Con questo
celebre episodio riportato nelle Confessioni, Agostino vuole dimostrare che il peccato
è presente nell’uomo fin dalla nascita.
Confessiones, II, 9
1 Il furto certamente lo punisce la legge
tua, o Signore, e anche quella legge che è scritta nel cuore degli uomini e che
neppure la stessa loro diffusa iniquità riesce a cancellare: in realtà, qual
ladro lascia derubarsi di buon animo da un altro ladro? Neppure chi abbia
larghezza di mezzi lascia derubarsi da chi sia spinto da ristrettezza.
2 Anche io volli, volli commettere un furto
e lo commisi non certo spintovi da bisogno alcuno, ma piuttosto da difetto e
fastidio del sentimento di giustizia e da grassume d’iniquità.
3 In realtà, mi spinsi a sottrarre cosa che
avevo in abbondanza e di migliore qualità, né certo volevo trarne alcun
tornaconto, ma piuttosto volevo ottenerla attraverso un furto, per la
soddisfazione di commettere un furto e di peccare.
4 Vi era un albero di pere nei pressi della
nostra vigna, carico di frutti, che non certo si facevano desiderare per
bell’aspetto, né per squisitezza di sapore.
5 Trascorremmo, giovanetti birbanti
com’eravamo, a scuotere e a spogliare quell’albero, a notte avanzata, dopo
d’esserci sin allora attardati in piazza, secondo la nostra rovinosa abitudine,
nei giochi, e ne portammo via un carico ingente, non per usarne nelle nostre
mense, ma piuttosto per gettarne ai porci. E se mai piccola parte ne mangiammo,
questo facemmo, pur di riuscire a prendere soddisfazione di quello che appunto
ci piaceva perché non ci era lecito.
6 Ecco qual era il mio cuore, mio Dio, ecco
il cuore mio di cui ti sentisti pietà, quand’era precipitato nel fondo
dell’abisso. Ecco, ti dica, dunque, il mio cuore a che cosa mai mirava se non a
esser malvagio senza alcun tornaconto, tanto da non trovare altra causa alla
malvagità, se non nella malvagità stessa. Vergognosa essa era, eppur l’amai,
amai la mia morte, amai la mia rovina stessa, non ciò per cui io rischiavo di
rovinarmi, ma la mia stessa rovina amai, anima sozza e che si staccava dal tuo
fermo appoggio, per trascendere nella rovina, non per commettere atto alcuno
disonesto, ma solo perché desiderosa della disonestà.
(Agostino, Le confessioni, Zanichelli, Bologna, 1968, pagg. 89-91)