Adorno
osserva che, dopo aver spazzato via il mondo medioevale e la sua cultura, la ratio
borghese produce ora, per la sua esigenza d’ordine, una cultura sistematica che
la rende chiusa e intollerante e che è destinata all’insuccesso.
Th. W. Adorno, Dialettica negativa
Dal punto di vista della filosofia della storia i sistemi, specialmente quelli dei Seicento, avevano una funzione compensatoria. La stessa ratio, che aveva distrutto, in concordanza con l’interesse della classe borghese, l’ordine feudale e la corrispondente forma della riflessione, l’ontologia scolastica, ebbe subito paura del caos di fronte alle macerie, sua opera. Essa trema di fronte a ciò che continua ad esistere minacciosamente al di sotto del suo ambito di dominio, rafforzandosi proporzionalmente al suo potere. Tale timore caratterizzò ai suoi inizi quel comportamento – costitutivo nel complesso per il pensiero borghese – mirante a neutralizzare frettolosamente ogni passo in direzione dell’emancipazione, confermando l’ordine. All’ombra dell’incompletezza della propria emancipazione la coscienza borghese deve temere di venir annullata da una piú avanzata; sente di non essere tutta la libertà e quindi di riprodurne solo l’immagine deformata; perciò dilata teoricamente la propria autonomia a un sistema, che contemporaneamente assomiglia ai suoi meccanismi coatti. La ratio borghese si propose di produrre dal suo interno l’ordine che aveva negato all’esterno. Ma quello in quanto prodotto non è piú un ordine, e quindi è insaziabile. Un tale ordine prodotto in modo insensato-razionale fu appunto il sistema: qualcosa di posto, che si presenta come un essere in sé. Esso doveva spostare la sua origine nel pensiero formale scisso dal suo contenuto; non altrimenti poteva esercitare il proprio dominio sul materiale. Il sistema filosofico fu fin dall’inizio antinomico. In esso l’approccio si fondeva con la propria impossibilità; agli inizi dei sistemi moderni essa ha appunto condannato l’uno alla distruzione ad opera dei successivo. La ratio per affermarsi come sistema che estingueva virtualmente tutte le determinazioni qualitative, cui si riferiva, finí in inconciliabile contrasto con l’oggettività, cui faceva violenza, pretendendo di afferrarla. Se ne allontanò tanto piú, quanto piú completamente essa l’assoggettò ai suoi assiomi, infine a quello solo dell’identità. Le pedanterie di tutti i sistemi, fino alle complicazioni architettoniche di Kant e, malgrado il suo programma, perfino di Hegel, sono segni di un insuccesso determinato a priori, documentato con incomparabile sincerità nelle fratture del sistema kantiano; già in Molière la pedanteria è un elemento centrale dell’ontologia dello spirito borghese. Ciò che nell’elemento da comprendere si ritira di fronte all’identità del concetto, costringe quest’ultimo a una esasperata messa in scena perché assolutamente non ci siano dubbi sull’inattaccabile completezza, compattezza ed acribia del prodotto del pensiero. La grande filosofia fu accompagnata da uno zelo paranoico di non tollerare nient’altro che se stessa, e perseguirlo con ogni inganno della propria ragione, mentre quello si ritira sempre piú di fronte alla persecuzione. Il minimo resto di non-identità basterebbe a smentire l’identità, totale secondo il suo concetto. La proliferazione dei sistemi dalla ghiandola pituitaria di Descartes e dagli assiomi e definizioni di Spinoza in poi, in cui è stato pompato già tutto il razionalismo, che poi ne viene ritirato fuori deduttivamente, annuncia con la sua non-verità quella dei sistemi stessi, ciò che hanno di folle.
Th. W. Adorno, Dialettica negativa,
Einaudi, Torino, 19802, pagg. 19-21