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OPERE E ARTICOLI TRADOTTI IN ITALIANO
o Regole per il parco umano, Una replica alla lettere di Heidegger sull'umanismo in aut aut, n° 301-302, 2001, p. 132.
Appare evidente che, secondo Sloterdijk, il Cinicismo si configura come un fenomeno di massa, diffuso in particolare all’interno delle classi sociali medie e medio-alte, e ciò perché esso, a suo avviso, può svilupparsi solo fra coloro che godono di una posizione di autorità, come religiosi, filosofi o scienziati, in definitiva tutti coloro che fanno riferimento ad un’ideologia astratta e ad un sistema assoluto.
Sloterdijk, accanto alla nozione di Cinicismo, introduce il concetto di kinicismo. Esso, nella sua accezione classica, era inteso fondamentalmente come impertinenza, come insolenza di fronte a ogni pretesa autorità. Il kinicismo infatti si è manifestato attraverso comportamenti che ora non potrebbero essere socialmente accettati, come mettersi le dita nel naso o emettere flatulenze. La figura di Diogene di Sinope, secondo Sloterdijk, ha dato inizio ad un processo di resistenza nei confronti dei discorsi manipolati ed artefatti delle filosofie “ufficiali” e nei confronti della “linguistificazione” dell’universalità cosmica che rappresentava, nei fatti, la principale occupazione dei filosofi. Diogene, in definitiva, comincia ad avere esperienza non solo della delusione nei confronti delle astrazioni idealistiche, ma anche dell’inconsistenza dell’atteggiamento mentale limitato alla satira e reagisce assumendo atteggiamenti apertamente maleducati, di quella maleducazione colorata che contraddistingue appunto il kinicismo. Diogene vive nella botte, si masturba in pubblica, rigetta la proprietà privata, risponde in maniera insolente ad Alessandro Magno.
Il Kinico, infatti, accomunato al cinico per ciò che concerne la consapevolezza della crisi dei valori, argomenta e dibatte con tutto il suo corpo, specialmente con le parti più infime e meno considerate.
Il kinicismo, in definitiva, secondo Sloterdijk, altro non è che una dura replica all’idealismo egemonico, replica che non si propone sotto forma di argomentazione “contro”, bensì come una forma di vita “contro”. Le dita nel naso e le flatulenze sono gesti che ciascuno di noi dovrebbe evitare di fare in pubblico e che sono consentiti unicamente in uno spazio privato; chi infrange queste convenzioni, è additato come un maleducato: e la maleducazione è oggi una connotazione fortemente negativa. La parola “impertinente” ha tuttavia acquisito un’accezione negativa solo in questi ultimi secoli; orginariamente, ad esempio nell’antica Germania, stava a indicare una forma attiva e produttiva di aggressività, rivolta nei confronti del nemico, e secondo Sloterdijk la perdita di vitalità della nostra cultura si riflette proprio nella storia di questa parola.
Vitalità, affermazione della vita, vivere pienamente sono quindi concetti collegati al kinicismo, come tipicamente riferibili a esso sono le riflessioni espresse unicamente attraverso il corpo e non verbalmente; la difficoltà a rispondere a questo genere di argomenti fece sì che né Platone né Socrate fossero in grado di relazionarsi con Diogene, ritenuto troppo diverso, e l’unica possibile reazione per Platone fu quella del disprezzo, che lo condusse a definire Diogene un “Socrate impazzito”, definizione che implica annientamento, ma che in effetti si traduce nel più alto riconoscimento.
In conclusione, per delineare in modo definitivo in che cosa consista il kinicismo per Sloterdijk, è possibile affermare che, analogamente al cinicismo, è una posizione realista e di rifiuto dell’idealismo, ma che, diversamente dal cinicismo che rende l’essere umano triste e depresso in quanto parte di un ordine precostituito in cui egli stesso non crede, rende l’uomo felice e allegro.
Si potrebbe essere tentati di replicare a Sloterdijk che tale difesa del kinicismo appare in effetti come una posizione non matura, che colloca l’uomo al di fuori delle responsabilità sociali, quindi irrealizzabile, né più né meno di un sogno. A tale replica, Sloterdijk risponde menzionando tre diverse situazioni in cui l’impertinenza propria del kinicismo può essere praticata e tollerata: le feste, l’università e gli ambienti bohemienne. Si tratta, a suo avviso, per la tolleranza che in tali ambienti vige, di tre importantissime valvole di sfogo per ogni essere umano. Le antiche feste, come il Carnevale, furono infatti, per i poveri, come una sorta di surrogato della rivoluzione: uno stravagante re veniva eletto per governare un regno dai valori completamente rovesciati, dove ricchi e poveri avevano la possibilità di far venire alla luce i loro sogni, dimenticandosi della verità, dell’educazione e delle regole. Le istituzioni sociali, secondo Sloterdijk, non sarebbero sopravvissute e non potrebbero sopravvivere a lungo senza questo genere di momenti, e ciò è ancora ampiamente dimostrato dal Carnevale brasiliano e dalle feste indiane.
Relativamente alle università, queste fino al Medioevo rappresentavano importanti centri in cui si formavano le più vivaci intelligenze, le menti più stravaganti e personalità sufficientemente furbe per comprendere che non era il caso di essere troppo riempite di nozioni.
Lo spirito bohemienne, infine, fenomeno relativamente recente, svolse un ruolo fondamentale nel regolare le tensioni fra arte e società borghese. Il bohemienismo fu lo spazio da cui fu possibile per molti testare la vita e allontanarsi dalle regole, usare la libertà al fine di elaborare il rifiuto della società borghese e individuare uno spazio sociale in cui vivere pienamente la propria vità.
Sloterdijk tuttavia ritiene che attualmente queste tre diverse dimensioni non siano più in grado di svolgere adeguatamente il loro ruolo; da molto tempo, infatti, le feste e lo stesso Carnevale non appaiono più come come viaggi in un “mondo invertito”, bensì come voli in mondi sicuri, come anestetici da usare nei confronti di un mondo costantemente invertito e colmo di ogni genere di assurdità. Anche lo spirito bohemienne è morto, relegato e nascosto ormai nei modi di vivere impertinenti delle sottoculture, e anche le università sono ormai spente.
Secondo Sloterdijk, la mutilazione degli impulsi impertinenti indica che la società è entrata in uno stadio di serietà organizzata, in cui i presupposti per una vita veramente consapevole sono completamente bloccati. Noi viviamo, a suo avviso, in un “realismo musone”, che non desidera e non vuole essere tenuto vivo e che gioca il ruolo della rispettabilità. La provocazione si è ormai esaurita e siamo entrati in uno stato di pubblico e rispettabile torpore.
Il criticismo di Sloterdijk consiste proprio nel sottolineare come le tradizionali istituzioni aperte al kinicismo non siano più in grado di assolvere al loro compito e tenta, nel contempo, di introdurre nuovamente l’impertinenza ed elementi dello stile di vita proprio del kinicismo nella nostra società, al fine di rendere le nostre vite allegre e vive. Non vuole certamente fare del kinicismo una nuova religione, ma mira esclusivamente ad accrescere la sua rilevanza, e così facendo va decisamente oltre lo spirito illuminista e la presunta modernità che animano la società e la cultura occidentali. Per queste ragioni, si può definire la posizione assunta da Sloterdijk nella sua Critica della Ragion Cinica come postmoderna.
“BREVE STORIA DELLA GLOBALIZZAZIONE”: IL MONDO E’ SEMPRE STATO “GLOBAL”
Secondo Sloterdijk, l’intera storia dell’Occidente può essere vista come una lunga sequenza di ondate di globalizzazione: dal suo punto di vista, ciò che ora viene mitizzato dietro questo concetto e presentato come se fosse una novità, non è altro che una tardiva interpretazione di avvenimenti molto più ampi. Egli parla infatti non solo di “archeologia”, ma anche di “metafisica” della globalizzazione: già nel De monarchia di Dante, a suo avviso, si fa cenno a un’umanità globalizzata, a un genere umano agitato da tante sventure e tendente in opposte direzioni e Il giro del mondo in ottanta giorni di J. Verne poteva essere concepito solo in uno spazio e in un mondo visti come globalizzati. Secondo Sloterdijk, nel momento in cui la Terra ha svelato la sua sfericità, ha cessato di essere bella e perfetta, ma è sicuramente divenuta più interessante ed è per questo che nell’Età moderna non sono più i metafisici, bensì i geografi e i navigatori coloro cui spetta il compito di fornire una corretta immagine del mondo. Il mercato globale ha avuto origine proprio con le scoperte geografiche, momento in cui, secondo il nostro autore, il denaro inizia a girare intorno alla Terra e l’allargarsi degli orizzonti dell’uomo inizia a divenire ragione di profitto. In questo panorama, di spaesamento e di crescente sfruttamento, l’uomo non può far altro che sentirsi disorientato per la perdita di contatto con un mondo che gli appare completamente diverso da quello gli è stato tramandato e con la perdita del legame con la terra e con il mondo l’essere umano perde drammaticamente anche la sua consistenza. La contingenza e l’incertezza, dopo questa mutazione antropologica senza precedenti, divengono quindi, per Sloterdijk, i tratti più evidenti della condizione umana.
LE “SPHÄREN”: LA FILOSOFIA DELLE “SFERE”
I due volumi di Sphären rappresentano per Sloterdijk un nuovo tentativo di elaborare una visione generale della storia umana e della condizione moderna. Le “sfere”, le “bolle”, i “globi”, sono i contenitori attraverso i quali l’uomo pensa se stesso nel mondo, alla ricerca di un “involucro” protettivo che lo “immunizzi” dai pericoli che vengono dall'esterno: dal ventre materno allo stato sociale, l’uomo è infatti sempre guidato dalla ricerca di sicurezza.
L’opera è stata concepita come una trilogia: il primo volume ha come sottotitolo Bolle e tratta della teoria dell’intimità, il secondo ha come sottotitolo Globi e affronta il tema della metafisica dal punto di vista della filosofia europea classica, il terzo volume, ancora da pubblicare, avrà come sottotitolo Schiuma e in esso verrà descritto un mondo in cui si sono esaurite le possibilità di interpretare il tutto a partire dall’intimità.
Dalla pubblicazione della Critica della Ragion Cinica, Sloterdijk opera una presa di distanza dalla filosofia della contestazione per ricercare ed elaborare una teoria di tipo storico e antropologico. In Sfere, in particolare, emerge il tentativo di procedere da una teoria dello spazio costruita a partire da basi psicanalitiche, cioè da una teoria dello spazio interiore, per approdare ad una concezione generale del mondo e della storia umana. In quest’opera egli cerca di dimostrare che gli uomini, così come gli altri mammiferi, sono esseri che derivano “dall’interno”, nel senso che si costituiscono all’interno della madre, “approfittando” della protezione biologica che il corpo della madre offre. La struttura stessa della memoria umana mostra, secondo Sloterdijk, che noi rimaniamo profondamente legati a quest’idea di madre e pretendiamo che anche al di fuori di essa ci venga garantito lo stesso benessere provato nel ventre materno prima della nascita. Sfere è il tentativo di raccontare la storia umana a partire da questo concetto.
Secondo Sloterdijk, il mondo moderno è un mondo in cui l’assoluta esteriorità e l’estraneità hanno preso il sopravvento sulla familiarità e la vicinanza; nell’era post-metafisica, gli uomini non possono più costruire nulla a partire dalla loro esigenza di intimità e debbono fare i conti col fatto che, ovunque siamo o ci troviamo, ci viene incontro l’estraneo. A differenza di quel che pensava Hegel, oggi, secondo Sloterdijk, non c’è alcuna strada sicura che ci riporti a casa da questa estraneità.
FABBRICARE L’UOMO?
Sloterdijk, suscitando scandalo in Germania, ha proposto alcune riflessioni sulla relazione uomo-animale, a partire da due eventi di cronaca: l’uccisione di milioni di capi di animali a causa del diffondersi in Europa della sindrome della “mucca pazza” e l’inizio delle manipolazioni genetiche che hanno portato alla clonazione della pecora Dolly.
Sloterdijk interpreta questi due eventi come tappe nella realizzazione di una nuova futura “antropotecnica” che porterà, a suo avviso, a pianificare l’evoluzione della specie umana. Tale affermazione, ovviamente molto forte, va interpretata alla luce del suo particolare concetto di humanitas, secondo cui l’uomo, così come lo conosciamo, altro non sarebbe che il prodotto di tecniche di addomesticamento, addestramento ed educazione altamente selettive (si vedano, ad esempio, nell’ambito dell’addestramento scolare, il leggere, lo scrivere, il contare, lo stare seduti, ecc..). Oggi, momento in cui il potere “modellante” e “plasmante” delle teniche educative appare in declino, sembra emergere, a suo avviso, un nuovo progetto di allevamento-addomesticamento di tipo genetico ed è ipotizzabile, dal suo punto di vista, che una nuova tecnologia possa arrivare a pianificare e a progettare le caratteristiche dell’umanità, fino a cancellare il fatalismo e la casualità e sostituirli con la nascita opzionale e la selezione prenatale.
Si tratta di una prospettiva inquietante, che tuttavia il pensiero critico deve, secondo Sloterdijk, analizzare senza illusioni, ma anche senza perdere contatto che quella prospettiva umanistica che poggiava (e poggia ancora) sull’idea della stabilità (la casa, la terra, gli animali domestici, ecc..) e sull’educazione attraverso la lettura e le lettere in generale. Storicamente, con la costruzione della casa, inizia il rapporto dell’uomo con gli animali e, in particolare, con gli animali domestici: questi non vengono solo addomesticati, ma anche addestrati ed allevati e l’animale domestico diviene lo specchio dell’addestramento/educazione dell’uomo.
L’addestramento altro non è che un’antropotecnica di carattere umanistico, cui potrebbe subentrare, secondo l’autore, un’antropotecnica di tipo genetico; in ogni caso comunque l’uomo si trova a fare i conti con l’animale, quello domestico in un caso, quello mostruoso della manipolazione genetica nell’altro.
Il problema che si pone ora è quello della valutazione delle antropotecniche: come fare a stabilire che quella umanistica tradizionale è preferibile rispetto a quella genetica? Non potrebbe essere quest’ultima la più adatta a produrre quei caratteri di umana tolleranza che si ritiene siano il miglior risultato dell’educazione? Per tali interrogativi, certamente destabilizzanti e provocatori, Peter Sloterdijk è diventato la personalità più controversa della scena culturale tedesca e Jürgen Habermas, indignato per la conferenza di Sloterdijk dal titolo “Il parco degli esseri umani - lettera di risposta sull’Umanesimo”, è stato il primo a dichiarargli guerra.