Particolarmente
realistico il modo in cui Agostino descrive come il valore della pace sia
centrale nella vita degli uomini e dei popoli e come questo valore possa
benissimo convivere con lo stato di guerra, di cui la pace è lo scopo finale.
De civitate Dei, XIX, 12
1 Chiunque osservi assieme a me le realtà
umane e la nostra natura comune, riconosce che come non vi è nessuno che non
voglia godere, cosí non vi è nessuno che non voglia possedere la pace.
Addirittura, anche coloro che ricercano le guerre non vogliono altro che la
vittoria, quindi desiderano fortemente raggiungere la gloria e la pace
attraverso la guerra. Che cos’è infatti una vittoria, se non la eliminazione di
ogni resistenza? E proprio quando ciò sarà accaduto, si avrà la pace. Dunque è
in vista della pace che si conducono le guerre, anche da parte di coloro che
s’impegnano ad esercitare le loro attitudini belliche nel comando e nel
combattimento.
2 Risulta perciò che la pace è il fine che
si desidera dalla guerra; ogni uomo infatti ricerca la pace anche attraverso la
guerra, mentre nessuno ricerca la guerra attraverso la pace. Anche coloro che
vogliono turbare lo stato di pace in cui si trovano, non odiano la pace, ma
desiderano cambiarla a loro arbitrio. Non vogliono quindi che la pace non vi
sia piú, ma che sia come essi vogliono. Da ultimo, anche qualora si separino
dagli altri con una ribellione, non riescono a portare a compimento i loro
disegni e mantengono una qualche apparenza di pace con gli stessi congiurati e
cospiratori.
3 Prendiamo gli stessi malfattori: per
costituire un’insidia piú forte e piú sicura alla pace degli altri, essi
vogliono avere pace tra loro. E anche se uno di loro viene ad avere una forza
cosí schiacciante da fare a meno di complici, cosicché non si affida piú a
nessun compagno, mettendosi a tendere agguati da solo, depredando quelli su cui
riesce ad avere il sopravvento una volta catturati e uccisi, costui sicuramente
mantiene una forma qualunque di pace con coloro che non può uccidere ed ai
quali vuole tenere nascosta la sua condotta. Inoltre egli si sforza di sembrare
uomo di pace a casa sua, con la moglie e con i figli e con altri, se vi sono;
senza dubbio è soddisfatto quando obbediscono ad un suo cenno e s’indigna,
reagisce e si vendica quando ciò non accade. Porta la pace nella sua casa, se è
necessario anche con la forza, poiché s’accorge che essa non può esistere se
tutte le cose non sono sottomesse nella società domestica ad un principio che
coincide con la sua persona. Se perciò a lui venisse offerta la sottomissione
di molti, di una città o di una nazione, in modo che costui venga servito come
voleva esserlo a casa propria, egli non si nasconderebbe piú come un
malfattore, ma s’innalzerebbe davanti a tutti come un re, anche se in lui
rimarrebbero la stessa avidità e la stessa malizia.
4 Ognuno quindi desidera essere in pace con
i suoi, volendo però che vivano secondo il suo arbitrio. Anche quando si muove
guerra a qualcuno, lo si vuole conquistare, se è possibile, e una volta
sottomesso imporgli le condizioni della propria pace.
(Agostino, La città di Dio, Rusconi, Milano, 1984, pagg. 960-961)