Agostino, in
polemica con la dottrina pelagiana, afferma che l’aiuto di Dio è indispensabile
all’uomo per la sua salvezza. La pagina che segue è tratta da un’opera (De natura et gratia) scritta fra
il 411 e il 418; Agostino tornerà sull’argomento con le opere scritte negli
ultimi anni della sua vita (fra il 426 e il 430).
De natura et gratia, 67, 81
[Agostino vuole confutare alcune
interpretazioni che i pelagiani hanno dato del suo De libero arbitrio,
ma riconosce, comunque che la trattazione del problema della libertà presenta
alcuni e notevoli difficoltà] Io stesso ho affrontato una difficoltà che poteva
presentarsi e l’ho risolta per quanto mi è stato possibile dicendo: “Sono
tuttavia riprovevoli e si giudicano meritevoli di correzione anche alcune
azioni fatte per ignoranza, come leggiamo nelle testimonianze divine”. E dopo
essermi valso di mezzi attinenti, ho parlato pure della debolezza morale
dicendo: “Sono riprovevoli anche certe azioni compiute per necessità, dove
l’uomo vuole agire bene e non ci riesce. Donde vengono infatti questi lamenti: Io
non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”? Richiamati poi a
favore di questa sentenza altri testi della parola divina, dicevo: “Ma tutti
questi lamenti sono di uomini che vengono da quella condanna di morte. Se
infatti non si tratta di una pena, ma della stessa natura dell’uomo, cotesti
non sono peccati”. Poco dopo scrivo: “Resta dunque che questa giusta pena venga
dalla condanna dell’uomo. Né c’è da meravigliarsi che l’uomo o a causa
dell’ignoranza non ha nel libero arbitrio della volontà la capacità di
scegliere quello che esige la rettitudine delle azioni, ovvero che per la
resistenza dell’abitudine carnale, che la prepotenza della successione mortale
ha in qualche modo consolidata come un’altra natura, vede quello che esige la
rettitudine delle azioni e lo vuole e non riesce a farlo. Questa è infatti una
giustissima punizione del peccato: che ciascuno perda quel potere che non ha
voluto usare in modo buono, quando lo poteva senza nessuna difficoltà, se
avesse voluto; cioè in altre parole che chi pur conoscendo non fa il bene,
perda la conoscenza di ciò che è bene e chi non ha voluto fare il bene
potendolo, ne perda la possibilità quando lo vuole. L’ignoranza infatti e la
difficoltà sono due veri castighi per ogni anima che pecca. Dall’ignoranza
viene l’umiliazione dell’errore, dalla difficoltà l’afflizione del dolore. Ma
approvare il falso per il vero fino ad errare contro la stessa volontà e non
poter trattenersi dalle opere libidinose per l’opposizione e la vessazione
dolorosa del vincolo carnale, non è natura dell’uomo come è stato creato, bensí
pena dell’uomo come è stato condannato. Ora, quando parliamo della libera
volontà di agire rettamente, parliamo evidentemente di quella volontà in cui
l’uomo fu creato”. Poi, alle persone che credono di potersi giustamente
lamentare della trasmissione e trasfusione nella prole del primo uomo dei vizi
della stessa ignoranza e difficoltà, ho già dato questa risposta: “A costoro si
risponde brevemente che si quietino e smettano di mormorare contro Dio.
Avrebbero forse ragione di lamentarsi, se tra gli uomini non esistesse nessuno
che sia vincitore dell’errore e della libidine. Ma è presente dappertutto colui
che in molti modi per mezzo delle creature dalle quali è servito come padrone
chiama chi si allontana, istruisce chi crede, consola chi spera, esorta chi
ama, aiuta chi lotta, esaudisce chi prega. Quindi, non ti si fa colpa della tua
ignoranza involontaria, ma della tua negligenza nel cercare ciò che ignori, né
ti si fa colpa di non fasciare le tue ferite, ma di scansare chi te le vuole
guarire”. In questo modo da una parte ho esortato quanto ho potuto a vivere
rettamente e dall’altra non ho reso vana la grazia di Dio, senza la quale la
natura umana, ormai ottenebrata e viziata, non può essere illuminata e sanata.
È su questo punto che verte tutta la questione con costoro: che la grazia di
Dio offerta a noi nel Cristo Gesú nostro Signore non sia frustrata da noi con
una perversa difesa della natura. Della quale natura ho scritto poco dopo:
“Anche la natura stessa la intendiamo in due modi diversi: quando parliamo in
senso proprio, ci riferiamo alla natura nella quale l’uomo fu in origine creato
secondo la sua specie senza colpa; in un altro senso intendiamo la natura
attuale nella quale a seguito della condanna di Adamo noi per punizione
nasciamo mortali, ignoranti e soggetti alla carne, e in questo l’Apostolo dice:
Eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri”.
(Agostino, Natura e grazia, Città Nuova, Roma, 1981, pagg.
481-483)