferirsi nell'Isola dei beati, se ne è incapaci per colpa
propria? Non è affatto da disprezzare, perciò la ricompensa che la conoscenza
offre agli uomini, e il bene che ne risulta non è cosa da poco. Proprio come
dicono i sapienti tra i poeti, che cioè noi raccogliamo i frutti della giustizia
nell'Ade, così anche dobbiamo supporre che i frutti della filosofia li
raccogliamo nell'Isola dei Beati. (B44) Non dobbiamo perciò preoccuparci se la
filosofia non si dimostra utile o vantaggiosa perchè non affermiamo innanzi
tutto che sia vantaggiosa, ma piuttosto che è buona, e che la si debba scegliere
non per qualcos'altro, ma per se stessa. Infatti come noi andiamo ad Olimpia per
lo spettacolo dei giochi in sè, anche senza averne alcun altro vantaggio (perchè
lo spettacolo vale in sè più di molto denaro), e come non guardiamo le
rappresentazioni drammatiche delle feste Dionisie in base al calcolo di ricevere
qualcosa dagli attori - anzi siamo proprio noi a pagare - e come valutiamo molti
altri spettacoli più di una gran somma di denaro, così anche valuteremo la
contemplazione dell'universo più che non tutte quelle cose, che ci si dia molta
pena per andare a vedere delle persone che sulla scena si presentano come donne
e schiavi, oppure lottano o gareggiano in corse ad Olimpia, e d'altra parte si
consideri che non si debba contemplare senza un compenso la natura delle cose e
della verità. (B45) Così ora abbiamo preso le mosse dal finalismo della natura
per un'esortazione alla filosofia, convinti che il dedicarsi alla filosofia
costituisca un bene ed è nobile cosa già per sè, anche se non ne dovesse
derivare alcuna utilità per la vita pratica. (B46) Che però la speculazione
filosofica sia realmente utile anche per la vita pratica di ogni giorno si
comprenderà facilmente se lo si esemplifica con le arti e le professioni. Tutti
i medici intelligenti e la maggior parte dei maestri di ginnastica dichiarano
unanimemente che chi desidera diventare un buon medico ed un buon ginnasta deve
conoscere bene la natura. Così anche i buoni legislatori devono avere conoscenza
della natura, e anzi in misura molto superiore a quegli altri. I primi infatti
esplicano la loro abilità professionale promuovendo l'eccellenza del corpo,
questi invece si occupano dell'eccellenza dell'anima e pretendono di insegnare
la via per la felicità o l'infelicità all'intera comunità. Ad ancora maggior
ragione hanno bisogno della filosofia. (B47) Nelle altre attività artigianali i
migliori attrezzi sono scoperti mediante l'osservazione della natura; così, per
esempio, nell'arte di costruire il piombino, la riga e l'attrezzo con cui si
traccia il cerchio; per alcuni strumenti ci offre un modello di osservazione
l'acqua, per altri l'osservazione della luce e dei raggi del sole. Con l'aiuto
di questi strumenti noi stabiliamo che cosa è diritto e piano in misura
sufficiente per i nostri sensi. Allo stesso modo anche il politico deve avere
certi termini di riferimento, che desume dalla natura stessa e dalla verità, con
l'aiuto dei quali potrà giudicare che cosa è giusto, che cosa è bello e che cosa
è conveniente. Infatti, come gli strumenti del tipo di cui abbiamo parlato sono
i migliori nelle attività professionali, così anche il miglior termine di
riferimento è quello che in massimo grado si conformi alla natura. (B48) Nessuno
invece che non abbia praticato la filosofia, e conosciuto la verità, può
raggiungere questo. In altre professioni non si giunge al possesso degli
strumenti a ai più precisi ragionamenti prendendo le mosse dai princìpi primi,
bensì da ciò che ne è lontano di due o tre gradi; per questa ragione il loro
sapere è soltanto approssimativo, ed esse basano le loro considerazioni
sull'esperienza. Il solo filosofo imita direttamente le cose esatte, poichè egli
osserva le cose stesse e non le loro imitazioni. (B49) Ora, dunque, come non può
essere un bravo costruttore chi non usa il filo a piombo e altri simili
strumenti, ma semplicemente fa delle case al modo delle altre, così anche è
verosimile che non sarà un buon legislatore nè un uomo eccellente chi promana
leggi per la comunità, o esplica attività politica nella città, soltanto
prendendo in considerazione ed imitando azioni altrui o altre comunità umane,
siano esse quelle degli Spartani, dei Cretesi o di altri. Infatti l'imitazione
di qualcosa che non è bello non può esser bella, e l'imitazione di ciò che per
sua natura non è divino nè stabile non può risultare immortale nè stabile. Fra
tutte le professioni, soltanto quella del filosofo è tale, che le sue leggi sono
stabili e le azioni giuste e nobili. (B50) Infatti il filosofo soltanto vive
mirando costantemente alla natura ed al divino. Come il buon capitano di una
nave, egli ormeggia la sua vita a ciò che è eterno e costante, là getta l'ancora
e vive padrone di sè. (B51) Ora questa conoscenza è di per sè teoretica, però ci
offre la possibilità di regolare su di essa ogni nostra azione. Come cioè, la
vista non crea nè produce nulla, perchè la sua funzione è soltanto quella di
distinguere a rendere evidenti ognuna delle cose visibili, però ci pone in grado
di fare certe cose ricorrendo ad essa, e ci offre l'aiuto più importante per
l'azione (infatti saremmo pressochè completamente incapaci di muoverci, se non
la possedessimo), così anche risulta chiaro che mediante questo sapere noi
compiamo innumerevoli azioni, sebbene esso sia teoretico; con il suo aiuto
decidiamo se una certa cosa deve essere ricercata, un'altra evitata; ma
soprattutto, mediante questa conoscenza, conseguiamo tutto ciò che è buono.
(B52) Chi si propone di verificare ciò che abbiamo detto, deve avere ben chiaro
che tutto ciò che per l'uomo è buono e utile alla vita sta nell'esercizio e
nell'azione, e non nella sola conoscenza del bene. Rimaniamo in buona salute non
perchè conosciamo le cose che ci assicurano la salute, ma perchè le forniamo al
corpo; non siamo ricchi in conseguenza del fatto che sappiamo che cosa è la
ricchezza, bensì del fatto che abbiamo acquistato grandi sostanze; e infine, ciò
che importa più di tutto, non viviamo una vita più bella e più nobile perchè
conosciamo qualcosa dell'essere, ma piuttosto perchè il nostro agire è buono;
questa infatti è veramente la vita felice. Ne consegue che anche la filosofia,
se è davvero utile come noi asseriamo, o è un esercizio di azioni rette, oppure
è giovevole per tali azioni. (B53) Quindi non bisogna fuggire la filosofia, se
davvero la filosofia è, come io credo, acquisizione e applicazione della
sapienza, e si annovera la sapienza tra i beni più alti. Se per amore del denaro
si viaggia fino alle colonne d'Eracle e ci si espone a molti rischi, perchè non
si dovrebbe affrontare qualche fatica e qualche spesa per la filosofia? E'
tipico dell'uomo comune, in realtà, di desiderare la vita e non la vita buona,
di seguire le opinioni del volgo invece di aspettarsi che sia esso a dare
ascolto alla sua opinione, di essere avido di denaro, ma di non occuparsi per
nulla delle cose nobili. (B54) L'utilità e l'importanza dell'oggetto mi sembrano
ormai sufficientemente provate. Ci si dovrebbe poi convincere che è molto più
facile conseguire la conoscenza filosofica che qualsiasi altro bene in base a
quanto segue. (B55) Coloro che si dedicano alla filosofia non ne hanno dagli
uomini una ricompensa che li possa spronare a tali sforzi. Essi possono aver
dedicato molta fatica per conseguire altre capacità, e tuttavia in tempo minore
compiono rapidi progressi verso la scienza esatta; questo mi sembra indicare con
quale facilità si può conseguire la conoscenza filosofica. (B56) Un ulteriore
argomento è che tutti gli uomini si sentono a loro agio nella filosofia, e
volentieri si dedicano ad essa, mentre lasciano ogni altro interesse. Anche
questo costituisce una prova non piccola che è un piacere occuparsi di essa,
giacchè, se fosse semplicemente una fatica, nessuno si tormenterebbe a lungo con
essa. Inoltre l'attività filosofica ha un altro grande vantaggio rispetto a
tutte le altre; non si ha cioè bisogno di un particolare strumento, nè di una
sede particolare per esercitarla, ma in qualunque punto della terra uno si ponga
all'opera con il pensiero, dovunque gli sarà allo stesso modo possibile
afferrare la verità, come se essa fosse presente. (B57) Così dunque è provato
che è possibile dedicarsi alla filosofia, che essa è il maggiore di tutti i
beni, e che è facile conseguirla. Per tutti questi motivi, vale la pena di
coltivarla con passione. B58) Affrontiamo ora il problema del compito specifico
della conoscenza filosofica, e per quale motivo a essa tutti aspiriamo. Vorrei
giungere a una risposta procedendo da un diverso punto di partenza. (B59) Noi
uomini constiamo di anima e corpo; l'una parte comanda, l'altra obbedisce; l'una
utilizza, l'altra esiste come strumento. L'uso dell'oggetto che è comandato,
vale a dire dello strumento, si trova sempre in una relazione determinata con
ciò che gli da degli ordini e lo utilizza. (B60) Nell'anima c'è una parte, la
ragione, che conformemente alla sua natura comanda e ha potere di decidere su di
noi, dall'altra l'elemento che obbedisce e per sua natura riceve gli ordini;
tutto è in una condizione buona quando ogni parte dell'anima raggiunge la sua
eccellenza; l'averla conseguita costituisce il bene. (B 61) E' vero in primo
luogo che si instaura un ordine perfetto quando la parte dell'anima che è la
migliore, la più autorevole e più venerabile raggiunge la sua perfezione. Quanto
migliore è una cosa per sua natura, tanto migliore è la sua perfezione conforma
a natura. Ora è più prezioso ciò che per sua natura è più autorevole e più atto
a comandare, come ad esempio l'uomo a paragone degli animali; così anche l'anima
vale di più del corpo (perchè è più atta a comandare); e all'interno dell'anima
c'è una parte superiore, che è quella che possiede la ragione e la facoltà del
pensiero. Di questa natura è l'elemento che impartisce ordini e proibizioni e
prescrive cosa si debba e che cosa non si debba fare. (B62) Qualunque possa
essere, ora, l'eccellenza di questa parte dell'anima, deve comunque essere la
cosa più desiderabile per tutti semplicemente e per noi; perchè davvero si
dovrebbe, a mio giudizio, ritenere che questa parte, o da solo o più d'ogni
altra, costituisca il nostro vero io. (B63) Inoltre, soltanto quando una cosa
assolve nel modo migliore quello che per natura è il suo compito (e non
accidentalmente, ma proprio per sua natura) è giusto dire che quest'opera è
buona; e quell'eccellenza che rende ogni cosa capace di compiere appunto
quest'opera noi la chiamiamo la sua più alta e specifica eccellenza. (B64) Se
ora l'uomo nel suo complesso è un essere semplice, e la sua qualità di uomo è
determinata dal possesso della ragione e della mente, allora egli non ha altri
compiti al di fuori di quello di conseguire la più esatta verità, cioè la
scienza vera delle cose che sono. Se invece gli appartengono parecchie capacità,
allora la funzione più preziosa tra queste capacità è quella mediante la quale è
capace di realizzare il massimo; così, per esempio, l'opera del medico è la
salute, e quella del capitano della nave è un viaggio sicuro. Io non so indicare
un'opera più pregevole per il pensiero, o per la parte pensante dell'anima,
della ricerca della verità. La verità costituisce dunque realmente l'opera
propria di questa parte dell'anima. (B66) Quest'opera è compiuta dalla parte
pensante quando essa consegue la conoscenza, e tanto meglio, quanto più preziosa
è la conoscenza; il fine più alto del sapere è la conoscenza filosofica. Quando
cioè fra due cose una è desiderabile in vista dell'altra, in questo caso la più
pregevole e desiderabile è quella in vista della quale anche l'altra era
desiderabile, come per esempio, il piacere in rapporto alle cose che lo
procurano, e la salute in rapporto alle cose che l'assicurano; infatti si dice
che conseguiamo l'una attraverso l'altra. (B67) Non c'è nulla di più pregevole
della saggezza filosofica, che definiamo come la capacità più alta delle
funzioni della nostra anima, se paragoniamo l'una con l'altra le diverse
funzioni dell'anima. Infatti la parte conoscitiva dell'anima, è di per sè sola o
in connessione con le altre parti, più pregevole di tutto il resto dell'anima, e
la sua eccellenza è il sapere. (B68) Sicchè nessuna delle virtù particolari, di
cui si parla comunemente, costituisce l'opera della saggezza filosofica; infatti
essa è superiore a tutte queste. Il fine conseguito è sempre superiore alla
conoscenza mediante la quale lo si consegue. Per altro non ogni eccellenza
dell'anima è un risultato della saggezza filosofica, e neppure la vita felice.
Se infatti la saggezza filosofica fosse produttiva, allora produrrebbe qualcosa
di diverso da se stessa, così come l'architettura fabbrica le case, pur senza
essere una parte della casa; la saggezza filosofica, invece, è una parte
dell'eccellenza dell'anima e della vita felice. Infatti io affermo che la vita
felice, o ne deriva, oppure è essa stessa. (B69) In base a questo argomento, la
saggezza filosofica quindi non può essere una scienza produttiva; il fine deve
stare al di sopra della via che conduce ad esso; ma non esiste nulla di più alto
della vita filosofica, se non forse una delle cose che abbiamo menzionato prima,
cioè eccellenza e vita felice: ma la loro opera non è niente altro che la vita
filosofica. Bisogna quindi tener per fermo che la conoscenza di cui parliamo è
teoretica, dal momento che il suo fine non può essere una produzione. (B70) La
conoscenza e il pensiero filosofico costituiscono dunque il compito proprio
dell'anima. Questa è la cosa più desiderabile per noi, paragonabile, io credo
alla vista, che certamente si apprezzerebbe anche nel caso in cui grazie ad essa
non si ottenesse altro risultato se non appunto e soltanto il vedere. (B71) Lo
si potrebbe provare in questo modo. Se qualcuno ama una cosa perchè essa ha
qualche cosa d'altro come qualità aggiuntiva, è allora chiaro che ancor di più
amerà quella cosa che possiede in misura più elevata quella qualità. Se, per
esempio, una persona ama camminare perchè è un esercizio salutare, allora, se
correre è un esercizio più salutare ancora ed egli ne è capace, lo preferirà, e
l'avrebbe già prima preferito, se solo l'avesse saputo prima. Citiamo un
argomento ulteriore. Se un'opinione vera è simile alla conoscenza scientifica
(perchè noi ammettiamo che un'opinione vera è desiderabile in quanto è simile
alla conoscenza scientifica grazie al suo contenuto di verità), e se questo
contenuto di verità è proprio in misura superiore della conoscenza scientifica,
allora il conoscere risulta più apprezzabile dell'opinare rettamente. (B72) Il
fatto poi che noi amiamo la facoltà della vista per se stessa, costituisce una
prova sufficiente che tutti gli uomini amano in misura elevatissima il pensare e
il conoscere, (B73) perchè amano la vita, e perciò amano anche il pensare e il
conoscere. Per nessun altro motivo la vita appare loro apprezzabile, se non per
la percezione dei sensi, e innanzi tutto per la vista. Questa facoltà è da essi
apprezzata sopra ogni misura, perchè essa è, a paragone delle altre percezioni
sensoriali, proprio come una sorta di conoscenza. (B74) Ora che la vita si
distingue dall'assenza della vita per la percezione: definiamo infatti la vita
con la presenza della percezione e la facoltà del percepire. Se si abolisce
questa facoltà, la vita non è degna di essere vissuta; è come se la vita stessa
fosse annientata insieme con la percezione. (B75) Fra gli organi della
percezione spicca la facoltà della vista, perchè è la più acuta. Questo è anche
il motivo per cui la apprezziamo più delle altre. Ogni percezione è una facoltà
di conoscere qualcosa mediante il corpo, come ad esempio l'udito percepisce i
suoni mediante le orecchie. (B76) Se dunque la vita è degna di essere scelta
grazie alla percezione, e la percezione è una sorta di conoscenza, e se noi
preferiamo la vita in quanto l'anima, attraverso la percezione, può conseguire
la conoscenza. (B77) Inoltre, come abbiamo già detto or ora, se fra due cose è
sempre preferibile quella che possiede la stessa qualità desiderata; allora
risulta che tra le percezioni dei sensi la vista è necessariamente quella più
desiderabile e più nobile, ma che più desiderabile ancora di essa e di tutte le
altre percezioni e della vita stessa, è la conoscenza filosofica, perchè essa è
signora della verità. Questo è il motivo per il quale tutti gli uomini aspirano
al conoscere più di ogni altra cosa. (B78) Che coloro che scelgono una vita
intellettuale possono vivere in modo sopra tutti piacevole risulterà da quanto
segue. (B79) Pare che si possa parlare della vita in un duplice senso: nel
senso, cioè, della sua possibilità e nel senso della sua realtà. Diciamo che
"vedono" tutte quelle creature che hanno gli occhi e sono dotate di facoltà
visive, sia che abbiano casualmente gli occhi chiusi, sia che si valgano delle
loro facoltà visive e guardino qualcosa. La stessa cosa vale anche per la
conoscenza ed il sapere. Una cosa intendiamo l'uso della facoltà e l'effettivo
pensiero, un'altra il processo della facoltà e l'aver scienza. (B80) Se dunque
distinguiamo la vita dall'assenza di vita secondo il possesso o l'assenza delle
facoltà percettive, e se parliamo della percezione in un duplice senso, vale a
dire, nell'accezione comune dell'uso effettivo della percezione, ma anche
nell'accezione della possibilità di percepire (per cui, a quanto pare, diciamo
che anche chi dorme ha delle percezioni), risulta chiaro allora che parliamo
della vita in un duplice significato. Di chi è sveglio diciamo che vive in un
senso vero e proprio, mentre di chi dorme diciamo che vive nel senso che
possiede delle facoltà di passare dal sonno all'attività, che costituisce il
senso della veglia e dell'effettiva percezione delle cose. In base a ciò, e
tenendo presente questa differenza tra potenzialità ed attualità, siamo
autorizzati a dire che chi dorme vive. (B81) Se dunque usiamo la stessa parola
in un duplice significato, da una parte nel senso di "essere attivo qui ed ora",
dall'altra nel senso di "trovarsi in una condizione", diremo allora che la prima
accezione è quella che rende più esattamente il significato proprio del termine.
Così, per esempio, "egli sa" può significare che egli utilizza la sua
conoscenza, oppure che la possiede; "egli vede" può significare che vede
qualcosa, oppure che possiede la facoltà della vista; in entrambi i casi la
prima accezione esprime un valore superiore. (B82) Perchè parlando delle cose
per le quali esiste uno ed un solo termine noi diciamo "più" non soltanto nel
senso di una maggiore quantità, ma anche della priorità logica. Per esempio,
diciamo che la salute è un bene maggiore delle cose che la procurano, e che ciò
che è in sè per sua natura desiderabile è un bene maggiore di ciò che produce un
qualche bene. Tuttavia osserviamo che la stessa parola "buono" vien detta di
entrambe le cose, sebbene non in un significato identico, perchè diciamo "buono"
sia delle cose utili che anche dell'eccellenza. (B83) Siamo quindi autorizzati
ad affermare che chi è desto vive in grado maggiore di chi dorme, e chi ha
l'anima in attività in misura superiore di chi semplicemente possiede l'anima.
Se teniamo presente la priorità logica possiamo dire che quest'ultimo vive
perchè vive il primo, perchè si trova in uno stato tale, da poter vivere in modo
attivo o passivo. (B84) Essere attivo in ogni caso significa questo: se qualcuno
è capace di esercitare semplicemente un'attività, e la esercita allora diciamo
che è attivo ; se egli possiede parecchie facoltà, allora diciamo che è attivo
se egli esercita la più degna di queste facoltà, per esempio quando un auleta
suona il doppio flauto; inoltre, quando suona il flauto può essere semplicemente
attivo, oppure può esserlo in grado superiore cioè può suonar bene; lo stesso
accade anche negli altri casi in cui usiamo le parole "essere attivo" . Dobbiamo
quindi affermare che chi opera bene opera anche in misura superiore; infatti che
esercita un'attività bene e con esattezza, ha uno scopo (cioè il bene) ed opera
in modo naturale vale a dire, fa ciò che la natura gli ha prescritto. (B85) Come
ho già detto, l'attività umana consta o esclusivamente o in modo preminente del
pensiero e della riflessione. E' dunque facile indurre, ed è una conclusione che
ognuno può trarre facilmente, che vive in più alto grado chi pensa rettamente, e
vive nel grado più alto di tra tutti chi si occupa al grado massimo della
verità; e questo fa l'uomo che pensa e professa la filosofia sulla base della
conoscenza più esatta. E la vita perfetta esiste per coloro che posseggono la
conoscenza filosofica, quando svolgono attività filosofica. (B86) Se ora per
ogni essere vivente la vita coincide con l'essere, è dunque palese che tra tutti
gli uomini il filosofo raggiunge la più alta intensità dell'essere nel vero
senso della parola, particolarmente quando esercita la filosofia e applica il
suo pensiero a ciò che tra tutti gli enti è più accessibile alla conoscenza.
(B87) Inoltre l'attività perfetta e libera da impedimenti porta già in sè gioia,
e perciò l'attività filosofica è certo quella che procura gioia maggiore. (B88)
Ma la gioia può porsi in relazioni diverse con l'attività. Bere con gioia e
darsi al bere con gioia non sono la stessa cosa. Infatti nulla impedisce a uno
di bere senza essere assetato, ma di bere così qualcosa che non gli dà alcun
piacere, e di provare tuttavia gioia, non nel bere, ma perchè, occasionalmente,
mentre sta seduto da qualche parte, considera qualcosa, o è oggetto di
considerazione. Diremo di lui che prova gioia, e che beve con gioia, ma la sua
gioia non viene dal bere, nè trova nel bere la gioia. Allo stesso modo diciamo
che camminare, star seduti, imparare ed ogni altro tipo di movimento sono
piacevoli o dolorosi, non perchè fortuitamente proviamo gioia o dolore, mentre
ci dedichiamo appunto a queste attività, ma perchè proviamo gioia o dolore per
il fatto stesso di dedicarci ad esse. (B89) Parimenti chiamiamo vita felice
quella vita felice la cui presenza dà felicità alle persone che la vivono; non
parliamo di vita felice nel caso di persone che nel vivere hanno gioia da
qualche cosa, ma nel caso di coloro per i quali la vita stessa costituisce una
gioia, e che appunto provano gioia nel vivere. (B90) In base a queste
considerazioni, diciamo che chi è desto vive in maggior grado di chi dorme, chi
è intelligente in maggior grado di chi manca di intelligenza, e riteniamo che la
gioia nella vita dipenda dall'uso che si fa dell'anima; l'attività dell'anima
costituisce realmente la vita. (B91) Si può essere attivi con l'anima in diversi
modi, però l'attività più importante di tutte è comunque quella di pensare
quanto più intensamente si può. E' un punto acquisito, quindi, che la gioia che
deriva dal pensiero costituisca l'unica, o la più eminente delle gioie della
vita. Vivere felicemente e provare la vera gioia è dunque una prerogativa
esclusiva o preminente del filosofo. Infatti l'esercizio dei nostri pensieri più
veri, che traggono alimento dai più alti princìpi dell'essere e custodiscono
continuamente e con saldezza la compiutezza che a essi è accordata, è proprio
quella che procura in massimo grado la gioia della vita fra tutte le altre
attività. (B92) Proprio per gustare le gioie vere e buone gli uomini
intelligenti devono dunque dedicarsi alla filosofia. (B93) La vita intellettuale
rende felici gli uomini? Non soltanto considerando le singole parti che
costituiscono la vita felice, ma anche penetrando più a fondo nel problema e
considerando la felicità della vita nel suo complesso, possiamo raggiungere la
stessa conclusione. Chiariamo innanzi tutto un punto: quale è la relazione tra
la vita intellettuale e la felicità, tale è anche la sua relazione con il nostro
carattere, secondo cioè che siamo uomini di valore o dappoco. Infatti tutti gli
uomini trovano desiderabile o ciò che conduce alla felicità, o ciò che della
felicità è una conseguenza; oltre a ciò, delle cose che ci rendono felici le une
sono necessarie, le altre piacevoli. (B94) Definiamo la felicità della vita o
come la forza della mente e una specie di sapienza, oppure come eccellenza
etica, o come il massimo della gioia, o come tutte queste cose insieme. (B95) Se
la felicità della vita coincide con l'altezza dell'intelligenza, è allora chiaro
che soltanto ai filosofi è riservata la vita felice; se essa è costituita
dall'eccellenza dell'anima, o dalla vita colma di gioia, allora essa tocca
ugualmente a essi, o esclusivamente, o in misura preminente. Ora, l'eccellenza è
l'elemento dominante su tutto ciò che è in noi, e ciò che ci procura maggior
gioia, se paragoniamo una cosa con l'altra, è la capacità della mente. Anche nel
caso che qualcuno affermi che tutte queste cose insieme costituiscono la
felicità della vita, bisogna comunque che nella sua definizione la mente risulti
la caratteristica più importante. (B96) perciò tutti coloro che ne sono in grado
devono dedicarsi alla filosofia. Infatti questa costituisce di per sè la vita
perfetta, oppure, se si vuol ricordare un solo fatto, conduce le anime il più
vicino possibile ad essa. (B97) Potrebbe ora essere il momento di chiarire il
nostro argomento adducendo le opinioni comunemente riconosciute. (B98) Certo
risulta evidente a tutti che nessun uomo vorrebbe scegliere una vita provvista
sì di grandi ricchezze e grandi opere, in cui però egli fosse privo delle
facoltà intellettive e pazzo; non lo farebbe neppure se potesse godere dei
piaceri più violenti e vivere come alcuni folli. E' evidente a tutti che gli
uomini fuggono più di ogni altro male l'insensatezza; ma questa è, a quanto
sembra, l'opposto dell'intelligenza, e fra i due opposti si fugge l'uno e si
sceglie l'altro. (B99) Infatti, mentre fuggiamo la malattia, ricerchiamo la
salute; quindi, anche sulla base di questa argomentazione la capacità della
mente risulta essere il bene più desiderabile, e non in quanto produca qualcosa
di diverso da se stesso. [lo attesta l'opinione comune]. Infatti, se anche
qualcuno possedesse tutto, ma fosse irrimediabilmente malato nella parte
pensante dell'anima, la vita non sarebbe per lui un bene desiderabile, perchè
neanche le altre sue prerogative gli sarebbero di alcuna utilità. (B100) Perciò
tutti gli uomini, nella misura in cui si accostano alla filosofia, e sono in
grado di gustarla, ritengono che le restanti cose non abbiano alcun valore; per
questo motivo nessuno di noi sopporterebbe di trascorrere tutta la vita
nell'ubriachezza, o di rimanere per sempre un bambino. (B101) Per lo stesso
motivo anche il sonno è una cosa estremamente piacevole, ma niente affatto da
preferire all'essere desti, perfino se ammettiamo che chi dorme goda di tutte le
gioie possibili; infatti l'anima di chi è desto ha delle rappresentazioni vere,
mentre quelle di chi dorme sono false. La veglia e il sonno, infatti, non si
differenziano se non per il fatto che l'anima durante la veglia spesso coglie la
verità, mentre nel sonno si inganna sempre; infatti tutti i sogni sono soltanto
immagini e false parvenze. (B102) Anche la paura della morte che è propria
dell'uomo comune attesta il desiderio di conoscenza dell'anima. Essa infatti
fugge ciò che le è ignoto, l'oscurità ed il mistero, e per sua natura cerca ciò
che è visibile e conoscibile. prima di tutto per questo motivo diciamo che
dobbiamo onorare più di ogni altro coloro a cui siamo debitori di vedere la luce
del sole, e che dobbiamo provare reverenza per nostro padre e nostra madre,
perchè essi sono gli autori dei nostri beni più preziosi; infatti sono essi,
così mi sembra, la causa del fatto che noi conosciamo qualcosa e vediamo. Per la
stessa ragione riceviamo gioia dagli oggetti e dagli uomini a noi più familiari,
e per l'appunto, chiamiamo amici queste persone a noi note. Tutto questo
dimostra che amiamo ciò che è conoscibile ed evidente; e se amiamo ciò che è
conoscibile, visibile e chiaro, necessariamente amiamo il conoscere ed il
pensare. (B103) Inoltre, come nel caso della proprietà non sono le stesse cose
che gli uomini acquistano semplicemente per poter vivere e quelle che acquistano
per vivere bene, così accade anche nel caso della capacità della mente:
l'intelligenza che ci serve semplicemente per vivere, voglio dire, non è la
stessa che ci serve per vivere perfettamente. Alla generalità delle persone si
può ben perdonare, se arriva soltanto a quella; certo costoro pregano di avere
una vita felice, ma sono già paghi se hanno almeno la possibilità di vivere. Chi
però pensa che non si debba sopravvivere a qualunque prezzo, risulta veramente
ridicolo, se non si accolla qualunque fatica e non si adopera in ogni modo per
conseguire quella capacità della mente, che gli consenta di conoscere la verità.
(B104) Si potrebbe capire questa stessa cosa anche in base a ciò che diremo ora,
se soltanto si considerasse la vita umana spassionatamente. Allora si
scoprirebbe che tutte quelle cose che appaiono importanti agli uomini, altro non
sono che un gioco delle vane ombre. Perciò a ragione si dice anche a ragione che
l'uomo è un nulla, e che nulla delle cose umane ha stabilità. Infatti la forza,
la grandezza e la bellezza sono cose risibili, e prive di ogni valore; esse ci
appaiono tali soltanto perchè non siamo in grado di vedere nulla rettamente.
(B105) Se qualcuno potesse vedere con l'acutezza che si dice avesse Linceo, che
riusciva a vedere attraverso le pareti e gli alberi, potrebbe mai trovare
sopportabile di guardare un uomo come il tanto celebrato Alcibiade, se riuscisse
a vedere anche la totale miseria di cui questi è composto? Onore e reputazione,
le cose a cui solitamente l'uomo aspira più che ad ogni altra, sono piene di
indescrivibile stoltezza; infatti chi ha visto qualcuna delle realtà eterne
giudica assurdo faticare per tali scopi. Che cosa c'è tra le cose umane che viva
a lungo o abbia una durata consistente? Soltanto per la nostra debolezza e per
la brevità della nostra vita, a mio giudizio, anche queste ci appaiono grandi.
(B106) Se si prende in considerazione ciò, chi potrebbe allora pensare di essere
felice e beato, - chi fra noi, che tutti, fin dal principio (come si dice quando
si è iniziati ai misteri), siamo costruiti dalla natura come se dovessimo
portare una pena? Perchè davvero divina è la parola degli antichi, quando dicono
che l'anima deve pagare una pena, e che noi viviamo per l'espiazione di un
qualche grande peccato. (B107) Mi sembra che questa immagine esprima bene
l'unione dell'anima con il corpo: come si racconta che i prigionieri dei Tirreni
spesso vengono sottoposti alla tortura di essere legati vivi a dei cadaveri, con
il viso contro il viso e le membra unite insieme con le membra, allo stesso modo
anche l'anima sembra distesa e incatenata a tutte le membra sensibili del corpo.
(B108) Per gli uomini non c'è dunque nulla di divino e di beato, all'infuori di
quell'unica cosa che sola merita i nostri sforzi, cioè quanto esiste in noi di
intelligenza e capacità della mente. Di tutto ciò che è nostro, questo solo
sembra incorruttibile, questo solo divino. (B109) Grazie alla nostra possibilità
di partecipare di questa facoltà, la nostra vita, sebbene per natura misera e
penosa, è così magnificamente ordinata che l'uomo, a paragone di degli altri
esseri viventi, sembra essere un dio. (B110) Perchè giustamente dicono i poeti
che "il nous è il dio in noi", e la "vita umana conserva qualche parte di un dio
in sè". Si deve dunque filosofare, oppure congedarsi dalla vita e dipartirsi di
qui; perchè ogni altra cosa appare soltanto chiacchiera insensata e vana
diceria.