a) la schiavitù esercitata in nome della forza
b) l'asservimento in nome della ricchezza trasformata in capitale.
Sta per cadere sugli uomini un'altra e nuova forma di oppressione: l'oppressione esercitata in nome della funzione , frutto
maturo del lavoro frantumato tipico del Capitalismo. " La rivoluzione è un ideale, un giudizio di valore, una
volontà ". Di fronte a tutte le forme di oppressione, di fronte a questo
stato doloroso, Simone Weil fa appello ad un obbligo eterno: quello verso
l'essere umano in quanto tale. L'uomo non può essere oggetto. L'individuo è il
valore supremo, un valore calpestato anche dai movimenti che si richiamano a
Marx. Ed è proprio perché vuole raggiungere queste alte finalità che non basta
Marx con la sua " idea di materia sociale "concepita come " una
macchina atta a fabbricare del Bene ". Simone Weil aggiunge, inoltre, che la
materia sociale lasciata a se stessa produce altre schiavitù. I movimenti
sociali ispirati da Marx sono tutti falliti, soprattutto perché hanno ignorato
la sola idea preziosa che si trovi nella sua opera, vale a dire il metodo materialista , lo strumento d'analisi dei fatti sociali
tramite il ricorso alle cause economiche. La Weil non critica solo il marxismo,
ma anche quei movimenti che assumono una sorta di fatalismo e di disinteresse
nei confronti di chi al momento soffre, aspettando che una felice catastrofe
porti un capovolgimento della società in cui " gli ultimi saranno i primi
". Da questo si capisce perché per la Weil essere rivoluzionari significa
invocare coi propri desideri e aiutare con le proprie azioni tutto ciò che può,
direttamente o indirettamente, alleggerire o sollevare il peso che schiaccia la
massa degli uomini. Intesa così, " la rivoluzione viene ad essere un ideale,
un giudizio di valore, una volontà e non un'interpretazione della storia e del
meccanismo sociale ". Nel saggio L'Iliade o il poema della forza
(1939), Weil esalta il modo in cui l'uomo greco viveva la guerra e il suo
terribile gioco accordando eguale rispetto al vinto e al vincitore, provando
sgomento per la distruzione di una città. Quando gli uomini entravano nel gioco
della guerra, diventavano pietre nelle mani degli dèi, ossia cose sotto il "
giogo della Forza ". Alla fine vince solo la Guerra . La Guerra è una prova della miseria umana, dei limiti
dell'essere umano, è l'emergere di una Forza che domina l'anima dell'uomo e la
incatena al suo destino immodificabile. Omero è un protagonista senza volto
degli avvenimenti narrati ed è obiettivo nei confronti dei vincitori e dei
vinti. Ma alla fine tra chi è in grado di infliggere la morte credendosi con ciò
libero, e chi invece subisce la morte non vi è differenza. Achille che sgozza
dodici adolescenti troiani sulla pira di Patroclo, tanto naturalmente come si
recidono i fiori per una tomba, non sfuggirà al destino comune della morte,
unica e inesorabile vincitrice. " Anche se ci illudiamo di maneggiarla, la
forza si può soltanto subire. Il destino di chi uccide è di essere ucciso a sua
volta ". La visione greca dell'uomo si prolunga, per la Weil, fino al
Vangelo. Ciò che unisce Omero agli Evangelisti è il senso del valore della
miseria umana, una miseria vissuta dallo stesso Cristo sulla croce. Una miseria
a cui i Greci opponevano la virtù e i Vangeli la Grazia. La liberazione
dall'oppressione sociale, pur equivalendo ad una rivoluzione che fa dell'uomo il
valore supremo, non è la salvezza o la redenzione dell'uomo. L'infelice è chi prova l'assenza di Dio e che cammina sul
crinale di un baratro, motivo per cui o cade o imbocca la via della salvezza.
Per la Weil, l'infelicità è un ingegnoso dispositivo della tecnica divina
escogitata per far entrare nell'anima dell'uomo " l'immensità della forza
cieca, brutale e fredda ". Inoltre, l'infelice è chi non vede alcuna luce
nella sua vita, nessun senso della sofferenza, nessuno scopo nell'affaccendarsi
dell'umanità. L'infelice è distante da Dio, il quale già al momento della
creazione si è distanziato dal creato affinché questo potesse esistere. Perciò,
per sconfiggere l'infelicità l'uomo deve eliminare questa distanza da Dio,
compiendo il cammino opposto a quella della creazione: deve attuare una
decreazione, deve annullare il sue essere, deve distruggere il proprio io.
L'annullamento dell'io si ha nella sofferenza, nell'umiliazione, nella
sopraffazione subita, nell'abbrutimento dei campi di concentramento. La visione
della Weil è pessimistica. Viviamo in un mondo dove nulla è a misura dell'uomo,
in una società che è stata trasformata in una macchina possente, nella quale
l'individuo avverte di essere solo un ingranaggio e che arriva a comprimere il
cuore e a fabbricare l'incoscienza. Complessità sociale, gerarchie sociali
sempre più chiuse, macchine di potere sempre più sofisticate e oppressive: il
crescente pessimismo delle Weil, da lei vissuto come una
ferita sempre più dolorosa, non si tradurrà mai in senso di impotenza. Da un
lato glielo impedisce la prospettiva religiosa, a cui si aprirà con la
conversione al Cristianesimo; dall'altro, l'ansia e la febbre di agire a favore
dei ceti subalterni la porteranno, fino all'ultimo, a impegnarsi e a lottare
ovunque, con i repubblicani in Spagna o nei quartieri di Harlem a New York, o
nella Londra bombardata della Seconda Guerra Mondiale. Simone Weil è pessimista.
Vede la società andare nella direzione in cui aumenta lo sfruttamento del lavoro
operaio e gli individui vengono sradicati dal loro passato, gettati in una
condizione di solitudine e di assenza di valori, mentre si rafforzano le
gerarchie e i poteri burocratici, le strutture di comando e le pratiche violente
e ci si avvia verso la guerra. Da questa profonda tensione interiore nasce la
svolta della fede, che non è, in lei, mai rinuncia alle sue posizioni sociali,
ma convinzione che di fronte alla miseria umana occorre intravedere anche una
prospettiva ultraterrena di salvezza. La ricostruzione sociale e politica della
società deve, quindi, poggiare su basi etico-religiose, su una rigenerazione
spirituale di individui e collettività, in cui a una nuova democrazia si
accompagni un nuovo radicamento nel proprio passato, nella tradizione, in una
società giusta e rispettosa delle persone. Fede, tensione morale e impegno
politico non l'abbandoneranno mai, fino alla morte. " La croce è la nostra
patria ", diceva più volte. Anche la riflessione
politica , le varie esperienze di militanza sindacale e politica e
l'adesione a posizioni sindacaliste rivoluzionarie, trotzskiste più che
marxiste, esprimono una fortissima tensione spirituale, uno slancio ed una
ispirazione etico-religiosa, l'intenzione di una scelta esistenziale, quella di
stare sempre dalla parte degli oppressi. E' proprio la centralità della scelta
etica, nel determinare gli orientamenti dell'esistenza degli individui, la porta
a rifiutare, del marxismo, il materialismo e il determinismo economicistico.
Simone Weil subisce dapprima il fascino del marxismo di cui tuttavia rifiuta la
configurazione teorica dello Stato per il suo autoritarismo. Si occupa di
politica fin dagli anni del liceo ma non si iscrive mai ad alcun partito. La sua
stessa militanza sindacale e politica iniziale, più anarchica che marxista,
trova le sue ragioni in un'ispirazione etica che la porterà a mettersi sempre
dalla parte degli oppressi. Diceva spesso che occorreva essere sempre disposti a
cambiare per seguire la giustizia, questa eterna fuggiasca. Filosoficamente
aderisce inizialmente al pensiero dei suoi docenti e nella sua esperienza di
insegnamento ne proseguirà il metodo invitando gli allievi a leggere
direttamente i testi dei filosofi anziché i manuali. Successivamente Simone Weil
andrà sviluppando il suo pensiero che sarà sempre più caratterizzato dalle
esperienze interiori. Gli anni di lavoro in fabbrica danno l'avvio ad una
profonda e sofferta riflessione sul senso della propria esistenza, mentre vive
l'esperienza operaia come occasione di esperienza interiore. Sono anche gli anni
in cui si intensificano quei dolori di testa che la indurranno ad esperire che
cosa significa assaporare la morte da viva. L' idea della
morte , così presente in Simone Weil, è qualcosa di più del frutto di
momentanei scoramenti: attraverserà tutta la sua vita costituendone il vettore
di ricerca della verità. Abbandona gradualmente l'interesse più propriamente
politico e sospinge sempre più la sua riflessione in direzione del senso
dell'esistere, colto nei suoi risvolti religiosi e mistici, senza con ciò
rinunciare al tentativo di tradurre il tutto in Pensiero, compito che non delegò
mai ad alcuna istituzione politica né ecclesiastica: questo fu uno dei punti
fermi che le garantì la coerenza con se stessa. La Weil è un personaggio
estremamente significativo per la pregnanza e la radicalità con cui ha vissuto e
concretizzato la sua weltanschauung , la sua visione del mondo. Come
filosofa certamente non fu capita. Ci fu sempre un maggior interesse per il suo
carattere, da molti ritenuto eccentrico ed esemplare e per le sue esperienze
personali, piuttosto che per il suo pensiero.