Nel bambino, secondo Adolf Adler (1870-1937) si sviluppa
naturalmente un senso di inferiorità da cui hanno origine i suoi sforzi per
porsi un fine che gli garantisca la sicurezza e l’adattamento e lo diriga verso
l’autoaffermazione. Gli ostacoli e le incomprensioni che incontra nel suo
“sforzo di valere” lo portano a trovare compensazione al senso d’inferiorità le
quali possono assumere anche la forma di “supercompensazioni” a carattere
patologico. Adler sottolinea in questo processo l’importanza dell’educazione e
dell’ambiente sociale in cui vive il bambino.
A. Adler, Conoscenza dell’uomo
Possiamo già renderci conto che i bambini trattati dalla
natura come da una matrigna sono inclini ad assumere verso la vita e gli uomini
un atteggiamento diverso da coloro ai quali sono state elargite fin da
principio le gioie dell’esistenza. Si può porre come principio che tutti i
bambini affetti da inferiorità organica si trovano facilmente impegnati
in una lotta colla vita, che li devia verso un soffocamento del loro senso
comunitario, cosicché assumono con facilità il comportamento di chi si occupa
sempre piú di se stesso e dell’impressione che desta nel mondo, che degli
interessi degli altri. Quello che vale per l’inferiorità organica vale anche
per quell’insieme di influssi esteriori che sono percepiti dal bambino come una
pressione piú o meno pesante, e che suscitano una presa di posizione ostile nei
riguardi dell’ambiente. La svolta decisiva è presa assai presto. Già nel
secondo anno di età si può costatare che tali bambini stentano a sentire di
potersi permettere ciò che è consentito agli altri, di essere a loro uguali per
nascita e per diritto, di unirsi a loro, e di fare con loro le stesse cose;
invece, per quel loro sentimento d’inferiorità scaturito dalle
molteplici privazioni, inclinano a esprimere piú marcatamente degli altri
bambini un sentimento di aspettativa, un diritto alla richiesta. Ora, si pensi
che ogni bambino di fronte alla vita è precisamente affetto d’inferiorità e che
non potrebbe assolutamente sussistere senza una forte dose di senso comunitario
nei riguardi degli uomini che gli stanno vicino; si tenga presente quanto sia
piccolo e indifeso il bambino, e quanto a lungo duri questa situazione che gli
dà l’impressione di essere a mala pena all’altezza di vivere: e si dovrà
ammettere che agli inizi della vita psichica sta un senso d’inferiorità piú
o meno profondo. Questa è la forza d’impulso, il punto da cui scaturiscono e si
sviluppano gli sforzi del bambino per porsi un fine che gli garantisca ogni
tranquillità e sicurezza nella vita futura, e che gli apra una strada
verosimilmente atta a raggiungerlo.
In tale singolare presa di posizione del bambino, che è
anche strettamente connessa alle sue capacità organiche che su di essa
influiscono, sta la base della sua educabilità. Questa viene soprattutto
scossa (tanto generale è il senso d’inferiorità presso il bambino) da due
fattori: l’uno è un senso d’inferiorità troppo forte, troppo intenso e di troppo
lunga durata; l’altro un fine che non solo intenda garantire tranquillità,
sicurezza, equivalenza cogli altri, ma anche sviluppare uno sforzo verso il
potere volto a raggiungere una posizione di superiorità nell’ambiente. Sono
questi indirizzi che rendono in seguito sempre distinguibili i bambini. La loro
educabilità è resa piú difficile, perché in ogni circostanza si sentono
repressi, si credono sfavoriti dalla natura e si vedono anche spesso messi in
disparte, giustamente o ingiustamente. Se si osservano attentamente tutte
queste situazioni, si può misurare la fatalità colla quale si può verificare
uno sviluppo distorto, accompagnato da lacune di ogni genere.
Precisamente a questo pericolo è esposto ogni bambino,
perché si trova in situazioni simili. Ogni bambino per ciò stesso che è posto
in un ambiente di adulti è indotto a considerarsi piccolo e debole, a stimarsi
incapace e inferiore. Posto in tale disposizione non è in grado di avere la
fiducia necessaria ad assolvere nel modo liscio e ineccepibile che da lui si
pretende, i compiti che gli vengono assegnati. Già in tale situazione
s’introducono per lo piú dei difetti pedagogici. Per ciò stesso che si pretende
troppo da un bambino, gli si evoca con maggior rilievo nell’anima il sentimento
della sua nullità. Altri bambini sono in continuazione fatti attenti sul loro
scarso significato, sulla loro piccolezza e inferiorità. Altri vengono usati
come giocattoli, come divertimenti, o vengono considerati come un bene da
proteggere con ogni cura, o si considerano come una pesante zavorra. Spesso si
trovano tutti questi atteggiamenti uniti insieme, e l’attenzione del bambino
viene richiamata ora su di un punto ora sull’altro, sul fatto che è un sollazzo
o un disturbo per gli anziani. Il profondo senso d’inferiorità che in tal modo
viene alimentato nei bambini può aggravarsi ulteriormente per certi
atteggiamenti singolari della nostra vita. Per esempio, l’abitudine di non
prendere sul serio il bambino, di significargli che non è nessuno, che non ha
nessun diritto, che deve sempre tenersi riservato davanti agli anziani, che
deve starsene sempre zitto, e via dicendo. Ciò che eventualmente vi può essere
di vero, può essere presentato ai bambini in una maniera cosí indelicata, da
rendere comprensibile la loro irritazione. Innumerevoli bambini crescono
inoltre in un costante senso di paura di essere derisi in tutto ciò che
intraprendono. Il vizio di canzonare i bambini è del tutto incompatibile con il
loro sviluppo. La paura in tali uomini di venir canzonati perdura visibilmente
fino alla loro piú tarda età e spesso succede che non possono liberarsene
neppure da adulti. Molto nociva è anche la tendenza a non prendere sul serio i
bambini, cosí da dire ad essi delle falsità, cosí che finiscono per dubitare
della serietà del loro ambiente e anche della vita. Vi furono casi di bambini
che all’inizio del loro ingresso nella scuola si sedettero sorridendo sui
banchi, e poi all’occasione confessarono che avevano ritenuto tutto questo
apparato scolastico come uno scherzo dei genitori, che a loro volta non
l’avevano preso assolutamente sul serio.
Compensi al sentimento d’inferiorità. Sforzo di valere e di
prevalere. Il sentimento d’inferiorità, d’insicurezza, d’incapacità è quello
che induce a prefissarsi un fine nella vita e aiuta a perfezionarlo. Già nei
primi giorni della fanciullezza si manifesta la tendenza ad aprirsi un varco
sul proscenio, a richiamare su di sé, anche a forza, l’attenzione dei genitori.
Sono i primi sintomi del risveglio dello sforzo di valere proprio dell’uomo,
che si sviluppa sotto l’azione del sentimento d’inferiorità e che induce il
bambino a prefissarsi un fine che gli dia l’impressione di potersi imporre
all’ambiente.
Il fine dell’autoaffermazione viene determinato in
concomitanza al peso che assume il senso comunitario. Non possiamo giudicare
nessun bambino, nessun adulto, se non mettiamo a confronto il senso comunitario
posseduto colla quantità dello sforzo fatto per valere e per prevalere sugli
altri. Il fine viene fissato in modo tale che la sua realizzazione renda
possibile il senso della propria superiorità e consenta uno sviluppo tale della
propria personalità da rendere la vita degna di essere vissuta. È questo fine
che conferisce perfino alle sensazioni il loro valore, che dirige e influisce sulle
percezioni, dà forma alle rappresentazioni, guida la forza creatrice con cui le
suscitiamo in noi, o con cui perfezioniamo i ricordi o li accantoniamo. E se si
considera che neppure le sensazioni sono grandezze assolute, perché appunto
anch’esse vengono influenzate dalla tensione verso lo scopo che riempie la vita
psichica, se si tiene ben presente che la successione delle nostre percezioni
dipende dalle nostre scelte, in base a una precisa nostra intenzione, e che
anche le rappresentazioni non contengono valori assoluti, ma dipendono da
questo scopo, se riflettiamo che inoltre cerchiamo in ogni evento di realizzare
quell’aspetto che ci sembra idoneo ad attuare il nostro scopo, allora è
comprensibile che anche qui tutto rimanga relativo, e la sicurezza e la
stabilità dei valori sia solo apparente. Solo in base a una finzione, per
una specie di effettiva forza creatrice, ci ancoriamo a un punto fisso, che
nella realtà dei fatti non esiste. Tale ipotesi, a rigore dovuta a una
manchevolezza della vita psichica umana, assomiglia ai molti tentativi della
scienza e della vita, come quello della partizione del globo in meridiani, in
realtà inesistenti, e molto valido solo come ipotesi. In tutti i casi di
finzione psichica la situazione è la seguente: supponiamo un punto fisso per
ottenere un orientamento nel caos della vita, per poterci contare, pur
dovendoci persuadere a un esame piú preciso che non sussiste. Tutto ciò che
inizia da una sensazione viene tramutato in noi in un dominio su cui possiamo
contare, nel quale possiamo agire. Tale è il vantaggio che l’assunzione di un
fine costante consente alla vita psichica umana.
La psicologia individuale elabora allora, basandosi su
questo punto di vista, il suo metodo euristico: ossia dapprima considera
la vita psichica umana come se si fosse sviluppata nelle sue forme successive
in base a potenzialità innate e sotto l’influsso di uno scopo prefissato. In
seguito, la nostra esperienza e le nostre impressioni ci consolidano nella
persuasione che questo metodo euristico rappresenta qualcosa di piú di un
sussidio per la ricerca, che nei suoi fondamenti e in misura molto piú vasta
coincide coi processi reali dello sviluppo psichico, in parte vissuti
consciamente, in parte dedotti dall’inconscio. La tendenza al fine propria
della psiche non è pertanto solo una forma della nostra intuizione, ma anche un
dato di fatto fondamentale [...].
Quanto al problema di come favorire e insieme contrapporsi
in modo vantaggioso alla tendenza al potere, che è il male piú imponente
della storia della civiltà umana, la difficoltà nasce dal fatto che nell’età in
cui questa tendenza si forma, la comprensione del bambino è difficile. Solo
molto piú tardi è possibile far luce e intervenire per rimediare a uno sviluppo
sbagliato. Tuttavia vivendo insieme al bambino si rende possibile anche in
questa età impedire che questa tendenza al potere prevalga sul senso
comunitario, anch’esso presente e in via di sviluppo. Un’ulteriore difficoltà
proviene dal fatto che anche i non esprimono la loro tendenza al potere ma la
nascondono, e avvantaggiandosi del bene che loro si vuole e dei teneri
sentimenti che si hanno a loro riguardo, cercano di metterla in opera in
maniera nascosta. Evitano pudicamente di essere sorpresi su questo punto. Lo
sforzo non inibito di potere, che cerca di rinforzarsi, produce degenerazioni
nello sviluppo della vita psichica del bambino, cosicché nella tensione
esagerata di raggiungere sicurezza e potere, il coraggio può diventare
insolenza, l’obbedienza vigliaccheria mentre riescono a trasformare la
tenerezza in astuzia con cui ridurre gli altri alla remissività,
all’obbedienza, alla sottomissione, e ad aggiungere a tutti i tratti di
carattere della loro natura palese, anche un aumento di astuta ingordigia di
superiorità.
Un’educazione consapevole nei riguardi del bambino si
adopera ad aiutarlo a uscire dal suo stato di insicurezza sotto l’azione degli
impulsi consci e inconsci, a disporsi alla vita con abilità, con esperta
comprensione e simpatia verso gli altri. Tutte queste misure, ad ogni modo, da
qualunque parte vengano, vanno intese inizialmente come tentativi di aprire
nuove vie al bambino perché possa liberarsi dal suo sentimento di insicurezza e
inferiorità. Quello che ora si svolge in lui, si palesa nei suoi tratti di
carattere, che sono l’espressione di ciò che avviene nell’interno della sua
anima.
Il grado d’intensità d’azione del senso
d’insicurezza e d’inferiorità dipende massimamente dal modo di vedere che
è proprio del bambino. È indubbiamente importante il grado oggettivo
dell’inferiorità; anch’esso si manifesterà al bambino. Ma non ci si deve
aspettare a questo proposito che costui valuti giustamente, come farebbe un
adulto. Per questo motivo sorgono ora difficoltà molto gravi. La crescita di un
bambino può essere talmente complicata che diventa quasi ovvio un suo errore di
valutazione sul grado della propria inferiorità e insicurezza. Un altro invece
è in grado di valutare meglio la sua situazione. In complesso, comunque, si
deve sempre prendere in considerazione il sentimento che è proprio del
bambino, il quale ogni giorno presenta un comportamento tentennante, finché
alla fine viene ad assumere un certo qual consolidamento che si esprime nell’autovalutazione.
Come questa si verifica, ne deriva un accomodamento, la ricerca di un compenso
al senso d’inferiorità, e, in corrispondenza, lo stabilimento di un fine.
Il meccanismo psichico dello sforzo verso la compensazione,
in base al quale di regola l’organo psichico reagisce al senso d’inferiorità
con uno sforzo per compensare questo penoso sentimento, ha un’analogia nella
vita organica. È un dato di fatto dimostrato, che organi vitali importanti
quando presentano una debolezza finché sono ancora vivi, incominciano a
rispondere con un aumento straordinario delle loro prestazioni energetiche.
Cosí quando la circolazione del sangue è minacciata, il cuore lavorerà con un
aumento di forza che prende da tutto l’organismo, si ingrosserà assumendo un
volume maggiore di un cuore che lavora normalmente. In modo simile l’organo
psichico, sotto il peso della pochezza, della debolezza, del senso
d’inferiorità, tenterà con sforzi vigorosi di dominare questo sentimento e di
eliminarlo.
Ora se il senso d’inferiorità è particolarmente grave, vi è
pericolo che il bambino nella sua ansia di non poter fronteggiare la sua vita
futura, non si accontenti della semplice compensazione, e punti piú lontano (ipercompenso).
Lo sforzo di potere e di superiorità si esalta e diventa morboso. A questi
bambini le ordinarie circostanze della vita non bastano. In corrispondenza al
loro scopo fissato in alto, prendono la rincorsa per movimenti grandiosi e
teatrali. Con furia singolare, con impulsi che superano di molto in vigore la
misura ordinaria, senza riguardo al loro ambiente, cercano di assicurarsi una
posizione personale. In tal modo danno nell’occhio, diventano invadenti e
disturbatori della vita altrui e si sentono quindi naturalmente obbligati ad
atteggiamenti di difesa [...].
Linea di condotta e immagine del mondo. Quando si
intraprendono queste ricerche, è raccomandabile raffigurare la connessione tra
i fatti quasi tracciando una linea che partendo da un’impressione d’infanzia
arriva fino all’azione presente in esame. In tal modo si riuscirà in molti casi
a tracciare la linea spirituale secondo la quale un uomo si è mosso fino a quel
momento. È la linea di movimento su cui si muove come su di una
falsariga la vita dell’uomo fin dalla sua infanzia. Qualcuno avrà forse
l’impressione che si tratti qui di un tentativo di bagatellizzare il destino
umano, quasi che fossimo inclini a negare il libero arbitrio, la costruzione
del proprio destino. Quest’ultimo punto è vero. Effettivamente, quello che
realmente agisce è sempre la linea di movimento di un uomo, il cui sviluppo può
ben essere soggetto a delle modificazioni, ma il cui contenuto principale, la
cui energia, il cui senso persiste fisso e immutabile fin dall’infanzia, non
senza connessione coll’ambiente che è proprio del bambino e che verrà dissolto
in seguito dal piú grande ambiente della società umana. A questo riguardo si
deve pertanto tentare di seguire all’indietro la storia di un uomo fino alla
sua prima infanzia, perché già le impressioni ricevute al tempo
dell’allattamento orientano il bambino in una direzione determinata e lo
conducono a rispondere in un certo modo ai problemi della vita. In tale
risposta vengono utilizzate tutte le possibilità di sviluppo che il bambino
porta con sé nella vita, e le impressioni ricevute nel periodo
dell’allattamento influiranno, sia pure in forma rudimentale, sul suo modo di
considerare la vita, sulla sua immagine del mondo.
Non sorprende quindi che gli uomini dal tempo
dell’allattamento in poi non cambino gran che nel loro atteggiamento di fronte
alla vita, sebbene le espressioni esterne siano molto diverse da quelle della
loro prima età. Per conseguenza è importante porre il lattante in circostanze
tali che gli impediscano di acquisire una falsa concezione della vita.
Determinante è a questo proposito anzitutto la forza e la consistenza della sua
stabilità organica, la sua situazione sociale e la personalità dell’educatore.
Anche se all’inizio le risposte avvengono meccanicamente, a guisa di riflessi,
il suo atteggiamento si modifica ben presto orientandosi in maniera tale che
non sono piú soltanto i fattori esteriori della sua indigenza a decidere della
sua sofferenza e della sua felicità, ma egli stesso acquista la capacità di
sottrarsi piú tardi colla propria forza alla pressione di tali fattori. Nel
loro sforzo di valere questi bambini mirano a svincolarsi dall’influsso dei
loro educatori e diventano cosí degli antagonisti. Questo processo avviene nel
tempo della cosiddetta scoperta dell’io, che è press’a poco il tempo in
cui il bambino incomincia a parlare in prima forma personale. In questo momento
il bambino è già cosciente di stare in uno stabile rapporto coll’ambiente, il
quale non è assolutamente neutrale, ma costringe il bambino a prendere
posizione e a disporsi nei suoi riguardi, come il suo benessere, visto nel
quadro della sua immagine del mondo, esige da lui.
Se ora teniamo fisso ciò che si è detto a proposito della
tendenza al fine nella vita psichica dell’uomo, risulta chiaro di per sé, che
questa linea di movimento deve essere contrassegnata da una unitarietà
indistruttibile. È in grazia sua che siamo in grado di concepire un uomo come
una personalità unitaria, il che è importante particolarmente per quegli uomini
le cui espressioni sembrano contraddittorie. Vi sono bambini il cui
comportamento a scuola è in diretto contrasto con quello che assumono in famiglia,
e anche altrove nella vita incontriamo uomini i cui tratti di carattere si
presentano in forme all’apparenza cosí contraddittorie che noi c’inganniamo
sulla loro essenza. Può anche accadere che le espressioni di due uomini siano
del tutto simili, ma una piú attenta analisi del caso basata sulla linea di
movimento sottostante, mette allo scoperto nature direttamente opposte. Se i
due fanno la stessa cosa, non è la stessa; e se i due non fanno la stessa cosa,
può essere invece la stessa.
I fenomeni della vita psichica vanno considerati nella loro
plurivalenza, non singolarmente, non isolati l’uno dall’altro, ma,
proprio all’opposto, nella loro connessione, e precisamente come diretti
unitariamente verso un loro fine comune. La cosa importante è il significato
che un episodio ha per un uomo nel contesto di tutta la sua vita. È
innanzitutto la considerazione che ogni sua manifestazione obbedisce a una
direzione unitaria ad aprirci la strada alla comprensione della sua vita
psichica.
Se abbiamo afferrato che il pensiero e l’attività umana
soggiace alla tendenza a un fine, che è condizionata e diretta finalisticamente,
comprendiamo anche come sia possibile quell’abbondantissima sorgente
d’errore consistente nel fatto che l’uomo riferisce sempre tutti i trionfi e
gli altri vantaggi della sua vita appunto alla sua individualità e li valuta
nel senso di un consolidamento del suo modello individuale, della sua linea di
condotta. Questo è possibile solo in quanto egli tutto lascia inverificato,
tutto riceve e amministra nelle oscurità della sua coscienza e del suo
inconscio. È solo la scienza che qui getta luce e ci mette in grado di
afferrare l’intero processo, di farcene un concetto e infine anche di
modificarlo.
Freud - Adler - Jung, Psicoanalisi
e filosofia, a cura di A. Crescini, La Scuola, Brescia, 1983, pagg. 118-132