Piú che fornire un’analisi dei gradi
della conoscenza, al-Ghazali polemizza contro i filosofi che tendono ad
assolutizzare una conoscenza di tipo empirico o di tipo scientifico. Il brano è
tratto da L’alchimia
della felicità, dove al-Ghazali sviluppa un tema della sua celebre opera La
distruzione dei filosofi, a cui Averroè aveva risposto con l’opera La
distruzione della distruzione dei filosofi.
L’alchimia della felicità (Kimya
al Saada)
1 Vi sono molti gradi di conoscenza. Il
semplice naturalista è come una formica che strisciando sopra un foglio di
carta e osservando le lettere nere che si spargono sopra di esso, ne riferisse
la causa alla sola penna. L’astronomo è come una formica che ha una visione un
po’ piú larga, e che riuscisse a prender visione delle dita che muovono la
penna; egli cioè conosce che gli elementi sono sotto il potere delle stelle, ma
non sa che le stelle sono sotto il potere degli angeli. Cosí, a seconda dei
vari gradi di percezione devono sorgere dispute per attribuire effetti alle
cause. Coloro i cui occhi non vedono mai oltre il mondo dei fenomeni sono
simili a quelli che sbagliano dei servi di bassissimo rango per il re. La legge
dei fenomeni deve essere costante o non potrebbe aversi qualcosa come la
scienza; ma è un grave errore sbagliare gli schiavi per il padrone.
2 Finché esiste questa differenza nelle
facoltà percettive dell’osservatore, le dispute devono necessariamente sorgere.
È come se alcuni ciechi, avendo sentito dire che un elefante è venuto nella
loro città, andassero ad esaminarlo. La sola conoscenza che essi potrebbero
averne, se la procurerebbero mediante il senso del tatto; e cosí uno mette la
mano sulla gamba dell’animale, un altro sulla sua proboscide, un altro
nell’orecchio, e, secondo le loro diverse percezioni, ciascuno di essi afferma
che è una colonna, un grosso palo, un trapuntino, ciascuno scambiando una parte
per il tutto. Cosí il naturalista e l’astronomo confondono la legge che essi
percepiscono con il legislatore. Un simile errore si attribuisce ad Abramo nel Corano
ove si riferisce di lui che egli si rivolse successivamente alle stelle, alla
Luna, al Sole come oggetti di adorazione per lui, finché, divenuto consapevole
di Colui che fece tutte queste cose, esclamò: “Io non amo le cose che
tramontano”.
3 Noi abbiamo tutti la tendenza di riportare
alle cause seconde ciò che dovrebbe essere riportato alla Prima Causa nel caso
delle cosiddette malattie. Cosí, se un uomo cessa di prendere interesse per le
cose del mondo, concepisce disgusto per i piaceri comuni, apparisce affondato
nella depressione, il medico dirà: “Questo è un caso di melanconia e richiede
questa e questa prescrizione”; il naturalista dirà: “Gli si è prosciugato il
cervello per il caldo e non migliorerà finché non si raddolcirà l’aria”;
l’astrologo attribuirà ciò a qualche particolare congiunzione od opposizione di
pianeti, “fino al punto a cui la scienza di loro arriva”, come dice il Corano.
Ma non viene loro in mente che realmente è accaduto questo: l’Onnipotente ha
cura del benessere dell’uomo; e perciò comandò ai suoi servi, i pianeti e gli
elementi, di produrre in lui una condizione tale che esso, distogliendosi dal
mondo, si rivolgesse verso il proprio Fattore. La conoscenza di ciò è una perla
splendente nell’oceano della conoscenza per ispirazione, di fronte a cui le
altre forme di conoscenza sono come isole nel mare.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1966, vol. IV,
pagg. 1094-95)