Agostino era
partito nella sua indagine sul problema del tempo constatandone la complessità
e la natura misteriosa con queste parole: “Se non me lo chiedi lo so, se me lo
chiedi non lo so”. Il risultato della ricerca (il tempo come “distensione
dell’anima”) avrà un grande seguito nella storia della filosofia.
Confessioni, XI, 35-37
1 [...]
Da qui mi è parso di concludere che il tempo null’altro è che un’estensione, ma
di qual cosa sia estensione, non lo so; però sarebbe strano se non fosse
un’estensione dell’anima stessa. Che cosa, infatti, io misuro, te ne scongiuro,
Dio mio, quando dico, o, approssimativamente: “Questo tempo è piú lungo di
quello”, oppure, in maniera precisa: “Questo tempo è doppio rispetto a quell’altro”?
Il tempo misuro, sí questo lo so, ma non misuro quello che ha da venire, perché
non è ancora, non misuro il presente che non ha estensione, non misuro il
passato perché ormai non c’è piú. Che cosa, dunque, misuro?
[...]
2 In
te, anima mia, misuro il tempo. Non darmi la voce addosso, col dirmi ciò che la
realtà è. Non darmi la voce addosso con tutti i travagli delle tue impressioni.
In te, lo ripeto, misuro il tempo.
3 L’impressione
che le cose, mentre passano, suscitano in te, e che poi, quando quelle sono
passate, dura, questa impressione io la misuro mentre è presente: non misuro le
cose che sono passate in modo da lasciare un’impressione, ma misuro questa
impressione, quando misuro il tempo. Per conseguenza, o il tempo consiste in
queste impressioni, o io non riesco a misurare il tempo.
4 Ma
che? Quando misuriamo il silenzio e diciamo che quel silenzio ha avuto una
durata di tempo corrispondente a quello che ebbe una determinata voce, non è
forse vero che rivolgiamo la tensione del nostro pensiero quasi per misurare la
durata di quella voce, come se essa risonasse, per poter trarre dagli
intervalli del silenzio una definizione che consiste in una estensione di
tempo?
5 Infatti,
anche quando la voce e la bocca non sono in moto, noi nel nostro pensiero
continuiamo a recitare poesie, versi e qualsivoglia discorso, e siamo in grado
di definire qualsivoglia estensione del loro andamento e della durata dei
tempi, quanto cioè ognuno sia rispetto a un altro, non altrimenti che se ne
facessimo recitazione a voce alta.
6 Se
qualcuno volesse emettere la sua voce in misura un po’ lunghetta e ne fissasse,
facendo il conto nel suo pensiero, quanta debba essere la durata, costui,
certamente, la durata del tempo la stabilisce standosene in silenzio e poi,
affidando il calcolo alla memoria, prende a tirare fuori quella sua voce, che
risuona sino a quando non giunga al termine prestabilito. Ma, in verità,
diremo: risonò e risonerà; perché quella parte della voce che già si è svolta,
diremo che è risonata, quella parte che ancora rimane da svolgersi diremo che
risonerà, sino a quando l’intensità presente non trasforma quello che ha da
venire nel passato, in quanto quel che ha da venire, via via, diminuisce e il
passato, via via, s’accresce, sino a quando, consumatosi il futuro, tutto
divenga passato.
7 Ma
in qual modo va diminuendo o addirittura si disperde quello che ha da venire,
che ancora non è, o in qual modo s’accresce il passato, che ormai piú non è, se
non perché nell’anima nostra, che elabora questi momenti, vi sono tre fasi?
Infatti l’anima aspetta, pone attenzione e ricorda; tanto che ciò che aspetta,
attraverso ciò cui rivolge l’attenzione, si trasforma in ciò che ricorda.
8 Chi
può negare che ciò che ha da venire non è ancora? Ma, tuttavia, vi è già nell’anima
nostra un’attesa di quello che ha da venire.
9 Chi
può negare che il passato piú non è? Ma, tuttavia, è ancora nell’anima nostra
memoria del passato.
10 Cosí
chi può negare che il tempo presente manca di estensione, perché trascorre
riducendosi in un punto? Ma, tuttavia, l’attenzione rimane durevole, sicché
attraverso di essa si volge a non essere piú ciò che si appresserà. Non è,
dunque, lungo il tempo che ha da venire, perché esso, in realtà, non esiste, ma
questo lungo tempo avvenire altro non è che l’attesa lunga di ciò che ha da
venire, e cosí non è lungo il passato, perché esso, in realtà, non esiste, ma
questo lungo tempo passato altro non è che la lunga memoria di ciò che è
passato.
(Agostino, Le confessioni, Zanichelli, Bologna, 1968, pagg. 789,
795-797)