Antonio Rosmini Breve schizzo dei sistemi di filosofia moderna e del proprio
sistema [ Realizzato da Diego Fusaro ]
I ESAME STORICO DEI SISTEMI DI FILOSOFIA MODERNA 1) G. LOCKE Il Locke tolse a sciogliere il problema dell'origine delle
idee. Egli disse che tutte le idee venivano dalla sensazione e dalla
riflessione. Per riflessione intendeva il lavoro della facoltà dello spirito
umano sulle sensazioni. Negò conseguentemente che vi fossero idee innate. Per
idee innate s'intendono cognizioni che l'uomo ha in se stesso per natura.
2) S. BONNOT DE CONDILLAC. La filosofia del Locke fu diffusa in Francia dal Condillac, il
quale la modificò. Il Condillac tolse via la riflessione del Locke, e pretese
ch'ella non fosse che sensazione. In questa maniera si vantò d'aver semplificata
la filosofia, riducendo tutte le cognizioni umane alla sola sensazione. Di
conseguente, egli pretese che l'uomo avesse una sola facoltà, cioè la facoltà di
sentire, e che la facoltà della memoria, dell'immaginazione, dell'intelletto e
della ragione non fossero altro che diversi modi di sentire. Il Berkeley fu un vescovo anglicano di buona intenzione,
educato nella scuola del Locke. Mentre altri deducevano dal sistema sensitivo
del Locke il materialismo, egli intraprese di dedurne lo spiritualismo, il che
fa in questo modo. Ammise come cosa già provata e ricevuta universalmente al suo
tempo che tutto il sapere umano si riducesse a un complesso di sensazioni.
Quindi egli fece osservare che le sensazioni non possono esistere che
nell'essere sensibile, di cui elleno sono modificazioni; le sensazioni adunque
non son fuori dell'uomo, ma unicamente si trovano nell'uomo, nell'anima umana.
Se dunque l'uomo altro non conosce che sensazioni, gli oggetti del suo conoscere
non sono fuori di lui, ma sono nell'anima propria, sono modificazioni dello
spirito. Dunque tutto il mondo esteriore non esiste se non in apparenza; esso
non si compone che di sensazioni che nell'anima si manifestano come
modificazioni della medesima. 4) D. HUME. Anche l'Hume fu educato nella filosofia lockiana, ed ammise per
cosa certa e senza esame il principio che tutte le cognizioni umane si riducono
a sensazione. Ora, come da questo principio il Berkeley aveva derivato
l'idealismo, così l'Hume derivò lo scetticismo, cioè il sistema di quelli che
negano ogni certezza alle cognizioni umane. In questo modo egli lo dedusse: i
ragionamenti dell'uomo, disse s'appoggiano sul principio di causa, il quale si
esprime così: vi è l'effetto dunque vi è la causa. Ma questo principio è falso
ed illusorio, perché la causa non può mai essere una sensazione, ma in caso che
vi sia deve essere un ente attivo. Ora la sensazione non è un ente, ma la
modificazione di un ente: non è attiva, ma passiva; dunque la sensazione non può
essere mai la causa. Ma l'uomo non conosce che sensazioni, dunque non conosce
mai nessuna causa: conosce sensazioni precedenti e susseguenti, ma ragiona
falsamente quando crede che ciò che precede debba essere causa di ciò che
sussegue, essendo falso l'argomento: hoc post hoc, ergo propter hoc.
Dunque, ogni qualvolta l'uomo parla di enti, che suppone cause del mondo
sensibile, egli presume di fare quello che non può fare, essendogli impossibile
di arrivare, partendo dalle sensazioni, al conoscimento di qualunque
causa. Io scozzese Reid fu atterrito dalle terribili conseguenze che
dedussero dal sistema del Locke i due potenti ingegni del Berkeley e dell'Hume.
Queste conseguenze che annientavano il mondo esteriore e la certezza delle
cognizioni umane erano dedotte con tanto rigore di logica, che, concedute le
premesse, non si potevano più rifiutare . Ma d'altra parte quelle conseguenze si
opponevano al senso comune degli uomini e distruggevano la moralità e la
religione, dunque non potevano essere vere. Mentre pareva che la scuola scozzese avesse poste finalmente le
solide basi del sapere filosofico, sorse il sofista di Konisberga a rovesciarle
di nuovo e con maggiore rovina. Il Fichte fu discepolo del Kant, e quando pubblicò la sua opera
intitolata La scienza della cognizione credette dare una spiegazione
scientifica del sistema del Kant. Ma il Kant non volle riconoscere in questa
esposizione il suo sistema, e allora il Fichte si accorse d'aver inventato un
sistema nuovo. II CRITICA DEI SISTEMI ESPOSTI L'osservazione che fece lo scozzese Reid al sensismo del Locke,
del Condillac, del Berkeley e dell'Hume, era giusta perché appoggiata sopra una
più completa osservazione dei fenomeni dello spirito umano. Infatti se l'uomo
non avesse che la facoltà di sentire, egli sentirebbe, ma non penserebbe. ESPOSIZIONE DEL SISTEMA ROSMINIANO 1) La conoscenza implica la distinzione del soggetto e
dell'oggetto. Dalle cose dette apparisce che l'oggetto conosciuto è cosa
intieramente diversa da soggetto conoscitore. Il soggetto conoscitore è una
persona, l'oggetto come tale è impersonale. Tuttavia si può in qualche modo dire
che l'oggetto conosciuto sia un soggetto conoscente, senza confondersi
menomamente con lui o mescolare la sua natura, anzi, distinguendosi da lui per
modo che il distinguersi è uno de' caratteri essenziali della cognizione. Ma non
si ha cognizione dove non vi ha distinzione tra soggetto ed oggetto. 2) Duplice forma della conoscenza: conoscenza per intuizione
e conoscenza per riflessione. Le cognizioni umane si dividono in due classi, che si chiamano
cognizioni per intuizione e cognizione per affermazione. Le
cognizioni per intuizione sono quelle che riguardano la natura delle cose in sé,
le cose nella loro possibilità. Queste cose considerate in se stesse come
possibili a sussistere e non sussistere sono appunto le idee. 3) Caratteri delle idee e delle persuasioni. Vi hanno adunque due termini delle cognizioni, le idee e
le persuasioni: coi primi conosciamo il mondo possibile, coi secondi
conosciamo il mondo reale e sussistente. Quindi due categorie delle cose: le
cose possibili e le cose sussistenti; in altre parole, le idee e le cose. 4) Le idee. Natura ed origine. Conviene che premettiamo l'osservazione dei caratteri propri
delle idee. Questi sono due principali, l'universalità e la necessità. In fatti
un oggetto ideale, o meramente possibile, è sempre universale, in questo senso
che egli solo fa conoscere la natura di tutti gl'indefiniti individui, ne' quali
si realizza. Prendiamo, a ragion d'esempio, l'idea dell'uomo. L'idea dell'uomo
è, come noi dicemmo, l'uomo ideale. Gl'individui umani realizzati possono essere
in qualunque numero si voglia, e pure in tutti vi ha la stessa natura umana; la
natura è una, gl'individui son più. Ora che cosa mi esprime e mi fa conoscere
l'idea dell'uomo, l'uomo ideale? la natura. Chi dunque possiede l'idea
dell'uomo, qualora avesse la facoltà creatrice, potrebbe con essa sola produrre
quanti uomini gli piacesse. Medesimamente con essa sola tutti li conoscerebbe.
Così uno scultore, il quale avesse concepito l'idea di una statua, potrebbe
riprodurre questa idea nel marmo più e più volte senza che l'idea rimanga
giammai esaurita. La statua ideale sarebbe una e sempre quella stessa, che qual
tipo esemplare si rimane innanzi alla mente; le copie materiali sarebbero molte,
tutte foggiate e conosciute colla stessa idea. Questo è ciò che si chiama
l'universalità delle idee, e che le distingue categoricamente dagli oggetti
reali, i quali son sempre particolari; come pure dalle sensazioni, che sono
particolari anch'esse. 5) L'ontologismo di N. Malebranche. Dalla quale sentenza il Malebranche dedusse il suo sistema, che
l'uomo, ed ogni intelligenza finita, vede tutto ciò che vede, in Dio, sistema
ultimamente difeso dalle imputazioni teologiche, che gli furono fatte, dall'E.mo
cardinal Gerdil. 6) Le idee nel Verbo divino e nel pensiero
dell'uomo. Noi poniamo ogni diligenza nel distinguere le idee in quanto
sono in Dio, e in quanto sono vedute dal nostro intelletto. Le idee sono in Dio
in un modo diverso da quello nel quale risplendono alla mente nostra. Le idee in
Dio hanno un modo di essere che non è diverso da quello di Dio stesso, e questo
è il modo del Verbo divino; il quale è unico senza alcuna distinzione reale in
se stesso, ed è Dio egli stesso. Ma non così le idee risplendono alla mente
nostra.
7) La diversità delle idee nel pensiero dell'uomo; l'idea
dell'ente indeterminato e le idee determinate. Ma dopo di ciò si deve venire ad indagare in un modo più
determinato l'origine delle idee umane, e sopra tutto spiegare la loro
molteplicità, e mostrare altresì come esse concorrano a produrre quella classe
di cognizioni che abbiamo chiamate di persuasione. 8) Origine della idea dell'essere e delle idee
determinate. Le idee, adunque, sono distribuite nella mente nostra a forma
di piramide che finisce in punta. Il primo strato di questa piramide è formato
dalle idee concrete, al tutto determinate; le quali appunto per ciò formano un
maggior numero. Gli altri strati sono composti da idee sempre meno determinate;
le quali diminuiscono di numero quanto più si rimuovano da esse le
determinazioni. La punta della piramide è l'idea dell'essere unico e da tutti i
lati indeterminato. 9) L'idea dell'essere è innata all'intelletto e lo
costituisce nel suo potere conoscitivo. Resta adunque a spiegarsi onde proceda l'idea dell'essere
universale, che è la sola idea indeterminata; data la quale allo spirito umano,
non incontra più alcuna difficoltà la spiegazione di tutte le altre idee,
perché, come abbiamo veduto, esse non sono altro che questa stessa idea
dell'essere, che lo spirito umano veste di determinazioni in occasione delle
sensazioni e in qualunque de' sentimenti che sperimenta. 10) L'immortalità dell'anima e resistenza di Dio. E così rimane sciolta la gran quistione dell'origine delle
idee, perocché tutte le idee specifiche e generiche si trovano essere la stessa
idea dell'essere variamente determinata mediante le sensazioni e le operazioni
dello spirito; e quell'unica idea primitiva non potendo di conseguente essere il
prodotto di queste operazioni, di cui è la condizione indispensabile, conviene
che sia data all'uomo dalla natura; di modo che l'uomo sappia che cosa è essere,
senza che abbia bisogno d'impararlo, imparando tutte le altre cose coll'aiuto di
questa primitiva cognizione. 11) II fondamento della morale. L'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima sono i due
fondamenti della morale. Perocché Iddio è il fine al quale deve tendere l'anima
immortale, e questo è quel dovere complessivo e sommario a cui si riducono tutti
gli altri; così la ricerca astratta dell'origine delle idee diventa grave ed
importante pei destini dell'uomo.
Questo sistema
portò delle conseguenze nocevolissime alla morale e alla religione, perché, non
avendo l'uomo altro che la facoltà di sentire, ne veniva di conseguenza che il
male e il bene non fossero che sensazioni piacevoli o dolorose, onde si faceva
consistere la morale nel procacciare a se stessi le maggiori sensazioni
piacevoli, evitando le dolorose. Questo immorale sistema fu svolto in Francia
dall'Elvezio e in Inghilterra fu applicato alla prosperità pubblica dal Bentham,
capo degli utilitaristi.
Questo sistema, che nega l'esteriorità corporea
e non lascia sussistere che i soli Spiriti, fu chiamato idealismo. Il Berkeley
applicò il suo sistema all'analisi dei corpi: enumera tutte le qualità corporee
e dimostra di ciascheduna che essa altro non è che una sensazione. Quindi
conchiude che tutto ciò che noi conosciamo dei corpi si riduce a un complesso di
sensazioni, e che perciò le dette qualità sono in noi stessi e non fuori di noi
come volgarmente si crede.
Ne' suoi celebri Dialoghi fra Filonous e
Filylas si fa l'obbiezione onde ci vengano le sensazioni, e risponde: dalla
immediata azione che esercita Iddio sul nostro spirito.
Egli dimostra
coll'esempio dei sogni non essere necessario che v'abbiano presenti oggetti
corporei, perché noi acquistiamo la persuasione della loro presenza, perché ne
abbiamo il sentimento. Quindi la vita umana, nel sistema del Berkeley, altro non
è che un continuo sogno, e fra la vita e il sogno vi ha solamente questa
differenza: che nella vita le sensazioni de' vari sensi sono legate fra loro in
un modo armonico e costante, laddove nel sogno riescono disarmoniche ed
incostanti, di modo che le sensazioni o immagini visive a ragion d'esempio, non
hanno una corrispondenza con quelle del tatto.
Questo sistema è manifestamente empio, perché, negando le cause, o
mettendole in dubbio, nega o mette in dubbio anche l'esistenza della prima causa
che è Dio stesso.
Il Reid ne conchiuse che il vizio
doveva consistere nelle premesse, e che non si doveva accettare ciecamente il
sistema del Locke, ma sottometterlo di nuovo ad un profondo esame per trovarvi
il peccato nascosto. A questa impresa s'accinse con tutta la forza del suo
ingegno, e finalmente credette di averlo trovato. Egli vide che il fatto della
percezione umana non si fermava alla semplice sensazione. Se fosse vero che
l'uomo non conoscesse altro che sensazioni, egli non potrebbe affermare che
queste sole. Ma l'esperienza dice che egli afferma degli enti reali che non sono
punto sensazioni: egli non crede di conoscere solo le modificazioni del suo
proprio spirito, ma anche di conoscere inoltre delle sostanze diverse da se
stesso che esercitano una azione sopra di lui.
Convien dunque dire che egli
non abbia solamente la facoltà di sentire, ma che possiede oltre di ciò un'altra
facoltà misteriosa che, all'occasione delle sensazioni, lo spinge e costringe ad
affermare un'esistenza al di là di queste. Ma in che modo si può spiegare una
facoltà che afferma ciò che non si trova nella sensazione? l'oggetto di questa
facoltà non dato dai sensi dove dimora egli? chi lo presenta allo spirito da
percepire?
Queste sono le questioni che si propose il Reid, e sono quelle che
contengono il nodo della questione ideologica. Il filosofo scozzese vi rispose
in questo modo: Non è da uscire fuori del fatto: il fatto ci dice che lo spirito
umano percepisce la sostanza, e l'ente, cose che non cadono sotto i sensi, che
sono differentissime dalle sensazioni, ma che tuttavia le percepisce in
occasione delle sensazioni. Dunque è da dire che lo spirito umano abbia nella
sua stessa natura un istinto che a ciò lo porta. Questo istinto ammettevasi come
una facoltà primitiva, di cui non può darsi una ragione ulteriore.
Vi ha
dunque, secondo il Reid, una suggestione della natura, come egli si esprime, per
la quale l'uomo è necessitato, quando riceve le sensazioni, di non fermarsi in
esse, ma di passare coll'atto del suo pensiero alla persuasione che v'abbiano
gli enti reali, che si dicono corpi, cagioni delle sensazioni
medesime.
Mediante questa facoltà primitiva, che afferma o percepisce la
stessa sostanza corporea, egli credette di aver confutato l'idealismo del
Berkeley ed assicurata l'esistenza dei corpi, come pure credeva d'aver confutato
lo scetticismo dell'Hume riponendo il criterio della certezza nella facoltà
primitiva della natura umana. Si lusingava altresì di aver conciliata in questo
modo la filosofia col senso comune del genere umano, dal quale l'avevano deviata
i filosofi inglesi.
Il merito della scuola Scozzese sta nell'aver fatto i
primi tentativi di far uscire la filosofia del sistema sensitivo del Locke e del
Condillac.
Egli tolse in parola il padre della filosofia
scozzese, Tomaso Reid e ragionò presso a poco così. Voi avete ragione dicendo
che la persuasione che ha l'uomo dell'esistenza de' corpi non provenga dalle
sensazioni, ma da una facoltà totalmente diversa di sua propria natura, per la
quale l'istessa natura dello spirito umano l'obbliga ad affermare i corpi
allorché la sua sensitività riceve le sensazioni. Ora, se la cosa è così, la
fede che noi abbiamo della esistenza dei corpi è un effetto della natura del
nostro spirito. Dunque se il nostro spirito fosse conformato diversamente non
sarebbe necessitato ad affermare che i corpi esistono. Dunque la verità
dell'esistenza dei corpi è soggettiva, cioè relativa allo spirito che la
pronunzia, ma non è punto oggettiva; cioè a dire che ci sono i corpi, noi siamo
obbligati ad ammetterlo, perché così informati e non possiamo resistere
all'istinto della nostra natura che a ci porta; ma non ne viene mica da questo
che i corpi esistano in se stessi, che abbiano una esistenza oggettiva
indipendente da noi.
Il Kant generalizzò questo pensiero a tutte le
cognizioni umane, dicendo che essendo tutte atti e produzioni dello spirito, il
quale non può uscire da sé, non potevano avere altra verità o certezza che
soggettiva, e che quindi lo spirito non poteva mai assicurarsi se le cose
fossero quali appariscono: egli osservò che tutti gli enti agiscono secondo le
leggi della loro propria natura, e che le produzioni di questi enti tengono
l'impronta di tali leggi. Se dunque le cognizioni sono prodotti dello spirito
umano, anche esse debbono essere conformate secondo la natura e le leggi di
questo spirito. E chi sa, diss'egli, che se v'avesse un altro spirito
diversamente costruito dal nostro, non vedrebbe le cose tutt'altre da quelle che
a noi appariscono? Egli addusse l'esempio di uno specchio che rende l'immagine
secondo la forma delle cose che nello specchio si riflettono; di maniera che uno
specchio curvo, a ragion d'esempio, rende tutti gli oggetti allungati, uno
specchio concavo li rende accorciati.
Lo spirito umano, adunque, da le forme
sue proprie agli oggetti delle sue cognizioni, e non riceve le forme dagli
oggetti stessi. Ora l'ufficio del filosofo consiste nel trovare quali sieno
queste forme, nell'enumerarle ad una ad una, e ciascuna descrivere colle sue
proprie determinazioni. A tal fine non si richiede che osservare tutti gli
oggetti dell'umano conoscere, trasportando le forme di questi oggetti nello
spirito umano, e così rimovendo l'illusione trascendentale, per la quale
l'uomo crede che le forme sieno dell'oggetto quando sono dello spirito stesso.
Egli intraprese questo lavoro nella sua opera intitolata Critica della Ragion
Pura. E condusse il lavoro nel modo seguente.
Egli disse che vi avevano
due forme: l'una del senso esterno che si chiama spazio, l'altra del senso
interno che si chiama tempo; vi avevano quattro forme dell'intelletto, che sono
la quantità, la qualità, la modalità e la relazione; disse finalmente che vi
avevano tre forme della ragione, che sono l'assoluta materia, l'assoluto tutto,
l'assoluto spirito, cioè la materia, il mondo e Dio. Quindi egli pretendeva di
conciliare insieme tutti i più opposti sistemi inventati dai filosofi. Li
divideva in due grandi classi, che chiamava dei dogmatici e degli
scettici. I dogmatici eran quelli che ammettevano la verità e la certezza
delle cognizioni umane; gli scettici erano quelli che negavano alle cognizioni
umane ogni verità ed ogni certezza. Diceva che avevano ragione gli uni e gli
altri: avevano ragione i dogmatici perché esisteva una verità ed una certezza,
ma soggettiva, cioè relativa all'uomo soggetto, avevano ragione gli scettici
perché non esisteva una verità ed una certezza oggettiva, cioè degli oggetti
considerati in se stessi, non potendo l'uomo conoscere di cosa alcuna come ella
sia in se stessa. Questo suo sistema lo chiamava critico perché faceva la
critica agli altri sistemi e alla stessa ragione umana; lo chiamava filosofia
trascendentale perché trascendeva i sensi e l'esperienza e sottoponeva
alla critica tutto ciò che l'uomo crede conoscere al di là del mondo sensibile;
ma nel fatto il sistema del Kant è un sistema:
1°) Scettico, perché la
verità e la certezza soggettiva ch'egli ammette non è verità ne certezza se non
per abuso di parole.
2°) Idealistico, perché non ammettendo
l'esistenza de' corpi che soggettivamente, come produzioni dell'istinto e delle
forme innate dello spirito umano, non li ammette se non in apparenza, negando
loro un'esistenza propria. Di più, il suo sistema è l'idealismo trasportato dal
particolare al generale, quell'idealismo che il Berkeley aveva applicato ai soli
corpi, l'Hume a tutti gli oggetti dell'umana cognizione, sieno corporei o
spirituali, sieno concreti od astratti.
3°) Ateo, perché se la ragione
umana non può assicurarsi della verità assoluta ed oggettiva degli oggetti che
le si presentano, non rimane più la possibilità di conoscere con certezza
l'esistenza di Dio, divenendo anche Dio un'apparenza soggettiva; il che lo
stesso Kant confessa apertamente facendo la critica a tutti gli argomenti recati
dai filosofi per provare la divina esistenza e dimostrandoli tutti, come crede,
inefficaci ed inutili.
4°) Panteistico, perché in questo sistema non
rimanendo più nulla eccetto lo spirito, che in virtù de' suoi istinti e delle
sue forme produce ed affigura a se stesso tutte le cose, ne viene che non esista
se non una sostanza che è lo stesso soggetto umano, il quale porta tutto in se
stesso l'universo e lo stesso Dio; Dio diventa in tale sistema una modificazione
dell'uomo.
5°) Spiritualistico e materialistico ad un tempo,
perché quello che si dice materia è nell'oggetto uomo come una sua
produzione, e quello che si dice spirito è pure nell'oggetto uomo come
producente e modificante se stesso, onde lo spirito umano viene ad essere
spirito e materia ad un tempo.
La differenza fra la filosofia critica e l'idealismo
trascendentale, nome rimasto al sistema del Fichte, consiste in questo: che
il Kant aveva detto bensì che l'uomo non può sapere se gli oggetti che gli
appariscono sieno tali quali gli appariscono, ma non aveva esclusa la
possibilità che fossero tali: potrebbero esistere indipendentemente dall'uomo,
ma l'uomo non può accertarsene. Il Fichte negò al tutto questa possibilità
affermando che essi non possono essere altro se non produzioni dell'uomo stesso,
argomentando così: gli oggetti del conoscimento sono tutte produzioni dell'atto
del conoscimento; ma l'atto del conoscimento è una produzione dello spirito
umano: dunque anche gli oggetti sono produzioni dello stesso Spirito. Ma questi
oggetti sono il mondo, Dio e l'uomo; dunque queste tré cose altro non sono che
produzioni che lo Spirito rappresenta inanzi a sé come oggetti del suo
conoscere.
Il Fichte occupasi adunque nello spiegare come lo Spirito umano
produce da se stesso tutte le altre cose. Egli dice che col primo pronunciato,
colla prima creazione l'Io pone se stesso. Prima che l'uomo dica Io, l'uomo non
è ancora sotto la forma di Io; col secondo pronunciato, che è una seconda
creazione, l'uomo pone il non Io. Il non-Io è pel Fichte tutto ciò che non è Io,
quindi il mondo esteriore, la divinità e qualunque oggetto del pensiero umano.
Ora questi due atti, con cui lo spirito pone l'Io e il non-Io, sono correlativi,
di modo che l'uno non può stare senza l'altro. Non può l'Io pronunciare
se stesso se non contrappone a sé una cosa diversa da sé, colla quale
contrapposizione nega se stesso e quindi si differenzia da tutto il resto. Non
può pronunciare il non-Io, se al non-Io non contrappone
l'Io, e quindi non lo apprende differente e distinto da se stesso. Così
il Fichte stabilisce una prima operazione dello spirito, che chiama anche
intuizione, e che ha due rapporti o termini che si negano reciprocamente. Con
questa prima operazione misteriosa egli intende spiegare non solo l'origine
della cognizione umana, ma l'esistenza di tutte le cose.
Contenendosi sotto
la denominazione del non-Io tutto quello che non è Io, il non-Io
racchiude tanto Iddio quanto il mondo. Quindi arriva all'assurda proposizione
che non solo il mondo sia una creazione dell'uomo, ma sia una creazione
dell'uomo Iddio stesso. Questo sistema chiamasi il sistema dell'idealismo
trascendentale perché applica il principio idealistico del Berkeley a tutte
affatto le cose, ne trae con una logica inesorabile tutte le conseguenze, e così
ne discopre l'abisso; dichiara pure non sussistere il dubbio che ne rimaneva
nella filosofia critica del Kant non forse le cose avessero una
sussistenza propria. Egli dunque fece ritornare a scetticismo dogmatico lo
scetticismo critico del Kant.
Da questo sistema del Fichte uscirono in
appresso in Germania i due sistemi dello Schelling e dell'Hegel: il primo il
sistema dell'identità assoluta, il secondo, il sistema dell'assoluta idea.
L'esposizione di questi sistemi qui si tralascia, non sembrando necessari ad
intendere quello che veniamo ad esporre, che è lo scopo di questo scritto.
Il
pensiero va al di là della sensazione, perché si pensano anche le cose che non
cadono sotto i sensi, si pensa la sostanza, la causa, gli spiriti. Dunque gli
oggetti del pensare umano non sono le semplici sensazioni, ma quello che è più
difficile a bene intendersi, quantunque evidente, si è che il modo con cui si
pensano le sensazioni è diverso da quello con cui si sentono. E nel vero il
pensiero afferma la sensazione in se stessa, e però l'afferma tanto se ella è
presente quanto se ella è passata o futura. Io, a ragion d'esempio, penserò al
grato odore della rosa fiutata ieri: la sensazione non è più presente, ma il
pensiero è presente. Dunque non è la stessa cosa la sensazione e il pensiero
della sensazione.
Lo stesso si dica d'una sensazione futura: io vo ripensando
alle grate sensazioni di cui godrò domani alla caccia o in un pranzo: le
sensazioni non esistono ancora, e il pensiero già esiste. Dunque l'essenza del
pensiero è diversa da quella della sensazione. Quando la cosa sia così, devo
conchiudere che anche là dove sia a me presente tanto la sensazione quanto il
pensiero della medesima, queste due cose tuttavia differiscono fra di loro e
l'una è altresì indipendente dall'altra. E quante sensazioni non prova l'uomo
senza che le pensi? specialmente se le sensazioni non sono molto vive, o sono
abituali e molteplici come quelle che ha l'uomo in ogni momento della sua
esistenza. Esse passano inosservate: la mente, massime se è distratta e occupata
in altro, non da loro alcuna riflessione. Quindi non è punto incomprensibile che
vi abbiano degli esseri puramente sensitivi, e degli altri che uniscono alle
sensazioni il pensiero. I primi sono gli animali bruti, e i secondi gli
uomini.
Questo basta perché il principio fondamentale del Locke e della sua
scuola sia pienamente distrutto: egli ha confuso la sensazione col pensiero, e
ha preteso di parlare di questo, mentre tutto ciò che diceva non si poteva
applicare che a quella.
Ma se il Reid è riuscito facilmente a confutare il
sensismo, egli andò poi ad urtare in uno scoglio. Perocché nello stesso tempo
che conobbe il bisogno di fondare una filosofia del pensiero e di porgere una
spiegazione singolare di questo fenomeno, che non poteva in modo alcuno
spiegarsi ricorrendo ai sensi, egli si appigliò al partito di dichiararlo un
istinto d'indole particolare e sua propria, del quale è dotata l'umana natura.
In questa maniera egli non conobbe del pensiero che la parte soggettiva e
dimenticò la parte oggettiva. Quindi non arrivò a conoscere la vera natura del
pensiero medesimo . Perché il pensiero sta appunto in questo, che vi ha un
oggetto presente al soggetto, il quale oggetto tuttavolta non si confonde mai
col soggetto stesso, anzi da questo di continuo si distingue; e in questo
distinguersi di continuo e necessariamente consiste il pensare, di modo che,
qualora potesse l'oggetto confondersi col soggetto, il pensare sarebbe
incontanente perduto.
Di questo errore del Reid approfittò il Kant per
rivocare di nuovo in dubbio non solo l'esistenza de' corpi, ma tutti affatto gli
oggetti della cognizione umana, dicendo che tutti questi oggetti non sono altro
che produzioni del soggetto venienti da un istinto irresistibile connaturale
all'uomo, come abbiamo detto di sopra; di che procedette l'idealismo
trascendentale del Fichte, che non è che il compimento logico del sistema del
Kant.
Ora, per conoscere questo errore profondo, e fecondissimo d'altri
errori, e finalmente del panteismo germanico, egli è d'uopo così argomentare: io
so di non essere gli oggetti del mio pensiero; io so che gli oggetti del mio
pensiero non sono io; per esempio, io so di non essere il pane che mangio, il
sole che vedo, la persona con cui converso. Questo mi è evidente, perché io sono
così noto a me stesso, che se non mi fossi noto non sarei io. Dunque nessuna
cosa può essere me senza che io lo sappia. Ma io non so che il pane, il sole, la
persona con cui parlo siano me stesso; dunque so che non sono me.
Non può
rispondere il Kant che io m'inganno, che le altre cose potrebbero essere me
stesso senza che io sapessi, appunto perché se io non lo sapessi non sarebbero
più io; giacché l'Io contiene la coscienza di se stesso. Senza questa coscienza
di se stesso l'Io non sarebbe Io, ma sarebbe un'altra cosa. Dunque gli oggetti
che stanno dinanzi al pensiero sono distinti essenzialmente dall'Io. Ne pure
esser possono modificazioni dell'Io per la stessa ragione che le modificazioni
dell'Io esistono come tali nella coscienza che costituisce la natura stessa
dell'Io. Qualunque cosa adunque sieno gli oggetti del pensiero, il che poi
rimarrà a cercarsi, rimane indubitato che essi non sono ne l'Io, ne la sua
modificazione.
Gl'idealisti fanno qui questa istanza: Quale è il ponte di
comunicazione fra l'Io e i suoi oggetti? può dunque l'Io uscire da se stesso ed
arrivare ad una cosa fuor di sé?
Alla quale istanza si risponde così: La
vostra dimanda sia pure difficile quanto si vuole, fosse anche una questione
insolubile, può ella distruggere l'asserzione del fatto che abbiamo prima
certificato? La logica vuole che quando noi abbiamo una verità di fatto, benché
non sapessimo spiegarla, non dobbiamo tuttavia abbandonarla. L'unica conseguenza
che ne dovremmo cavare sarebbe la necessità di confessare la nostra ignoranza.
Questo tuttavia non è il caso nostro.
Anzi, riflettendo si scorge che
l'istanza nasce da una ontologia materiale, applicando essi allo spirito quello
che appartiene soltanto ai corpi. Una legge dei corpi è l'impenetrabilità per la
quale un corpo non può stare nel luogo dell'altro. Ma chi ci ha detto che questa
legge valga per tutti gli esseri anche incorporei? chi ci ha detto che valga per
gli spiriti? Niente ripugna che per gli spiriti valga una legge opposta, anzi è
consentaneo alla loro diversa natura. E come noi possiamo giudicare di questa
natura? Noi certamente con argomentare per analogia dei corpi, ma coll'osservare
e considerare gli spiriti in se stessi.
Ora, osservando e considerando quale
sia il nostro spirito intelligente, quali le sue passioni ed azioni, noi veniamo
appunto a scoprire ch'egli obbedisce ad una legge tutta diversa dall'accennata
dei corpi, e che lungi da potersi chiamare impenetrabile, egli tiene questa
natura, che gli oggetti del pensiero possono essere in lui senza confondersi con
lui stesso, rimanendo da lui pienamente distinti e diversi. La stessa parola
oggetto usata dal senso comune degli uomini addita questo fatto colla sua
etimologia, perché ha il valore di contrapposto (obiectum). Non essendovi
alcuna assurdità in supporre che la cosa sia così, conviene ammettere il
risultato dell'osservazione. Non vi è dunque bisogno di un ponte di
comunicazione fra lo spirito e le cose, perocché quelle possono trovarsi
immediatamente in questo, secondo quel modo spirituale che dicesi
cognizione.
Che anzi una somigliante riflessione può farsi altresì stando
all'ordine sensibile. In quest'ordine l'anima si definisce il principio
sensitivo. Ora il principio sensitivo nella sua origine ha un termine il quale
dicesi sentito. Al termine sentito non conviene propriamente la
denominazione di oggetto (parola da riservarsi all'ordine intellettivo), ma
tuttavia si avvera che il sentito dimori nel principio senziente e che
non possa essere fuori di lui. Si avvera nello stesso tempo che il sentito non
sia il senziente. Ora sotto la denominazione di sentito si abbracciano
tutte le cose sensibili.
Di qui procedono due conseguenze: la prima, che le
cose sensibili non si possono in alcun modo confondere col principio che le
sente, il che appieno confuta l'idealismo del Berkeley; la seconda che non a
torto disse il Galluppi che il senso afferma le cose stesse immediatamente, e
immediatamente le percepisce senza bisogno di alcun ponte di
comunicazione.
Il sistema, adunque del Kant e quello del Fichte si fonda
sopra il difetto di una compiuta osservazione della natura, pel quale difetto
questi filosofi hanno confuso insieme le cose più opposte: il soggetto con
l’oggetto, il principio col termine; le quali se confonder si potessero, non
esisterebbe più né il pensiero, né la sensazione.
La
questione si riduce adunque donde venga l'oggetto del conoscimento; questa è la
questione dell'origine delle idee e delle cognizioni umane.
Le cognizioni
per via di affermazione o di giudizio sono quelle che noi acquistiamo
coll'affermare o giudicare che una cosa sussista o non sussista.
Da questa
definizione procedono due conseguenze:
1°) Che non possiamo avere questa
seconda specie di cognizioni senza che preceda la prima, perocché non possiamo
affermare che una cosa sussista o non sussista, se innanzi non conosciamo la
cosa stessa nella sua natura possibile, esempio, io non posso dire che sussista
un albero o che sussista un uomo, se prima non so che sia albero o che sia uomo.
Ora il sapere che cosa è, viene al medesimo che conoscere la cosa nella sua
possibilità, perocché io posso sapere che cosa è un albero, e tuttavia non
sapere che quest'albero non ancora sussista.
2°) Che gli oggetti appartengono
solamente al primo genere di cognizioni, perocché col secondo genere non si fa
che affermare o negare la sussistenza dell'oggetto conosciuto col primo. Laonde
questa maniera di cognizioni non somministra alla mente un oggetto nuovo, ma
solamente pronuncia la sussistenza dell'oggetto che già si conosce.
La prima
maniera, adunque, di cognizione è quella che ci porge gli oggetti possibili, e
questi si chiamano idee; la seconda maniera non ci porge nuovi oggetti
possibili, nuove idee, ma ci produce delle persuasioni intorno agli oggetti
conosciuti.
Noi
abbiamo veduto che gli oggetti delle nostre cognizioni sono essenzialmente
distinti da noi stessi, che siamo il soggetto che li conosce. Sieno questi
oggetti puramente possibili od anche sussistano, essi sono ugualmente da noi
distinti ed indipendenti. Quindi ci viene una nuova luce per conoscere la natura
delle idee, poiché noi siamo logicamente obbligati di conchiudere, da una parte,
che le idee non sono un nulla, dall'altra, che non sono noi stessi, ne
modificazioni di noi stessi; finalmente, che esse hanno un loro proprio modo di
esistere intieramente diverso da quello delle cose reali o
sussistenti.
Questo modo di esistere degli oggetti ideali, ovvero delle idee,
è tale che non cade sotto i nostri sensi corporei, e da questo è avvenuto che
sfuggì intieramente alle osservazioni di molti filosofi, i quali procedevano a
filosofare con un pregiudizio anticipato, pel quale supponevano che tutto ciò
che non cade sotto il senso fosse nulla. Ma egli è un fatto che gli oggetti
possibili non cadono sotto il senso, e quindi che non si può spiegare in alcun
modo la loro cognizione ricorrendo solamente ai sensi corporei, nuova
confutazione ed evidente del sensismo.
Se dunque le idee, che è quanto dire
gli oggetti ideali e possibili non vengono somministrati dai sensi, quale è la
loro origine?
Il carattere della necessità è del pari evidente;
poiché le idee essendo gli oggetti possibili, egli è chiaro che quel che è
possibile non può a meno di esser tale, e quindi necessariamente tale. Il
possibile è ciò che non involge contraddizione: ogni oggetto, adunque, che non
involga contraddizione, di necessità è possibile. Ora tutti gli esseri finiti e
reali nella loro realtà sono solamente contingenti, e non necessari, all'opposto
degli esseri possibili. Perocché di qualunque oggetto finito o reale si può
pensare egualmente che egli sia o che egli non sia, laddove dell'oggetto
possibile non si può mai pensare che non sia, cioè che non sia possibile. A
ragion d'esempio, l'uomo, nella sua possibilità, è necessario, perocché niuno
può fare che l'uomo non sia possibile; un uomo reale, all'incontro, è
contingente, perché può essere e può non essere, può darsi che sia o che non
sia.
L'universalità, adunque, e la necessità sono i due caratteri primitivi
delle idee, ma ad questi ne nascono due altri, che sono l'infinità e
l'eternità.
Le idee hanno in se stesse una infinità, perché sono universali.
Niuno essere reale e limitato è universale, perché è determinato a se stesso e
incomunicabile ad altri. Dunque le idee non appartengono alla classe degli
esseri reali limitati.
Le idee sono anche eterne, appunto perché sono
necessario; giacché quello che è necessario è stato sempre necessario e sempre
sarà, e quello che è stato sempre e sarà, è eterno.
Dalla considerazione di
questi eccelsi caratteri delle idee indusse S. Agostino, seguito poscia da S.
Tommaso, e preceduto da Platone, che le idee risiedono in Dio come in loro fonte
e principio.
Noi non accettiamo intieramente questo sistema, di cui
sarebbe troppo lungo l'istituire in questo luogo una critica, ma riconosciamo in
esso un fondo di verità, e solo sui particolari cadono le differenze del sistema
malebranchiano dal nostro.
Nella nostra mente le idee sono molteplici e non costituiscono da sé
il verbo dell'uomo; poiché verbo, ossia parola, esprime un giudizio,
un'affermazione, un pronunciato che termina sempre nella realità, laddove le
idee pure non fanno conoscere che la possibilità. Quindi le idee vengono
limitate dalla mente umana che le riceve, per modo che non possono più chiamarsi
coll'appellazione di Dio, o di Verbo divino, perché Iddio è l'essere assoluto, a
cui è necessaria la sussistenza; laddove le idee non sono che i possibili
intuiti della mente. E tuttavia le idee ritengono alcuni caratteri della
divinità, quali sono i sopra nominati, onde convenientemente si possono dire
divine appartenenze.
Dalle quali considerazioni procede che, in generale
parlando, l'origine delle idee viene da Dio, il quale le fa risplendere alla
mente umana; ne possono venire dall'uomo o dalle cose esteriori, perché gli
esseri finiti non hanno que' caratteri sublimi, e nessuno da quel che non ha.
Vediamo adunque di
classificare le idee e di rinvenire quale ordine di subordinazione tengano fra
loro. In questa ricerca noi troviamo che v'ha un'idea sola appieno indeterminata
e d'ogni parte universale, la quale è l'idea dell'essere. Tutte le altre idee
sono più o meno determinate e fanno conoscere i possibili in una sfera più
ristretta. Ora, tra l'idea indeterminata dell'essere e tutte le altre idee passa
questa relazione, che le altre idee contengono sempre l'idea indeterminata
dell'essere, a cui si sopraggiungono diverse determinazioni. Prendiamo in
esempio l'idea della pietra, dell'albero, dell'animale e dell'uomo. Che cosa mi
fa conoscere l'idea della pietra? Un essere, ma non qualunque essere, bensì
quello che ha le determinazioni della pietra. Che cosa mi fa conoscere l'idea
dell'albero? Un essere colla sopraggiunta della determinazione dell'albero. Che
cosa mi fa conoscere l'idea dell'animale? Ancora un essere, ma determinato coi
caratteri dell'animale. Che cosa mi fa conoscere l'idea dell'uomo? Sempre un
essere, ma coi caratteri e colle determinazioni che sono propri dell'uomo.
Dunque l'essere si trova in tutte le idee, e ogni determinazione non è altro che
la stessa idea dell'essere vestita e limitata da certe determinazioni. Tutte le
idee, adunque, hanno un fondo uguale, hanno un elemento comune, che è l'essere
ideale o possibile.
Queste determinazioni sono più o meno complete, poiché o
determinano pienamente l'essere, o lo determinano soltanto da qualche lato e lo
lasciano indeterminato da qualche altro. A ragion d'esempio, io posso formarmi
l'idea di un libro di una data grandezza, di una data forma, stampato con certi
caratteri e, insomma, fornito di tutti gli accidenti che cadono in un dato
libro. Questa è l'idea determinata di un libro, e tuttavia questa idea è
generale ancora, perché è una pura idea, non è un libro reale, è un tipo, un
esemplare che sta dinanzi alla mia mente, sul quale potrebbe formarsi un numero
indefinito, un numero reale di libri tutti eguali. All'incontro, io posso avere
medesimamente l'idea di un libro da qualche lato indeterminata, come avviene
quando io penso a un libro co' suoi costituitivi essenziali, prescindendo dagli
accidenti della grandezza, della forma, del carattere, ecc., ecc. Ora, le idee
al tutto determinate si chiamano idee concrete; le idee da qualche lato
indeterminate si chiamano idee astratte. Ma se io tolgo all'idea di libro
tutte le sue determinazioni tanto accidentali quanto essenziali, mi sfugge dalla
mente il libro, e non mi resta che l'idea di un essere al tutto
indeterminato.
Volendo adunque dare una soddisfacente spiegazione
dell'origine delle idee, è necessario di render conto di due cose: primo,
dell'origine dell'idea indeterminata; secondo, delle sue determinazioni.
E in
quanto alle determinazioni dell'idea dell'essere (che è appunto l'idea presa
indeterminata) ne troveremo, facilmente, l'origine mediante la seguente
osservazione.
Presupponendo che l'uomo abbia l'idea dell'essere, cioè che
egli sappia che cosa è essere, incontamente s'intende come egli possa cangiare
la sensazione in idee. Perocché quando egli esperimenta delle sensazioni, può
dire seco stesso: qui vi è un essere limitato e determinato dalla sensazione.
Per esempio, vedendo una stella, egli può dire col suo pensiero: questo è un
essere luminoso, ecc. Le sensazioni, adunque, gli somministrano le prime
determinazioni dell'essere, di modo che quando pensa un essere luminoso che
agisca sul suo senso visivo, allora egli non pensa più solamente all'essere
indeterminato, ma pensa un essere colla determinazione della luminosità, dei
gradi intensivi di questa, della grandezza, della forma, ecc.. Tutte queste
qualità rendono l'essere determinato, e tutte sono somministrate dal senso. Ma
non è perciò che tali determinazioni dell'idea sieno le sazioni stesse; il che
s'intenderà distinguendo le diverse operazioni che fa in questa bisogna lo
spirito umano.
In fatti, quando l'uomo alla vista d'una stella dice col suo
pensiero: qui vi ha un essere luminoso, egli allora pronuncia una affermazione,
un giudizio; e noi abbiamo distinte le cognizioni di affermazione dalle semplici
idee. Ma abbiamo detto che quella maniera di cognizioni suppone queste ultime,
di modo che non si può affermare la sussistenza di un oggetto di cui non si
abbia affatto l'idea. Dunque nel giudizio con cui io affermo la stella presente
a' miei occhi, il quale si chiama percezione della stella, già si contiene
l'idea. Rimane adunque che noi con un'altra operazione dello spirito isoliamo
l'idea dagli altri elementi della percezione. Ora questa operazione chiamasi
universalizzazione, ed ella si fa in questo modo: nella percezione della
stella il mio pensiero si trova legato coll'oggetto particolare e sensibile. Ma
egli se ne può slegare prescindendo al tutto dal pensiero della sussistenza
attuale della stella, mantenendone l'immagine, considerandola come stella
possibile, come tipo ed esemplare di tutte quelle stelle uguali, indefinite di
numero, che potrebbero essere realizzate dalla potenza del Creatore. Ora la
stella possibile è appunto un'idea pura determinata. Questa determinazione
possibile della stella non è più la sensazione, la quale è reale e non
possibile; ma nondimeno la sensazione mi diede l'occasione di rinvenirla; e lo
spirito intelligente la rinvenne col considerare siccome possibile ciò che la
sensazione mi dava come reale. Il che lo spirito potè ben fare, avendo noi
presupposto che egli conoscesse che cosa è essere possibile. Ma la stella
possibile è universale; però questa operazione dello spirito viene da noi
chiamata universalizzazione.
Coll’universalizzazione si formano
le idee pienamente determinate, coll'astrazione si formano quelle idee
che sono determinate solamente da qualche lato e che restano indeterminate da
qualche altro. Così se il mio pensiero, oltre il prescindere dalla sussistenza
della stella, prescinde ancora dalla grandezza, dalla forma, dal grado di luce e
dagli altri accidenti della stella, che cosa gli resta? Gli resta ancora l'idea
di stella, ma astratta, generica che può convenire egualmente alle stelle di I,
II, III grandezza, ecc. Questa idea è determinata in parte, perocché tale idea
della stella non si può confondere coll'idea delle altre cose; ma rimane altresì
in qualche parte indeterminata, poiché non conviene più a una stella che ad
un'altra.
Presupposta adunque nella mente dell'uomo l'idea dell'essere
possibile, non è difficile rinvenire le sue determinazioni; le quali la vestono,
la limitano e la trasformano in tutte le altre idee. Le quali determinazioni
vengono occasionate e materialmente somministrate dalle sensazioni formate poi
in idee dalle due osservazioni dello spirito umano, che abbiamo descritto, cioè
dall'universalizzazione e dall'astrazione.
E per giungere alla
spiegazione di tale quesito conviene prima di tutto mettersi davanti all'animo
que' corollari che dalle cose esposte discendono, i quali sono.
1°) L'idea
dell'essere in universale è anteriore a tutte le altre, perché le altre idee non
sono che la determinazione di lei, e il determinare una cosa presuppone che sia
già la cosa da determinarsi.
2°) Questa idea non può venire dalla sensazione
o da' sentimenti, non solo perché le sensazioni sono reali, particolari e
contingenti, quando quell'idea porge allo spirito la notizia dell'ente
possibile, universale e necessario nella sua possibilità; ma ben anche perché le
sensazioni e i sentimenti non somministrano allo spirito altro che le
determinazioni dell'idea dell'essere, le quali la limitano e la
restringono.
3°) Ella non può venire ne pure dalle operazioni dello spirito
umano, quali sono l'universalizzazione e l'astrazione; perocché queste
operazioni altro non fanno che aggiungere determinazioni a quell'idea, togliere
dopo aggiunto, e ciò in occasione delle sensazioni e de' sentimenti.
4°)
Queste operazioni dell'intendimento umano non sono possibili se non presupposta
l'idea dell'essere, che è il mezzo, l'istrumento, la condizione del
medesimo.
5°) Quindi senza l'idea dell'essere lo spirito umano non farebbe
più alcuna operazione razionale, resterebbe privo della facoltà di pensare e
d'intendere, il che è quanto dire cesserebbe dall'essere intelligente.
6°)
Che se col togliersi all'anima l'idea dell'essere ella rimane priva
dell'intelligenza, e coll'accordarlesi questa idea ella diventa essere
intelligente, dunque può dirsi che questa idea costituisca lo stesso lume della
ragione, e così si scopre che cosa sia il lume della ragione da tutti ammesso,
da nessuno definito.
7°) E poiché i filosofi sogliono chiamare forma quello
pel quale una cosa è quello che è, perciò l'idea dell'essere in universale può
giustamente chiamarsi la forma della ragione o dell'intelligenza.
8°) Per la
stessa ragione questa idea merita l'appellazione di idea prima, di idea
madre, di idea per se stessa e di luce intellettiva. E' idea prima, perché
anteriore a tutte le altre; è l'idea madre, perché genera tutte le altre
associandosi coi sentimenti mediante le operazioni dello spirito; è l'idea per
se stessa, perché i sentimenti non sono idee, e lo spirito ha bisogno di
aggiungerli come determinazioni a quell'idea prima a fine d'averne le idee
determinate; finalmente è luce intellettiva, perocché essa è conoscibile per se
stessa; laddove i sentimenti sono conoscibili per mezzo di lei, divenendo sue
determinazioni, e come tali conoscendosi.
Le quali cose tutte attentamente
considerandosi, viene sopra modo agevolata la soluzione del gran problema
dell'origine delle idee e delle cognizioni umane. Che anzi, questo problema
rimane già sciolto dallo stesso senso comune degli uomini. Perocché il senso
comune ammette nello spirito umano un lume della ragione o dell'intelligenza, e
questo lume lo dichiara così naturale e proprio dell'uomo, che differenzia
l'uomo stesso dalla bestia. Ora, essendo dimostrato che questo lume della
ragione non è altro che la stessa idea dell'essere in universale, consegue che,
secondo la testimonianza del senso comune, questa idea è naturale all'uomo e
propria della sua natura, e perciò non è un'idea formata od acquistata, ma
innata, cioè inserta in lui da natura, resa presente al suo spirito dallo stesso
Creatore che lo ha formato. Infatti, l'essere conviene che sia noto per se
stesso, o niuna altra cosa si trova che lo renda noto; che anzi, qualunque altra
cosa si renda nota per lui, perocché ogni cosa essendo essere, se non si conosce
che cosa è essere, non si conosce nessuna cosa.
Ne si può ragionevolmente domandare una
definizione dell'essere, come quello che è noto per se stesso e che entra nella
definizione di tutte le altre cose: si può solamente descrivere, se ne possono
analizzare i caratteri e nulla più.
L'idea abbiam veduto contenere la pura
essenza della cosa; l'idea dell'essere contiene dunque e fa conoscere l'essenza
dell'essere. L'essenza è immune dallo spazio: l'essere ideale, adunque, è
incorporeo. Ma l'essere ideale è la forma dell'anima intellettiva, e per la
semplice intuizione di quello l'anima intellettiva sussiste. Dunque anche
l'anima intellettiva è incorporea: dunque è spirituale: dunque è incorruttibile
e immortale.
L'essenza è anche immune dal tempo, perocché l'essere nella sua
essenza è sempre l'essere e non può mai cessare; giacché sarebbe contraddizione
che l'essere cessasse di essere l'essere. Dunque è eterno. Ma egli fu unito
all'anima nel tempo. Dunque egli era prima che fosse l'anima umana, ed è
indipendente da questa. Ma l'essere è luce intellettiva, e la luce intellettiva
è condizionata all'esistenza in cui sia la luce. Dunque esiste una mente
anteriore all'anima, una mente eterna, e questa è Dio; dunque esiste Iddio.