" La fede che rende possibile il coraggio della disperazione è l'accettazione del potere dell'essere, anche nella morsa del non-essere. Anche nella disperazione del significato l'essere si afferma per mezzo nostro. L'atto di accettare la mancanza di significato è in se stesso un atto significativo. E' un atto di fede. Abbiamo visto che chi ha il coraggio di affermare il suo essere nonostante il fato e la colpa, non elimina affatto il fato e la colpa. Continua a essere minacciato e colpito. Ma accetta la sua accettazione grazie al potere dell'essere in sé, al quale partecipa e che gli dà il coraggio di prendere su di sé le angosce del fato e della colpa. Lo stesso si può dire del dubbio e della mancanza di significato. La fede che crea il coraggio di includerli non ha un contenuto speciale. E' semplicemente fede, indiretta, assoluta. E' indefinibile, poiché tutto ciò che è definito è dissolto dal dubbio e dalla mancanza di significato […]. Il coraggio di esistere ha le sue radici in quel Dio che appare quando Dio è scomparso nell'angoscia del dubbio ".
Questo è quanto mostra appunto il "principio di correlazione", che consente
di pensare il rapporto fra la domanda dell'uomo e la risposta di Dio. Si può
anche dire che l'uomo sia, essenzialmente, una domanda la cui esistenza non è
che la tensione a una possibile risposta che Dio liberamente gli dona, ma nelle
forme che via via, nelle diverse condizioni storiche e culturali, l'aspettativa
umana è in grado di recepire. Ciò non vuol dire certamente che tale correlazione
sia per Dio necessaria (ciò vorrebbe dire dissolverne la libertà e farlo
dipendente dall'uomo) né che la sua risposta sia in qualche modo forzata dalla
domanda umana. Domanda e risposta restano assolutamente indipendenti, né l'una
può essere inferita dall'altra, pur essendole correlativa. E' dunque necessario
esplorare le correlazioni sia dal punto di vista della domanda, sia, per quanto
è possibile, da quello della risposta; e in ciò consiste l'intero movimento
della teologia che, recuperando un fecondo rapporto con la filosofia
nell'orizzonte della domanda sull'essere dell'uomo, riconosce al contempo il suo
fondamento nella rivelazione come luogo della risposta divina. Il nesso di
"domanda" e "risposta" si svolgerà allora comprendendo che la
rivelazione è la risposta alle questioni poste dalla ragione , e
scorgendo in Dio la risposta al problema dell'essere, in Cristo la risposta al
problema dell'uomo, nello Spirito Santo al risposta al problema della vita, nel
regno la risposta al problema della storia. La polarità fondamentale viene
ovunque riproposta e mantenuta nella sua tensione, sulle orme della visione
scissa e problematica dell'uomo che Tillich eredita dall'esistenzialismo e che
comunque è tipica del Novecento. In particolare, bisogna notare che nel trattare
della polarità tra essere e Dio Tillich si richiama alla tradizione della
mistica tedesca e al pensiero dell'ultimo Schelling. La concezione dell'essere
come precarietà e angoscia (quale emerse dall'analisi dell'esistenza umana) e
quindi come costitutiva finitezza, non consente più di conferire a Dio il
tradizionale attributo dell'essere. Se tuttavia è necessario vedere in lui la
risposta al problema ontologica, alla domanda fondamentale dell'uomo, Dio non
potrà dirsi "totalmente altro" dall'essere, quanto piuttosto il suo fondamento,
cioè colui che pone l'essere stesso e ne è Signore. Solo in quanto tale Dio può
fornire una risposta al problema dell'essere, risposta che però deve
inscriversi, per poter essere colta dall'uomo, nelle condizioni della sua
esistenza. Questo il fondamento della Cristologia di Tillich, che vede in Cristo
la realizzata unità del divino e dell'umano in una vita storica concreta e data
nel tempo, quindi la risposta suprema, ma accessibile a ogni uomo, perché data
nella dimensione dell'umano, in una persona. Se Cristo è la risposta alla
domanda dell'esistenza, il cristianesimo si distingue da ogni limitata forma di
religione ed è anzi ben più di una religione: l'incarnazione è la chiave di
volta del senso della storia, il cui culmine, il regno di Dio, non è da vedersi
come "altro" dal tempo, ma come la sua realizzazione più profonda. La teologia
di Tillich confluisce pertanto in una visione
escatologica che non annulla la storia, ma che vede nella "vita eterna"
l'immanente riscatto del male e della negatività storica.