JOHN RAWLS

A cura di Diego Fusaro



L'americano John Rawls è unanimemente considerato uno dei più influenti filosofi politici del Novecento. Anche i suoi più strenui oppositori lo ammettono, come, ad esempio, Robert Nozick, il quale ha affermato che coloro che si occupano di questi temi o devono lavorare con Rawls o devono spiegare perché non farlo. E Amartya Sen giunge a considerare la teoria della giustizia rawlsiana " di gran lunga la più influente - e [...] più importante - che sia stata presentata in questo secolo ". Nato a Baltimora nel 1921, John Rawls ha studiato a Princeton e a Oxford e ha insegnato nella prestigiosa Università di Harvard. I suoi scritti principali sono: "Una teoria della giustizia" (1971) e "Liberalismo politico" (1993). La giustizia è per Rawls " il primo requisito delle istituzioni sociali ", così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Come una teoria, egli argomenta, deve essere abbandonata o modificata se non risulta vera, così le leggi e le istituzioni devono essere abolite o riformate se sono ingiuste, anche se fornissero un certo grado di benessere alla società nel suo complesso, in quanto " ogni persona possiede un'inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri " ("Una teoria della giustizia"). Già in queste battute iniziali è possibile individuare la posizione dell'autore, nettamente contraria all'utilitarismo, disposto a sacrificare gli interessi degli individui sull'altare della Società, come Rawls stesso afferma chiaramente nella critica all'utilitarismo classico contenuta nel suo testo. Il ruolo della giustizia così configurato non consente, secondo Rawls, che possa definirsi giusta una società che pensi di poter controbilanciare i sacrifici imposti a pochi con una maggiore quantità di vantaggi goduti da molti. In una società giusta si devono dare per scontate " eguali libertà di cittadinanza ". Ad avviso di Rawls, l'eguaglianza nel godimento delle libertà fondamentali è un diritto assoluto, che non ammette eccezioni nè compromessi. L'unico caso in cui sia tollerabile un'ingiustizia perpetuata ai danni della libertà è quello in cui si è costretti ad evitare un'ingiustizia ancora maggiore come, ad esempio, nel caso desunto dalla storia antica in cui rendere schiavo il prigioniero di guerra (privandolo della libertà personale) rappresenta un passo avanti rispetto all'usanza di ucciderlo. Dopo aver chiarito queste posizioni di fondo sulla giustizia (e sul primato della libertà individuale), si pone, tuttavia, il problema di fondare su basi razionali alcuni essenziali criteri di giustizia che possano valere per tutti gli uomini, intesi kantianamente come esseri razionali interessati a cooperare tra loro. Si tratta di arrivare a delineare alcuni princìpi di giustizia, razionalmente condivisi da tutti i membri della società, sulla cui base, poi, decidere circa le pretese di accesso ai beni primari da parte dei singoli. Rawls si rende conto che gli individui di una società hanno obiettivi e fini diversi; ma proprio per questo ritiene necessario che gli uomini raggiungano un comune accordo sui criteri della equa distribuzione dei beni essenziali. In altre parole, è necessario stabilire in via preliminare una " pubblica concezione di giustizia ", che formi " lo statuto fondamentale di un'associazione umana bene-ordinata ". Da questo punto di vista ben si capisce come mai Rawls insista tanto nel ritenere che l'idea più importante della società non sia quella di "bene", ma quella di "giusto". Anzi, egli sostiene che una società si dirà "bene-ordinata" non solo se tende a promuovere il benessere dei suoi membri, ma se è anche regolata da una concezione pubblica della giustizia, che richiede due condizioni: a) che ogni individuo accetti e sappia che gli altri accettano i medesimi princìpi di giustizia; b) che le istituzioni fondamentali soddisfino in modo riconosciuto tali princìpi. In mancanza di un accordo tra i membri di una società su ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, osserva Rawls, risulta più difficile stabilire legami vantaggiosi di convivenza civile, in quanto diventano dominanti il sospetto e l'ostilità. II problema che ora si pone è quello di giustificare razionalmente le regole di giustizia da far valere all'interno delle moderne democrazie o, come preferisce l'autore, delle società bene-ordinate. Rawls ha avuto il merito di mettere in scena (nel senso teatrale dell'espressione) nel suo libro il contesto in cui vengono scelte le regole fondamentali del gioco sociale. Parte del successo della sua opera, come è stato osservato da alcuni critici, può ascriversi proprio al suddetto procedimento di rappresentazione, che colpisce e affascina la fantasia del lettore. Rawls immagina una situazione iniziale ( original position ) in cui i singoli individui scelgono i princìpi di giustizia in condizione di assoluta eguaglianza, in quanto sono privi di un certo numero di informazioni relative alla propria condizione futura nella società. La scelta viene, cioè, effettuata sotto " un velo di ignoranza " ( veil of ignorance ). Infatti, nota Rawls, coloro che fossero a conoscenza di essere ricchi potrebbero considerare ingiuste eventuali imposte a scopo assistenziale, mentre coloro che fossero a conoscenza del loro stato di povertà sarebbero molto probabilmente a favore di quelle stesse imposte. Il "velo di ignoranza" ha il compito di escludere la conoscenza di quei fattori contingenti che porrebbero gli uomini in conflitto tra loro, rendendo impossibile qualsiasi accordo sui princìpi di giustizia. Il "velo di ignoranza" rende eguali le parti nella posizione originaria: infatti, tutti hanno gli stessi diritti nella procedura di scelta dei princìpi e ognuno può avanzare proposte razionali da sottoporre al giudizio e all'accordo altrui. Le parti vengono, dunque, presentate come razionali e reciprocamente disinteressate, in quanto nessuno può pensare di avvantaggiarsi dalla scelta di taluni criteri. I princìpi di giustizia che ne scaturiscono sono il risultato di un accordo equo, proprio perché conseguito in una condizione iniziale equa. In questo senso la teoria rawlsiana può legittimamente definirsi "una teoria della giustizia come equità ". Giustizia come equità significa che i princìpi di giustizia sono appunto quelli che le persone razionali, preoccupate della propria sorte, sceglierebbero in condizione di eguaglianza iniziale, qualora cioè nessuno fosse manifestamente avvantaggiato o svantaggiato da contingenze sociali o naturali (velo d'ignoranza). Rawls attribuisce a Kant l'ispirazione della sua teoria. Come l'etica kantiana è sostanzialmente incentrata sulla scelta autonoma di persone razionali, libere ed eguali, così quella di Rawls, grazie al velo di ignoranza, fa discendere la giustizia dall'accordo di persone libere e indipendenti, in quanto non determinate da motivi egoistici e contingenti. Si tratta di un'etica dell'autonomia, che esclude ogni eteronomia morale, come chiaramente dice Rawls nel seguente brano:

" Credo che Kant abbia sostenuto che una persona agisce autonomamente quando i princìpi della sua azione sono scelti da lui come l'espressione più adeguata possibile della sua natura di essere razionale libero ed eguale. I princìpi in base ai quali agisce non vanno adottati a causa della sua posizione sociale o delle sue doti naturali, o in funzione del particolare tipo di società in cui vive, o di ciò che gli capita di volere. Agire in base a questi princìpi significherebbe agire in modo eteronomo. Il velo di ignoranza priva le persone nella posizione originaria delle conoscenze che le metterebbero in grado di scegliere princìpi eteronomi. Le parti giungono insieme alla loro scelta, in quanto persone razionali libere ed eguali, conoscendo solo quelle circostanze che fanno sorgere il bisogno di princìpi di giustizia ".

Inoltre, approfondendo il rapporto con Kant, Rawls proclama che i princìpi di giustizia sono da considerarsi come "imperativi categorici" nel senso kantiano. Infatti, con "imperativo categorico" Kant intende quel principio di condotta morale che si addice a una persona in virtù della sua natura di essere razionale, libero ed eguale. In altri termini, l'imperativo morale kantiano è categorico proprio perché prescinde da scopi o desideri particolari. Al contrario, un imperativo è ipotetico in quanto ci indirizza a fare certe mosse in vista di certi fini specifici: " agire a partire dai princìpi di giustizia significa agire a partire da imperativi categorici, nel senso che essi si applicano al nostro caso indipendentemente dai nostri scopi particolari ". A questo punto i riferimenti teorici di Rawls sono chiari: abbandonata la tradizione utilitarista, dominante nell'area anglo-americana, egli si riallaccia, anche se in termini nuovi, al contrattualismo che aveva trovato in Kant il suo momento più alto: " è mio scopo presentare una concezione della giustizia che generalizza e porta a un più alto livello di astrazione la nota teoria del contratto sociale, quale si trova ad esempio in Locke, Rousseau e Kant ". C'è, però, da osservare che il neo-contrattualismo di Rawls si differenzia dal contrattualismo classico in un punto fondamentale: il contratto sociale di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant aveva come fine quello di giustificare razionalmente il potere dello Stato, cioè quel potere che non ammette al di sopra di sé altro potere, non quello di proporre un modello di società giusta, che è al contrario lo scopo della teoria di Rawls. Definito il contesto ideale in cui gli esseri umani dotati di ragione e di senso morale potrebbero accordarsi sulla scelta equa dei princìpi di giustizia, Rawls procede a indicare in concreto tali princìpi. Naturalmente, si tratta pur sempre di una scelta etica, che ha il compito di prospettare solo alla lontana una determinata società politica. In altri termini, i princìpi di giustizia che stiamo per tratteggiare non vanno intesi come norme di comportamento pratico: essi sono dei criteri orientativi di carattere etico, bisognosi di essere ulteriormente tradotti in termini di prassi politica e istituzionale, una volta che gli uomini abbandonino la condizione originaria e il velo di ignoranza. Il primo principio afferma che ogni persona ha un eguale diritto al più esteso sistema di libertà fondamentali , compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti gli altri. Il secondo principio sostiene che le ineguaglianze economiche e sociali, ad esempio nella distribuzione del potere e della ricchezza, sono giuste soltanto se producono benefici compensativi per ognuno (in particolare per i membri meno avvantaggiati della società) e se sono collegate a cariche e posizioni aperte a tutti. Rawls ha dato varie formulazioni dei due princìpi, ma l'aspetto più importante e comune a tutte è il fatto che la scelta deve prescindere da intenti particolaristici (pensare a se stessi) o utilitaristici (pensare alla maggioranza), e deve invece essere compiuta in nome dell'universalità della natura umana. In questo senso, non è ammissibile che " alcuni abbiano meno affinchè altri prosperino "; ciò può essere utile, ma non è giusto (è questo il succo della critica rawlsiana all'utilitarismo). Invece, " i maggiori benefici ottenuti da pochi non costituiscono un'ingiustizia, a condizione che anche la situazione delle persone meno fortunate migliori in questo modo ". La libertà è da Rawls considerata come il primo e fondamentale principio di giustizia: essa deve essere goduta in modo eguale da tutti. Spingendo più nei particolari l'analisi, Rawls articola varie tipologie di libertà fondamentali:

a) la libertà politica: diritto di voto, attivo e passivo;
b) la libertà di parola e di riunione;
c) la libertà di pensiero;
d) la libertà personale e quella di possedere la proprietà privata;
e) la libertà dall'arresto e dalla detenzione arbitrari.

Queste libertà sono prioritarie rispetto al secondo principio di giustizia che, come abbiamo detto, afferma l'equa distribuzione del reddito e la pari opportunità di accesso alle cariche pubbliche. Tutti i valori sociali - libertà e opportunità, ricchezza e reddito, e le basi del rispetto di sé - devono essere distribuiti in modo eguale a meno che una distribuzione ineguale, di uno o di tutti questi valori, non vada a vantaggio di ciascuno. L'ingiustizia, quindi, coincide semplicemente con le ineguaglianze che non vanno a beneficio di tutti. Rawls ha dedicato maggiore spazio all'analisi e alla spiegazione del secondo principio di giustizia, che risulta effettivamente il più difficile da definire (chi sono, ad esempio, i "meno avvantaggiati"?). Egli reputa naturale l'esistenza all'interno delle società di gruppi meno favoriti (e ritiene, quindi, che ciò non costituisca ingiustizia); pensa, però, che occorra una "riparazione" verso i meno fortunati da parte della società giusta. Le società aristocratiche, egli osserva, sono ingiuste perché assumono le ineguaglianze naturali come una condizione necessaria ed eterna sulla cui base le persone vengono ingabbiate in caste chiuse. Una società giusta, al contrario, deve praticare il "principio di riparazione" secondo il quale se " si vuole assicurare a tutti un'effettiva eguaglianza di opportunità, la società deve prestare maggiore attenzione a coloro che sono nati con meno doti o in posizioni sociali meno favorevoli. L'idea è quella di riparare i torti dovuti al caso, in direzione dell'eguaglianza. Per ottenere questo obiettivo dovrebbero essere impiegate maggiori risorse nell'educazione dei meno intelligenti invece che in quella dei più dotati, almeno in un determinato periodo della vita, quello dei primi anni di scuola ". In termini più generali, Rawls adotta come elemento cardine della sua teoria della giustizia il cosiddetto " principio di differenza ", che egli collega all'idea di fratellanza (contenuta nella celebre rivendicazione dei rivoluzionari francesi del 1789, insieme alla libertà e all'eguaglianza). " Il principio di differenza sembra corrispondere al significato naturale della fraternità; cioè, all'idea di non desiderare maggiori vantaggi, a meno che ciò non vada a beneficio di quelli che stanno meno bene. La famiglia, in termini ideali, ma spesso anche in pratica, è uno dei luoghi in cui il principio di massimizzare la somma dei vantaggi è rifiutato. In generale, i membri di una famiglia non desiderano avere dei vantaggi, a meno che ciò non promuova gli interessi dei membri restanti. Il voler agire secondo il principio di differenza ha esattamente le stesse conseguenze. Coloro che si trovano nelle condizioni migliori desiderano ottenere maggiori benefìci soltanto all'interno di uno schema in cui ciò va a vantaggio dei meno fortunati ". A volte, osserva ancora l'autore, si pensa che l'ideale della fraternità non si addica alla società, in quanto implica legami affettivi e sentimenti che non è realistico attendersi dai membri del corpo sociale, ma ciò dimostra semplicemente che la nostra democrazia è ancora incompleta, dal momento che dei tre princìpi proclamati nel 1789 la fraternità è quello più trascurato. Al contrario, Rawls propone una concezione della società anti-meritocratica e cooperativa, per cui i membri, se agiscono razionalmente, non possono che ritenere dannose le ingiustizie. Il principio di differenza viene da Rawls collegato alla regola del maximin (abbreviazione di maximum minimorum ), in base alla quale bisogna migliorare il più possibile la situazione di coloro che stanno peggio o, con un'altra formulazione, le ineguaglianze sono ammesse quando massimizzano, o almeno contribuiscono generalmente a migliorare, le aspettative di lungo periodo del gruppo meno fortunato della società . Alla regola del maximin si attengono, secondo Rawls, gli individui nella posizione originaria, quando, incerti sulla propria condizione sociale futura (non sanno se saranno tra i più o i meno avvantaggiati), scelgono razionalmente la soluzione più equa dal punto di vista morale. Da sottolineare, infine, l'enfasi con cui Rawls collega i suoi princìpi di giustizia agli ideali democratici del 1789: " possiamo associare alle tradizionali idee di libertà, fraternità ed eguaglianza l'interpretazione democratica dei due princìpi di giustizia nel modo che segue: la libertà corrisponde al primo principio, l'eguaglianza all'idea di eguaglianza del primo principio unita all'eguaglianza di equa opportunità, e la fraternità al principio di differenza ". In "Political liberalism" (1993) Rawls ha rielaborato la sua teoria della giustizia in direzione di un liberalismo politico attento alla sfida del pluralismo, cioè impegnato a risolvere il problema " com'è possibile che esista e duri nel tempo una società stabile e giusta di cittadini liberi e eguali profondamente divisi da dottrine religiose, filosofiche e morali incompatibili, benché ragionevoli? " ("Liberalismo politico"). In "Una teoria della giustizia" la condivisione dei princìpi di giustizia era presentata come la condivisione di una sorta di dottrina morale. In "Liberalismo politico" si afferma invece che la teoria della giustizia è una dottrina politica autonoma rispetto a qualsiasi dottrina religiosa, filosofica e morale (poiché in caso contrario perderebbe la sua universalità), anche se cerca, in esse, un consenso supplementare. Infatti, pur essendo indipendente da ogni dottrina comprensiva ragionevole (e quindi da ogni concezione metafisica ed epistemologica), la concezione politica della giustizia cerca un "consenso per intersezione" ( overlapping consensus ) da parte delle varie dottrine filosofiche, morali e religiose ecc. Per queste caratteristiche, il liberalismo politico appare come la risposta più funzionale all'esigenza odierna di una società bene ordinata basata sul pluralismo e sulla giustizia. Nell'ambito di questi approfondimenti, Rawls ha riformulato i due princìpi di giustizia nel modo seguente: a) ogni persona ha uguale titolo a un sistema pienamente adeguato di uguali diritti e libertà fondamentali; l'attribuzione di questo sistema a una persona è compatibile con la sua attribuzione a tutti, ed esso deve garantire l'equo valore delle uguali libertà politiche, e solo di queste; b) le diseguaglianze sociali ed economiche devono soddisfare due condizioni: primo, essere associate a posizioni e cariche aperte a tutti, in condizioni di equa eguaglianza delle opportunità; secondo, dare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società. Questi sviluppi, ammonisce Rawls in una nota, non eliminano, semmai confermano, la sostanza del suo liberalismo egualitario: " qualcuno ha pensato che sviluppando le idee del liberalismo politico io intendessi rinunciare alla concezione egualitaria della Teoria. Nessuna delle mie revisioni implica [...] un simile cambiamento, e penso che questo sospetto sia infondato ".

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