Abelardo, Guerra a Guglielmo di Champeaux

Fra il 1132 e il 1134 Abelardo scrive, sotto la forma di “lettera consolatoria a un amico”, la sua autobiografia e le dà il titolo di Historia calamitatum mearum (“Storia delle mie disgrazie”). Sicuramente ad Abelardo non sono mancate disavventure e vere e proprie “calamità” (nel 1118 fu evirato per vendetta dallo zio della sua giovane amante, divenuta ormai sua moglie), ma il titolo non deve trarre in inganno: l’autobiografia è prima di tutto il racconto della sua brillante carriera di filosofo, di una vita passata a “combattere” gli avversari delle sue teorie e a raccogliere il plauso dei suoi studenti entusiasti. “Non lo si può immaginare senza un corteo di studenti entusiasti che lo stringono d’attorno tutte le volte che apre bocca o che sale in cattedra; e soprattutto non lo si può immaginare senza avversari, senza nemici da combattere” (R. Pernoud, Eloisa e Abelardo, Il Mulino, Bologna, 1982).

 

Historia calamitatum mearum

 

1             Finalmente arrivai a Parigi. A Parigi questa disciplina [la dialettica] era ormai affermata e là divenni discepolo di Guglielmo di Champeaux, che in quell’insegnamento era il migliore e piú famoso maestro. In un primo tempo lavorai con lui in un ottimo accordo, ma poi gli diventai insopportabile, perché avevo cominciato a criticare alcune sue idee e spesso osavo contestarlo e talvolta uscivo perfino vincitore dalla disputa. Anche gli altri discepoli che studiavano con me, soprattutto quelli piú bravi, erano sdegnati e indignati contro di me, in particolar modo perché ero il piú giovane e l’ultimo arrivato.

2             Cosí cominciarono le mie disgrazie, che durano tuttora; e quanto piú si estendeva la mia fama, tanto piú si accendeva l’invidia degli altri contro di me.

3             Avvenne alla fine che, sopravvalutando forse le mie capacità data la mia giovane età, aspirai a dirigere io stesso una scuola e cercai un luogo adatto a realizzare il mio disegno. Mi parve adatta Melun, una cittadina famosa e per di piú residenza reale. Ma il mio maestro si accorse delle mie intenzioni e, tentando di allontanare il piú possibile me e la mia scuola dalla sua sede ricorse a tutti i sotterfugi e a tutti i mezzi a sua disposizione per impedirmi di fondare una scuola per la quale avrei abbandonato la sua e per togliermi il posto che avevo scelto. Ma poiché erano a lui ostili in quella cittadina parecchi fra i potenti della terra, io, forte del loro aiuto, riuscii a realizzare il suo intento, ed anzi il mio atteggiamento apertamente ostile mi conciliò la simpatia di tanti.

4             Da questo primo tirocinio di insegnante si diffuse talmente la mia rinomanza di dialettico che cominciò a offuscarsi, se non a scomparire del tutto, non solo la fama dei miei condiscepoli ma finanche quella del mio maestro Guglielmo. Avvenne allora che, sopravvalutando ancora una volta le mie reali capacità, trasferii la mia scuola a Corneuil, cittadina piú vicina a Parigi, per poter avere piú frequenti occasioni di aggredire i miei nemici nelle dispute. Però, trascorso non molto tempo, fui costretto a rimpatriare dato che mi ammalai per l’eccessivo impegno nello studio, e per alcuni anni dovetti stare lontano dalla Francia, mentre tutti coloro che volevano imparare la dialettica aspettavano con ansia il mio ritorno.

 

(Abelardo, Storia delle mie disgrazie, Newton Compton, Roma, 1994, pagg. 24-25)